F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONE IV – 2016/2017 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE PUBBLICATA SUL C.U. N. 97/CFA del 30 Gennaio 2017 motivi con riferimento al C.U. N. 081/CFA DEL 14 Dicembre 2016 RICORSO SOSTITUTO PROCURATORE FEDERALE DELEGATO AVVERSO LA DECLARATORIA DI IMPROCEDIBILITÀ DEL DEFERIMENTO NEI CONFRONTI DI: SIG. MICHELACCI CLAUDIO ALL’EPOCA DEI FATTI ALLENATORE DELLA POL. CHIANTI NORD ASD, PER VIOLAZIONE DELL’ART.1 BIS, C. 1, DEL C.G.S.; POL. CHIANTI NORD ASD,PER LA CONSEGUENTE RESPONSABILITÀ DI CUI ALL’ART. 4, C. 2, DEL C.G.S.; CALC. NATALE GIUSEPPE, ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ POL. D. CASOLESE, VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, C. 1, IN RIFERIMENTO ALL’ART. 12, COMMI 5 E 6, DEL C.G.S.; POL. D. CASOLESE, IN APPLICAZIONE DEL DISPOSTO DELL’ART. 4, C. 2, DEL C.G.S. PER EFFETTO DI QUANTO CONTESTATO AL PROPRIO CALCIATORE, SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO – NOTA N. 2779/1141 PF15-16 GC/VDB DEL 19.09.2016 (Delibera del Tribunale Federale Territoriale c/o il C.R. Toscana L.N.D. – Com. Uff. n. 23 del 3.11.2016)

RICORSO SOSTITUTO PROCURATORE FEDERALE DELEGATO AVVERSO LA DECLARATORIA DI IMPROCEDIBILITÀ DEL DEFERIMENTO NEI CONFRONTI DI:

SIG. MICHELACCI CLAUDIO ALL’EPOCA DEI FATTI ALLENATORE DELLA POL. CHIANTI NORD ASD, PER VIOLAZIONE DELL’ART.1 BIS, C. 1, DEL C.G.S.;

POL. CHIANTI NORD ASD,PER LA CONSEGUENTE RESPONSABILITÀ DI CUI ALL’ART. 4, C. 2, DEL C.G.S.;

CALC. NATALE GIUSEPPE, ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ POL. D. CASOLESE, VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, C. 1, IN RIFERIMENTO ALL’ART. 12, COMMI 5 E 6, DEL C.G.S.;

POL. D. CASOLESE, IN APPLICAZIONE DEL DISPOSTO DELL’ART. 4, C. 2, DEL C.G.S. PER EFFETTO DI QUANTO CONTESTATO AL PROPRIO CALCIATORE, SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO – NOTA N. 2779/1141 PF15-16 GC/VDB DEL 19.09.2016 (Delibera del Tribunale Federale Territoriale c/o il C.R. Toscana L.N.D. - Com. Uff. n. 23 del 3.11.2016)

Il deferimento della Procura Federale

Con provvedimento del 19 settembre 2016 il Procuratore federale,

» visti gli atti del procedimento disciplinare n. 1141 pf 15-16 avente ad oggetto: “Accertamento dei fatti violenti e delle conseguenti responsabilità, avvenuti al termine della gara Casolese/Chianti Nord del 25.10.2015 – campionato di seconda categoria – che ha visto coinvolti tesserati delle due società”;

» vista la relazione di indagine redatta il 30.6.2016 e la successiva comunicazione di conclusione indagini del 9.6.2016, alla quale il Sig. Natale ha fatto seguire memoria con allegati;

» ritenuto che dagli atti sopra indicati e dalle risultanze probatorie acquisite era emerso quanto segue: a) il Sig. Claudio Michelacci, allenatore della Soc. Chianti Nord, aveva dichiarato che, a fine gara, si era diretto all’esterno dell’impianto sportivo in direzione di una persona che riteneva fosse un soggetto del pubblico che durante la gara lo aveva offeso ripetutamente, mentre aveva poi avuto modo di constatare che si trattava dell’allenatore della Casolese con il quale si era salutato cordialmente. Nel rientrare nello spogliatoio, sempre secondo le sue dichiarazioni, egli aveva involontariamente urtato la moglie del Direttore sportivo della Casolese, accompagnata dalla madre di due calciatori della Casolese, Giuseppe Natale e Antonio Natale, ed era stato pesantemente offeso dalla prima. Nel proseguire verso gli spogliatoi era stato improvvisamente colpito con calci e pugni da tale Pasquale Natale, fratello dei due calciatori sopra citati e successivamente, una volta giunto nei pressi dello spogliatoio, era stato nuovamente aggredito da Pasquale Natale coadiuvato però questa volta dal calciatore Giuseppe Natale che ancora indossava la maglia con il numero 16 e soltanto grazie all’intervento di alcune persone presenti era riuscito poi a raggiungere lo spogliatoio; b) il calciatore Giuseppe Natale, tesserato per la Soc. Casolese, aveva invece negato di aver usato violenza nei confronti del Michelacci, e aveva riferito di essere stato chiamato da alcuni tifosi che lo avevano avvertito che il fratello era stato picchiato e che egli effettivamente, uscendo dallo spogliatoio aveva trovato il fratello con evidenti segni di colluttazione in viso e che quest’ultimo gli aveva riferito di essere stato picchiato dal Michelacci per essere intervenuto in un diverbio che questi aveva avuto con una signora dai capelli chiari che probabilmente lo aveva offeso durante la gara; c) il Dott. Gianfranco Ardito, medico sociale della Chianti Nord, aveva riferito che nel rientrare negli spogliatoi del campo di gioco, dove si era trattenuto per curare un calciatore, aveva visto l’allenatore della propria squadra, Sig. Claudio Michelacci, correre verso lo spogliatoio rosso in viso, impaurito ed inseguito da diverse persone e che, improvvisamente, uno spettatore di circa trent’anni, di media altezza e di corporatura normale, con una mossa di arte marziale lo aveva fatto cadere e lo aveva colpito con calci al collo e al viso e che mentre ancora era a terra era sopraggiunto un calciatore, che sicuramente aveva preso parte alla gara e che ancora indossava la divisa della Casolese, che, insieme all’altro giovane, lo aveva colpito ripetutamente all’addome e alla testa. Aveva altresì riferito che solo grazie all’intervento suo e di altre persone il Sig. Michelacci era riuscito a raggiungere gli spogliatoi, aggiungendo di aver appreso che il Michelacci, al termine della gara, si era recato nell’antistante parcheggio per chiedere spiegazioni sulle ripetute offese ricevute da parte del pubblico durante la gara disputata; d) il Segretario della F.I.G.C. con nota del 31.3.2016 aveva notiziato la Procura Federale che non era stata concessa l’autorizzazione ad adire le vie legali richiesta dal Sig. Claudio Michelacci per i fatti di cui sopra;

» ha deferito avanti il Tribunale Federale Territoriale presso il C.R. Toscana:

1) il Sig. Claudio Michelacci, all’epoca dei fatti allenatore della Pol Chianti Nord, per rispondere della violazione dei principi di lealtà correttezza e probità di cui all’art. 1 bis, comma 1, del CGS perché al termine della gara del campionato di seconda categoria Casolese - Chianti Nord, disputata il 25.10.2015, usciva precipitosamente all’esterno dell’impianto di gioco dove era posizionato il parcheggio auto e dove stazionavano persone che avevano assistito all’incontro, per dirigersi verso alcuni di loro al fine di “chiarire” offese che riteneva di aver ricevuto nel corso dell’incontro di calcio appena disputato, con ciò provocando una violenta reazione nei suoi confronti da parte di persona riconducibile alla tifoseria della squadra avversaria oltre che di un calciatore della stessa;

2) il Sig. Giuseppe Natale, all’epoca dei fatti calciatore tesserato della Società Pol. D. Casolese, per violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità, nonché dell’obbligo di osservanza degli atti e delle norme federali di cui all’art. 1 bis, comma 1, del CGS con riferimento all’art. 12, comma 5, ultimo periodo e comma 6, ultimo periodo, stesso Codice, perché al termine della gara del campionato di seconda categoria Casolese - Chianti Nord, disputata il 25.10.2015, all’esterno dell’impianto sportivo, ma nell’immediata prossimità dello stesso, unitamente ad altro soggetto non tesserato, teneva un comportamento violento nei confronti del Sig. Michelacci Claudio, allenatore della squadra avversaria, colpendolo con calci e pugni, e cagionandogli un “trauma cranico lieve non commotivo e contusione all’emicostato sinistro” risultato guarito in venti giorni;

3) la società Pol. Chianti Nord A.S.D., alla quale apparteneva il Sig. Michelacci al momento di commissione dei fatti, e, comunque, nei cui confronti o nel cui interesse era espletata l’attività come sopra contestata, per rispondere a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del

C.G.S. per il comportamento posto in essere dal predetto come sopra descritto;

4) la società Pol. D. Casolese, alla quale apparteneva il Sig. Giuseppe Natale, al momento di commissione dei fatti e, comunque, nei cui confronti o nel cui interesse era espletata l’attività sopra contestata, per rispondere a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del C.G.S., per il comportamento posto in essere dal predetto come sopra descritto, nonché per rispondere ai sensi dell’art. 12, comma 5, del C.G.S. per il comportamento del tesserato idoneo a determinare fatti di violenza.

Il giudizio di primo grado e la decisione del Tribunale Federale Territoriale

All’esito del dibattimento il Tribunale federale territoriale ha dichiarato improcedibile l’intero deferimento, disponendo, altresì, la rimessione degli atti alla Procura federale affinché questa provveda, a sua volta, all’invio al Settore Tecnico della parte di fascicolo che riguarda la posizione dell’allenatore Sig. Claudio Michelacci ed effettui nuove indagini relativamente alla posizione del calciatore Pietro Cordini in riferimento agli avvenimenti sopra evidenziati.

Quanto all’aspetto dell’improcedibilità dell’azione disciplinare ha rilevato, infatti, il Tribunale federale territoriale che le disposizioni procedurali previste dall’art. 32 ter del CGS – recante il titolo “Azione del Procuratore Federale” – nella formulazione innovativa di cui al C.U. 339 e 340/2016, dopo aver introdotto termini e modalità per la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, stabiliscono espressamente che “qualora il Procuratore Federale ritenga di dover confermare la propria intenzione, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio comunicato all’incolpato o all’organo di giustizia competente, al Presidente Federale (...)”. Nel caso di specie il Tribunale Federale, dopo aver disposto l’acquisizione delle relate di notifica effettuate dalla Procura Federale, ha rilevato che le comunicazioni di conclusione dell’indagine erano state notificate alle società e ai soggetti deferiti in un periodo di tempo compreso tra il 14 e il 16 maggio 2016 e che il deferimento era stato notificato nelle date comprese tra il 19 e il 23 settembre 2016 e, pertanto, successivamente al termine previsto dal citato art. 32 ter, comma 4, CGS.

Atteso che l’art. 38, comma 6, GSS espressamente dichiara che “tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”, il Giudice di primo grado ha ritenuto che la Procura federale avrebbe dovuto esercitare l’azione disciplinare entro il termine previsto dal suddetto art. 32 ter, comma 4, CGS.

Il Tribunale federale ha, peraltro, anche evidenziato alcune asserite incongruenze nella proposta di deferimento che sono state ritenute meritevoli di un doveroso approfondimento. In primo luogo, infatti, il Giudice di primo grado, avendo rilevato che dal foglio di censimento della società Chianti Nord il Sig. Claudio Michelacci è indicato quale allenatore e riveste tale qualifica anche nella stagione in cui è intervenuto il deferimento, ha dichiarato che la competenza a decidere sulla posizione del tesserato rientra nelle competenze del Settore Tecnico.

Ha rilevato, inoltre, il Tribunale federale, che alla memoria trasmessa dal Sig. Giuseppe Natale risulta allegata la comunicazione di iscrizione a registro di parte offesa a nome di Pasquale Natale, non tesserato, fratello di Giuseppe Natale, dalla quale risultano indagati sia il Signor Claudio Michelacci, che il calciatore Pietro Cordini. Ha osservato, altresì, il Giudice di primo grado che, nella denuncia- querela presentata il Sig. Natale ha affermato di essere stato colpito da “un uomo con il cappellino”, che, si afferma, essere un giocatore della società Chianti Nord, il quale era sopraggiunto di corsa unitamente al Michelacci nel tentativo di costui di “chiarire” chi e perché lo avesse offeso nel corso della gara e che, nell’audizione resa in sede istruttoria il Michelacci aveva affermato, a sua volta, che si era sottratto alla prima delle due asserite aggressioni con l’aiuto di alcuni presenti, fra i quali ricordava anche il calciatore Pietro Cordini che aveva, a suo dire, riportato una frattura al setto nasale.

Poiché, ad avviso del primo Giudice, fra i due episodi esisterebbe un collegamento preciso, il Tribunale federale, in considerazione della gravità del descritto episodio, avente ad oggetto  un tesserato federale, nonché del fatto che il Cordini, tesserato per la società Chianti Nord, è stato quantomeno, testimone degli episodi di violenza verificatisi, ha disposto la rimessione degli atti alla Procura federale per l’effettuazione di un approfondimento di indagini in merito al suddetto episodio.

Il ricorso della Procura Federale

Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso la Procura federale.

- Con un primo motivo di gravame la ricorrente Procura censura l’assunto sul quale poggia la decisione impugnata e, cioè, che il termine previsto dall’art. 32 ter, comma 4, del codice di giustizia sportiva, indicato da tale norma in trenta giorni dalla scadenza del termine a difesa assegnato con la comunicazione di chiusura delle indagini, sia da considerarsi perentorio.

Si evidenzia, in tale ottica, nel ricorso che “sul punto lo stesso Tribunale Federale Nazionale si era già espresso in precedenza con decisione CU 2/TFN dell’1.7.2016, con la quale, a seguito dell’eccezione di improcedibilità formulata dal deferito ex art. 32 ter CGS, ha espressamente statuito che il termine indicato da tale norma deve intendersi ordinatorio e non perentorio. La correttezza di tale precedente pronuncia del Tribunale sull’argomento troverebbe conferma nel principio pacifico di diritto generale, secondo cui nessun termine può essere considerato perentorio in assenza di specificazione da parte della legge di tale sua specifica natura.

Richiama, sotto tale profilo, la pubblica accusa federale, il disposto di cui all’art. 152, comma 2, c.p.c., applicabile al procedimento sportivo in virtù di quanto previsto dall’art. 2 del codice di giustizia sportiva del CONI, che prevede espressamente: “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

Ciò posto, e considerato che l’art. 32 ter, comma 4, CGS non contiene riferimento di sorta, nemmeno indiretto, alla perentorietà del termine appena citato, sarebbe evidente che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale federale nella decisione impugnata è erronea.

Né la perentorietà del termine in questione potrebbe farsi discendere dalla previsione di carattere generale di cui all’art. 38, comma 6, CGS. Innanzitutto – osserva la ricorrente – deve infatti muoversi dalla constatazione che tale norma, di portata generale, preesisteva all’introduzione nell’attuale codice giustizia sportiva del termine fissato per l’atto di deferimento, così come di quelli che regolamentano lo svolgimento e la definizione dei due gradi di giudizio, di talché non essendo stati tali termini previsti e introdotti in modo contestuale e coevo alla previsione della perentorietà contenuta nel predetto art. 38, comma 6, non può apoditticamente evincersi che, con tale ultima norma, il legislatore abbia espressamente inteso riferirsi anche ai termini procedimentali in questione.

Anche il codice di giustizia sportiva del CONI – evidenzia, altresì, la Procura federale – entrato in vigore nell’agosto del 2014, pur presentando una norma assolutamente identica, per formulazione, a quella contenuta nell’art. 32 ter, comma 4, CGS (la quale ultima costituisce evidente attuazione del principio stabilito con la corrispondente norma del codice CONI), non ha invece previsto una norma analoga a quella di cui all’art. 38, comma 6, CGS della FIGC: da ciò si dovrebbe ricavare l’intenzione del legislatore del codice del CONI di non stabilire la perentorietà di tale termine.

Deve, inoltre, essere riconosciuta – si ribadisce nel ricorso della Procura federale – la portata generale del principio di tassatività delle cause di improcedibilità, per cui l’assenza di una previsione nell’ordinamento federale che riconduca espressamente tale conseguenza al tardivo compimento dell’atto di deferimento è preclusiva della possibilità di operare una valutazione in tal ultimo senso, tanto più che, in ambito processuale, sono, comunque, da evitarsi interpretazioni meramente formalistiche (si richiama al riguardo Corte Federale di Appello SS.UU., C.U. n 60/CFA del 14 aprile 2015). Conseguentemente, deve ritenersi che il legislatore federale, nell’introdurre una serie di termini procedimentali entro i quali concludere una determinata fase, abbia fatto applicazione, nell’ordinamento sportivo, del principio generale di tassatività delle ipotesi di improcedibilità, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Civili della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 2171 del 28.1.2009; Cass. Civ. Sez. Lav. n. 14869 del 3 agosto 2004); e che quindi abbia stabilito la perentorietà, con conseguente sanzione della improcedibilità, per i termini che regolamentano la fase cognitiva del giudizio, ma non anche per quelli prodromici all’esercizio dell’azione disciplinare da parte della Procura federale.

Dovrebbe ritenersi quindi, secondo quanto si sostiene nel ricorso della Procura federale, che tale ultimo termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS abbia una mera funzione acceleratoria del procedimento disciplinare, sollecitando, quindi, il Procuratore federale all’esercizio della relativa azione in tempi quanto più possibile celeri dopo l’emanazione della comunicazione di conclusione delle indagini e compatibilmente con l’esercizio del diritto di difesa della controparte.

Una serie di considerazioni di carattere sistematico confermerebbe, inoltre, secondo quanto affermato nel ricorso della Procura, la natura ordinatoria del termine in questione.

Si pensi, ad esempio, al termine di trenta giorni previsto dall’art. 32 sexies CGS per eseguire la sanzione oggetto del patteggiamento previsto dalla predetta norma; in assenza di un ulteriore termine per promuovere l’azione disciplinare da parte della Procura per il mancato pagamento, l’azione disciplinare resterebbe per sempre penalizzata, perché decorsi i trenta giorni sarebbero già spirati i termini per il deferimento.

D’altronde, ad ulteriore sostegno di quanto appena esposto, dovrebbe altresì considerarsi che, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini il Procuratore federale può anche, qualora ovviamente ne ricorrano i presupposti, procedere con la formulazione dell’intendimento di archiviazione da sottoporre all’esame della Procura Generale dello Sport del C.O.N.I.

Anche  per  tale  ipotesi, poi,  l’art.  32  quinquies  CGS  prevede  un  termine  per  la  formulazione dell’intendimento di archiviazione, determinato in dieci giorni, che evidentemente non può essere considerato perentorio per propria stessa natura; non si vede proprio, infatti, quale conseguenza sul piano sostanziale o procedimentale possa derivare dal mancato rispetto di un termine volto a sancire l’intenzione di non procedere disciplinarmente a carico di un soggetto.

Tanto confermerebbe ulteriormente che i termini previsti nel titolo del codice di giustizia sportiva relativo agli Organi di Giustizia Sportiva non hanno nemmeno potenzialmente e sul piano sistematico alcuna possibilità di essere qualificati come perentori, per la loro stessa essenza regolatrice di una fase meramente propedeutica all’eventuale instaurazione e celebrazione di un procedimento disciplinare.

Il Procuratore federale censura, inoltre, sia pure per completezza di argomentazione, la decisione del Tribunale federale in punto individuazione del momento dal quale inizia a decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione del deferimento.

Nella pronuncia gravata, si argomenta nel ricorso, è dato leggere che tale termine decorrerebbe per ciascun deferito dal momento di comunicazione allo stesso della comunicazione di conclusioni delle indagini

Anche in questo caso, tuttavia, il Giudice di prime cure avrebbe attribuito alla norma una portata che il dato letterale della stessa pacificamente non possiede.

Il dettato normativo posto a base della decisione gravata, infatti, prevede espressamente che il termine per la proposizione del deferimento decorre “dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria”.

Nessuna indicazione, pertanto, che possa far ritenere la decorrenza del termine correlata alla posizione di ogni singolo deferito.

Se si accedesse, del resto, a tale ragionamento, si perverrebbe alla conseguenza – aberrante – che nel caso di deferimento con pluralità di soggetti, quale quello in esame, per ciascun deferito decorrerebbe un termine diverso in correlazione al momento nel quale lo stesso ha ricevuto la comunicazione di conclusione delle indagini.

Ancor prima che sul piano logico, poi, tale conclusione, sempre a dire della Procura federale, contrasterebbe anche con il dato sistematico cui è informato il codice di giustizia sportiva.

In assenza di un criterio sicuro per individuare la decorrenza del termine, per principio generale del processo sportivo dovrebbe farsi riferimento ai principi ed alle norme generali del processo civile, secondo cui, appunto, in tutte le ipotesi di adempimento susseguente alla notificazione di un atto, il relativo termine decorre dall’ultima delle notifiche effettuate e giammai per ogni singolo soggetto dal momento di ricezione dell’atto da parte dello stesso. Chiarissime sul punto – si osserva ancora nel ricorso – sono tutte le norme relative all’iscrizione a ruolo dei giudizi e degli appelli, che prevedono tutte indistintamente la decorrenza del termine dall’ultima notificazione (cfr. artt. 165, comma 2, 347 e 369, comma 1, c.p.c.).

Del resto, sempre secondo la Procura federale, l’interpretazione della norma adottata dal Giudice di primo grado, oltre ad essere del tutto irragionevole sul piano sistematico, avrebbe delle conseguenze pregiudizievoli sull’efficacia dell’azione disciplinare e sull’economicità del giudizio da parte degli organi di giustizia sportiva. Il procedimento disciplinare, infatti, è unico (gli atti di indagine, la CCI) e, come tale, anche nei casi di più incolpati, l’atto di deferimento è unico ed i termini processuali previsti dall’art. 32 ter CGS (30 giorni) non possono che decorrere dalla scadenza dell’ultimo termine a difesa e non già, come sostenuto dal Tribunale, con scansioni temporali differenti per ciascun avvisato.

- Con un secondo motivo di gravame la Procura federale ha censurato la decisione impugnata sotto l’aspetto della violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, del Regolamento del Settore Tecnico, che, posto sotto la rubrica “Disciplina dei tecnici”, così testualmente recita: “I tecnici sono soggetti alla giurisdizione degli Organi di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. nei procedimenti per illecito sportivo e, se tesserati per società, per le infrazioni inerenti all’attività agonistica”.

Osserva, in proposito, la ricorrente Procura, che gli organi di giustizia endofederale hanno sempre affermato che per “infrazioni inerenti l’attività agonistica” devono intendersi non solo e non solamente quelle che si verificano durante la disputa di una competizione sportiva, ma anche quelle che avvengono prima e dopo la gara e sono alla stessa legate da funzionalità e da nesso causale.

Nel caso di specie, posto che oggetto di giudizio è il caso di un allenatore che al termine della gara del campionato di seconda categoria Casolese/Chianti Nord, disputata il 25.10.2015, usciva precipitosamente all’esterno del campo di gioco per recarsi dove era posizionato il parcheggio auto e dove stazionavano persone che avevano assistito all’incontro, per dirigersi verso alcune di loro, al fine di chiarire offese che riteneva di aver ricevuto nel corso dell’incontro di calcio appena disputato, con ciò provocando una violenta reazione nei suoi confronti da parte di persona riconducibile alla tifoseria della squadra avversaria oltre che di un calciatore della stessa, non potrebbe sussistere alcun dubbio, secondo la Procura ricorrente, che la violazione disciplinare contestata al tecnico, proprio perché strettamente correlata alla disputa della gara, sia da ricondurre alle “infrazioni concernenti l’attività agonistica” con conseguente competenza del Tribunale federale territoriale e non certo della Commissione disciplinare del Settore tecnico.

Le controdeduzioni della Pol. D. Casolese

In replica alle argomentazioni contenute nel ricorso della Procura federale, la Pol. D. Casolese, a mezzo del difensore nominato, ha presentato tempestive controdeduzioni, nelle quali riprende e sviluppa le argomentazioni svolte dalla decisione di primo grado.

Quanto alla improcedibilità dell’atto di deferimento per violazione del termine di cui all’art. 32, ter, comma 4, CGS, osserva, in particolare, la società resistente, che essa non può essere esclusa mediante il richiamo all’art. 152 c.p.c., in quanto esiste nel CGS della F.I.G.C. una norma (l’art. 38, comma 6) che regola tutti i termini previsti nello stesso codice, stabilendo chiaramente il principio che tutti sono perentori.

Sarebbe destituita di fondamento, in proposito, la tesi secondo la quale tale art. 38, comma 6, CGS non troverebbe applicazione ai termini previsti dall’art. 32 ter, comma 4, CGS, perché introdotti successivamente, non solo in forza dei consueti principi in tema di interpretazione letterale e sistematica, ma anche perché – si osserva – nel C.U. n. 339/A del 12 aprile 2016 non sono state introdotte solo le norme relative all’azione disciplinare, ma anche norme riguardanti i giudizi dinanzi al Giudice sportivo e riguardanti i termini l’impugnazione delle delibere federali che, se fosse vero l’assunto della Procura federale, dovrebbero anch’essi, per assurdo, essere ritenuti ordinatori.

Anche il richiamo, da parte della Procura federale, alla decisione della CFA a Sezioni Unite pubblicata sul C.U. n 60/CFA del 14 aprile 2014 sarebbe inconferente, in quanto nel precedente citato era oggetto di accertamento la sanzione da applicare agli atti compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini, che pacificamente, vista la previsione normativa specifica contenuta nel CGS non poteva essere l’improcedibilità dell’atto di deferimento, ma l’improcedibilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini.

Le argomentazioni di “carattere sistematico” svolte dalla Procura federale risulterebbero parimenti infondate perché con esse il ricorso mirerebbe a segnalare delle difficoltà interpretative, legate a singoli casi concreti, che potrebbero derivare dalla tesi accolta dalla decisione del Tribunale federale, ma che, a ben vedere, non sarebbero affatto idonee a scalfire le affermazioni di principio, giuridicamente fondate, svolte dal Giudice di primo grado.

Sarebbe, dunque, alla giurisprudenza dell’Alta Corte di Giustizia del Coni che bisognerebbe guardare al fine di risolvere correttamente il problema che ci occupa e, in particolare, alla decisione n. 16 dell’anno 2012, nella quale si è affermato il principio che “la scansione procedimentale e il regime dei termini, delle decadenze e della preclusioni della giustizia sportiva non costituisce un inutile formalismo giuridico, bensì rappresenta un tassello necessario e imprescindibile per la funzionalità stessa dell’ordinamento sportivo”. Un principio ribadito anche più di recente da una decisione della stessa Corte Federale di Appello (C.U. n. 057/CFA dell’8 novembre 2016) nella quale si legge che “inequivoche ed innegabili esigenze di certezza dei tempi di definizione dei procedimenti disciplinari ed, al contempo, di sollecita definizione degli stessi” governano il procedimento disciplinare sportivo. La sentita necessità di certezza dei tempi nella fase dibattimentale – osserva ancora la Pol. D. Casolese

- perderebbe tutta la sua forza e rilevanza laddove tale certezza non fosse assicurata nella fase antecedente, perché sarebbe inutile avere entrambi i gradi di giudizio in tempi certi ed avere tutti gli atti prodromici agli stessi non vincolati a tempi certi.

Quanto, infine, al merito dei fatti contestati la Pol. D. Casolese, nel riportarsi alle argomentazioni svolte nella memoria difensiva depositata in primo grado, chiede comunque che, nella  denegata ipotesi, in cui dovesse essere accolto il ricorso della Procura federale, gli atti vengano rimessi al Giudice di primo grado per un nuovo esame, così da salvaguardare il principio del doppio grado di giudizio.

La decisione della CFA

All’udienza fissata, per il giorno 14 dicembre 2016, innanzi questa Corte federale d’appello, è comparso il rappresentante della Procura federale che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.Dichiarato chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti

MOTIVI

La Corte, letto il ricorso in appello e le controdeduzioni della società Pol. D. Casolese, esaminati gli atti ufficiali, ritiene che il ricorso meriti accoglimento e che, pertanto, la decisione impugnata debba essere annullata e che gli atti vadano restituiti al Tribunale federale territoriale per l’esame del merito.

Il privo motivo di ricorso, con il quale la Procura federale ha censurato la decisione di primo grado nella parte in cui ha affermato la perentorietà del termine stabilito dall’art. 32 ter, comma 4, CGS, è giuridicamente fondato.

Infatti, questa Corte, riunita a Sezioni Unite, ha di recente risolto la questione di diritto sottesa anche al presente giudizio, con la pronuncia pubblicata sul C.U. n. 065/CFA, con cui ha escluso la perentorietà del suddetto termine. Ne deriva che, nel caso di specie, l’azione disciplinare, pur essendo stata esercitata dalla Procura federale oltre i trenta giorni dalla scadenza del termine concessi ai deferiti per l’invio della memoria o per richiedere di essere sentiti, giammai avrebbe potuto condurre il Tribunale federale territoriale del Comitato Regionale Toscana ad una dichiarazione di improcedibilità e/o inammissibilità del deferimento per inosservanza dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS; ciò in quanto, appunto, non si tratta di termini perentori per le ragioni di seguito, in sintesi, illustrate.

Ritiene utile, questo Collegio, ripercorrere i tratti salienti essenziali del ragionamento giuridico articolato dai giudici nella pronuncia in rilievo per traslarlo nella fattispecie in esame.

L'indagine non può che muovere dal dato positivo: a norma dell’art. 32 ter, comma 4, CGS, “quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore Federale, entro venti giorni dalla conclusione delle indagini, informa l’interessato della intenzione di procedere al deferimento e gli elementi che la giustificano, assegnandogli un termine per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria”. Prosegue, quindi, la norma: “qualora il Procuratore Federale ritenga di dover confermare la propria intenzione, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio (…)”.

Ebbene, abbandonando ogni ipotesi di ricostruzione unitaria dei termini rinvenibili nei codici di giustizia sportiva FIGC e CONI, sul presupposto che il legislatore sportivo ha previsto termini di diversa natura, ai quali ha ricollegato (o non), di volta in volta, conseguenze diverse in ordine all’inosservanza degli stessi, “in mancanza di una sanzione specifica e diretta da ricollegare al termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS allo stesso deve essere negata natura perentoria”.

Nella prospettazione assunta dai giudici delle Sezioni Unite - e che qui evidentemente si condivide “la norma non contiene una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio. È compito dell’interprete, dunque, qualificare il termine di cui trattasi”.

E qui viene, appunto, in rilievo l’art. 38, comma 6, CGS a norma del quale “tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”. Detta norma, si applicherebbe, secondo la decisione impugnata, anche al termine previsto dall’art. 32 ter, comma 4, CGS.

Tale assunto non può, tuttavia, essere condiviso.

Ragioni di natura sistematica inducono, allo stato, ad escludere che la perentorietà del termine di cui trattasi possa desumersi dalla generale, quanto generica, indicazione contenuta nello stesso predetto art. 38 CGS. Non fosse altro che, diversamente opinando, osservano i giudici a Sezioni Unite, “non troverebbero spiegazione tutte quelle disposizioni disseminate nell’arco dell’intero codice di giustizia sportiva, che qualificano, appunto, come perentorio, un dato termine o sanzionano espressamente il mancato compimento di una data attività entro il termine assegnato”. Basti pensare, a titolo meramente esemplificativo e non già esaustivo, all’art. 34 bis (rubricato “Termini di estinzione del giudizio disciplinare e termini di durata degli altri giudizi”); all’art. 23, comma 2, in materia di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti; ed ancora, all’art. 32 sexies (intestato “Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione”).

È di tutta evidenza, quindi, che quando il legislatore federale ha voluto considerare perentorio un dato termine lo ha fatto (in modo specifico) espressamente, o attraverso una formale qualificazione, o per il tramite della previsione di una speciale conseguenza sanzionatoria per il caso di mancato adempimento o compimento dell’attività processuale indicata nel termine assegnato.

Sempre nel qui condiviso ragionamento giuridico dei giudici delle Sezioni Unite di questa Corte, ad escludere la perentorietà del termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, vale anche la collocazione sistematica, essendo lo stesso inserito nel titolo III (“Organi della giustizia sportiva”), laddove l’art. 38 è inserito nel titolo IV (“Norme generali del procedimento). Ciò che sembra confortare il convincimento secondo cui il riferimento, rinvenibile nella disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS, alla perentorietà vale con riferimento ai termini indicati nello stesso art. 38 (primo tra tutti quello per la proposizione dei reclami e connessi adempimenti). Non a caso, del resto, la predetta norma è rubricata, appunto, “Termini dei procedimenti e modalità di comunicazione degli atti”.

Al più, prosegue la pronuncia della Corte a Sezioni Unite, “il riferimento alla perentorietà di cui trattasi, anche alla luce della predetta collocazione sistematica, può ritenersi effettuato ai termini indicati per lo svolgimento della fase processuale, ma non anche a quella procedimentale o propedeutica all’instaurazione della fase contenziosa vera e propria. Del resto, è proprio in questa fase che i principi del giusto processo e parità delle parti trovano la loro massima espressione ed attuazione”. Pertanto, appare logico ritenere che il legislatore abbia generalmente inteso attribuire natura perentoria (solo) ai termini attraverso cui si snoda il processo e in ordine ai quali il mancato espletamento di una data attività processuale nel termine imposto è suscettibile di ledere ex se i diritti e le garanzie difensive dell’altra parte.

Anche sotto siffatto profilo, dunque, la lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, affermata dalle Sezioni Unite con la richiamata pronuncia, appare coerente con il sistema, senza contrastare con la pronuncia n. 27/2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni richiamata da numerose pronunce dello stesso Tribunale federale nazionale a sostegno della perentorietà dei termini di cui si discute (TFN CC.UU. nn. 43-19/2016-17).

Bene spiegano, infatti, i Giudici quando osservano: “l’organo di vertice della giustizia sportiva si è espresso proprio sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare, termine che, non solo è riferito al processo e non già al procedimento istruttorio, ma è anche stabilito espressamente a pena di estinzione, come già, del resto, anche affermato da alcune recentissime decisioni di questa Corte”.

Sotto altro profilo, poi, si evidenzia che il procedimento della Procura federale si sostanzia in una “sequenza di attività successive legate da un ordine logico e funzionali al raggiungimento di un obiettivo (accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare di responsabilità), si tratta quindi di una “fase procedimentale-istruttoria collegata a quella (eventuale) successiva strutturata secondo le regole proprie di ogni processo, a cominciare da quella dell’assoluta parità delle parti e pienezza del contraddittorio. Un avvicinamento, dunque, per gradi al giudizio, attraverso fasi caratterizzate da esigenze diverse e disciplinate da differenti regole”. Posta, dunque, la natura procedimentale del termine di trenta giorni di cui trattasi, deve escludersi, anche sulla scorta di ciò, che lo stesso abbia natura perentoria con effetti decadenziali. Di conseguenza, al suo mancato rispetto non può ricollegarsi l'effetto della improcedibilità della “intempestiva” citazione a giudizio.

In definitiva, in applicazione pratica di tali principi di autorevole elaborazione giurisprudenziale, ai quali questa Corte intende allinearsi, deve concludersi che il termine di cui trattasi possa essere qualificato come acceleratorio. Si tratta, più precisamente, di un “termine volto ad assicurare la speditezza dei corrispondenti itinera procedimentali, ossia un certo ritmo allo svolgimento del procedimento, in funzione di un equo contemperamento delle molteplici esigenze prima richiamate e di una celere definizione dei procedimenti istruttori, volti ad assicurare al giudizio, rapidamente, per quanto possibile, tesserati ritenuti responsabili di violazioni disciplinarmente rilevanti e, nel contempo, a scongiurare un inutile aggravio di attività processuale e di onere di difesa per l’indagato che, all’esito di una adeguata ponderazione del complessivo materiale istruttorio acquisito, risulti non imputabile della violazione in relazione alla quale è stato iscritto nell’apposito registro. Pertanto, all’eventuale infruttuoso decorso del termine di cui trattasi l’ordinamento sportivo non assegna una specifica sanzione di decadenza o una data efficacia preclusiva, non avendo previsto la produzione di un determinato effetto giuridico con ricaduta sulla (inammissibilità della) instaurazione del giudizio”.

Degno di nota e condivisione, poi, anche altro percorso logico-sistematico seguito dagli estensori della predetta, qui richiamata, pronuncia, attraverso il quale pure si giunge ad escludere la natura perentoria dei termini ex art. 32 ter, comma 4, CGS.

Si è già detto che non contenendo la norma (art. 32, ter, comma 4, CGS) una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio, è all’interprete che deve affidarsi la delicata qualificazione del termine di cui trattasi.

Ebbene, esclusa la possibilità di considerare perentorio detto termine in virtù del mero richiamo all’art. 38, comma 6, CGS, “occorre riferirsi, per espresso disposto della norma di cui all’art. 1, comma 2, CGS, alle disposizioni del codice di giustizia sportiva del Coni. Così, infatti, recita la predetta norma: «Per tutto quanto non previsto dal presente Codice, si applicano le disposizioni del Codice della giustizia sportiva emanato dal CONI», che, tuttavia, non reca alcuna norma che qualifichi come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare entro i trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa di cui si è detto.

“Non rimane, pertanto, che rifarsi alla disposizione di cui all’art. 2, comma 6, CGS Coni che prevede espressamente che «Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva».

E allora, dal combinato disposto degli artt. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni la disposizione di riferimento individuata dai giudici è quella dettata dall’art. 152 c.p.c. (rubricato “Termini legali e termini giudiziari”), che così recita al comma 2: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, con la conseguenza che, non essendo dichiarato espressamente perentorio, tale non può essere considerato il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

Riepilogando, dunque, non intendendo questo Collegio discostarsi dai principi affermati dalla Corte federale d’appello - sezioni unite, deve escludersi che il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, in rilievo nel presente giudizio, abbia natura perentoria. Con la conseguenza, dunque, che l’inosservanza dello stesso, nei termini e nei limiti sopra precisati, non avrebbe dovuto condurre alla dichiarazione di improcedibilità / irricevibilità del deferimento emesso oltre lo stesso.

- Anche il secondo motivo di ricorso proposto della Procura federale risulta fondato.

Considerati i fatti oggetto del giudizio disciplinare, così come ricostruiti nell’atto di deferimento, deve ritenersi che le condotte dell’allenatore della Casolese, il quale, come si è già ricordato, al termine della gara del campionato di seconda categoria Casolese-Chianti Nord, disputata il 25.10.2015, usciva precipitosamente all’esterno del campo di gioco per recarsi dove era posizionato il parcheggio auto e dove stazionavano persone che avevano assistito all’incontro, per dirigersi verso alcuni di loro, al fine di chiarire offese che riteneva di aver ricevuto nel corso dell’incontro di calcio appena disputato, con ciò provocando una violenta reazione nei suoi confronti, siano strettamente correlate, sotto il profilo causale e temporale, alla disputa della gara agonistica.

Non vi è, dunque, motivo alcuno per escludere che tali condotte debbano essere inquadrate, secondo il costante orientamento della giurisprudenza federale, nel concetto di “infrazioni inerenti l’attività agonistica” per le quali, quindi, vale il principio stabilito dall’art. 39, comma 1, del Regolamento del Settore Tecnico, in base al quale, come già rilevato, “I tecnici sono soggetti alla giurisdizione degli Organi di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. nei procedimenti per illecito sportivo e, se tesserati per società, per le infrazioni inerenti all’attività agonistica”.

Per questi motivi la C.F.A., in accoglimento del ricorso come sopra proposto dal Procuratore Federale Delegato, annulla la decisione impugnata.

Rinvia il procedimento al Tribunale Federale Territoriale presso il Comitato Regionale Toscana per l’esame del merito.

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