F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE – 2019/2020 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 0013/CFA del 24 ottobre 2019 – (SIG. ANDREA VECCHIONE) n. 42/2019 – 2020 Registro Reclami N. 42/2019 REGISTRO RECLAMI. N.0013/2019 REGISTRO DECISIONI

N. 42/2019 REGISTRO RECLAMI.

N.0013/2019 REGISTRO DECISIONI

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul reclamo numero di registro 42CFA del 2019, proposto dal signor Andrea Vecchione

contro

la Procura Federale

per la riforma

della decisione del Tribunale Nazionale Federale - Sezione Disciplinare, n. 5/TFN 2019/2020, assunta nella seduta del 13 settembre 2019 e pubblicata con comunicato ufficiale n. 57TFN in pari data, con la quale, in accoglimento del deferimento di cui alla nota del 06 agosto 2019, Prot. 2041/437pf18-19/GT/MS/blp, della Procura federale, ha applicato all’incolpato la sanzione della inibizione per giorni venti;

Visto il reclamo e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 14 ottobre 2019 il dott. Marco Lipari e uditi l’Avvocato Eduardo Chiacchio per il reclamante e per la Procura Federale l’Avvocato Enrico Liberati, nonché il Sig. Andrea Vecchione in persona; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

La sentenza impugnata, in parziale accoglimento del deferimento proposto dalla Procura Federale, con nota del 6 agosto 2019 Prot. 2041/437pf18-19/GT/MS/blp, ha inflitto al Dott. Andrea Vecchione, nella sua qualità di Segretario del Comitato Regionale Campania della FIGC, la sanzione della inibizione per giorni venti.

Il Tribunale, dopo aver affermato espressamente la propria giurisdizione sulla vicenda disciplinare in esame, ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 1 bis, comma 1 (principi di lealtà, correttezza e probità), del CGS, contestata dall’organo requirente. Secondo la pronuncia appellata, l’incolpato è disciplinarmente responsabile per

avere pubblicato ufficialmente su apposito C.U. la composizione dei gironi e del calendario della cosiddetta Attività Mista (Campionato Juniores Regionale Under 19 e Terza Categoria Under 19) relativa alla stagione sportiva 2018/19, omettendo di far esaminare preventivamente e far sottoscrivere il verbale della riunione del Consiglio Direttivo del 02.10.18 al Presidente del C.R. Campania della FIGC LND all’epoca dei fatti, Dott. Salvatore Gagliano, o in ogni caso, a colui che ne assumeva le veci all’atto dell’assenza del Presidente stesso.

Con l’appello, l’interessato contesta analiticamente la decisione di primo grado e deduce, preliminarmente, il difetto di giurisdizione, sostenendo la propria estraneità soggettiva al perimetro di applicazione del codice di giustizia sportiva

In ogni caso, ribadisce, nel merito, l’infondatezza del deferimento, deducendo l’insussistenza dell’illecito contestato sotto il profilo materiale e l’assenza di qualsiasi profilo di colpa.

La Procura resiste al gravame, sostenendo la correttezza della pronuncia impugnata.

Attesa la rilevanza della questione relativa alla giurisdizione, che coinvolge principi di interesse generale, il presidente della Corte Federale, con decreto del 25 settembre 2019, ha assegnato il presente ricorso alla Sezioni Unite, ai sensi degli artt. 70, comma 4, e 99 del codice di giustizia sportiva.

Con un primo gruppo di censure, che rivestono carattere preliminare, l’appellante ha impugnato il capo della decisione di primo grado che si è pronunciata espressamente nel senso della sussistenza della giurisdizione sportiva federale in ordine all’azione disciplinare avviata dalla Procura.

Secondo le deduzioni svolte dall’incolpato in primo grado, e disattese dal tribunale, sussisterebbe il difetto di giurisdizione degli organi di giustizia sportiva della FIGC, “atteso il rapporto di lavoro subordinato in essere con la LND, circostanza da cui deriverebbe che la contestata violazione non sarebbe riferibile all’attività sportiva nemmeno in via mediata, potendo al più assumere rilievo nell’ambito del riferito rapporto lavorativo”, anche alla luce del più recente indirizzo espresso, a Sezioni Unite, dalla Corte Federale di Appello (C.U. n. 20/CFA del 1° agosto 2017). Il Tribunale ha respinto il motivo riguardante il difetto di giurisdizione sportiva, poiché, a suo dire, il richiamo alla pronuncia della CFA a Sezioni Unite del 2017, compiuto dall’incolpato a supporto della propria tesi difensiva, sarebbe “inconferente, in quanto avente palesemente ad oggetto una fattispecie ritenuta estranea all’attività sportiva”.

Per la sentenza ora impugnata, “nella fattispecie in scrutinio, di contro, la contestazione riguarda la pubblicazione di un C.U., avente ad oggetto la composizione dei gironi e del calendario della cd. Attività Mista, senza la preventiva sottoscrizione del prodromico verbale del Consiglio Direttivo del Comitato da parte del suo Presidente o di chi ne aveva in quella sede assunto le veci.”

“Nessun dubbio può allora esservi in ordine alla rilevanza e alla riferibilità di detta pubblicazione all’attività sportiva svolgentesi sotto l’egida del Comitato Regionale Campania della LND-FIGC, il cui Consiglio Direttivo ne organizza, disciplina e controlla i Campionati di competenza (art. 14, Regolamento LND)”.

In questo grado di giudizio l’appellante ripropone analiticamente le proprie argomentazioni a supporto della tesi del difetto di giurisdizione sportiva, deducendo che l’indirizzo affermato dalla Sezioni Unite della Corte Federale è espressione di un principio generale, estensibile anche al presente giudizio, atteso il rilievo determinante della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’incolpato e la Lega Nazionale Dilettanti.

La Procura Federale, di contro, ribadisce il proprio assunto riguardante la piena rilevanza disciplinare sportiva della condotta posta in essere dall’incolpato, in quanto direttamente incidente sull’organizzazione dell’attività agonistica in ambito regionale dilettantistico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La questione proposta con l’appello investe un tema di notevole rilievo sistematico, che renda opportuna la ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Il vigente codice della giustizia sportiva, riprendendo, in questa parte, l’impostazione della precedente normativa federale, definisce il proprio ambito di applicazione oggettivo e soggettivo, che comprende, al tempo stesso, l’individuazione del perimetro di operatività sostanziale delle regole, anche con riguardo  alla  responsabilità disciplinare, e, sul piano processuale, la determinazione delle controversie conoscibili dal giudice sportivo.

Con specifico riferimento alle sanzioni e alla responsabilità disciplinare, i due profili (sostanziale e processuale) finiscono per coincidere perfettamente, dal momento che il procedimento di applicazione delle sanzioni si svolge, di norma, attraverso il processo giurisdizionale sportivo, nelle sue diverse forme e articolazioni.

Il quadro della dimensione di operatività delle norme della giustizia sportiva è delineato essenzialmente dagli articoli di apertura del codice.

In forza dell’art. 1, “1. Il presente Codice di giustizia sportiva, di seguito denominato Codice, disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l'ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), di seguito denominata Federazione.

2. Il Codice non si applica ai procedimenti relativi alle violazioni delle norme sportive antidoping nonché agli organi competenti per l'applicazione delle corrispondenti sanzioni.”

In base all’art. 2, poi, riferito specificamente all’ambito di applicazione soggettivo, “1. Il Codice si applica alle società, ai dirigenti, agli atleti, ai tecnici, agli ufficiali di gara e ad ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale.

2. Il Codice si applica, altresì, ai soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società, alle persone comunque addette a servizi delle società stesse e a coloro che svolgono qualsiasi attività all'interno o nell'interesse di una società o comunque rilevanti per l'ordinamento federale.”

Il successivo art. 4 (Obbligatorietà delle disposizioni generali) rafforza e specifica il preciso collegamento tra il generale ambito di applicazione del codice e l’assoggettamento alle disposizioni federali generali (non riferite, quindi, a particolari settori o a determinate categorie di soggetti), che impongono obblighi di comportamento, compresi quelli relativi all’osservanza dei principi deontologici generali sanciti dalla stessa norma.

Secondo tale disposizione, “1. I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva.”

Non sembra potersi nutrire alcun dubbio, allora, in ordine alla circostanza che sussiste una piena corrispondenza tra il perimetro applicativo del codice nella sua dimensione sostanziale e processuale. I soggetti tenuti ad osservare le norme generali di comportamento, sono sottoposti, in tali vesti, all’azione disciplinare e all’applicazione delle sanzioni, con la conseguente giurisdizione sportiva.

Questa conclusione non pare smentita da alcune marginali specificità lessicali presenti nel codice, il quale, per determinare l’ambito applicativo di singole disposizioni, talvolta fa coerente riferimento ai soggetti di cui all’art. 2, mentre altre volte, invece, considera i soggetti dell’ordinamento federale (utilizzando, quindi, una dizione più ristretta).

Nella presente controversia, infatti, l’illecito addebitato all’attuale appellante riguarda la contestata violazione dell’art. 4, che, indiscutibilmente, comprende l’ambito di maggiore estensione soggettiva della disciplina sportiva, comprensiva, in presenza di determinati presupposti, anche di soggetti non aventi la qualifica di tesserati o dirigenti della Federazione.

La previsione normativa generale, nella parte in cui menziona “ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale” intende delineare i confini applicativi del codice in modo razionale, sotto l’aspetto soggettivo, superando la rigida limitazione incentrata sul mero dato formale dell’appartenenza all’ordinamento sportivo in virtù del conseguito “tesseramento”.

In questo senso, la formula non prevede un’elencazione analitica e nominativa dei soggetti “estranei” attirati nell’orbita di applicazione del codice, ma richiede un’attenta operazione interpretativa. A tal fine, peraltro, si impone una lettura rigorosa e puntuale della disposizione, anche alla luce dei principi di tipicità e legalità che informano il sistema della giustizia sportiva, adeguati alla finalità di prevenzione e tutela generale che le regole sanzionatorie impongono.

In detta cornice di riferimento è indispensabile qualificare la singola vicenda in giudizio, vagliando accuratamente ogni elemento fattuale e giuridico idoneo a determinare, con assoluta certezza, la sussistenza di un rapporto qualificato tra il soggetto non tesserato e l’ordinamento sportivo.

La tesi dell’appellante, volta a negare la soggezione al codice, è incentrata sulla circostanza che il proprio legame con la Federazione è unicamente correlato allo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato, riferito alla Lega Nazionale Dilettanti.

Questo dato fattuale comporterebbe che le condotte poste in essere dall’incolpato, oggetto del deferimento, seppure in qualche modo incidenti sugli interessi della Federazione, potrebbero essere valutate esclusivamente attraverso i parametri della normativa del rapporto di lavoro subordinato, come regolato dall’ordinamento generale, e l’impossibilità di giuridica di attrazione della vicenda nell’ambito della giurisdizione sportiva e dell’assoggettamento alla responsabilità disciplinare.

Questa tesi, nella sua assolutezza, non è persuasiva.

Il Collegio osserva, intanto, sotto l’aspetto sistematico, che il codice prende espressamente in considerazione la posizione dei soggetti che, pur non tesserati, svolgano attività al servizio delle società sportive o rivestano la qualità di soci. Per questi, l’eventuale sussistenza di uno specifico titolo giuridico che qualifica, per l’ordinamento statale, il rapporto tra gli enti sportivi e i non tesserati, non è affatto incompatibile con l’applicazione del codice di giustizia sportiva, in presenza – si intende - degli altri presupposti oggettivi che determinano la concreta “rilevanza” delle condotte nell’ordinamento federale.

Analoga espressa previsione normativa non è invece stabilita con riguardo al personale al servizio degli organi e delle strutture federali, sulla base di titoli giuridici, quali il lavoro subordinato o la collaborazione autonoma. Tuttavia, la riscontrata differenza non sembra assumere rilievo decisivo per escludere la sottoposizione di tali soggetti all’applicazione del codice, in presenza del riscontrato nesso di collegamento oggettivo qualificato con l’ordinamento federale.

Se è vero che manca una puntuale ed esplicita menzione del loro assoggettamento al codice, non vi è però nemmeno una previsione di segno opposto, che ne sancisca con certezza e univocità l’esclusione.

Ed allora resta ferma la regola di portata generale, che, ai fini della delimitazione della giurisdizione sportiva, fa leva, in termini più larghi, sulla obiettiva rilevanza per l’ordinamento federale della condotta posta in essere dal soggetto estraneo, formalmente, al sistema della FIGC.

Ciò posto, occorre svolgere alcune ulteriori considerazioni di carattere sistematico.

La circostanza che il rapporto tra l’organizzazione sportiva e il singolo dipendente di una struttura federale sia regolato da disposizioni dell’ordinamento giuridico generale (in particolare, come nel caso in esame, la normativa del lavoro subordinato) non determina affatto una incompatibilità logica o giuridica con l’applicabilità del codice di giustizia sportiva.

Ciò per due ragioni concorrenti.

a) L’autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo non contraddice la possibilità che il medesimo fatto possa assumere duplice rilevanza, producendo effetti diversi anche nell’ordinamento generale.

Nel codice di giustizia sportiva, del resto, non vi è una regola espressa volta a sterilizzare l’operatività delle regole qualora il fatto abbia rilevanza per l’ordinamento statale. Sono sì previste numerose regole di coordinamento (in special modo con riguardo al delicato rapporto con il diritto penale sostanziale e processuale), le quali, tuttavia, sottolineano proprio la coesistenza di valutazioni giuridiche di ordinamenti diversi, piuttosto che la loro assoluta separazione e inconciliabilità.

La stessa teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, che la Corte costituzionale ritiene collegarsi al principio della libera esplicazione delle formazioni sociali di cui all’art. 2 della Cost., indica la possibilità che più sistemi giuridici possano coesistere, anche sovrapponendo le proprie discipline riguardanti il medesimo fatto.

b) L’esistenza, nell’ordinamento giuridico generale, di una regolamentazione riferita al titolo del rapporto tra le strutture federali e il soggetto non tesserato, lungi dal segnare l’automatica inapplicabilità del codice di giustizia sportiva, costituisce, al contrario, proprio uno degli elementi qualificanti (sebbene di per sé non sufficiente) della possibile rilevanza per l’ordinamento sportivo delle condotte poste in essere da soggetti non tesserati.

L’esistenza di un contratto che vincola il soggetto non tesserato alle attività della Federazione o delle sue articolazioni, costituisce, infatti, un coelemento della possibile rilevanza delle condotte poste in essere da tale soggetto.

In questo senso, allora, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, la pendenza di una contestazione disciplinare ex art. 7 della legge n. 300/1970, non è affatto incompatibile con l’azione proposta dalla Procura Federale.

Non vi è alcuna ragione per escludere che un particolare comportamento incida, contestualmente, sullo svolgimento del rapporto di lavoro in senso stretto, e sulla relazione di collegamento con la Federazione.

Il fatto oggetto di addebito ben potrebbe costituire, al tempo stesso, inadempimento rilevante nell’ambito del rapporto con la Lega datrice di lavoro e illecito perseguibile dalla Procura Federale.

In questo quadro di riferimento, tuttavia, occorre farsi carico, realisticamente, delle molteplici implicazioni che potrebbero derivare dalle contrapposte interpretazioni relative alla maggiore o minore estensione dell’ambito di applicazione soggettiva del codice di giustizia sportiva.

Una lettura che escludesse in radice l’applicazione delle sanzioni  sportive  ai  dipendenti della Federazione rischierebbe di indebolire la finalità di protezione degli interessi perseguiti dalla FIGC, oltre a comportare un’ingiustificata differenza di trattamento rispetto ai dipendenti delle società sportive.

Di contro, ipotizzando una opposta esegesi della portata del codice, dilatata al massimo, secondo cui ogni inadempimento degli obblighi  inerenti al rapporto di lavoro è,  di  per  sé  ed  automaticamente  rilevante per l’ordinamento sportivo,  incidendo sulla ottimale realizzazione di suoi obiettivi istituzionali,  risulterebbe eccessivamente severa, generando una perdita di fiducia nel rapporto tra la Federazione e i suoi collaboratori non tesserati.

In questo senso, allora, va affermata una ragionevole ed equilibrata lettura interpretativa della disciplina, secondo cui la sussistenza di un rapporto di lavoro (autonomo o subordinato) con la Federazione (o con una delle sue articolazioni) non comporta, di per sé, l’esenzione soggettiva - totale ed automatica - dall’applicazione del codice. Tuttavia, le condotte rilevanti sul piano della responsabilità disciplinare sportiva non sono tutti gli inadempimenti degli obblighi contrattuali, ma solo i comportamenti capaci di riverberarsi con immediatezza, secondo un razionale criterio di causalità adeguata, sull’attività della Federazione.

A tal fine occorre considerare la specifica posizione ricoperta dal soggetto nella struttura amministrativa di supporto agli organi e alle articolazioni federali, in funzione dei particolari incarichi ricevuti, nonché la peculiarità della concreta vicenda di volta in volta sottoposta a giudizio.

Questi aspetti del collegamento soggettivo tra l’incolpato e l’ordinamento sportivo dovrebbero essere accuratamente evidenziati dall’organo requirente, all’atto di formalizzazione del deferimento, senza possibilità di attestarsi su presunzioni semplificatrici, incentrate sulla sola qualifica soggettiva del deferito, e sono comunque sottoposti al vaglio del giudice chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza dell’illecito contestato.

Applicando questi criteri alla vicenda in esame, occorre evidenziare che l’imputazione elevata dalla Procura Federale nei confronti dell’incolpato riguarda il comportamento tenuto dal titolare dell’incarico di segretario di un Comitato regionale non in relazione ad una mera attività amministrativa o contabile “neutra”. Nel caso di specie, al contrario, si tratta di condotte relative alla programmazione dell’attività  agonistica regionale costituite dalla composizione dei gironi delle competizioni e la formazione del calendario.

Non solo, ma le condotte oggetto degli addebiti disciplinari, non si riferiscono alla mera istruttoria interna, finalizzata all’adozione di tali atti da parte degli organi federali, ma attengono proprio alla determinazione, con efficacia esterna, dei contenuti della decisione organizzativa imputabile alla competenza funzionale di una struttura della FIGC.

Non possono ricondursi all’ambito della responsabilità disciplinare sportiva, invece, violazioni degli obblighi che attengono allo svolgimento del rapporto di lavoro in sé considerato, senza significativi riflessi causali sull’organizzazione dell’attività federale: si pensi ai casi della contestata violazione delle regole contabili interne o della normativa in materia di sicurezza del lavoro, esaminati dalla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte Federale 7 giugno 2017, di cui al C.U. n. 138/CFA.

I fatti indicati in tale pronuncia potrebbero qualificarsi come inadempimenti contrattuali, ma, indipendentemente dalla loro ipotizzata gravità, non incidono sull’ordinamento federale e sulle sue attività istituzionali.

In questo senso, allora, risulta pienamente condivisibile l’impugnata decisione del Tribunale Federale, la quale, con una motivazione essenziale, ha correttamente evidenziato la netta differenza tra la vicenda in esame e quella definita dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2017.

Pertanto, il principio di diritto enunciato da queste Sezioni Unite, diretto a chiarire la portata applicativa del codice di giustizia sportiva, non si pone in contrasto con il precedente indirizzo ermeneutico, ma solo ne amplia e chiarisce il significato.

In definitiva quindi, deve essere confermato il capo della sentenza impugnata, relativo alla sussistenza della giurisdizione sportiva sulla vicenda disciplinare in esame, in conformità del seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’art. 2, l’ambito soggettivo di applicazione sostanziale e processuale del codice di giustizia sportiva, anche in relazione alla responsabilità disciplinare e all’applicazione delle sanzioni, comprende ogni soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, ivi inclusi i soggetti i quali, ancorché legati da un rapporto di lavoro autonomo o subordinato con organi, strutture o articolazioni della Federazione, pongono in essere specifiche attività concretamente rilevanti per l’ordinamento sportivo, in forza di un criterio di causalità adeguata, debitamente accertato nelle singole fattispecie, quali la diretta partecipazione alla formazione e pubblicazione dei calendari dell’attività agonistica di competenza dei Comitati Regionali della Lega Nazionale Dilettanti”.

Con un secondo gruppo di censure, l’appellante deduce, nel merito, l’insussistenza del contestato illecito disciplinare, sotto il profilo oggettivo, o, quanto meno, sotto l’aspetto soggettivo.

Richiamando il verbale della propria audizione presso la Procura, l’appellante sostiene di avere ricevuto, nella sostanza, una piena delega a pubblicare i calendari e la composizione dei gironi dell’attività mista, secondo le modalità esposte alla riunione del Consiglio direttivo del Comitato regionale in data 2 ottobre 2018.

Pertanto, l’acquisizione della firma di approvazione dei vertici del Comitato regionale risultava un inutile appesantimento dell’iter.

Aggiunge che la ratifica dei calendari, in tempi rapidi, era stata resa impossibile per effetto delle dimissioni dei componenti del Comitato, intervenute a ridosso dell’inizio dei Campionati Regionali.

A supporto del proprio assunto, il reclamante riporta ampi stralci dei verbali dell’istruttoria condotta dalla Procura e allega numerosi documenti.

Le tesi dell’appellante risultano nel loro insieme persuasive, con particolare riguardo alla parte riferita alla assenza di colpa.

Sotto il profilo strettamente oggettivo non è condivisibile l’affermazione secondo cui, in presenza della delega, non fosse più necessaria la firma di approvazione del presidente del Comitato Regionale.

In linea generale, infatti, non può negarsi che, prima della pubblicazione del calendario e della composizione dei gironi, sia necessario che la sua versione definitiva sia sottoposta all’esame dell’organo di vertice del Comitato regionale e che, in ogni caso, il verbale del Comitato direttivo che lo approva sia preventivamente sottoscritto dal suo presidente.

Se si conviene sulla esistenza della delega, ad ampie maglie nei limiti del deliberato del Comitato Direttivo, risulta altrettanto plausibile ritenere che restino intatte (se non rafforzate) le esigenze di effettuare una verifica circa il corretto esercizio della delega.

Ora, nel caso di specie, molteplici elementi conducono a ritenere che l’incolpato abbia, in perfetta buona fede, ritenuto di eseguire diligentemente quanto stabilito dal Consiglio Direttivo, con la finalità di accelerare al massimo gli adempimenti indispensabili per l’avvio dell’attività agonistica.

Inoltre, non va trascurato che, nella concreta vicenda in esame, si era verificato un avvicendamento nelle cariche di vertice del Comitato, che rendeva più difficile il contatto necessario per ottenere la firma preordinata alla pubblicazione dei calendari, considerando l’imminente inizio della stagione agonistica.

In questa cornice non risulta imputabile all’incolpato, sotto il profilo soggettivo, una così grave violazione dei doveri essenziali di lealtà e probità previsti dall’art. 4 del CGS, fermo restando che, sul piano oggettivo, deve ritenersi sempre obbligatoria la preventiva sottoposizione dei verbali del Consiglio Direttivo al presidente del Comitato Regionale.

In definitiva, quindi, il reclamo deve essere accolto nel merito, con il conseguente proscioglimento dell’incolpato dall’illecito addebitatogli.

All’accoglimento dell’appello consegue la restituzione del contributo per l'accesso alla giustizia sportiva, ai sensi dell’art. 48, comma 6, del codice di giustizia sportiva, in forza del quale “6. I contributi dei giudizi accolti, anche parzialmente, proposti in ambito della LND e del Settore per l'attività giovanile e scolastica, sono restituiti.”

L’art. 48, innovando rispetto alla disciplina del codice previgente, ha stabilito la nuova regola secondo cui il contributo  per  l'accesso  alla  giustizia  sportiva  resta  a  carico  del  ricorrente,  salvi  i  casi  di  deroga  previsti espressamente.

Nel caso in esame, infatti, l’addebito disciplinare che ha dato vita al presente contenzioso riguarda una condotta rilevante nel solo ambito dell’attività della Lega Nazionale Dilettanti.

Questa circostanza è sufficiente per determinare l’operatività della regola derogatoria, senza che occorra accertare ulteriori presupposti, come la qualità soggettiva di tesserato del settore dilettantistico della Federazione.

La formulazione della norma prevede la restituzione del contributo in ipotesi individuate facendo riferimento all’oggetto del contenzioso e non già alla qualità soggettiva del ricorrente vittorioso.

P.Q.M.

La Corte Federale d’Appello (Sezioni Unite), definitivamente pronunciando sul reclamo proposto dal Sig. Vecchione Andrea, lo accoglie nel merito e proscioglie l’incolpato.

Dispone la restituzione del contributo.

Dispone la comunicazione alle parti tramite il loro difensore con PEC.

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