F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2016/2017 – figc.it – atto non ufficiale – C. U. n. 102/CFA del 07 Febbraio 2017 (motivazioni) – C. U. n. 080/CFA del 14 Dicembre 2016 (dispositivo) RICORSO DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO LA DECLARATORIA DI IRRICEVIBILITÀ DEL DEFERIMENTO A CARICO DI: SIG. RISPOLI VINCENZO ALL’EPOCA DEI FATTI AGENTE DI CALCIATORI, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 16, COMMA 1 REGOLAMENTO AGENTI; CALC. FAZIO PASQUALE DANIELE ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ ANDRIA BAT, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 16, COMMA 1 REGOLAMENTO AGENTI; CALC. CARMINATI OLIVERA BARROS RAPHAEL ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ ANDRIA BAT, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 21, COMMA 5 REGOLAMENTO AGENTI, NONCHÉ DELL’ART. 93, COMMA 1 N.O.I.F.; CALC. EVANGELISTA MATTIA ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ ANDRIA BAT, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 21, COMMA 5 REGOLAMENTO AGENTI, NONCHÉ DELL’ART. 93, COMMA 1 N.O.I.F., SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO – NOTA N. 2449/400 PF14-15 GP/MA DEL 6.09.2016(Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 30/TFN del 3.11.2016)

RICORSO DEL PROCURATORE  FEDERALE AVVERSO LA DECLARATORIA DI IRRICEVIBILITÀ DEL DEFERIMENTO A CARICO DI: SIG. RISPOLI VINCENZO ALL’EPOCA DEI FATTI AGENTE DI CALCIATORI, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 16, COMMA 1 REGOLAMENTO AGENTI; CALC. FAZIO PASQUALE DANIELE ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ ANDRIA BAT, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 16, COMMA 1 REGOLAMENTO AGENTI; CALC. CARMINATI OLIVERA BARROS RAPHAEL ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ ANDRIA BAT, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 21, COMMA 5 REGOLAMENTO AGENTI, NONCHÉ DELL’ART. 93, COMMA 1 N.O.I.F.; CALC. EVANGELISTA MATTIA ALL’EPOCA DEI FATTI TESSERATO PER LA SOCIETÀ ANDRIA BAT, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S., NONCHÉ DELL’ART. 21, COMMA 5 REGOLAMENTO AGENTI, NONCHÉ DELL’ART. 93, COMMA 1 N.O.I.F., SEGUITO  PROPRIO  DEFERIMENTO  –  NOTA  N.  2449/400  PF14-15  GP/MA  DEL 6.09.2016(Delibera del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 30/TFN del 3.11.2016)

Il deferimento della Procura federale

Con provvedimento 9 settembre 2016 il Procuratore federale ha deferito al Tribunale federale nazionale - sezione disciplinare:

- Sig. Vincenzo Rispoli, all’epoca dei fatti agente di calciatori iscritto nell’elenco F.I.G.C., per rispondere della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice di giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, CGS), nonché dell’art. 16, commi 1, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, per aver svolto la propria opera professionale in favore del calciatore Giovanni Taormina, in assenza di formale mandato, nell'ambito della stipulazione del contratto tra il citato calciatore e l’Andria Bat del 19.1.2012;

- Sig. Gennaro Palomba, all’epoca dei fatti agente di calciatori iscritto nell’elenco F.I.G.C., per rispondere della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice di giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, CGS), nonché dell'art. 16, comma 1, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, per aver svolto la propria opera professionale in favore del calciatore Giovanni Taormina, in assenza di formale mandato, nell'ambito della stipulazione del contratto tra il citato calciatore e l’Andria Bat del 10.9.2012;

- Sig. Giorgio Abondio, all’epoca dei fatti agente di calciatori iscritto nell’elenco F.I.G.C., per rispondere:

- della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice di giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, CGS), nonché dell’art. 16, commi 1, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015 per aver svolto la propria opera professionale in favore del calciatore Pasquale Daniele Fazio, in assenza di formale mandato, nell'ambito della stipulazione del contratto tra il citato calciatore e l’Andria Bat del 2.8.2010;

- della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice di giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, CGS), dell'art. 19, comma 2, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, nonché dell’art. 93, comma 1, delle NOIF, per non essersi assicurato che il proprio nominativo fosse indicato nel contratto stipulato in data 19.7.2010 tra il calciatore Carminati De Oliveira, dal quale aveva ricevuto mandato con validità dal 22.01.2010 al 21.01.2012, e la società Andria Bat;

- Sig. Pasquale Daniele Fazio, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società Andria Bat, per rispondere della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, GS) in relazione a quanto previsto dall'art. 16, comma 1, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, per essersi avvalso dell’attività di agente del sig. Giorgio Abondio, senza conferire allo stesso formale mandato su modulo predisposto dalla F.I.G.C., nell'ambito della stipulazione del contratto con la società Andria Bat del 2.8.2010;

- Sig. Carminati De Olivera Barros Raphael, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società Andria Bat, per rispondere della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice di giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, del CGS), dell'art. 21, comma 5, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, nonché́ dell’art. 93, comma 1, delle NOIF, per non essersi assicurato che il nominativo dell’agente sig. Giorgio Abondio, cui aveva conferito mandato con validità dal 22.1.2010 al 21.1.2012, fosse indicato nel contratto stipulato con la società Andria Bat in data 19.7.2010;

- Sig. Giovanni Prete, all’epoca dei fatti agente di calciatori iscritto nell’elenco della F.I.G.C., per rispondere della violazione dell’art.1 bis, comma 1, del codice giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, del CGS), dell'art. 19, comma 2, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, nonché́ con l’art. 93, comma 1, delle NOIF, per non aver essersi assicurato che il proprio nominativo fosse indicato nel contratto stipulato in data 7.7.2011 tra il calciatore Mattia Evangelista, dal quale aveva ricevuto mandato con validità dal 28.7.2010 fino al 27.10.2012, e la società Andria Bat;

- Sig. Mattia Evangelista, calciatore all’epoca dei fatti tesserato per la società Andria Bat, per rispondere della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, del codice giustizia sportiva (all'epoca dei fatti art. 1, comma 1, del CGS), dell'art. 21, comma 5, del Regolamento agenti vigente dall’8.4.2010 al 31 marzo 2015, nonché dell’art. 93, comma 1, delle NOIF, per non essersi assicurato che il nominativo dell’agente sig. Giovanni Prete, cui aveva conferito mandato con validità dal 28.7.2010 fino al 27.10.2012, fosse indicato nel contratto stipulato con la società Andria Bat in data 7.7.2011.

Nel deferimento sopra indicato la Procura dava, peraltro, atto:

» dell'intervenuta notificazione della comunicazione di conclusione delle indagini del 2 maggio 2016;

» della rinotifica della stessa ai deferiti signori Giovanni Prete, Carminati De Olivera e Mattia Evangelista in data 24.6.2016 in quanto in precedenza non reperiti dal corriere;

» dell'intervenuto accordo ex art. 32 sexies CGS con il calciatore Giovanni Taormina, avendo ottenuto il consenso della Procura generale dello sport presso il Coni;

» del diniego della predetta Procura Coni in ordine alle altre tre richieste di patteggiamento avanzate dai sigg.ri Prete, Rispoli e Palomba.

Il giudizio di primo grado e la decisione del TFN

Prima dello svolgimento dell’udienza innanzi al Tribunale federale nazionale i deferiti Gennaro Palomba, Giovanni Prete e Giorgio Abondio hanno presentato istanze – concordate con la Procura federale – di applicazione della sanzione ex art. 23 CGS.

Il TFN, ritenuti sussistenti i prescritti presupposti, ha quindi disposto l’applicazione delle seguenti sanzioni:

- per il signor Gennaro Palomba, l’inibizione di giorni 20 (venti);

- per il signor Giovanni Prete, l’inibizione di 20 giorni (venti);

- per il signor Giorgio Abondio, l’inibizione di giorni 30 (trenta). Il giudizio proseguiva nei confronti degli altri deferiti.

All’esito della discussione, la Procura federale ha concluso per l'accoglimento del deferimento chiedendo l'irrogazione delle seguenti sanzioni:

- Vincenzo Rispoli, mesi 1 (uno) di inibizione;

- Pasquale Daniele Fazio, ammenda di € 4.500,00 (euro quattromilacinquecento/00);

-  Carminati De Oliveira Barros Raphael, ammenda di € 3.000,00 (euro tremila/00);

-  Mattia Evangelista, ammenda di € 3.000,00 (euro tremila/00).

L’Avv. Giotti, nell’interesse del calciatore Pasquale Daniele Fazio, riportandosi alla memoria difensiva ha, in particolare, ribadito l’eccezione preliminare di improcedibilità. L’Avv. Rigitano, in sostituzione dell’Avv. Chiacchio, per conto del calciatore Evangelista, si è associato alla predetta eccezione.

Il TFN ha, quindi, ritenuto fondata l’eccezione preliminare sotto il profilo dell’irricevibilità del deferimento. Questi i motivi.

«Dall’esame degli atti emerge che i Signori Vincenzo Rispoli e Pasquale Daniele Fazio hanno ricevuto la comunicazione di conclusione delle indagini, emessa in data 2.5.2016, il successivo 6.5.2016, nella quale veniva concesso un termine a difesa di giorni trenta (in scadenza il 6.6.2016); che i Signori Carminati De Oliveira e Mattia Evangelista hanno ricevuto la comunicazione di conclusione delle indagini, emessa in data 24.6.2016 con altro protocollo, in pari data, nella quale veniva concesso un termine a difesa di giorni trenta (in scadenza il 24.7.2016).

Orbene, il termine per il valido esercizio dell’azione disciplinare tramite adozione dell’atto di deferimento (art. 32 ter, comma 4, CGS) giungeva a scadenza per i primi due deferiti il 6 luglio 2016 e per i secondi due deferiti il 23.8.2016, considerati nel calcolo i trenta giorni per lo svolgimento di attività difensiva concessi agli incolpati. Senonché, l’atto unitario di deferimento è stato adottato il giorno 9.9.2016, allorquando già risultavano scaduti per tutti gli incolpati i termini per poter promuovere l’azione disciplinare.

Sulla natura di tale termine, il Collegio ribadisce l’indirizzo assunto dal Tribunale secondo cui deve ritenersi la sua perentorietà, con conseguente decadenza dall’azione disciplinare nel caso del suo superamento.

Ed invero, il menzionato termine di trenta giorni previsto per l’esercizio dell’azione disciplinare dalla richiamata norma, che trova rispondenza nell’art. 44, comma 4, CGS CONI, al pari di tutti gli altri termini imposti alle parti del procedimento (Procura federale e incolpati), previsti dal CGS, ha natura perentoria (testualmente, art. 38, comma 6, CGS) e non può essere prorogato (cfr. CG CONI, Prima Sezione, n. 27-2016; TFN CC.UU. nn. 43- 19/2016-17); tanto che la sua inosservanza, pur in mancanza di eccezione di parte, deve ritenersi altresì rilevabile ex officio ed  insuscettivo  di sanatoria non potendo rientrare lo stesso nella disponibilità delle parti siccome posto a presidio dell’interesse superiore alla celere definizione del procedimento disciplinare e del rapporto dei tesserati con la Federazione. Tanto, in linea con le norme ed i principi del processo civile cui gli organi di giustizia devono conformare la propria attività in forza del richiamo operato dall’art. 2, comma 6, CGS CONI (cfr. TFN C.U. n. 43/2016-17).

Va soggiunto che la Procura federale, titolare dell’azione disciplinare e dunque tenuta a fornire – secondo i princìpi generali - gli elementi di prova a supporto del deferimento, neppure ha comprovato una diversa decorrenza dei termini decadenziali rispetto a quelli evidenziati dai documenti versati agli atti del fascicolo d’ufficio».

Il Tribunale federale nazionale ha, pertanto, dichiarato irricevibile il deferimento nei confronti dei restanti suddetti deferiti.

Il ricorso del Procuratore Federale

Avverso la predetta decisione, pubblicata sul C.U. n. 30/TFN del 3 novembre 2016, ha proposto ricorsoil Procuratore federale, limitatamente alle posizioni dei sigg.ri Rispoli Vincenzo, Fazio Pasquale Daniele, Carminati De Oliveira Barros Raphael e Evangelista Mattia, in relazione ai quali il deferimento è stato, come detto, dichiarato irricevibile.

- Con un primo motivo d’appello la Procura federale censura l’assunto sul quale poggia la decisione impugnata e, cioè, che il termine previsto dall’art. 32 ter, comma 4, del codice di giustizia sportiva, indicato da tale norma in trenta giorni dalla scadenza del termine a difesa assegnato con la comunicazione di chiusura delle indagini, sia da considerarsi perentorio.

Si evidenzia, in tal ottica, nel ricorso, come il termine previsto dall’art. 32 ter CGS non possa qualificarsi in alcun modo come perentorio. Del resto, sottolinea, «sul punto lo stesso Tribunale Federale Nazionale si era già espresso in precedenza con decisione CU 2/TFN dell’1.7.2016, con la quale, a seguito dell’eccezione di improcedibilità formulata dal deferito ex art. 32 ter CGS, ha espressamente statuito che il termine indicato da tale norma deve intendersi ordinatorio e non perentorio».

La correttezza di tale precedente pronuncia del Tribunale sull’argomento trova conferma, secondo la ricorrente Procura, nel principio pacifico di diritto generale, secondo cui nessun termine può essere considerato perentorio in assenza di specifica previsione da parte della legge di tale sua peculiare natura e senza altrettanto espressa indicazione di sanzione.

Richiama, sotto tale profilo, la pubblica accusa federale, «il disposto di cui all’art. 152, comma 2, c.p.c., applicabile al procedimento sportivo in virtù di quanto previsto dall’art. 2 del Codice di giustizia sportiva del C.O.N.I., che prevede espressamente: “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

Ciò posto e considerato che l’art. 32 ter, comma 4, del codice di giustizia sportiva non contiene riferimento di sorta, nemmeno indiretto, alla perentorietà del termine appena citato, è evidente che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale Federale nella decisione oggi impugnata è erronea».

Tanto è vero quanto sopra, sottolinea, l’organo ricorrente, che il Giudice di prime cure è costretto, per fondare la propria decisione sulla perentorietà del termine, a fare riferimento alla ulteriore norma di cui all’art. 38, comma 6, CGS. Richiamo, questo, reputato, tuttavia, infondato, per tutta una serie di ragioni, dettagliatamente sviluppate nell’atto di appello.

Evidenzia, poi, la ricorrente Procura federale come il codice di giustizia sportiva del Coni, «entrato in vigore nell’agosto 2014, pur presentando una norma esattamente identica, per formuazione, a quella contenuta nell’art. 32 ter comma 4, del CGS (la quale ultima costituisce evidente attuazione del principio stabilito con la corrispondente norma del codice Coni), non ha, invece, previsto una norma analoga a quella di cui all’art. 38, comma 6, del codice di giustizia sportiva della Figc, secondo la quale ultima “tutti i termini previsti dal presente codice sono perentori”, dal che appare logico ricavare l’intenzione del legislatore del codice Coni di non stabilire la perentorietà di tale termine per la formulazione del deferimento, prevedendone una conseguenza specifica».

Ad avviso della reclamante Procura, poi, deve «essere riconosciuta la portata generale del principio di tassatività delle cause di improcedibilità, per cui l’assenza di una previsione nell’ordinamento federale che riconduca espressamente tale conseguenza al tardivo compimento dell’atto di deferimento, è preclusiva della possibilità di operare una valutazione in tal ultimo senso, tanto più che, in ambito processuale, sono, comunque, da evitarsi interpretazioni meramente formalistiche».

Secondo parte appellante, da ultimo, il richiamo operato dal giudice di primo grado ad una pronuncia del Collegio di garanzia del Coni (decisione n. 27/2016 – prima sezione) è oggettivamente inconferente, atteso che in detta decisione il Collegio si è espresso sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare; fattispecie che per espressa previsisionecodicistica è sottoposta ad un termine perentorio, ma che nulla ha a che vedere con la diversa regolamentazione delle fasi di proposizione dell’azione disciplinare e, pertanto, del deferimento.

Con un secondo motivo di gravame il ricorrente Procuratore federale censura la decisione del TFN in punto individuazione del momento dal quale inizia a decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione del deferimento.

«Nella pronuncia gravata», si argomenta in ricorso, «è dato leggere che tale termine decorrerebbe per ciascun deferito dal momento di comunicazione allo stesso della comunicazione di conclusioni delle indagini

(…)

Non è così.

La proposizione del deferimento, in realtà, è assolutamente tempestiva, in quanto l’ultima notifica della comunicazione di conclusione delle indagini si è perfezionata in data 14.7.2016 nei confronti del sig. Evangelista Mattia, così come provato dalla ricevuta del fax prodotta in atti. Il calcolo corretto del termine per la proposizione dell’azione disciplinare, considerando che con la comunicazione di conclusione delle indagini è stato concesso agli incolpati il termine di trenta giorni per richiedere la propria audizione o depositare memorie, pertanto, porta alla incontestabile conclusione che lo stesso sarebbe scaduto il giorno 12.9.2016, mentre l’atto di deferimento reca la data del 6.9.2016; pacificamente, pertanto, il termine è stato ampiamente rispettato».

Peraltro, sotto tale profilo, la Procura federale evidenzia come il sig. Evangelista Mattia sia uno dei deferiti nei cui confronti il deferimento è stato dichiarato irricevibile, «con evidente errore del Tribunale di prime cure nella stessa individuazione della data di notificazione della comunicazione di conclusione delle indagini anche con riguardo alla semplice posizione individuale di tale tesserato; tanto costituisce anche autonomo vizio della pronuncia gravata, che viene fatto espressamente valere».

«Anche in questo caso, tuttavia», prosegue la reclamante Procura federale, «il Giudice di prime cure ha attribuito alla norma una portata che il  dato letterale della stessa pacificamente non possiede.

Il dettato normativo posto a base della decisione gravata, infatti, prevede espressamente che il termine per la proposizione del deferimento decorra “dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria”.

Nessuna indicazione, pertanto, che possa far ritenere la decorrenza del termine correlata alla posizione di ogni singolo deferito.

Non solo.

Se si accedesse a tale ragionamento, si perverrebbe alla conseguenza – aberrante – che nel caso di deferimento con pluralità di soggetti, quale quello in esame, per ciascun deferito decorrerebbe un termine diverso in correlazione al momento nel quale lo stesso ha ricevuto la comunicazione di conclusione delle indagini».

Ancor prima che sul piano logico, poi, tale conclusione, sempre a dire della Procura federale, contrasterebbe anche con il dato sistematico cui è informato il codice di giustizia sportiva.

In assenza di un criterio sicuro per individuare la decorrenza del termine, per principio generale del processo sportivo dovrebbe farsi riferimento ai principi ed alle norme generali del processo civile, secondo cui, appunto, in tutte le ipotesi di adempimento susseguente alla notificazione di un atto, il relativo termine decorre dall’ultima delle notifiche effettuate e giammai per ogni singolo soggetto dal momento di ricezione dell’atto da parte dello stesso. «Chiarissime sul punto, in particolare, sono tutte le norme relative all’iscrizione a ruolo dei giudizi e degli appelli, che prevedono tutte indistintamente la decorrenza del termine dall’ultima notificazione (cfr. artt. 165, comma 2, 347 e 369, comma 1, c.p.c.)».

Ritiene, poi, il Procuratore federale, «che l’interpretazione della norma adottata dal Giudice di primo grado, oltre ad essere del tutto irragionevole sul piano sistematico, avrebbe delle conseguenze pregiudizievoli sull’efficacia dell’azione disciplinare e sull’economicità del giudizio da parte degli organi di giustizia sportiva.

Il procedimento disciplinare, infatti, è unico (gli atti di indagine, la CCI) e, come tale, anche nei casi di più incolpati, l’atto di deferimento è unico ed i termini processuali previsti dall’art. 32 ter C.G.S. (30 giorni) non possono che decorrere dalla scadenza dell’ultimo termine a difesa e non già, come sostenuto dal Tribunale, con scansioni temporali differenti per ciascun avvisato.

L’eventuale trattazione delle varie posizioni dei soggetti deferiti nell’ambito di un procedimento, pertanto, non può che essere unitaria, perchè l’istruttoria è unica e dunque si  determina una connessione soggettiva e oggettiva dei fatti che coinvolgono i singoli soggetti sottoposti al procedimento.

Fino alla scadenza dell’ultimo termine a difesa, poi, la Procura potrebbe acquisire documenti, memorie o elementi rappresentati nelle eventuali audizioni post CCI che potrebbero incidere, a favore o a sfavore, sulla posizione di tutti gli avvisati, ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare. La Procura, pertanto, potrebbe addirittura valutare di archiviare alcune posizioni, alla luce delle difese di altri soggetti coinvolti nel procedimento e destinatari di comunicazione di conclusione delle indagini.

Il ritenere la decorrenza del termine correlata alla precedente ricezione della comunicazione di conclusione indagini per ciascuna singola posizione, infatti, comporterebbe la necessità, in caso di procedimenti complessi quale quello in esame, di procedere con cadenza diversa al deferimento di singoli soggetti, con la conseguenza che l’organo giudicante, da un lato, e lo stesso deferito, dall’altro, vedrebbero irrimediabilmente pregiudicata la possibilità di avere la piena cognizione su tutti i fatti e posizioni riguardanti una medesima fattispecie; tanto con la concreta possibilità di insorgenza di contrasti di giudicati.

Tutto ciò senza contare, poi, che la promozione di autonomi procedimenti disciplinari con riguardo a posizioni riguardanti la medesima fattispecie complessiva comporterebbe un  grave vulnus al principio di economia processuale e, non da ultimo, un proliferare di procedimenti diversi che rallenterebbero il corso della giustizia sportiva, con buona pace del principio di efficienza e celerità dell’azione disciplinare, cui tutto il sistema giustiziale sportivo è rivolto».

Da ultimo, il Procuratore federale sottolinea come una ritenuta eventuale diversa decorrenza del termine per ogni singolo soggetto potrebbe comportare «il rischio concreto di premiare azioni strumentali da parte dei deferiti; ritardare la ricezione della comunicazione di conclusione delle indagini, infatti, potrebbe costituire per ogni singolo incolpato un espediente per vedere la propria posizione separata dal confronto e dal dibattimento contestuale con gli altri incolpati, con possibilità di definizione di linee difensive strumentali all’esito del giudizio sulle condotte di altri soggetti coinvolti nella medesima fattispecie». Sotto tale profilo, pertanto, il Procuratore federale ritiene che la lettura della norma fornita dal TFN, oltre che avulsa dal dato letterale della stessa ed estranea ai principi generali, è anche evidentemente irragionevole e potenzialmente lesiva degli interessi perseguiti dal sistema della giustizia sportiva federale.

Per quanto attiene al merito delle incolpazioni di cui all’atto di deferimento, «anche in ossequio al principio devolutivo dell’appello», la Procura federale richiama integralmente quanto motivato nello stesso predetto atto di deferimento, «atteso il suo mancato esame da parte del Giudice di primo grado».

Conclude, quindi, il Procuratore federale, chiedendo che l’adìta CFA, in riforma in parte qua della decisione del TFN, di cui al C.U. n. 30/TFN del 3.11.2016, in relazione alle violazioni contestate nell’atto di deferimento del 6.9.2016, sopra ricordate, voglia rinviare gli atti al Tribunale federale nazionale, affinchè esamini le posizioni degli incolpati e si pronunci sul merito in relazione a quanto contestato a tutti i soggetti deferiti. Infine, l’appellante Procura federale, chiede che, nell’ipotesi in cui la Corte adìta ritenga pronunciare nel merito, «voglia affermare la responsabilità di tutti i deferiti, per quanto a essi rispettivamente ascritto con l’atto di deferimento (…) comminando agli stessi le sanzioi richieste dinanzi al Giudice di primo grado, ovvero le sanzioni ritenute di giustizia».

Le controdeduzioni

- Il sig. Fazio Pasquale Daniele, per il tramite del proprio difensore di fiducia, avv. Fabio Giotti, ha presentato memoria a difesa, replicando puntualmente a tutto quanto dedotto dall’appellante Procura federale e ribadendo, invece, la correttezza e la fondatezza delle motivazioni rese dal Giudice di prime cure.

Evidenzia, il suddetto resistente, come la tesi dell’appellante Procura federale risulti infondata, considerato che la norma di cui all’art. 2, comma 6, CGS Coni richiama l’applicazione della norme generali del processo civile solo “per quanto non disciplinato”, «con la conseguenza che ove le norme regolamentari dell’Ordinamento sportivo disciplinino espressamente una materia, tale regolamentazione preclude l’accesso alle norme della procedura civile che nel procedimento sportivo hanno solo carattere residuale per colmare vuoti normativi», laddove, invece, nel codice giustizia sportiva Figc «esiste una norma positiva che regola tutti i termini previsti nello stesso codice, ovvero l’art. 38 comma 6».

Il suddetto appellato ritiene, inoltre, che il codice di giustizia sportiva sia «un’insieme di norme unitario che deve essere interpretato non solo secondo il senso delle parole usate, e già tale interpretazione letterale sarebbe sufficiente per dimostrare la perentorietà di tutti i termini, ma anche in maniera logica e sistematica ed è evidente che se il legislatore sportivo ha ritenuto di introdurre una norma nella quale sono stabiliti dei termini all’interno di un Codice nel quale si stabilisce che tutti i termini sono perentori, significa che ha ritenuto il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare perentorio, altrimenti avrebbe disposto espressamente per la sua natura ordinatoria, e tutte le diverse intentiolegis prospettate dalla Procura federale sono chiaramente orientate a sostenere tesi contrarie alla lettera della norma, e quindi palesemente infondate».

«Stabilita la perentorietà di tutti i termini, la sanzione non può che essere l’improcedibilità e/o l’inammissibilità degli atti compiuti successivamente perché la perentorietà impone il compimento di atti a pena di decadenza entro il termine concesso».

Definito inconferente il richiamo, effettuato dalla Procura federale, alla decisione della CFA pubblicata sul C.U. n. 60/CFA del 14 aprile 2015, il resistente sig. Fazio qualifica «assolutamente infondate» anche le successive argomentazioni di “carattere sistematico” svolte dalla stessa parte appellante, richiamando la decisione n. 16 del 2012 dell’Alta Corte di giustizia sportiva del Coni e, più in generale, le innegabili esigenze di certezza dei tempi di definizione dei procedimenti disciplinari e di sollecita definizione degli stessi.

Quanto al secondo motivo di gravame il resistente ritiene che l’assunto della Procura federale trovi «smentita letterale nello stesso art. 32 ter comma 4 CGS», evidenziando come la norma si rivolga all’incolpato e non già agli “incolpati”, «essendo l’azione disciplinare personale seppur trattata cumulativamente  insieme ad  altri  deferiti  le cui  posizioni  spesso  sono  indipendenti  e potrebbero essere trattate separatamente».

Evidenzia, sempre sotto tale profilo, il sig. Fazio, come l’atto del 24 giugno 2016 non sia destinato allo stesso, bensì solo ad altri deferiti e, dunque, come se lo stesso non poteva «certo beneficiare dei termini concessi ad altri non si vede per quale motivo lo stesso debba poi essere destinatario di provvedimenti in relazione ad un atto che non lo riguarda». Osserva, inoltre, che «quella che la Procura federale chiama “rinotifica” è il risultato di un’errata individuazione originaria del luogo di notifica per i sigg.ri Giovanni Prete, Mattia Evangelista e Carminati De Olivera Barros Raphael e deve essere imputata unicamente alla Procura federale alla quale spetta l’individuazione precisa dei soggetti destinatari dei propri atti».

Nel merito, il resistente ritiene che «nella denegata e non creduta ipotesi che l’adìta Corte accolga le argomentazioni della Procura federale, gli atti dovranno essere rimessi al Giudice di primo grado per l’esame nel merito così da salvaguaradare il doppio grado di giudizio e quindi la richiesta della Procura federale di esame nel merito del deferimento da parte dell’adìta Corte dovrà essere in ogni caso respinta».

Trascritte, ad ogni buon conto, «a mero scopo esaustivo», le argomentazioni svolte nel merito nella memoria difensiva di primo grado, il resistente sig. Fazio conclude chiedendo respingersi il ricorso della Procura federale, confermarsi la validità della decisione impugnata e solo in subordine, «in denegata ipotesi», rimettersi gli atti al TFN per «un nuovo esame nel merito prosciogliendo in ogni caso il sig. Fazio Pasquale Daniele dagli addebiti contestati».

- Anche il sig. Mattia Evangelista, come assistito e difeso dagli avv.ti Chiacchio, Fiorillo e Cozzone, ha svolto proprie controdeduzioni, ritenendo il gravame «palesemente pretestuoso ed infondato», inidoneo «a scalfire il granitico e solidissimo impianto motivazionale elaborato dai Giudici di prime cure a supporto della emanata decisione».

«A fronte di argomentazioni tanto lineari ed incisive», si legge nelle controdeduzioni, «basate su un sostrato normativo insuperabile e su un incidere scientifico e logico di rara efficacia,  le deduzioni ex adverso prospettate risultano a dir poco velleitarie ed evanescenti (anche se, in qualche tratto, apprezzabilmente suggestive), meritando, quindi, il più fermo ed incondizionato rigetto».

L’accoglimento del teorema accusatorio condurrebbe, secondo la prospettazione difensiva, ad «una conseguenza la più abnorme ed intollerabile possibile: tutti i termini riservati ai deferiti sarebbero perentori, mentre quelli previsti per la Procura federale in fase di indagine e di impulso dell’azione disciplinare sarebbero, invece, ordinatori!». Svolge, in tale direzione, il resistente, tutta una serie di acute considerazioni logico-sistematiche (il deferimento è esso stesso esercizio dell’azione disciplinare; anche nella fase antecedente alla notifica del deferimento, i termini sono certamente perentori).

Qualifica, poi, del tutto “singolare” e “fantasiosa” l’ulteriore argomentazione utilizzata dalla Procura federale che fonda la non perentorietà del termine di cui trattasi sulla preesistenza della norma di cui all’art. 38, comma 6, CGS.

Ragioni logiche, oltre che positive e di ordine sistematico, inducono, poi, ad avviso del resistente Evangelista, a considerare perentorio il termine de quo: «L’improcedibilità od irricevibilità del deferimento, dunque, viene dichiarata solo quando siano infruttuosamente spirati entrambi i margini temporali in questione: il che appare quanto mai comprensibile e ragionevole, atteso che l’inerzia e/o, comunque, il ritardo nell’esercizio dell’azione disciplinare, a questo punto dell’iter procedurale, non appaiono più giustificabili né procrastinabili (a meno di non voler ammettere la possibilità, sine die, per il requirente di proposizione del deferimento, in aperta e stridente antinomia con il dettato codicistico)».

Né alcuna «valenza ai fini del contendere può, parimenti, assumere la censura mossa dalla Procura in merito a presunti (insussistenti) contrasti tra il plesso normativo in analisi e quello, corrispondente, del codice di giustizia sportiva del Coni».

Un’ultima riflessione viene svolta in ordine al secondo motivo di gravame dell’appellante Procura, ritenuto, anch’esso, del tutto privo di fondamento: «invero, come già ampiamente enunciato nel corso del dibattimento di prime cure, l’ordinamento e la giustizia sportiva hanno, ormai da molto tempo, affrontato e risolto il problema relativo alla trattazione (necessariamente unitaria o meno) dei procedimenti contraddistinti da una pluralità di deferiti: e lo hanno fatto ammettendo la possibilità, in caso di inconvenienti afferenti al pieno esercizio del diritto di difesa e/od alla corretta instaurazione del contraddittorio (mancata notifica e/od eventuali irregolarità della comunicazione di conclusione delle indagini e/o dell’atto di deferimento, impossibilità per l’incolpato di presenziare al dibattimento perché sottoposto a misure restrittive della libertà personale, ecc.), di stralciare la posizione di tali soggetti, con prosecuzione del procedimento per gli altri deferiti».

«Una applicazione esasperata ed intransigente del principio di unitarietà dei procedimenti con più deferiti», prosegue il resistente, «sarebbe destinata a sfociare in una delle due seguenti situazioni (entrambe estremamente perniciose e destabilizzanti per l’intero ordinamento giuridico-sportivo): 1) in un giudizio con numerose parti, basterebbe l’irregolarità della notifica ad una sola di esse per provocare il rinvio della trattazione anche per tutte le altre, con il rischio di un differimento ad oltranza della discussione, sino alla inevitabile estinzione dello stesso; 2) ove, invece, al contrario, si reputasse doveroso procedere comunque al dibattimento, si verificherebbe l’intollerabile ed iniqua prosecuzione del procedimento medesimo nei confronti di chi non sia stato posto in condizione di difendersi, per non aver mai ricevuto uno o più degli atti introduttivi (c.c.i., deferimento, avviso di convocazione, ecc.)».

Conclude, quindi, il resistente Mattia Evangelista, per il rigetto del ricorso del Procuratore federale.

La decisione della CFA

All’udienza fissata, per il giorno 14 dicembre 2016, innanzi questa Corte federale di appello, riunita a sezioni unite, sono comparsi l’avv. Liberati, per la Procura federale e l’avv. Chiacchio per il proprio assistito, nonché per delega avv. Giotti.

I procuratori delle parti hanno illustrato le rispettive argomentazioni difensive, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

Dichiarato chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti

MOTIVI

La Corte, letto l’atto di appello, esaminati gli atti ufficiali, ritiene che il ricorso del Procuratore federale meriti accoglimento nei termini e per le ragioni che di seguito si precisano, non senza aver prima dato atto di aver letto con molta attenzione ed interesse le pregevoli argomentazioni difensive contenute nelle controdeduzioni dell’avv. Giotti, e degli avv.ti Chiacchio-Fiorillo-Cozzone. Tuttavia, le stesse, per quanto suggestive, non possono trovare condivisione.

Giusta quanto anticipato in narrativa, viene fatta oggetto di gravame la decisione del TFN pubblicata mediante comunicato ufficiale  n. 30/TFN del 3 novembre 2016 che  ha  dichiarato irricevibile il deferimento nei confronti dei sigg.riRispoli Vincenzo, Fazio Pasquale Daniele, Carminati De Oliveira Barros Raphael e Evangelista Mattia.

- Con un primo motivo di gravame la Procura federale ritiene erronea la decisione del Tribunale di prime cure laddove qualifica come perentorio il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, C.G.S..

Il motivo è fondato.

Ritiene questa Corte che il termine di cui trattasi non possa essere qualificato perentorio. Difetta, anzitutto, una specifica ed espressa disposizione normativa in tal senso. Una lettura sistematica delle norme federali in materia disciplinare, condotta alla luce delle previsioni del codice di rito civile, induce a ritenere che ai termini previsti per l’apertura e la conclusione del procedimento disciplinare può essere attribuita natura perentoria solo se e in quanto così siano espressamente qualificati dal legislatore federale o sia previsto uno specifico effetto sanzionatorio.

Occorre muovere dalla lettera della norma di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, già ricordata e che per facilità di lettura qui si riporta: «quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore Federale, entro venti giorni dalla conclusione delle indagini, informa l’interessato della intenzione di procedere al deferimento e gli elementi che la giustificano, assegnandogli un  termine  per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria». Prosegue, quindi, la norma: «qualora il Procuratore Federale ritenga di dover confermare la  propria intenzione, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio (…)».

Ora, non si può, anzitutto, che prendere atto del fatto, come già sopra osservato, che la norma non contiene una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio (la norma, peraltro, non senso significato, prevede, appunto, che il Procuratore “esercita” e non già “deve” esercitare l’azione disciplinare). È compito dell’interprete, dunque, qualificare il termine di cui trattasi.

E qui viene, appunto, in rilievo la disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS (“Tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”) invocata dai deferiti odierni appellati e richiamata dal Tribunale di prime cure a fondamento della propria decisione. Detta norma, si applicherebbe, questo, in sintesi, l’assunto anche al termine previsto dall’art. 32 ter, comma 4, CGS.

L’assunto non può essere condiviso.

Rimessa al legislatore federale ogni eventuale valutazione in ordine alla opportunità di un espresso e più chiaro coordinamento con la norma di cui all’art. 38, comma 6, CGS, ragioni di natura sistematica, in primo luogo, inducono, allo stato, ad escludere che la perentorietà del termine di cui trattasi possa desumersi dalla generale, quanto generica, indicazione contenuta nello stesso predetto art. 38 CGS. Non fosse altro che, diversamente opinando, non troverebbero spiegazione tutte quelle disposizioni disseminate nell’arco dell’intero codice di giustizia sportiva, che qualificano, appunto, come perentorio, un dato termine o sanzionano espressamente il mancato compimento di una data attività entro il termine assegnato.

 A  partire  da  quella  di  cui  all’art.  34  bis(rubricato  “Termini  di  estinzione  del  giudizio disciplinare e termini di durata degli altri giudizi”)

“1. Il termine per la pronuncia della decisione di primo grado è di novanta giorni dalla data di esercizio dell’azione disciplinare.

2. Il termine per la pronuncia della decisione di secondo grado è di sessanta giorni dalla data di proposizione del reclamo.

3. Se la decisione di merito è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso all’Organo giudicante di 2° grado o al Collegio di garanzia dello sport, il termine per la pronuncia nell’eventuale giudizio di rinvio è di sessanta giorni e decorre dalla data in cui vengono restituiti gli atti del procedimento al giudicante che deve pronunciarsi nel giudizio di rinvio.

4. Se i termini non sono osservati per ciascuno dei gradi di merito, il procedimento disciplinare è dichiarato estinto, anche d’ufficio, se l'incolpato non si oppone”.

Così, invece, l’art. 23, comma 2, CGS, in materia di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti: “… L’efficacia dell’accordo comporta, ad ogni effetto, la definizione del procedimento e di tutti i relativi gradi nei confronti del richiedente, salvo che non sia data completa esecuzione, nel termine perentorio di 30 giorni successivi alla pubblicazione della decisione, alle sanzioni pecuniarie contenute nel medesimo accordo”.

Nello stesso senso, l’art. 32 sexies CGS (intestato “Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione”): “… Decorso tale termine, in assenza di osservazioni, l’accordo acquista efficacia e comporta, in relazione ai fatti relativamente ai quali è stato convenuto, l’improponibilità assoluta della corrispondente azione disciplinare, salvo che non sia data completa esecuzione, nel termine perentorio di 30 giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo, alle sanzioni pecuniarie in esso contenute”.

Se ne ricava che quando il legislatore federale ha voluto considerare perentorio un dato termine lo ha fatto (in modo specifico) espressamente: o attraverso una formale qualificazione o per il tramite della previsione di una speciale conseguenza sanzionatoria per il caso di mancato compimento dell’attività processuale indicata nel termine assegnato.

Del resto, se l’art. 38, comma 6, CGS valesse effettivamente a qualificare come perentori tutti i termini del codice, le suddette menzionate espresse qualificazioni non troverebbero agevole spiegazione e rischierebbero di tradursi in una mera, inutiliter data, duplicazione della prima richiamata disposizione, già di per sé, secondo la prospettazione difensiva degli appellati resistenti, esaustiva e sufficiente.

Occorre, dunque, rinunciare ad ogni ipotesi di ricostruzione unitaria dei termini rinvenibili nei codici di giustizia sportiva Figc e Coni, avendo il legislatore sportivo previsto termini di diversa natura, ai quali ha ricollegato (o non), di volta in volta, conseguenze diverse in ordine all’inosservanza degli stessi. E, per quanto qui segnatamente interessa, in mancanza di una sanzione specifica e diretta da ricollegare al termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS allo stesso deve essere negata natura perentoria.

Sempre sul piano sistematico occorre, poi, considerare che la norma di cui all’art. 32 ter è inserita nel titolo III (“Organi della giustizia sportiva”), mentre quella di cui all’art. 38 è inserita nel titolo IV (“Norme generali del procedimento). Una siffatta collocazione sembra confortare  il convincimento di questo Collegio secondo cui il riferimento alla perentorietà, rinvenibile nella disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS, è effettuato ai termini indicati nello stesso art. 38 (primo tra tutti quello per la proposizione dei reclami e connessi adempimenti). Non a caso, del resto, la predetta norma è rubricata, appunto, “Termini dei procedimenti e modalità di comunicazione degli atti”.

Al più il riferimento alla perentorietà di cui trattasi, anche alla luce della predetta collocazione sistematica, può ritenersi effettuato ai termini indicati per lo svolgimento della fase processuale, ma non anche a quella procedimentale o propedeutica all’instaurazione della fase contenziosa vera e propria. Del resto, è proprio in questa fase che i principi del giusto processo e parità delle parti trovano la loro massima espressione ed attuazione. Pertanto, appare logico ritenere che il legislatore abbia generalmente inteso attribuire natura perentoria (solo) ai termini attraverso cui si snoda il processo e in ordine ai quali il mancato espletamento di una data attività processuale nel termine imposto è suscettibile di ledere ex se i diritti e le garanzie difensive dell’altra parte.

Anche sotto siffatto profilo, dunque, la lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, qui affermata, appare coerente con il sistema e non contrasta con la pronuncia n. 27/2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, richiamata dal Tribunale federale nazionale, considerato che l’organo di vertice della giustizia sportiva si è espresso, appunto, proprio sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare, termine che, non solo è riferito al processo e non già al procedimento istruttorio, ma è anche stabilito espressamente a pena di estinzione, come già, del resto, anche affermato da alcune recentissime decisioni di questa Corte.

In tale contesto complessivo di riferimento sistematico è, poi, possibile osservare che il pubblico ministero federale, i cui atti dotati di efficacia endoprocessuale esauriscono i loro effetti nella fase delle indagini preliminari, agisce come organo di investigazione caratterizzato da ampia libertà ed autonomia, seppur, ovviamente, nell’ambito del reticolato normativo dettato per tale fase.

Con riguardo, in particolare, ai tempi ed ai termini dell’attività istruttoria il legislatore della riforma del codice di giustizia sportiva ha indicato delle previsioni di massima volte a regolamentare, per quanto possibile e con efficacia essenzialmente ordinatoria, il susseguirsi delle attività tipiche della fase procedimentale, ferme fatte, ovviamente, le disposizioni dettate ai fini prescrizionali. Traspare, in modo chiaro, dalle suddette indicazioni normative, l’esigenza di una definizione della fase istruttoria preprocessuale in tempi ragionevolmente brevi, esigenza, questa, più volte, del resto, messa in evidenza dalla dottrina in materia e affermata dalla giurisprudenza sportiva. Non, dunque, una illimitata discrezionalità nella determinazione della durata delle indagini nella fase che precede il deferimento, ma una cadenza temporale ordinamentale affidata al prudente apprezzamento del Procuratore federale da “adeguare” al singolo procedimento istruttorio, in relazione alla complessità della fattispecie ed alle eventuali difficoltà delle acquisizioni probatorie e compatibilmente anche con le esigenze organizzative del suo Ufficio, non facilmente valutabili all’esterno.

Non ci si può, qui, esimere dall’evidenziare, seppur rapidamente ed in via incidentale, come il predetto termine di trenta giorni per l’esercizio dell’azione disciplinare dalla scadenza del termine a difesa assegnato dalla Procura si rivelerebbe, laddove ritenuto posto in modo perentorio, probabilmente inadeguato, specie laddove si tenga conto che nello stesso predetto termine la Procura federale dovrebbe esaminare le deduzioni dell’indagato, valutarne le argomentazioni difensive o sentire lo stesso in audizione (se richiesto), rivalutare il materiale probatorio acquisito alla luce delle prospettazioni difensive e delle indicazioni formulate dall’indagato medesimo. Per ciò che concerne, in particolare, l’audizione richiesta dall’interessato è possibile osservare come la stessa sia evidentemente volta a soddisfare esigenze istruttorie dell'indagato medesimo e non già a garantire  un  necessario  contraddittorio  preliminare  o  consentire  all’inquirente  di  acquisire (eventuali) ulteriori elementi a suo carico, per cui deve ritenersi che, laddove richiesta dal destinatario dell’invito a difendersi, l’audizione diventi un onere per la Procura federale.A tal proposito è bene rimarcare come la Procura federale, anche in sede di acquisizione ante causam di materiale istruttorio, agisce pur sempre nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale, avvalendosi di un regime probatorio che sposta al momento del processo le esigenze del contraddittorio pieno; regime, questo, non solo correlato a quella che è la natura stessa delle sue funzioni, ma anche non sovrapponibile agli schemi civilistici fondati sul principio dell’onere della prova piena da parte dell’attore, né a quelli penalistici volti ad anticipare alla fase del procedimento le garanzie tipiche della fase contenziosa piena.

Non occorre neppure trascurare di considerare, in questo ambito valutativo, che, come segnalato nell’atto di appello, laddove la notificazione sia eseguita a mezzo servizio postale, «la prova dell’avvenuta notifica, da rinvenirsi nell’avviso di ricevimento ovvero nella certificazione di compiuta giacenza apposta sul plico, nella maggior parte dei casi si acquisisce ben oltre la scadenza del termine di trenta giorni per promuovere il deferimento, sempre con la medesima conseguenza della improcedibilità, ove detto termine venisse ritenuto perentorio».

In altri termini, sotto questo angolo visuale, la perentorietà del termine di cui trattasi sembra in contrasto, non solo con il principio della obbligatorietà dell’azione disciplinare desumibile dallo stesso art. 32 ter CGS (azione, cioè, da esercitarsi obbligatoriamente in presenza di un minimo di fumus di fondatezza della fattispecie illecita accertata e di sufficienza di elementi probatori atti a sostenere l’accusa in giudizio), ma anche con lo stesso interesse dell’indagato, le cui garanzie difensive sarebbero frustrate laddove non si riconoscesse alla Procura federale la (concreta) possibilità di esaminare gli elementi e documenti a discarico dallo stesso offerti nella memoria difensiva o in sede di audizione, specie in procedimenti complessi, quali quelli, come il caso di specie, che coinvolgono un numero consistente di indagati, le cui posizioni si intrecciano e nelle quali, dunque, le deduzioni di uno possono anche influire sulla posizione di altro coindagato.

La lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, dunque, non incide in alcun modo sulle garanzie difensive dell’indagato. Anzi.

La previsione di una fase pre-processuale è volta, da un lato, a proteggere la funzione del pubblico ministero federale, nel senso di sollevarlo dal disagio di un deferimento in difetto di sufficienti elementi idonei a sostenere la responsabilità dell’incolpato, dall’altro, a garantire l’indagato di non essere portato a giudizio in ipotesi in cui non vi siano sufficienti elementi probatori da cui desumere la responsabilità dello stesso. Premesso che, considerata l'obbligatorietà e la irretrattabilità dell'azione di cui trattasi e vista l'indisponibilità del bene tutelato, quella della pubblica accusa federale deve considerarsi, con riferimento all’ordinamento sportivo nel cui ambito ci troviamo, quale azione iurispublici al pari dell'azione penale, il Procuratore federale deve, dunque, muoversi con equilibrio tra le opposte esigenze connesse, l’una, all’obbligo di richiedere l’accertamento della responsabilità dell’indagato l’altra, all’esigenza di non gravare inutilmente la posizione dell’indagato medesimo, portando fino al processo notizie di illecito che, all’esito dell’attività istruttoria, si rivelino prive di fondamento o, quantomeno, incapaci di reggere  al confronto contenzioso.

In tale direzione, non vi è dubbio che, pur essendo inconfutabile l'interesse dell’ordinamento federale al corretto esercizio della funzione inquirente e, quindi, della repressione delle condotte illecite, lo stesso non può, tuttavia, soverchiare l'interesse del tesserato a non sopportare l'onere di un processo manifestamente inutile. Da qui il necessario contemperamento delle due esigenze che vede il suo momento di maggior rilievo proprio nello spatiumdeliberandi esistente tra le difese presentate dall’indagato dopo l’avviso di conclusione delle indagini ed il concreto esercizio dell’azione disciplinare. Alla Procura federale, infatti, organo neutrale e indipendente, che agisce nell’interesse dell’ordinamento e a fini di giustizia, è demandata la ricerca delle prove tanto a carico, quanto a discarico.Del resto, nello svolgimento della sua autonoma e discrezionale attività di indagine, funzionalizzata alla verifica della non manifesta infondatezza dell'evento illecito di cui è venuto a conoscenza, il Procuratore federale è tenuto, al pari del Pubblico ministero penale, a svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore del presunto responsabile.

E l’importanza della decisione di archiviazione o di esercizio dell’azione disciplinare (deferimento  e  archiviazione  rappresentano,  in  alternativa,  l’effetto  ineludibile  del  carattere necessario dell’azione intestata alla Procura) che assumerà il Procuratore federale riveste ancora maggiore rilievo sol che si consideri come, nell’ordinamento sportivo, non è prevista una verifica sulle determinazioni, appunto, in ordine allo svolgimento dell'azione, da parte di un diverso organo di natura giurisdizionale, come accade, invece, nell’ambito dell’esercizio dell’azione penale.

È, dunque, interesse, per quanto detto, tanto dell’ordinamento, quanto dell’indagato, consentire che, in contesti procedimentali complessi e con più parti, quale quello oggetto del presente giudizio, la Procura federale possa disporre di un congruo spazio temporale al fine di verificare, alla luce, lo si ribadisce,  delle complessive argomentazioni difensive e della documentazione offerte dagli indagati, se sussistano effettivamente o meno quegli elementi probatori idonei a sostenere l’accusa in giudizio che lo stesso legislatore federale ha posto quale presupposto per l’esercizio dell’azione disciplinare.

Si osservi, più in generale, come il procedimento della Procura federale non rivesta di certo natura di procedimento amministrativo e, del pari, come non rivesta di certo natura giurisdizionale vera e propria. Pertanto, al procedimento istruttorio di cui trattasi, se non sono applicabili i principi fondamentali che oggi regolano l'esercizio della funzione amministrativa tipicamente intesa (a titolo esemplificativo, accesso e contraddittorio, se non nei limiti delle specifiche disposizioni federali), non sono neppure applicabili principi e regole tipiche della fase processuale in senso stretto intesa.

Si tratta, come detto, di una sequenza di attività successive legate da un ordine  logico  e funzionali al raggiungimento di un obiettivo (accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare di responsabilità). Fase, questa procedimentale-istruttoria collegata a quella (eventuale) successiva strutturata secondo le regole proprie di ogni processo, a cominciare da quella dell’assoluta parità delle parti e pienezza del contraddittorio. Un avvicinamento, dunque, per gradi al giudizio, attraverso fasi caretterizzate da esigenze diverse e discipinate da differenti regole.

Sotto diverso profilo, sia consentito anche osservare come l’affermazione della perentorietà del termine di cui si discute condurrebbe ad un esito abnorme (proscioglimento dell’indagato) in una fase che, come detto, non è neppure ancora quella cognitiva. L’indagato, in altri termini, ne trarrebbe un effetto sostanziale che andrebbe sicuramente al di là delle ragionevoli previsioni del sistema procedimentale nel cui ambito il termine di cui trattiamo è incardinato.La declaratoria di improcedibilità o irricevibilità, nella fattispecie, vestirebbe natura ed effetti di “proscioglimento”, a fronte, invece, della mera inosservanza di un termine, peraltro, come detto, di natura esclusivamente (pre-)processuale.

In tale direzione, in fattispecie, ovviamente, solo in parte assimilabile a quella che qui ci occupa, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in tema di verifiche tributarie, che «il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione» (Cassazione, sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17002). Analogamente, come detto, apparirebbe, francamente, eccessiva la sanzione della improcedibilità dell’azione disciplinare volta all’accertamento (ed alla eventuale conseguente condanna) dell’indagato per il solo superamento (di qualche giorno) di un termine, a fronte del disagio arrecato all’indagato medesimo dall’assoggettamento, per qualche giorno in più di quanto indicato nella previsione normativa, alla mera incertezza dell’esercizio o meno dell’azione disciplinare nei suoi confronti.

Richiamati i profili finalistici dell'azione di responsabilità disciplinare, comunque conformati, nei tratti essenziali, agli istituti civilistici, intesi a tutelare l'esigenza che l’adesione alla Federazione sia utilizzata per il raggiungimento di fini propri e non già per finalità illecite, unitamente con l'esigenza di sanzionare le condotte devianti dai fondamentali principi posti dall’ordinamento federale, occorre, ancora una volta, osservare come non sia prevista alcuna decadenza del potere del Procuratore federale di emettere l'atto di deferimento in giudizio per il mancato rispetto del termine di cui trattasi. Anzi, l'imposizione di un obbligo di alternativamente emettere l'atto di citazione o disporre l'archiviazione, ha fatto affermare a consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti, a proposito del procedimento erariale per certi versi assimilabile, sotto gli aspetti qui in rilievo, a quello disciplinare-sportivo, «che detto potere (rectius, obbligo) permane pur dopo la scadenza del termine, non  potendosi logicamente e sistematicamente ammettere che l'attività istruttoria del Procuratore regionale non abbia alcun esito né positivo né negativo» (Corte dei Conti, sezioni riunite, 9 marzo 2005, n. 1), per poi concludere che «gli effetti della mancata osservanza del termine ordinatorio vanno individuati di volta in volta in relazione alla natura dell'atto rispetto al quale il termine è stabilito, ovvero al mancato rispetto del termine fissato dal giudice nel provvedimento di proroga ovvero mediante il collegamento a termini fissati per altri atti connessi», con la inequivoca precisazione che, in ogni caso, «la pronuncia del giudice dovrà essere di natura meramente processuale, con esclusione di effetti diretti sul diritto sostanziale».

Del resto, non è casuale che l'ordinamento federale tenga ben distinti i termini di prescrizione e di decadenza dai termini procedimentali, come quello di trenta giorni per emettere l'atto di deferimento a giudizio, in quanto (solo) i primi, a differenza degli altri, operano sul piano del diritto sostanziale.

Posta dunque la natura procedimentale del termine di trenta giorni di cui trattasi deve escludersi che lo stesso abbia natura perentoria con effetti decadenziali. Di conseguenza, al suo mancato rispetto non può ricollegarsi l'effetto della improcedibilità della “intempestiva” citazione a giudizio. La ratio di tale conclusione è anche desumbile dalla semplice, quanto inequivoca, considerazione che, diversamente ragionando, l'azione della Procura federale sarebbe limitata e compressa da un ulteriore e ben più penalizzante limite (di natura decadenziale) rispetto a quello ben più lungo legato alla prescrizione, limite incompatibile con le prima ricordate finalità ordinamentali del giudizio di responsabilità disciplinare.

A tale conclusione non è di ostacolo il principio costituzionale di ragionevole durata  del processo, atteso che il diritto di accesso ai tribunali, previsto dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, con disposizione cui il giudice italiano deve dare applicazione a norma dell'art. 117 Cost., implica l'esigenza di evitare che un'interpretazione troppo formalistica delle regole di procedura dettate dalla disciplina nazionale impedisca l'esame nel merito dell’eventuale incolpazione (cfr. Cassazione, sez. VI, 8 maggio 2012, n. 7020).

In definitiva, questa Corte ritiene che il termine di cui trattasi possa essere qualificato come acceleratorio.

La necessità di definizione della fase preprocessuale riflette, infatti, non vi è dubbio, l’esigenza di tutela del soggetto sottoposto alle indagini volte all’accertamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità a vedere risolta una situazione di incertezza che incide sulla sua vita associativa e, sovente, anche di relazione, con un provvedimento di archiviazione oppure con il deferimento, provvedimento, questo, a partire dal quale le sue garanzie difensive trovano la massima espansione, in applicazione dei principi del giusto processo e di quello, in particolare, dell’accertamento della responsabilità nel contesto di un contraddittorio pieno, proprio della fase di cognizione.

Nel contempo, tuttavia, è chiara l’insistenza di altra esigenza, quella della repressione delle condotte che si pongano in contrasto con la nomativa federale, così come altrettanto chiaro l’interesse alla giustizia, in generale, ma anche nello specifico, essendo, come detto, interesse, appunto, non solo dell’ordinamento, ma anche del singolo indagato consentire una adeguata valutazione del complessivo materiale  istruttorio al fine della  adozione del provvedimento di archiviazione o di esercizio dell’azione disciplinare, onde evitare tanto un inutile dispendio di attività processuale, quanto un inutile onere ulteriore di difesa in capo all’indagato, nelle ipotesi in cui, all’esito delle rappresentazioni difensive dello stesso (o degli altri coindagati), possano ritenersi sussistenti gli elementi per escludere la responsabilità dell’indagato medesimo, o, comunque, insussistenti sufficienti elementi per sostenerne l’accusa in giudizio.

La sede è impropria per richiamare una seppur sintetica ricostruzione dottrinaria del termine processuale, ma non appare inutile, ai fini propri del presente giudizio, ricordare che nel nostro panorama giuridico il “termine” indica il periodo di tempo entro cui, secondo la disposizione di legge o il provvedimento del giudice, un determinato atto debba o possa essere compiuto, così divenendo,  il  termine  medesimo,  un  requisito  dell’atto  o  un  fatto  giuridico,  strutturalmente autonomo e caratterizzato da una propria efficacia (di tipo estintivo o meno a seconda della classificazione perentoria o ordinatoria allo stesso assegnata).

La locuzione “perentorio” conduce poi, attraverso un breve esame etimologico, alla perenzione, ossia a quel tipico effetto di cancellazione di quanto già realizzato. Insomma, il termine perentorio può essere inteso come quella condizione che, in caso di inosservanza dello stesso, conduce, come effetto ipso iure, alla decadenza del correlato diritto. Ecco perché dottrina e giurisprudenza definiscono come perentorio quel termine stabilito, appunto, a pena di decadenza.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare come i termini del procedimento disciplinare siano «da qualificarsi — di regola — ordinatori e non perentori, ad eccezione di quelli previsti per l'inizio e la conclusione del procedimento stesso nonché di quello massimo di 90 giorni che può intercorrere tra un atto e l'altro del procedimento. Più in generale, i termini del procedimento disciplinare devono intendersi ordinatori in tutti i casi in cui la fonte regolatrice del rapporto non commini — in caso dell'inosservanza degli stessi — effetti decadenziali, in relazione al principio sancito dall'art. 152 c.p.c.» (così, ad esempio, TAR Lazio, sez. I, 14 Febbraio 2012, n. 1491).

«Il carattere ordinatorio o perentorio dei termini stabiliti in materia di procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti discende dagli effetti che la fonte regolatrice del rapporto ricollega alla loro osservanza, tenuto conto che, in base al principio sancito dall'art. 152 c.p.c., i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori tranne che la legge stessa li dichiari perentori; per quanto riguarda le norme degli artt. 16 e 17, d.lg. 30 ottobre 1992 n. 449, esse hanno chiara natura ordinatoria non essendo prevista alcuna decadenza nell'ipotesi di loro inosservanza» (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2189).

Ne consegue che il mancato rispetto di un termine non perentorio non può determinare effetti invalidanti dei provvedimenti adottati (nel caso di specie, deferimento), fermo restando, peraltro, che «l’azione di responsabilità amministrativa può essere riproposta, salva la prescrizione quinquennale, per i medesimi fatti e nei confronti dei medesimi soggetti, anche dopo una pronuncia di inammissibilità dell'azione per il superamento del termine di proposizione dell'atto di citazione» (Corte dei Conti, sez. giurisd. Lazio, 6 marzo 2012, n. 270).

Analogamente, in materia tributaria si è osservato che «ogni decadenza non può che essere testuale, dovendo essere espressamente sancita dalla legge, ai sensi dell'art. 152 c.p.c., comma 2, sicchè, in mancanza di un'esplicita previsione, il termine normativamente stabilito per il compimento di un atto, ha efficacia meramente ordinatoria ed esortativa, ovverosia costituisce un invito a non indugiare, e l'atto può essere compiuto dall'interessato o dalla stessa Amministrazione fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto» (cfr. Cassazione, sez. tributaria, 8 maggio 2013, n. 10761; Cassazione, n. 12259 del 2010; Cassazione, sez. unite, n. 21498 del 2004).

In breve, mentre il termine perentorio è strettamente correlato alla decadenza, per quello ordinatorio il decorso del termine non spiega una incidenza sull’atto a quo, ma solo un effetto relativo su quello ad quem. La differenza tra termini perentori e ordinatori, allora, non risiede tanto nell’effetto della loro inosservanza, connaturata in entrambi i casi, ma nella modalità di realizzazione di tale effetto: ipso iure, in un caso; previa valutazione discrezionale del giudice, nell’altro.

In applicazione pratica di tali principi di autorevole elaborazione giurisprudenziale, dai quali questa Corte non intende discostarsi, deve concludersi che il termine in questione ha, come detto, natura sollecitatoria e non già perentoria. Si tratta, cioè, di un termine volto ad assicurare la speditezza dei corrispondenti itineraprocedimentali, ossia diretto ad imprimere un certo ritmo allo svolgimento del procedimento, in funzione di un equo contemperamento delle molteplici esigenze prima richiamate e di una celere definizione dei  procedimenti istruttori, tesi ad assicurare al giudizio, rapidamente, per quanto possibile, tesserati ritenuti responsabili di violazioni disciplinarmente rilevanti e, nel contempo, a scongiurare un inutile aggravio di attività processuale e di onere di difesa per l’indagato che, all’esito di una adeguata ponderazione del complessivo materiale istruttorio acquisito, risulti non imputabile della violazione in relazione alla quale è stato iscritto nell’apposito registro.

Pertanto, all’eventuale infruttuoso decorso del termine di cui trattasi l’ordinamento sportivo non assegna una specifica sanzione di decadenza o una data efficacia preclusiva, non avendo previsto la produzione di un determinato effetto giuridico con ricaduta sulla (inammissibilità della) instaurazione del giudizio.

Certo è, per contro, che la Procura federale è tenuta alla osservanza di detto termine, pur previsto dal sistema: disattendere il termine acceleratorio di cui trattasi (come nel caso di specie) per pochi giorni o in occasione di procedimenti complessi con molteplici indagati le cui condotte violative risultano tra loro intrecciate, è eccezione che l’ordinamento è in grado di assorbire e tollerare, alla luce delle specifiche variegate esigenze di cui si è detto; un sistematico mancato rispetto dello stesso predetto termine denoterebbe, invece, una insufficienza (per “definizione”, per così dire) del termine di cui trattasi oppure una disfunzione dell’organizzazione dell’attività investigativa, con la connessa esigenza di un eventualmente apposito esame e valutazione nelle opportune sedi istituzionali.

Sotto ulteriore profilo, diversamente ritenendo e considerando, quindi, perentori tutti i termini che regolano lo svolgimento della fase procedimentale, che precede, cioè, l’eventuale giudizio innanzi al giudice sportivo, si dovrebbe ritenere perentorio, a titolo meramente esemplificativo, anche quello di cui all’art. 32 quinquies, comma 4, CGS, che così recita: “Il Procuratore federale, concluse le indagini, se ritiene di non provvedere al deferimento, comunica entro dieci giorni il proprio intendimento di procedere all’archiviazione alla Procura generale dello sport. Ferme le attribuzioni di questa, dispone quindi l’archiviazione con determinazione succintamente motivata.”. Orbene, se il Procuratore federale non comunicasse il suo intendimento di archiviare entro cinque giorni ed il termine, per effetto del richiamo all’art. 38, comma 6, CGS, dovesse reputarsi perentorio, l’eventuale archiviazione successivamente disposta dovrebbe reputarsi inammissibile o la Procura decaduta da tale possibilità. Con la conseguenza che il Procuratore dovrebbe procedere necessariamente al deferimento, avendo consumato la possibilità di optare per l’archiviazione? Evidente, il paradosso, che smentice anche l’assunto secondo cui la perentorietà dei termini è posta a garanzia dell’indagato o dell’incolpato.

Ed allora, riepilogando, l’art. 32 ter, comma 4, CGS, non qualifica espressamente come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare (trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa assegnati dalla Procura federale con l’avviso di conclusione delle indagini). Occorre, pertanto, desumerne la natura in via necessariamente interpretativa. Orbene, in tale prospettiva occorre ricercare il il riferimento positivo, il dato normativo, nell’ambito, anzitutto, del codice di giustizia sportiva. In tale direzione, tuttavia, deve escludersi, per quanto detto, la possibilità di considerare perentorio detto termine in virtù del mero richiamo all’art. 38, comma 6,  CGS. Soccorre, allora, una interpretazione di tipo logico-sistematica che, come detto, sembra portare ad escludere la natura perentoria del termine di cui trattasi.

In breve, in difetto di qualificazione, da parte dell’ordinamento federale, della natura del termine de quo occorre riferirsi, per espresso disposto della norma di cui all’art. 1, comma 2, CGS, alle disposizioni del codice di giustizia sportiva del Coni. Così, infatti, recita la predetta norma: “Per tutto quanto non previsto dal presente Codice, si applicano le disposizioni del Codice della giustizia sportiva emanato dal CONI”.

Nel predetto codice Coni non vi è alcuna norma che qualifichi come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare entro i trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa di cui si è detto. Né, per inciso, risulta esservi una norma replica dell’art. 38, comma 6, CGS. Correttamente, a tal proposito, il Procuratore federale evidenzia come «dal che appare logico ricavare l’intenzione del legislatore del codice Coni di non stabilire la perentorietà di tale termine per la formulazione del deferimento, prevedendone una conseguenza specifica. Anche in tal ottica, quindi, non appare certo casuale che il codice di giustizia sportiva Figc abbia previsto delle conseguenze sanzionatorie soltanto con riferimento al mancato rispetto dei termini per la conclusione delle indagini (inutilizzabilità di quanto successivamente compiuto), di quelli per la proposizione dei reclami (inammissibilità, non impugnabilità delle decisioni) e di quelli per la pronuncia delle decisioni degli organi giudicanti (estinzione del procedimento disciplinare); non prevedendo, di contro, alcuna sanzione per il mancato rispetto dei termini per l’adozione della comunicazione di conclusione delle indagini e dell’atto di deferimento».

Non rimane, pertanto, che rifarsi alla disposizione di cui all’art. 2, comma 6, CGS Coni che prevede espressamente che “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”.

Per l’effetto del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni la disposizione di riferimento è, dunque, quella dettata dall’art. 152 c.p.c. (rubricato “Termini legali e termini giudiziari”), che così recita al comma 2: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

Detta disposizione reca un principio generale del nostro ordinamento giuridico (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 30 dicembre 2014, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3431), con la conseguenza che, non essendo dichiarato espressamente perentorio, tale non può essere considerato il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

È, infatti, principio generale dell’ordinamento giuridico quello secondo cui è  perentorio  il termine stabilito a pena di decadenza, inammissibilità, improcedibilità e tale è dichiarato dalla legge (o dal Giudice nei casi consentiti dalla legge medesima).Riprendendo un arresto giurisprudenziale, che questo Collegio condivide, «gli artt. 152 e 156 c.p.c., traducono principi generali applicabili a tutti i procedimenti salvo che per essi non sia diversamente disposto o che la norma generale non possa trovare applicazione per incompatibilità» (Cassazione, sez. V, 27 giugno 2011, n. 14020).

È vero che l’espressa qualificazione normativa può anche mancare, potendosi, la perentorietà di un termine, desumersi dallo scopo e dalla funzione che esso è chiamato a svolgere o dagli effetti riconnessi dalla legge al suo infruttuoso decorso (cfr. Corte Costituzionale, 1 aprile 2003, n. 107; Cassazione, 5 marzo 2004, n. 4530). In particolare, di recente la Suprema Corte, nella sentenza, resa a sezioni unite, 23 settembre 2014, n. 19980 (richiamata sia dall’accusa, che dalla difesa) ha affermato che la perentorietà può anche desumersi «dalla considerazione dello scopo» e «l’espressa qualificazione può anche risultare dal carattere del termine e, in particolare, dagli effetti che l’inutile decorso di esso produce secondo l’espressa sanzione normativa».

Orbene, a tal riguardo, il termine posto dall’art. 32 ter, comma 4, CGS, non è, come detto, espressamente qualificato come perentorio e detta sua asserita natura non è desumibile da altri indici, quali l’espressa previsione di una data conseguenza sanzionatoria. Nel caso di specie, insomma, difetta tanto la formale qualificazione, quanto il riferimento ad un espresso effetto sanzionatorio: c’è la norma-precetto, manca la norma-sanzione.

Tutte le suesposte considerazioni conducono questa Corte ad escludere che il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, in rilievo nel presente giudizio, abbia natura perentoria. Con la conseguenza, dunque, che l’inosservanza dello stesso, nei termini e nei limiti sopra precisati, non comporta l’improcedibilità o irricevibilità del deferimento emesso oltre lo stesso.

Con il secondo mezzo di doglianza la Procura federale censura, comunque, la decisione di prime cure nella parte in cui ritiene che il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare decorra, per ciascun deferito, dal momento di comunicazione allo stesso dell’avviso di conclusione delle indagini.

Anche questo motivo è fondato.

La disposizione normativa in materia fa riferimento alla “scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria”, disciplinando, con ogni evidenza, l’ipotesi di procedimento disciplinare aperto nei confronti di un solo indagato. Difetta, invece, una esplicita disciplina per l’ipotesi del procedimento con pluralità di indagati, con la conseguenza che occorre desumere la stessa in via interpretativa. Ritiene questo Collegio che, ai sensi del combinato disposto delle norme, già sopra richiamate, di cui all’art. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni la regolamentazione della fattispecie di cui trattasi deve essere rintracciata nel codice di rito civile.

Orbene, detto impianto codicistico (e, segnatamente, per quanto qui rileva, le norme di cui agli artt. 165, comma 2, 347 e 369, comma 1, c.p.c.) prevede, appunto, che il termine decorra dall’ultima delle notifiche effettuate. In particolare, recita l’art. 165, comma 2, c.p.c., “se la citazione è notificata a più persone, l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione”. Detta norma, nel disporre che “l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione”, «non soltanto precisa che, in tal caso, si verifica una protrazione delle formalità, di cui la costituzione dell'attore si compone; ma è altrettanto significativo del fatto che il differimento di questa modalità implica anche il logico differimento del termine stesso di costituzione a decorrere dall'ultima notificazione» (Cassazione, 18 gennaio 2001, n. 718).

Tesi, questa, inaugurata da Cassazione 6 novembre 1958, n. 3601, secondo cui l'art. 165, comma 2, c.p.c. nell'affermare che “se la citazione è notificata a più persone l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione”, intendeva differire non solo tale formalità, ma anche i termini per la costituzione dell'attore e, senza dubbio, più convincente, anche per le ragioni di seguito meglio precisate.

Non è, anzitutto, consentito all’interprete ritenere che l’art. 165, comma 1, c.p.c. permetta di affermare che, nel caso di più notificazioni, il dies a quo deve essere individuato nella prima notificazione. Anzi, il comma 2 della medesima disposizione, con gli incisi “se la notificazione è notificata a più persone” e “dall’ultima notificazione” sembra imporre, più che suggerire, all’interprete di cristallizare il dies a quo dall’ultima delle notifiche, e non già dalla prima.

Si aggiunga che, in sede processuale di valutazione degli atti, occorre privilegiare la sostanza sulla forma e, dunque, ritenere valido l’atto nei casi in cui abbia raggiunto il suo scopo e sia funzionale alle esigenze allo stesso sottese.

Tale ricostruzione ermeneutica appare anche in linea con evidenti ragioni di logica-giuridica e di economia processuale. Diversamente opinando, del resto, se anche nel processo pluriparte il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare dovesse farsi decorrere dal primo avviso di comunicazione di conclusione delle indagini, ne conseguirebbe un effetto, per certi versi, paradossale, che imporrebbe alla Procura federale di emettere tanti deferimenti per quanti sono gli indagati da mandare a processo. Conclusione, questa, che, nel contempo, risulterebbe sia irragionevole, sia contraria tanto all’interesse di ciascun incolpato, quanto all’interesse superiore della giustizia ed al principio di economia del giudizio.

È, infatti, di certo, interesse dell’ordinamento federale esaminare in un unico giudizio, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare personale di ciascuno, il complessivo materiale probatorio acquisito dagli inquirenti e che inevitabilmente, sebbene in parte, intreccia o può intrecciare le posizioni di tutti i soggetti deferiti o di alcuni di essi. Nel caso di istruttoria unica si realizza una connessione soggettiva e oggettiva delle vicende, dei fatti, delle condotte e delle circostanze che coinvolgono i singoli soggetti sottoposti al procedimento: unico (o, comunque, comune a più deferiti), dunque, il materiale istruttorio, unitario e congiunto è opportuno che sia l’esame dello stesso e delle singole posizioni disciplinari dedotte in giudizio. Ciò non significa, come già più volte affermato dalla giurisprudenza endofedereale, che singole posizioni, per ragioni eccezionali o, comunque, particolari, possano (o debbano) essere stralciate: ma non occorre sovrapporre eccezione e regola.

Nello stesso tempo, non nutre alcun dubbio, questa Corte, che è anche interesse degli incolpati poter esaminare, in modo integrale, le emergenze probatorie complessivamente acquisite dalla Procura e di quelle offerte a discarico da ciascun incolpato, unitamente alle argomentazioni difensive degli stessi, al fine di potersi difendere da tutti gli elementi che potenzialmente possono incidere sfavorevolmente in ordine all’accertamento della responsabilità dello stesso e, contemporaneamente, desumere dal predetto materiale eventuali utili elementi a discarico.

Senza dire, ancora, che, fino alla scadenza dell’ultimo termine a difesa assegnato agli indagati, l’organo inquirente potrebbe acquisire documenti, elementi e argomentazioni difensive di un indagato che potrebbero rivelarsi utili anche per la posizione di altro o altri coindagati, tanto da poter anche giungere, in ipotesi, all’archiviazione dell’azione nei confronti dello stesso o di alcuni degli indagati.

Né possono, a supporto della tesi contraria, essere richiamate generiche esigenze di celerità dei procedimenti e di rapida celebrazione dei processi, essendo evidente che, laddove si ritenesse che il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare decorra dalla notifica dell’anzidetta comunicazione a ciascun indagato, ne deriverebbe una moltiplicazione dei giudizi, con un inutile e diseconomico dispendio di attività giudiziaria e con connesso inevitabile rallentamento della celebrazione dei processi e dell’accertamento delle responsabilità di ciascuno.

In altri termini, l’instaurazione di diversi autonomi processi, con riferimento a fattispecie complesse, specie se con molteplici tesserati coinvolti, produrrebbe una proliferazione di procedimenti, che rallenterebbero, anziché accelerare, il corso della giustizia sportiva, con evidente vulnus al principio di economia processuale e potenziale lesione del principio di efficienza dell’azione disciplinare e celerità dei procedimenti, cui tutto l’ordinamento sportivo è informato.

E, ancora, non si può neppure affermare che, così argomentando, si lascerebbe l’indagato alla mercè di una valutazione meramente discrezionale dell’organo inquirente, atteso che, in ogni caso, a garantire tempi certi per la definizione del procedimento disciplinare, vi è, appunto, il termine per la decisione di primo grado che deve, comunque, intervenire, a pena di estinzione, come noto, entro novanta giorni dal deferimento a giudizio.

Del resto, occorre anche considerare che quello della notificazione è un procedimento e, come tale, deve essere considerato unitario, una sequela di atti tra loro correlati. Se, dunque, il procedimento di notificazione è unitario, non sembra possibile immaginare una formazione progressiva della fattispecie rappresentata dalla finalità dello stesso, costituito dalla rituale instaurazione del giudizio.

Anche l'interpretazione finalistica della norma,  dunque, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie e delle specifiche (sopra in sintesi ricordate) molteplici esigenze del procedimento disciplinare sportivo depone nel senso di ancorare all’ultima notificazione la decorrenza del termine per la concreta emissione dell’atto di deferimento.

Una siffatta interpretazione non lede né il principio della durata ragionevole del processo, nè il diritto di difesa delle parti. D’altronde, la soluzione qui accolta è comunque idonea ad assicurare i principi inderogabili del contraddittorio, ex art. 101 c.p.c. ed art. 24 Cost. Anzi, a ben vedere, realizza un equo contemperamento delle molteplici esigenze che insistono sulla fattispecie, oltre che degli interessi della parte pubblica (accusa federale) e di quelle private. La decorrenza del termine dall’ultima notifica appare anche più funzionale, per quanto già osservato, al complessivo esercizio del diritto di difesa di ognuno dei deferiti, oltre che alle esigenze di economia processuale.

Da ultimo, ritiene questa Corte, inconferente il richiamo effettuato alla decisione n. 58 del 2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, secondo cui i termini per il valido esercizio dell’azione disciplinare decorrerebbero dalla prima notifica. Invero, la fattispecie oggetto del giudizio che ha trovato, poi, esito nella predetta decisione è del tutto differente da quella che costituisce oggetto del presente giudizio disciplinare. Il Collegio di Garanzia ha, infatti, affermato il principio secondo cui, nel caso di reiterazione di un deferimento, in origine viziato, il termine di estinzione (novanta giorni) del giudizio di primo grado decorre non già dal deferimento validamente effettuato, ma dal primo seppur invalidamente emesso o per qualche ragione non efficace.

Ciò premesso e ritenuto, constatato che dalla documentazione in atti appare dimostrato che l’ultima notifica della comunicazione di conclusione delle indagini è stata effettuata al sig. Mattia Evangelista in data 14 luglio 2016 e che, dunque, anche laddove ritenuto – il termine di cui trattasi – perentorio, lo stesso sarebbe venuto a scadenza il giorno 12 settembre 2016, l’atto di deferimento nei confronti dei sigg.ri Rispoli Vincenzo, Fazio Pasquale Daniele, Carminati De Oliveira Barros Raphael e Evangelista Mattia risulta tempestivamente proposto.

Per inciso, si rileva che, come correttamente evidenziato dalla Procura federale, il deferimento nei confronti del sig. Mattia Evangelista sarebbe stato comunque tempestivo, essendo stato effettuato in data 9 settembre 2016, dopo l’avviso di conclusione indagini comunicato il 14 luglio 2016.

In conclusione, il Tribunale, all’esito di una ricostruzione interpretativa di sicuro pregio, ma, tuttavia, non condivisibile, ha erroneamente dichiarato la irricevibilità del deferimento. Il termine di cui trattasi, stabilito dall’art. 32 ter, comma 4, CGS non può, infatti, essere qualificato come perentorio e, ad ogni buon conto, anche laddove lo stesso predetto termine potesse essere considerato perentorio, l’azione disciplinare sarebbe stata, nel caso di specie, tempestivamente ed utilmente esercitata, mediante deferimento emesso nel termine indicato dalla norma che deve ritenersi decorrere dall’ultima notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini, trattandosi di fattispecie complessa e con più parti.

Per quanto sopra deve ritenersi assorbita ogni questione in ordine alla rilevabilità (o meno) d’ufficio della improcedibilità / irricevibilità dell’atto di deferimento.

Per questi motivi la C.F.A., accoglie il ricorso come sopra proposto dal Procuratore Federale e in parziale riforma della decisione impugnata, vista la disposizione di cui all’art. 37, comma 4, ultimo periodo, C.G.S., annulla la predetta decisione nella parte in cui dichiara irricevibile il deferimento nei confronti del sig. Rispoli Vincenzo e dei calciatori Fazio Pasquale Daniele, Carminati Olivera Barros Raphael e Evangelista Mattia, rinviando al Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - per il relativo esame di merito.

 

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