F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2017/2018 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 67/CFA del 12 Dicembre 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 62/CFA del 29 Novembre 2017 (dispositivo) – RICORSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA ARBITRI AVVERSO LA DECISIONE PRONUNCIATA NEI CONFRONTI DEL SIG. GRECO GIOVANNI (ARBITRO EFFETTIVO), SEGUITO – COM. UFF. N. 1 DELL’1.7.2017 AIA (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 17/TFN del 9.10.2017).

RICORSO DELL’ASSOCIAZIONE  ITALIANA  ARBITRI AVVERSO  LA  DECISIONE  PRONUNCIATA  NEI CONFRONTI DEL SIG. GRECO GIOVANNI (ARBITRO EFFETTIVO), SEGUITO – COM. UFF. N. 1 DELL’1.7.2017  AIA  (Delibera  del  Tribunale  Federale  Nazionale  -  Sezione  Disciplinare  -  Com.  Uff. n.  17/TFN del 9.10.2017).

 

Con ricorso ex artt. 25 e 30 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI proposto innanzi al Tribunale Federale Nazionale il dott. Giovanni Greco ha impugnato la delibera adottata dall’Associazione Italiana Arbitri e pubblicata sul Com. Uff. del 1.7.2017, n. 1 (Stagione Sportiva 2017/2018), con la quale il ricorrente è stato dismesso per limite di permanenza nel ruolo C.A.I.

Con il predetto ricorso il dott. Giovanni Greco ha, altresì, impugnato tutti gli atti prodromici, presupposti e preliminari alla suddetta contestata delibera dell’Associazione Italiana Arbitri, proponendo, in particolare, sei specifiche diverse censure:

1.         difetto di motivazione della decisione di mancato avanzamento del ricorrente che avrebbe determinato  l’automatica  dismissione;

2.         violazione degli artt. 6, commi 7 e 10, 7, 15, commi 2 e 3, delle Norme di funzionamento degli Organi tecnici dell’A.I.A. per l’omessa predeterminazione e indicazione degli “eventuali altri criteri” utilizzati dall’Organo tecnico nella compilazione della relazione di fine stagione per la valutazione degli arbitri da promuovere alle categorie superiori;

3.         Violazione del principio di trasparenza e imparzialità del sistema di attribuzione delle mere valutazioni tecniche, nella parte in cui la disposizione di cui all’art. 6, comma 5, delle Norme di funzionamento non estende agli arbitri a disposizione degli Organi tecnici nazionali la garanzia della formulazione per iscritto dei rilievi nell’immediato dopo gara;

4.         Violazione dei principi di imparzialità e trasparenza per l’omessa predeterminazione all’avvio della stagione del numero di arbitri cui consentire il passaggio dalla C.A.I. alla CAND ai sensi dell’art. 15, commi 2 e 3, delle predette richiamate Norme di funzionamento, ovvero dei criteri sulla base dei quali il predetto numero sarà determinato;

5.         Violazione dell’art. 12 della legge n. 241 del 1990 e della legge n. 231 del 2001, nonché dei principi generali in materia di selezione e accesso agli impieghi pubblici;

6.         Illegittimità derivata dall’illegittimità del Regolamento A.I.A. e delle Norme di funzionamento, nella parte in cui non prevedono garanzie di imparzialità, indipendenza e terzietà nel procedimento di nomina dei componenti degli organi tecnici;

Con memoria dd. 22.9.2017 la convenuta Associazione Italiana Arbitri si è costituita nell’instaurato procedimento, contestando il fondamento in fatto e diritto dei motivi di ricorso ed eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per tardivo deposito dell’atto introduttivo.

Quanto all’eccepito difetto di motivazione l’AIA ha evidenziato di non essere tenuta a motivare i propri atti, in quanto nell’ambito degli ordinamenti sportivi federali la legge n. 241/1990 troverebbe applicazione soltanto in relazione alle attività aventi valenza pubblicistica. Ha, inoltre, dedotto che la delibera  di  promozione  e  dismissione  di  un  arbitro  costituisce  un  atto  complesso  a  formazione progressiva e che, dunque, la motivazione dello stesso deve essere rinvenuta nella graduatoria finale formata dalla media globale definitiva delle valutazioni ottenute dagli arbitri in occasione delle gare da essi dirette e nelle norme di funzionamento degli organi tecnici circa i limiti massimi di età e di permanenza.

Ha sostenuto, ancora, tra l’altro, l’AIA, che non vi sarebbe stata alcuna necessità di predeterminare ad inizio stagione i parametri, in quanto il riferimento agli “eventuali altri criteri” e all’esclusione dell’automatica applicazione della graduatoria finale sarebbe finalizzato soltanto ad evitare la violazione di altre norme regolamentari.

Richiamata, infine, normativa UEFA, che, a dire dell’appellante, vieterebbe la valutazione da parte di soggetti esterni all’Associazione, ha evidenziato che il Comitato dei Garanti svolgerebbe la richiesta funzione garantendo l’imparzialità e l’indipendenza dei componenti degli organi tecnici.

Il Tribunale Federale Nazionale (sezione disciplinare), con decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 17/TFN del 9.10.2017, preliminarmente disattesa l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa dell’A.I.A, ha ritenuto fondato il ricorso, accogliendolo e, per l’effetto, annullando «i provvedimenti impugnati nella parte in cui hanno comportato la mancata promozione del dott. Giovanni Greco e la conseguente dismissione per limite di permanenza in ruolo», dichiarando, altresì, assorbiti i motivi non esaminati.

Ha osservato, anzitutto, il T.F.N., come meriti accoglimento la censura di difetto di motivazione, atteso che il «Comunicato impugnato e i prodromici atti con i quali il Comitato dei delegati e il C.A.I. hanno determinato il mancato avanzamento del dott. Giovanni Greco e la conseguente dismissione per raggiungimento del termine di permanenza nulla chiariscono in merito sia alla specifica posizione del ricorrente, sia ai criteri utilizzati per redigere la graduatoria, la proposta e il successivo provvedimento».  Il  T.F.N.  ha,  altresì,  ritenuto  fondato  «l’ulteriore  vizio  dedotto  con  il  quale  il  ricorrente  ha contestato la violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e parità di accesso arbitrale, nonché la violazione   del   già   richiamato   art.   6,   comma   10,   delle   Norme   di   funzionamento   per   omessa predeterminazione dei criteri sulla base dei quali il C.A.I. e il Comitato dei delegati hanno determinato la mancata progressione e la dismissione del dott. Giovanni Greco.

Secondo la prefata disposizione, infatti, la proposta di progressione e dismissione ha carattere meramente indicativo e non deve essere elaborata automaticamente soltanto sulla base della graduatoria finale, ma deve tenere conto anche di ulteriori eventuali altri criteri. Alla luce di tale previsione gli Organi tecnici e il Comitato dei delegati sono tenuti, dunque, a rendere conoscibili a tutti gli interessati i criteri utilizzati per determinare le promozioni e le dismissioni. In tale prospettiva i predetti organi appaiono tenuti a informare che applicheranno automaticamente la graduatoria finale senza applicare gli ulteriori eventuali criteri previsti dalla disposizione al fine di evitare arbitrarie discriminazioni, garantire la trasparenza della decisione e assicurare la parità di accesso arbitrale.

Nel caso di specie, invero, è venuta meno la necessaria predeterminazione dei criteri, essendo stato rimesso alla libera determinazione dell’Organo tecnico di valutare ex post se applicare o meno gli ulteriori eventuali criteri ai fini della determinazione della graduatoria, in evidente violazione con  i principi di trasparenza e imparzialità.

Tra l’altro l’omessa predeterminazione dei criteri a inizio stagione non viola soltanto i principi di trasparenza e di imparzialità, ma lede inesorabilmente anche la par condicio degli arbitri, in quanto questi ultimi non sapendo i criteri sulla base dei quali saranno valutati non possono concorrere correttamente».

Quanto al riferimento agli “eventuali altri criteri” il T.F.N. ritiene che lo stesso non sia riferibile all’applicazione di altre norme regolamentari. «Da un lato, infatti», si legge, ancora, nella decisione del Giudice di prime cure, «l’applicazione di norme regolamentari non può essere eventuale. Da un altro lato l’art. 6, comma 10, si riferisce a criteri e non a norme o a divieti.

Inoltre, è lo stesso art. 6, comma 10, a presupporre l’esistenza di ulteriori criteri, escludendo l’automatismo della graduatoria  finale, e, soprattutto, a qualificare la predetta graduatoria come meramente indicativa. Qualora si trattasse di norme regolamentari, infatti, la graduatoria finale non sarebbe meramente indicativa e la sua applicazione automatica».

Da ultimo, il T.F.N. rileva come anche la censura relativa alle modalità di formazione degli Organi tecnici non appaia destituita di ogni fondamento, «in quanto le procedure di nomina non sembrano garantire adeguatamente i principi di trasparenza, imparzialità, indipendenza e terzietà degli organi deputati ad assicurare la parità di accesso arbitrale di cui all’art. 1, comma 2, del Regolamento A.I.A. e l’indipendenza di giudizio nello svolgimento delle funzioni arbitrali prescritto dall’art. 33 dello Statuto del C.O.N.I.

Gli Organi tecnici, invero, e nel caso di specie la C.A.I. sono formati da componenti nominati dal Comitato dei delegati (che  costituisce  un  organo  essenzialmente  politico  dell’Associazione  composto dal Presidente dell’A.I.A., dal Vice Presidente, dai tre componenti effettivi della lista collegata e dai tre componenti effettivi eletti singolarmente per ciascuna  macroregione  dall’Assemblea  Generale)  senza alcun previa verifica dei presupposti dei candidati da parte di una commissione terza e imparziale a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dei candidati e degli Organi tecnici.

La nomina dei componenti degli organi tecnici appare dettata anche da valutazioni associative e non sembra improntata esclusivamente a garantire la terzietà e l’indipendenza di svolgimento delle delicate funzioni prescritte dalle prefate disposizioni. Del resto gli stessi requisiti richiesti dal Regolamento A.I.A. per rivestire la carica di componente degli organi tecnici concernono l’appartenenza all’Associazione, la capacità elettorale, la moralità, la mancanza di controversie contro il C.O.N.I., la F.I.G.C.        o  l’A.I.A.  e  l’inesistenza  di  conflitti  di  interesse  di  carattere  economico.  Nessuno  dei  requisiti prescritti concerne la qualificazione, la terzietà o l’indipendenza dei componenti degli Organi tecnici».

Avverso la suddetta decisione del TFN, pubblicata sul C.U. n. 17/TFN del 9 ottobre 2017, l’Associazione Italiana Arbitri ha proposto ricorso in appello, con contestuale istanza di sospensione della efficacia esecutiva della decisione impugnata.

L’Associazione Italiana Arbitri, con articolato ricorso, deduce quattro distinti specifici motivi d’impugnazione:

1.         Erroneità del capo della decisione impugnata che rigetta l’eccezione di inammissibilità del dott. Greco per tardivo deposito dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, con conseguente definitività della delibera impugnata;

2.         Illegittimità ed infondatezza del capo della decisione impugnata che ha accolto il ricorso avversario per preteso difetto di motivazione della delibera impugnata, con conseguente declaratoria di infondatezza  di  ogni  difetto  e/o  carenza  di  motivazione  e violazione di legge della medesima delibera;

3.         Erroneità ed infondatezza del capo della decisione impugnata che ha accolto il ricorso avversario per pretesa violazione, da parte della delibera impugnata, dell’art. 6, comma 10, delle Norme di funzionamento degli organi tecnici;

4.         Erroneità ed infondatezza della decisione impugnata che ha accolto il ricorso avversario per la pretesa violazione, da parte della delibera impugnata, dello Statuto del CONI e delle norme regolamentari degli Organi Tecnici da parte del Comitato Nazionale AIA.

L’appellante Associazione ha, altresì, proposto istanza di sospensione della  decisione impugnata con la quale, premesso, i) che secondo «il Giudice di prime cure il dott. Greco deve essere promosso alla CAN D e, quindi, dirigere gare del campionato di Serie D»; ii) che «tale promozione è stata disposta dal Tribunale senza che lo stesso abbia in alcun modo motivato quali siano le ragioni di essa»; iii) che «in difetto di una sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione di primo grado, più squadre di Serie D saranno dirette da un arbitro non per le sue capacità tecniche, ma perché il Tribunale si è sostituito agli osservatori arbitrali senza mai aver visionato l’arbitro Greco o perché ha ritenuto che l’Organo tecnico che lo ha dismesso è stato nominato dal Comitato Nazionale AIA, ritiene che «siano evidenti i gravi motivi che impongono la sospensione dell’efficacia esecutiva di una decisione gravemente ingiusta e viziata», confidando «che l’Ill.mo Sig. Presidente, nell’interesse della stessa organizzazione calcistica e del buon andamento dei campionati, possa accogliere la presente istanza» e, quindi, sospendere «la provvisoria esecutorietà della appellata decisione del Tribunale Federale Nazionale – Sezione disciplinare di cui al Comunicato Ufficiale n. 17/TFN – Sezione disciplinare (2017/2018), di data 9.10.2017».

Sentite – nella seduta del 25 ottobre 2017 – le parti, anche ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli 9, comma 1, e 2, comma 2, C.G.S. – Coni, con ordinanza pubblicata sul Com. Uff. n. 51/CFA del 25.10.2017, questa Corte ha disatteso l’istanza di sospensione avanzata dall’AIA.

Il Collegio, infatti, premesso, su un piano più generale, che una lettura logico-sistematica e la stessa ratio delle disposizioni federali in materia inducono a ritenere che il Legislatore federale abbia inteso limitare, e non già ampliare, il potere sospensivo del Giudice di secondo grado, visto l’art. 1, comma 2, C.G.S., visto l’art. 37, comma 4, CGS-Coni, visto l’art. 2, comma 6, CGS- Coni, ha ritenuto che la sospensione deve essere garantita in presenza di gravi e fondati motivi o laddove, dall'esecuzione della decisione impugnata, possa derivare un danno grave ed irreparabile, oppure un pregiudizio ai diritti inviolabili dell'uomo od ai diritti riconosciuti dalla convenzione  europea per  la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Pertanto, delibato collegialmente, seppur nella funzione sommaria propria della fase cautelare, il merito della controversia, al fine di verificare la sussistenza dei gravi e fondati motivi, asseritamente ostativi all’esecutività della decisione impugnata, preso atto che l’istante Associazione Italiana Arbitri non ha dedotto specifiche iniziative di natura esecutiva da parte del dott. Greco e che questi, con proprio atto dd. 23.10.2017, ha evidenziato che, «ai fini dell’avversa tutela cautelare», «nelle more del giudizio di merito esso ricorrente in primo grado non richiederà alcuna esecuzione della pronuncia appellata», ha, conclusivamente, ritenuto non sussistere i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora e, dunque, gravi e fondati motivi per impedire il manifestarsi degli effetti propri, come assegnati dall’Ordinamento federale, della decisione del Tribunale Federale Nazionale.

Fissata la seduta per la discussione del merito della controversia, il dott. Giovanni Greco, nelle more, con atto dd. 26.10.2017, premesso di essere stato convocato, con nota del  25.9.2017,  per presunte violazioni del regolamento AIA e del codice etico in ordine «al ricorso del 28.07.2017 ed al suo contenuto con il quale hai impugnato innanzi al Tribunale Nazionale della FIGC la delibera AIA, pubblicata sul Com. Uff. n. 1 del 01.01.2017», nonché di essere stato, «successivamente in data 16.10.2017» ascoltato «dai rappresentanti della Procura Arbitrale Nazionale», ha formulato «le proprie irrevocabili dimissioni dall’A.I.A. con effetto immediato (come si provvede con apposito atto)» e rinunciato «a qualsivoglia azione avverso tutti gli atti indicati nel ricorso introduttivo nonché ad ogni effetto della decisione di primo grado».

Con successiva pec del 20.11.2017 il dott. Giovanni Greco ha depositato l’atto di dimissioni presentate all’AIA dd. 26.10.2017 e la successiva accettazione delle stesse, con provvedimento dd. 8.11.2017, da parte della medesima AIA.

In data 23.11.2017 l’AIA ha depositato memoria difensiva per riformulare le domande alla luce della rinuncia all’azione formalizzata dal dott. Greco.

In tal ottica, evidenzia, l’appellante AIA, come la suddetta rinuncia non comporti «l’estinzione del processo, ma necessita di una delibera che definisca il procedimento tenendo conto, da un lato, della diversa regolamentazione del merito della  controversia  per  effetto  della  stessa  rinuncia  e,  dall’altro, della presenza di una decisione impugnata che regola il medesimo merito in modo totalmente difforme». Non appare, dunque, possibile, ad avviso dell’AIA, «un’ipotetica  definizione  del  presente grado del processo mediante una declaratoria di estinzione del giudizio sportivo ovvero di inammissibilità sopravvenuta dell’impugnazione, posto che, in tal modo, passerebbe in giudicato la decisione impugnata del Tribunale federale».

Trova applicazione, secondo l’appellante Associazione, l’art. 37, comma 4, C.G.S., secondo cui, se la Corte «rileva motivi di inammissibilità o di improcedibilità del reclamo in prima istanza, annulla la decisione impugnata senza rinvio». Conclusione, questa, che troverebbe conferma nei principi del processo  amministrativo.

L’AIA, dunque, chiede: in via principale, preso atto della rinuncia all’azione formalizzata dal dott. Greco, in applicazione della disposizione di cui all’art. 37, comma 4, C.G.S., «dichiararsi l’improcedibilità del ricorso proposto in data 28.7.2017 dal dott. Giovanni Greco avverso la delibera AIA di data 1.7.2017» ed «annullarsi senza rinvio l’appellata decisione del Tribunale federale nazionale»; in via subordinata, preso atto della rinuncia all’azione formalizzata dal dott. Greco, «dichiararsi cessata la materia del contendere quanto al ricorso proposto in data 28.7.2017 dal dott. Giovanni Greco avverso la delibera AIA di data 1.7.2017» ed «annullarsi senza rinvio l’appellata decisione del Tribunale federale nazionale»; in via di ulteriore subordine, «in integrale riforma della decisione del Tribunale federale nazionale» e «in accoglimento del proposto appello, rigettarsi, siccome inammissibili ed infondate in fatto ed in diritto per le ragioni esposte nel ricorso in appello, le domande proposte dal dott. Giovanni Greco nei confronti dell’Associazione italiana arbitri».

Alla seduta del 29.11.2017, innanzi a questa Corte, sono comparsi, per l’AIA, gli avv.ti Valerio Di Stasio e Giancarlo Perinello, che hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni come riformulate nella suddetta memoria difensiva, mentre per il dott. Giovanni Greco è comparso l’avv. Francesco Fanasca, in sostituzione dell’avv. Gianluigi Pellegrino, ribadendo la rinuncia all’azione già formalmente depositata in atti ed aderendo alla richiesta dell’AIA di estinzione del giudizio con annullamento della decisione di primo grado.

Chiusa la discussione, questa Corte, sulle predette sostanziali concordi conclusioni delle parti, si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo sulla base dei seguenti

 

MOTIVI

 

In via preliminare ed assorbente occorre esaminare quali siano gli effetti della rinuncia all’azione e «ad ogni effetto della decisione di primo grado» formalizzata dall’appellato  dott.  Giovanni  Greco, atteso che la rinuncia agli atti assume carattere pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione.

Per effetto del combinato disposto delle norme di cui all’art. 1, comma 2, C.G.S. («Per tutto quanto non previsto dal presente Codice, si applicano le disposizioni del Codice della Giustizia Sportiva emanato dal CONI») e all’art. 2, comma 6, Codice di Giustizia Sportiva CONI («Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva»), la fattispecie deve ritenersi regolata dalle disposizioni del codice di rito civile e, segnatamente, da quelle che disciplinano l’istituto dell’estinzione del processo. Non è, infatti, applicabile alla fattispecie la disposizione, invocata dall’AIA, di cui all’art. 37, comma 4, C.G.S., che disciplina altra e diversa ipotesi.

Ciò premesso, occorre, anzitutto, operare una distinzione tra rinuncia agli atti del giudizio  e rinuncia all’azione.

Come noto, l’istituto della rinuncia, quale espressione tipica della autonomia negoziale privata, nel nostro ordinamento giuridico può avere  per oggetto ogni diritto  di carattere sostanziale e processuale, anche futuro ed eventuale, con l’unico limite che non osti un espresso divieto di legge, ovvero che non si tratti di un diritto irrinunciabile o indisponibile.

La rinuncia agli atti del giudizio comporta, è noto, l’estinzione del processo quando la stessa è accettata dalle parti costituite che, invece, potrebbero avere interesse alla prosecuzione dello stesso. Secondo il consolidato principio di diritto sancito dalla Suprema Corte, in difetto di accettazione l’estinzione del giudizio può essere dichiarata qualora la controparte non abbia un interesse alla prosecuzione del giudizio, identificato nella possibilità, giuridica e concreta, di ottenere attraverso la pronuncia di merito vantaggi ulteriori conseguenti all’estinzione, cioè l’attualità dell’interesse processuale (ex multis, Cassazione, 24.3.2011, n. 6850; Cassazione, 21.6.2002, n. 9066; Cassazione, 3.8.1999, n. 8387).

La rinuncia all’azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, presuppone una incompatibilità, assoluta,  tra  il comportamento  dell’attore  e la sua  volontà  di proseguire nella domanda proposta (cfr. Cassazione, sez. III civ., 9.11.2005, n. 21685).

Quanto agli effetti, la rinuncia all’azione, diversamente dalla rinuncia agli atti, non richiede l’accettazione della controparte e comporta l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (cfr., ex multis, Cassazione, sez. I civ., 10.9.2004, n. 18255). La controparte del rinunciante, infatti, difetta di un interesse alla prosecuzione del processo e, pertanto, si impone la declaratoria di cessazione della materia del contendere (cfr. Cassazione, III sez. civ., 1.4.2004, n. 10478), peraltro espressione e realizzazione del principio dispositivo (cfr. Cassazione, sez. I civ., 8.5.1992, n. 5506).

La rinuncia all’azione, in altri termini, è immediatamente efficace a prescindere da eventuale accettazione della controparte e determina il venir meno del potere – dovere del giudice di pronunciare (cfr. Cassazione, sez. II civ., 3.8.1999, n. 8387). Preclude, quindi, ogni attività giurisdizionale indipendentemente  dall’accettazione  della  controparte,  poiché,  estinguendo  l’azione,  ha  l’efficacia  di un rigetto nel merito della domanda giudiziaria, comportando, quindi, il venir meno dell’interesse della controparte alla prosecuzione del giudizio e ad una diversa soluzione della lite o ad ottenere una pronuncia negativa sull’azione proposta dall’attore (cfr. Cassazione, sez. lav., 13.3.1999, n. 2268).

La formula della cessazione della materia del contendere, ormai largamente diffusa, pur non trovando specifica previsione nel codice di rito civile, realizza un vero e proprio istituto processuale di cui la giurisprudenza di legittimità ha definito i confini.

La cessazione della materia del contendere può, in sintesi, definirsi come quella situazione obiettiva che si viene a creare per il sopravvenire di ragioni di fatto che estinguono la situazione giuridica posta a fondamento della domanda, sicché viene a mancare la stessa "materia" su cui si fonda la controversia.

La Suprema Corte ha precisato che la cessazione della materia del contendere del giudizio civile costituisce un’ipotesi di estinzione del processo da pronunciarsi con sentenza, d’ufficio o su istanza di parte, ogniqualvolta venga meno l’interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio (cfr. Cassazione, sezioni unite, 28.9.2000, n. 1048).

E’ noto che l’interesse ad agire consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, la verifica della cui esistenza si risolve nel quesito se l’istante possa conseguire attraverso il processo il risultato che si è ripromesso, a prescindere dall’esame del merito della controversia e della stessa ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili (cfr. Cassazione, 20.1.1998, n. 486).

Siffatto interesse deve sussistere al momento in cui il giudice pronuncia la decisione e il suo difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in quanto esso costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda (cfr. Cassazione, sez. lav., 7.6.1999, n. 5593; Cassazione, sez. lav., 6.4.1983, n. 24069).

Gli eventi capaci di generare la definizione del giudizio con la  formula  della  cessazione  della materia del contendere possono essere di natura fattuale, come  anche  discendere  da  atti  posti  in essere dalla volontà di una o di entrambe le parti.

In particolare, in materia di contenzioso ordinario, la cessazione della materia del contendere è stata ravvisata in una molteplicità di situazioni, tra loro comparabili in relazione ad un unico elemento costituito dal fatto che è venuto meno l’interesse delle parti ad una decisione sulla domanda giudiziale, come proposta o come venuta ad evolversi nel corso del giudizio, per effetto di attività dalle parti stesse poste in essere – per le più diverse ragioni – nelle varie fasi processuali, o di eventi incidenti sulle  parti in  conseguenza della natura personalissima  ed intrasmissibile della posizione soggettiva dedotta, in ordine ai quali – anche se enunciati o risultanti dagli atti – non viene richiesto al giudice alcun accertamento, diverso da quello del venir meno dell’interesse alla pronuncia (cfr. Cassazione, sezioni unite, 18.5.2000, n. 368).

Del resto, la deroga al principio per cui il processo dovrebbe restare insensibile ai fatti sopravvenuti dopo la proposizione della domanda si giustifica alla luce del principio di economia dei mezzi processuali (cfr. Cassazione, 21.5.1987, n. 4630; Cassazione, 22.7.1981, n. 4719).

Perché il giudice possa definire la controversia con la formula di cui trattasi occorre che, congiuntamente, ricorrano i seguenti presupposti:

-           il fatto (i.e. evento) generatore deve essere sopravvenuto alla proposizione della domanda giudiziale (in caso contrario, infatti, la domanda medesima sarebbe improponibile ab origine per difetto di interesse all'azione);

-           il fatto sopravvenuto abbia determinato l'integrale eliminazione della materia della lite;

-           il fatto di cessazione deve aver eliminato ogni posizione di contrasto e risultare pacifico in tutte le sue componenti, anche per quanto attiene alla rilevanza giuridica delle vicende sopraggiunte.

Presupposti, questi, che, nel caso di specie, pacificamente ricorrono.

In definitiva, la declaratoria di cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronunzia giudiziale, è l’effetto del sopravvenire, nel corso del processo, di una situazione che, eliminando radicalmente la posizione di contrasto tra le parti e privando le stesse di ogni interesse a proseguire il giudizio (cfr. Cassazione, sez. V civ., 26.7.2002, n. 11038), fa venire  meno  la  necessità (rectius: possibilità) della decisione (cfr. Cassazione, sez. lav., 27.1.1998, n. 801).

Avendo l’efficacia di un rigetto nel merito della domanda, la rinuncia all’azione comporta, altresì, quale conseguenza della declaratoria di cessazione della materia del contendere, la necessità di provvedere all’annullamento della decisione impugnata, nel caso di specie, quella di cui al Com. Uff. n. 17/TFN del 9.10.2017, che ha accolto il ricorso del dott. Giovanni Greco (ricorrente che, correttamente, ha già, peraltro, anche formalmente rinunciato ai relativi effetti).

Infatti, la cessazione della materia del contendere postula il sopravvenire, in corso di giudizio, di fatti che determinano il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, dell’interesse al ricorso o alla impugnazione. Siffatta modalità di composizione della controversia giustifica non già l’inammissibilità del ricorso in appello, bensì la rimozione della decisione di prime cure, ormai priva di attualità (cfr. Cassazione, sez. I civ., 13.9.2007, n. 19160). Sotto tale profilo, dunque, questa Corte non può limitarsi a dichiarare estinto solo il presente giudizio di appello, pronuncia, questa, che esplicherebbe l'effetto di far passare in giudicato la decisione impugnata, ma deve anche dichiarare l’estinzione del giudizio di primo grado ed annullare la relativa decisione.

In breve, a fronte della dichiarazione di rinuncia da parte dell'appellato all'azione intrapresa ed agli effetti in suo favore derivanti dalla sentenza di primo grado (ciò che, come detto, dimostra il venir meno dell'interesse al ricorso in ordine al quale è intervenuta una pronuncia e preclude il riesame della questione già decisa), occorre disporre l'annullamento della sentenza di primo grado e non l'estinzione del solo giudizio di appello (Consiglio di Stato, sez. IV, 22.2.2017, n. 824).

Occorre fare, infatti, applicazione del principio di diritto sancito dalle SS. UU. della Suprema Corte, secondo cui «… nel rito contenzioso ordinario, la cessazione della materia del contendere costituisce un’ipotesi di estinzione del processo - creata dalla prassi giurisprudenziale ed applicata in ogni fase e grado del giudizio - da pronunciare con sentenza, d’ufficio o su istanza di parte, ogniqualvolta non si può far luogo alla definizione del giudizio per rinuncia agli atti o per rinuncia alla pretesa sostanziale, per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio, che determina il venir meno delle pronunce emesse nei precedenti gradi e non passate in giudicato e che proprio perché accerta il venir meno dell’interesse non ha alcuna idoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, ma solo sul venire meno dell’interesse e con l’ulteriore conseguenza che il giudicato si forma solo su quest’ultima circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui è emessa” (così, Cassazione, sezioni unite, 28.9.2000, n. 1048, già sopra richiamata, ove è stato precisato che l’emananda pronuncia non contiene alcuna statuizione sulla decisione impugnata, che resta così travolta e caducata e, quindi, inidonea a passare in giudicato).

In diverse parole, la rinuncia all'azione comporta una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della medesima domanda; in quest'ultimo caso, non vi può essere mera estinzione del solo giudizio d’appello, in quanto la decisione implica una pronuncia di merito, cui consegue l'estinzione del diritto di azione, atteso che il giudice prende atto della volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta nel processo (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 21.6.2017, n. 3058).

Insomma, questa Corte, nel prendere atto della formulata rinuncia all’azione da parte del dott. Giovanni Greco, dichiarata, in via incidentale e per quanto occorra, la perdita, in capo allo stesso, del diritto azionato e la preclusione alla eventuale riproposizione della medesima domanda,  è,  altresì, tenuta a dichiarare estinto il giudizio e ad annullare la decisione del T.F.N.. Infatti, a fronte della dichiarazione dell’appellato di rinuncia all’azione intrapresa ed agli effetti in suo favore derivanti dalla sentenza di primo grado, occorre disporre l'annullamento di quest'ultima, e non già la sola estinzione del giudizio di appello, che esplicherebbe l'effetto di far passare in giudicato la sentenza impugnata. Ciò che nel processo amministrativo comporta, altresì e di conseguenza, la declaratoria di improcedibilità dell'appello  proposto dalla parte soccombente in primo grado (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 3.8.2017, n. 3883).

In conclusione, il Collegio ritiene che la rinunzia dell'appellato dott. Giovanni Greco all'azione ed agli effetti in suo favore derivanti dalla decisione del TFN, faccia venir meno l'interesse all’appello proposto dall’AIA ed alla relativa pronunzia, rimanendo, così, precluso, per questa Corte, il riesame della questione già definita  con  la  medesima  decisione  (cfr.  Cons.  giust.  amm.  Sicilia,  sez.  giurisd., 13.3.2014, n. 131). Per l’effetto, occorre dichiarare cessata la materia del contendere, annullare la decisione di primo grado e dichiarare l’estinzione dell’intero giudizio.

Per questi motivi la C.F.A., Sezione Unite, vista la rinuncia all’azione formulata dal Dott. Giovanni Greco ed agli effetti – allo stesso favorevoli – della decisione del T.F.N., dichiara cessata la materia del contendere, annulla la decisione del Tribunale Federale Nazionale pubblicata sul Com. Uff. n. 17/TFN del 9.10.2017 e dichiara estinto il giudizio.

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