F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2016/2017 – figc.it – atto non ufficiale – C. U. n. 102/CFA del 07 Febbraio 2017 (motivazioni) – C. U. n. 080/CFA del 14 Dicembre 2016 (dispositivo) RICORSO PROCURATORE FEDERALE AVVERSO LA DECLARATORIA DI IMPROCEDIBILITÀ DEL DEFERIMENTO NEI CONFRONTI DEI SIGG.: PETRUCCI RICCARDO, ALL’EPOCA DEI FATTI ALLENATORE DELLA SOCIETÀ A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7, COMMI 1, 2 E 6 C.G.S., CALIDONNA SALVATORE MAURIZIO, ALL’EPOCA DEI FATTI DIRETTORE GENERALE DELLA SOCIETÀ A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7, COMMI 1, 2 E 6 C.G.S., MAZZEI ANTONIO DETTO “BOBO”, ALL’EPOCA DEI FATTI DIRETTORE SPORTIVO DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., PIEMONTESE FRANCESCO, ALL’EPOCA DEI FATTI CALCIATORE DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., CARBONE GIUSEPPE, ALL’EPOCA DEI FATTI PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., SALERNO ROSARIO, ALL’EPOCA DEI FATTI ALLENATORE DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMA 7 C.G.S., GALANTUCCI ALESSIO, ALL’EPOCA DEI FATTI CALCIATORE DELLA SOCIETÀ A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., E DELLE SOCIETÀ: A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA EX ART. 7 COMMA 2 E 4 COMMA 2 C.G.S., U.S. PALMESE A.S.D., A TITOLO DI RESPONSABILITÀ DIRETTA ED OGGETTIVA EX ART. 7 COMMA 2 E 4 COMMI 1 E 2 C.G.S., A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO, A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA EX ART. 7 COMMA 2 E 4 COMMA 2 C.G.S., U.S. SCALEA 1912, A TITOLO DI RESPONSABILITÀ PRESUNTA EX ART. 4 COMMA 5 C.G.S., SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO – NOTA N.1466/859TER PF14-15 SP/GB DELL’1.8.2016 (Delibera del Tribunale Federale Territoriale presso C.R. Calabria – Com. Uff. n. 45 del 24.10.2016)

RICORSO PROCURATORE FEDERALE   AVVERSO LA DECLARATORIA DI IMPROCEDIBILITÀ DEL DEFERIMENTO NEI CONFRONTI DEI SIGG.: PETRUCCI RICCARDO, ALL'EPOCA DEI FATTI ALLENATORE DELLA SOCIETÀ A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7, COMMI 1, 2 E 6 C.G.S., CALIDONNA SALVATORE MAURIZIO, ALL'EPOCA DEI FATTI DIRETTORE GENERALE DELLA SOCIETÀ A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7, COMMI 1, 2 E 6 C.G.S., MAZZEI ANTONIO DETTO "BOBO", ALL'EPOCA DEI FATTI DIRETTORE SPORTIVO DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., PIEMONTESE FRANCESCO, ALL'EPOCA DEI FATTI CALCIATORE DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., CARBONE GIUSEPPE, ALL'EPOCA DEI FATTI PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., SALERNO ROSARIO, ALL'EPOCA DEI FATTI ALLENATORE DELLA SOCIETÀ U.S. PALMESE A.S.D., PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMA 7 C.G.S., GALANTUCCI ALESSIO, ALL'EPOCA DEI FATTI CALCIATORE DELLA SOCIETÀ A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI 1 E 2 C.G.S., E DELLE SOCIETÀ: A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA EX ART. 7 COMMA 2 E 4 COMMA 2 C.G.S., U.S. PALMESE   A.S.D.,    A TITOLO DI RESPONSABILITÀ DIRETTA ED OGGETTIVA EX ART. 7 COMMA 2 E 4 COMMI 1 E 2 C.G.S., A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO, A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA EX ART. 7 COMMA 2 E 4 COMMA 2 C.G.S., U.S. SCALEA 1912, A TITOLO  DI RESPONSABILITÀ PRESUNTA EX ART. 4 COMMA 5 C.G.S., SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO –                NOTA    N.1466/859TER  PF14-15 SP/GB DELL’1.8.2016  (Delibera del Tribunale Federale Territoriale presso C.R. Calabria - Com. Uff. n. 45 del 24.10.2016)

Il deferimento della Procura federale

Con provvedimento in data 1 agosto 2016 la Procura federale ha deferito dinanzi al Tribunale federale territoriale c/o il Comitato regionale Calabria:

- PETRUCCI RICCARDO, all’epoca dei fatti allenatore della società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923;

- CALIDONNA SALVATORE MAURIZIO, all’epoca dei fatti direttore generale della società SAMBIASE LAMEZIA 1923;

- MAZZEI ANTONIO detto “BOBO”, all’epoca dei fatti direttore sportivo della società U.S. PALMESE A.S.D.;

- PIEMONTESE FRANCESCO, all’epoca dei fatti calciatore della società U.S. PALMESE A.S.D.;

- CARBONE GIUSEPPE, all’epoca dei fatti presidente della società U.S. PALMESE A.S.D.;

- SALERNO ROSARIO, all’epoca dei fatti allenatore della società U.S. PALMESE A.S.D.;

- GALANTUCCI ALESSIO, all’epoca dei fatti calciatore del società A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO;

- la società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923;

- la società U.S. PALMESE A.S.D.;

- la società A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO;

- la società U.S. SCALEA 1912; per rispondere:

- PETRUCCI RICCARDO, CALIDONNA SALVATORE MAURIZIO,MAZZEI ANTONIO detto“BOBO”,  PIEMONTESE  FRANCESCO,  CARBONE  GIUSEPPE,per  la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, CGS, per avere prima della gara PAOLANA - PALMESE del 29.03.2015, valevole per il campionato di Eccellenza Calabria, in concorso tra loro e con altri soggetti non tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta, affinché la stessa terminasse con il pareggio, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato. In particolare:

» PETRUCCI RICCARDO, CALIDONNA SALVATORE e MAZZEI ANTONIO, per aver

concordato con il presidente della società PALMESE, CARBONE GIUSEPPE, anche attraverso la mediazione del calciatore PIEMONTESE FRANCESCO, di operare per l'alterazione del risultato della gara Paolana – Palmese del 29/03/2015, affinché l'incontro terminasse con un risultato di pareggio, accordo poi non rispettato dagli esponenti della società PALMESE;

» PIEMONTESE FRANCESCO, inoltre, per aver operato direttamente per l'alterazione del risultato della gara attraverso la propria prestazione sportiva nel corso della stessa.

Con l'aggravante per PETRUCCI e CALIDONNA di cui  all’art. 7, comma 6, CGS, della pluralità di illeciti commessi rispetto ad altri fatti costituenti illecito sportivo oggetto di contestazione nell’ambito del presente procedimento disciplinare;

- SALERNO ROSARIO, per la violazione dell’art. 7, comma 7, CGS, per avere violato il dovere di informare senza indugio la Procura federale della FIGC, omettendo di denunciare l'accordo di alterazione del risultato della gara PAOLANA - PALMESE del 29.03.2015, valevole per il campionato di Eccellenza Calabria;

- la società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell'art. 7, comma 2, e dell'art. 4, comma 2, CGS in ordine agli addebiti contestati ai propri tesserati PETRUCCI e CALIDONNA, con l'aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità degli illeciti posti in essere dagli stessi;

- la società U.S. PALMESE A.S.D.:

a) a titolo di responsabilità diretta ai sensi dell’art. 7, comma 2, e dell’art. 4, comma 1, CGS, in ordine agli addebiti contestati al proprio legale rappresentante, CARBONE;

b) a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, comma 2, e dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati ai propri tesserati PIEMONTESE, SALERNO e MAZZEI.

- PETRUCCI RICCARDO, CALIDONNA SALVATORE MAURIZIO, e GALANTUCCI ALESSIO, per la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, CGS, per avere, prima della gara CASTROVILLARI - SCALEA del 29.03.2015 valevole per il campionato Eccellenza Calabria, in concorso tra loro e con altri soggetti non tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta affinché la stessa terminasse con la vittoria della squadra ospite, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato poi effettivamente raggiunto.

Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS, per tutti dell’effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara nonché del vantaggio in classifica conseguito, nonchè ancora per PETRUCCI e CALIDONNA della pluralità di illeciti commessi rispetto ad altri fatti costituenti illecito sportivo oggetto di contestazione nell’ambito del presente procedimento disciplinare;

- la società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell'art. 7, comma 2, e dell'art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati ai propri tesserati PETRUCCI e CALIDONNA, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS della pluralità degli illeciti dagli stessi posti in essere, nonchè dell’effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara e del vantaggio in classifica conseguito;

- la società A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO, a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'art. 4, comma 2, CGS per gli addebiti contestati al proprio tesserato GALANTUCCI;

- la società U.S. SCALEA 1912, a titolo di responsabilità presunta, ai sensi dell’art. 4, comma 5, CGS, per l’illecito sportivo commesso a proprio vantaggio da persone a essa estranee, come sopra specificato, in occasione della gara CASTROVILLARI - SCALEA del 29.03.2015.

Il giudizio di primo grado e la decisione del TFN

Si legge nella decisione del TFT Calabria, impugnata dalla Procura federale:

«Il procedimento disciplinare trae origine dal procedimento penale pendente innanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro - D.D.A. (n. 1110/2009 R.G.N.R.), riguardante numerosi soggetti operanti sul territorio nazionale e internazionale, con finalità di condizionare i risultati di partite di calcio dei campionati organizzati dalle leghe professionistiche e dilettantistiche, per conseguire indebiti vantaggi economici, anche mediante scommesse sui risultati alterati delle partite medesime.

In particolare, nell’ambito del procedimento nr. 859pf14-15 (instaurato sulla base della documentazione pervenuta dalla A.G.O. di Catanzaro), la Procura Federale provvedeva a stralciare alcune posizioni relative alle gare di Eccellenza Calabria Paolana – Palmese e Castrovillari – Scalea (ma recte: Palmese – Paolana e Scalea – Castrovillari), entrambe disputate il 29.03.2015, su presupposto dell'asserita sussistenza di un quadro probatorio completamente autonomo e distinto rispetto a tutti gli altri incontri trattati nell’ambito del procedimento nr. 859pf14-15, con conseguente apertura del procedimento nr. 859Terpf14-15, al quale veniva acquisita copia degli atti relativi alle predette gare.

Sicché, emesso avviso di conclusione delle indagini in data 3 maggio 2016, la Procura Federale provvedeva al deferimento dei soggetti indicati in epigrafe con atto dell'1.8.2016.

Nei termini consentiti dalla normativa federale hanno fatto pervenire memorie Petrucci Riccardo, Calidonna Salvatore Maurizio, Salerno Rosario, Galantucci Alessio, Mazzei Antonio, Carbone Giuseppe e le Società l'U.S.D.Scalea 1912, l'A.S-D. Castrovillari Calcio e l'U.S. Palmese 1912.

Alla riunione del 18.10.2016 è comparso il rappresentante della Procura Federale, avv. Nicola Monaco, il quale, contrastando ogni avversa eccezione e difesa e insistendo per l'affermazione di responsabilità di tutti i deferiti, ha formulato le seguenti richieste sanzionatorie:

1. a PETRUCCI Riccardo: squalifica dì 4 anni e mesi sei e ammenda di Euro 70.000,00;

2. a CALIDONNA Salvatore Maurizio: inibizione di 5 anni e ammenda di € 80.000,00;

3. a MAZZEI Antonio: inibizione di 4 anni e ammenda di € 60.000,00;

4. a PIEMONTESE Francesco: squalifica di 3 anni e ammenda di € 50.000,00;

5. a CARBONE Giuseppe: inibizione di 5 anni, preclusione e ammenda di € 70.000,00;

6. a SALERNO Rosario: squalifica di mesi 6 e ammenda di € 30.000,00;

7. a GALANTUCCI Alessio: squalifica di 3 anni e 6 mesi e ammenda di € 60.000,00;

8. alla Società U.S. PALMESE ASD: esclusione dal campionato di competenza stagione sportiva 2016/17 con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria inferiore per l'illecito sportivo e ammenda di € 300,00 per l'omessa denuncia di illecito sportivo;

9. alla Società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923: penalizzazione di 4 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2016/2017;

10. alla Società A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO: penalizzazione di 3 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2016/2017;

11. alla Società U.S. SCALEA 1912: penalizzazione di 1 punto in classifica da scontare nella stagione sportiva 2016/2017.

Sono comparsi, anche:

- l'avv. Valentina Falvo, per Calidonna Salvatore Maurizio;

- Bonaccorso Giovanni, vice presidente della U.S. Palmese ASD e delegato anche di Carbone Giuseppe, assente;

- gli avv.ti Piero Perri e Giuseppe Perri per Galantucci Alessio, presente personalmente;

- l'avv. Renzo Andricciola, per Mazzei Antonio;

- l'avv. Gianluca Bonofiglio, per Petrucci Riccardo, presente personalmente;

- l'avv. Giancarlo Pittelli, per Piemontese Francesco, presente personalmente;

- gli avv.ti Edoardo Chiacchio e Annalisa Rosetti, per Salerno Rosario, presente personalmente;

- gli avv.ti Romano Gentile e Massimiliano Carnovale, e Guadagnolo Francesco, presidente, per la ASD Sambiase Lamezia 1923;

- l'avv. Riccardo Rosa e Giuseppe Agostini, presidente, per ASD Castrovillari Calcio;

- il dott. Giancarlo Formica, Presidente della U.S. Scalea 1912.

Tutti i soggetti comparsi si sono associati alla preliminare e pregiudiziale eccezione di improcedibilità dell'azione disciplinare sollevata per primo dall'avv. Edoardo Chiacchio nell'interesse di Salerno Rosario, con le memorie del 12.10.2016 (e di cui si dirà meglio nella parte motiva del presente provvedimento), e, nel merito, hanno concluso per il proscioglimento dagli addebiti rispettivamente contestati.

Con le memorie del 12.10.2016, Salerno Rosario ha eccepito, in via preliminare e pregiudiziale, l'improcedibilità del  deferimento per avere la Procura Federale esercitato  l'azione disciplinare successivamente al termine di giorni trenta dalla scadenza del termine per l'audizione o per la presentazione di memorie comunicato dalla comunicazione di conclusione delle indagini, in violazione dell'art. 32 ter, comma 4, C.G.S.

Alla predetta eccezione di improcedibilità, si sono associati tutte le parti comparse. Ritiene il Tribunale che l'eccezione sia fondata.

Invero, l'art. 32 ter, comma 4, C.G.S. dispone: “Quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore federale, entro venti giorni dalla conclusione delle indagini, informa l’interessato della intenzione di procedere al deferimento e gli elementi che la giustificano, assegnandogli un termine per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria. In caso di impedimento dell’incolpando che abbia richiesto di essere sentito, o dei suoi difensori, il Procuratore federale assegna un termine di due giorni per presentare una memoria sostitutiva. Qualora il Procuratore federale ritenga di dover confermare la propria intenzione, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio comunicato all’incolpato e all’organo di giustizia competente, al Presidente Federale, nonché in caso di deferimento di società, alla Lega, al Comitato, alla Divisione e al Settore di appartenenza.

Nell’atto di deferimento sono descritti i fatti che si assumono accaduti, enunciate le norme che si assumono violate e indicate le fonti di prova acquisite, ed è formulata la richiesta di fissazione del procedimento disciplinare”.

Tale disposizione deve essere letta in connessione all'art. 38, comma 6, C.G.S., a mente del quale “Tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”.

Invero il procedimento disciplinare soggiace a una serie di limiti posti a tutela dei tesserati e dell'intero sistema che devono essere necessariamente rispettati.

Detti limiti si sostanziano in un duplice ordine di requisiti.

Da un lato vi sono i requisiti sostanziali che si concretizzano nell’imputabilità e sussistenza del fatto e nell’adeguatezza della sanzione, dall’altro invece sono posti i requisiti procedimentali che concernono la pubblicità del codice di giustizia, la predeterminazione delle sanzioni irrogabili e le modalità attraverso le quali le stesse devono essere irrogate.

Secondo i principi generali è perentorio il termine che impone il compimento di un atto entro un determinato momento a pena di decadenza.

La perentorietà deve risultare espressamente dalla legge.

Nella specie, la data esatta di notifica (ossia la data in cui la comunicazione di conclusioni indagini è pervenuta agli incolpati) non è stata dimostrata dalla Procura Federale che, ai fini della trasmissione, ha utilizzato il corriere espresso o il fax.

Deve, però, ragionevolmente presumersi che le notifiche siano giunte agli incolpati, al più tardi, nei giorni immediatamente successivi al 3 maggio 2016, data dell'atto di comunicazioni di conclusioni delle indagini.

Il deferimento è stato notificato con atto recante la data del 1° agosto 2016, e quindi - con certezza - successivamente al termine di giorni 30 previsto dal citato articolo 32 ter, comma 6, C.G.S.

La circostanza, del resto, non è contestata ed è anzi ammessa dalla Procura, che ha sostenuto e argomentato circa l'ordinarietà dei termini in questione.

Il Tribunale non ignora che, secondo una certa interpretazione, il mancato rispetto dei termini non  possa  condurre  alla  declaratoria  di  improcedibilità  del  deferimento,  sul  presupposto  che l'assenza di una specifica previsione sanzionatoria di decadenza renda il termine ordinatorio e comporti esclusivamente l'inutilizzaibilità degli atti di indagine compiuti dopo la sua scadenza, con salvezza dell'azione disciplinare fin quando la stessa non sia prescritta (in tal senso cfr: T.N.F. n. 242 in C.U. n. 6/CNF – Sezione Disciplinare).

A parere di questo organo giudicante, tale interpretazione non è, però condivisibile.

Invero siffatta argomentazione varrebbe solo nel caso in cui la normativa non qualificasse il termine come perentorio o ordinatorio.

In tal caso, secondo l'orientamento dottrinario in materia, dovrebbero - infatti - considerarsi ordinatori i termini per l’emanazione di atti favorevoli, mentre andrebbero considerati perentori quelli previsti per gli atti a carattere sanzionatorio.

E pertanto nel caso in cui il termine non sia espresso come perentorio o ordinatorio, la sua qualificazione dipenderebbe dall’esistenza (id est: dalla previsione) o meno  di  sanzioni decadenziali.

Nel caso di specie, invece, il problema circa la qualificazione del termine non si pone, avendo (come detto) l'art. 38, comma 6, del C.G.S. attribuito perentorietà a tutti i termini previsti nel Codice.

Con la inequivocabile conseguenza che il mancato compimento dell'atto o dell'attività entro il termine (perentoriamente) previsto ne comporta la decadenza.

A sostegno di tale indirizzo giurisprudenziale milita, oltre a precedenti specifici (cfr. T.N.F. n. 38 in C.U. n. 19/CNF – Sezione Disciplinare), la stessa interpretazione del Collegio di Garanzia del CONI secondo cui: “Nessun dubbio può esservi, allora, circa la perentorietà dei termini come innanzi stabiliti, anche considerando come gli stessi risultino essere in perfetta armonia con i principi generali della Giustizia Sportiva che prevedono, espressamente, la massima restrizione dei tempi per la risoluzione delle controversie sportive, dovendosi la giurisdizione armonizzare all'incalzare di qualificazioni, tornei, campionati, ecc....” (Decisione n. 27/2016).

Risulterebbe, infatti, incompatibile con la normativa di settore e con le esigenze di celerità connesse all'intero sistema federale, un procedimento disciplinare che (pur anche nei limiti della prescrizione) dovesse essere d'incerto avvio e, conseguentemente, d'incerta conclusione, con il fondato rischio di compromettere la regolarità dei tornei, oltre che la posizione dei tesserati in seno alla Federazione».

Per questi motivi, dunque, il Tribunale federale territoriale c/o il Comitato regionale Calabria ha dichiarato improcedibile il deferimento nei confronti di PETRUCCI Riccardo, CALIDONNA Salvatore Maurizio, MAZZEI Antonio, PIEMONTESE Francesco, CARBONE Giuseppe, SALERNO Rosario, GALANTUCCI Alessio, e delle Società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, U.S. PALMESE A.S.D., A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO e U.S. SCALEA 1912.

Il ricorso del Procuratore Federale

Avverso la predetta decisione, pubblicata sul C.U. n. 45 del 24 ottobre 2016, ha proposto ricorsoil Procuratore federale.

- Con un primo motivo d’appello la Procura federale censura l’assunto sul quale poggia la decisione impugnata e, cioè, che il termine previsto dall’art. 32 ter, comma 4, del codice di giustizia sportiva, indicato da tale norma in trenta giorni dalla scadenza del termine a difesa assegnato con la comunicazione di chiusura delle indagini, sia da considerarsi perentorio.

Si evidenzia, in tal ottica, nel ricorso, come il termine previsto dall’art. 32 ter CGS non possa qualificarsi in alcun modo come perentorio. Del resto, sottolinea, come «sul punto lo stesso Tribunale Federale Nazionale si è già espresso in precedenza con decisione CU 2/TFN dell’1.7.2016, con la quale, a seguito dell’eccezione di improcedibilità formulata dal deferito ex art. 32 ter CGS, si è statuito che il termine indicato da tale norma deve intendersi ordinatorio e non perentorio.

La correttezza di tale precedente pronuncia del Tribunale sull’argomento trova conferma nel principio pacifico di diritto generale, secondo cui nessun termine può essere considerato perentorio in assenza di specifica previsione da parte della legge di tale sua peculiare e senza altrettanto espressa indicazione di sanzione».

Richiama, sotto tale profilo, la pubblica accusa federale, «il disposto di cui all’art. 152, comma 2, c.p.c., applicabile al procedimento sportivo in virtù di quanto previsto dall’art. 2 del Codice di Giustizia Sportiva del C.O.N.I., che prevede espressamente: “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

Ciò posto e considerato che l’art. 32 ter, comma 4, del Codice di Giustizia Sportiva non contiene riferimento di sorta, nemmeno indiretto, alla perentorietà del termine appena citato, è evidente che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale Federale nella decisione oggi impugnata è erronea».

Tanto è vero quanto sopra, sottolinea, l’organo ricorrente, che il Giudice di prime cure è costretto, per fondare la propria decisione sulla perentorietà del termine, a fare riferimento alla ulteriore norma di cui all’art. 38, comma 6, CGS. Richiamo, questo, reputato, tuttavia, infondato, per tutta una serie di ragioni sviluppate nell’atto di appello.

Evidenzia, poi, la ricorrente Procura federale come il codice di giustizia sportiva del Coni, «entrato in vigore nell’agosto 2014, pur presentando una norma esattamente identica, per formuazione, a quella contenuta nell’art. 32 ter comma 4, del CGS (la quale ultima costituisce evidente attuazione del principio stabilito con la corrispondente norma del codice Coni), non ha, invece, previsto una norma analoga a quella di cui all’art. 38, comma 6, del codice di giustizia sportiva della Figc, secondo la quale ultima “tutti i termini previsti dal presente codice sono perentori”, dal che appare logico ricavare l’intenzione del legislatore del codice Coni di non stabilire la perentorietà di tale termine per la formulazione del deferimento, prevedendone una conseguenza specifica».

Ad avviso della reclamante Procura, poi, deve «essere riconosciuta la portata generale del principio di tassatività delle cause di improcedibilità, per cui l’assenza di una previsione nell’ordinamento federale che riconduca espressamente tale conseguenza al tardivo compimento dell’atto di deferimento, è preclusiva della possibilità di operare una valutazione in tal ultimo senso, tanto più che, in ambito processuale, sono, comunque, da evitarsi interpretazioni meramente formalistiche».

Secondo parte appellante, da ultimo, il richiamo operato dal giudice di primo grado ad una pronuncia del Collegio di Garanzia del Coni (decisione n. 27/2016 – prima sezione) è oggettivamente inconferente, atteso che in detta decisione il Collegio si è espresso sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare; fattispecie che per espressa previsisionecodicistica è sottoposta ad un termine perentorio, ma che nulla ha a che vedere con la diversa regolamentazione delle fasi di proposizione dell’azione disciplinare e, pertanto, del deferimento.

- Con un secondo motivo di gravame il ricorrente Procuratore federale censura la decisione del TFN in punto individuazione del momento dal quale inizia a decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione del deferimento.

«Nella pronuncia gravata», si argomenta in ricorso, «è dato leggere che tale termine decorrerebbe per ciascun deferito dal momento di comunicazione allo stesso della comunicazione di conclusioni delle indagini». Orbene, secondo l’appellante Procura federale non sarebbe così, essendo la proposizione del deferimento del 1 agosto 2016, in realtà, assolutamente tempestiva, in quanto l’ultima notifica della comunicazione di conclusione delle indagini si è perfezionata in data 3.6.2016, «nei confronti della società Sambiase Lamezia 1923, e, posto che il termine concesso a difesa, fissato in giorni trenta, scadeva il 3/07/2016, il deferimento è stato correttamente notificato il giorno 1/08/2016, ovverossia nei trenta giorni successivi alla scadenza del detto termine difensivo». A tal proposito, evidenzia la Procura federale, «con riguardo alla società in questione, la comunicazione di chiusura delle indagini del 3/05/2016 veniva dapprima indirizzata al recapito fax risultante dal sistema informativo federale AS400 e, a fronte di esito negativo, veniva effettuata all’indirizzo per la corrispondenza ivi indicato. Presso quest’ultimo recapito la società risultava sconosciuta e la notifica, pertanto, non si perfezionava» e, di conseguenza, preso atto «dell’esito negativo della predetta notificazione il 31/05/2016 (data in cui perveniva l’attestazione negativa del Corriere)» la Procura «provvedeva immediatamente alla rinnovazione della comunicazione in data 3/06/2016 presso il medesimo recapito fax al quale aveva indirizzato la prima notificazione, in quanto risultante anche dal foglio di censimento nel frattempo pervenuto, e la trasmissione, in questo caso, andava a buon fine lo stesso giorno 3/06/2016, come risulta dal rapporto fax depositato in atti».

Anche in questo caso, tuttavia, secondo la reclamante Procura federale, il Giudice di prime cure avrebbe attribuito  alla  norma  una  portata  che  il  dato letterale  della  stessa  pacificamente  non possiede.

«Il dettato normativo posto a base della decisione gravata, infatti, prevede espressamente che il termine per la proposizione del deferimento decorra “dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria”.

Nessuna indicazione, pertanto, che possa far ritenere la decorrenza del termine correlata alla posizione di ogni singolo deferito.

Non solo.

Se si accedesse a tale ragionamento, si perverrebbe alla conseguenza – aberrante – che nel caso di deferimento con pluralità di soggetti, quale quello in esame, per ciascun deferito decorrerebbe un termine diverso in correlazione al momento nel quale lo stesso ha ricevuto la comunicazione di conclusione delle indagini».

Ancor prima che sul piano logico, poi, tale conclusione, sempre a dire della Procura federale, contrasterebbe anche con il dato sistematico cui è informato il codice di giustizia sportiva.

In assenza di un criterio sicuro per individuare la decorrenza del termine, per principio generale del processo sportivo dovrebbe farsi riferimento ai principi ed alle norme generali del processo civile, secondo cui, appunto, in tutte le ipotesi di adempimento susseguente alla notificazione di un atto, il relativo termine decorre dall’ultima delle notifiche effettuate e giammai per ogni singolo soggetto dal momento di ricezione dell’atto da parte dello stesso. «Chiarissime sul punto, in particolare, sono tutte le norme relative all’iscrizione a ruolo dei giudizi e degli appelli, che prevedono tutte indistintamente la decorrenza del termine dall’ultima notificazione (cfr. artt. 165, comma 2, 347 e 369, comma 1, c.p.c.)».

Ritiene, poi, il Procuratore federale, «che l’interpretazione della norma adottata dal Giudice di primo grado, oltre ad essere del tutto irragionevole sul piano sistematico, avrebbe delle conseguenze pregiudizievoli sull’efficacia dell’azione disciplinare e sull’economicità del giudizio da parte degli organi di giustizia sportiva.

Il procedimento disciplinare, infatti, è unico (gli atti di indagine, la CCI) e, come tale, anche nei casi di più incolpati, l’atto di deferimento è unico ed i termini processuali previsti dall’art. 32 ter C.G.S. (30 giorni) non possono che decorrere dalla scadenza dell’ultimo termine a difesa e non già, come sostenuto dal Tribunale, con scansioni temporali differenti per ciascun avvisato.

L’eventuale trattazione delle varie posizioni dei soggetti deferiti nell’ambito di un procedimento, pertanto, non può che essere unitaria, perchè l’istruttoria è unica e dunque si  determina una connessione soggettiva e oggettiva dei fatti che coinvolgono i singoli soggetti sottoposti al procedimento.

Fino alla scadenza dell’ultimo termine a difesa, poi, la Procura potrebbe acquisire documenti, memorie o elementi rappresentati nelle eventuali audizioni post CCI che potrebbero incidere, a favore o a sfavore, sulla posizione di tutti gli avvisati, ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare. La Procura, pertanto, potrebbe addirittura valutare di archiviare alcune posizioni, alla luce delle difese di altri soggetti coinvolti nel procedimento e destinatari di comunicazione di conclusione delle indagini.

Il ritenere la decorrenza del termine correlata alla precedente ricezione della comunicazione di conclusione indagini per ciascuna singola posizione, infatti, comporterebbe la necessità, in caso di procedimenti complessi quale quello in esame, di procedere con cadenza diversa al deferimento di singoli soggetti, con la conseguenza che l’organo giudicante, da un lato, e lo stesso deferito, dall’altro, vedrebbero irrimediabilmente pregiudicata la possibilità di avere la piena cognizione su tutti i fatti e posizioni riguardanti una medesima fattispecie; tanto con la concreta possibilità di insorgenza di contrasti di giudicati.

Tutto ciò senza contare, poi, che la promozione di autonomi procedimenti disciplinari con riguardo a posizioni riguardanti la medesima fattispecie complessiva comporterebbe un  grave vulnus al principio di economia processuale e, non da ultimo, un proliferare di procedimenti diversi che rallenterebbero il corso della giustizia sportiva, con buona pace del principio di efficienza e celerità dell’azione disciplinare, cui tutto il sistema giustiziale sportivo è rivolto».

Da ultimo, il Procuratore federale sottolinea come una ritenuta eventuale diversa decorrenza del termine per ogni singolo soggetto potrebbe comportare «il rischio concreto di premiare azioni strumentali da parte dei deferiti; ritardare la ricezione della comunicazione di conclusione delle indagini, infatti, potrebbe costituire per ogni singolo incolpato un espediente per vedere la propria posizione separata dal confronto e dal dibattimento contestuale con gli altri incolpati, con possibilità di definizione di linee difensive strumentali all’esito del giudizio sulle condotte di altri soggetti coinvolti nella medesima fattispecie». Sotto tale profilo, pertanto, il Procuratore federale ritiene che la lettura della norma fornita dal TFN, oltre che avulsa dal dato letterale della stessa ed estranea ai principi generali, è anche evidentemente irragionevole e potenzialmente lesiva degli interessi perseguiti dal sistema della giustizia sportiva federale.

Per quanto attiene al merito delle incolpazioni di cui all’atto di deferimento, «anche in ossequio al principio devolutivo dell’appello», la Procura federale richiama integralmente quanto motivato nello stesso predetto atto di deferimento, «atteso il suo mancato esame da parte del Giudice di primo grado».

Conclude, infine, il Procuratore federale, chiedendo che l’adìta CFA, in riforma della decisione del TFT, di cui al C.U. n. 45 del 24.10.2016 del Comitato regionale Calabria, in relazione alle violazioni contestate nell’atto di deferimento del 1.8.2016, sopra ricordate, voglia rinviare gli atti al Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Calabria della LND, affinchè esamini le posizioni degli incolpati e si pronunci sul merito in relazione a quanto contestato a tutti i soggetti deferiti. Infine, l’appellante Procura federale, chiede che, nell’ipotesi in cui la Corte adìta ritenga pronunciare nel merito, «voglia affermare la responsabilità di tutti i deferiti, per quanto a essi rispettivamente ascritto con l’atto di deferimento (…) comminando le sanzioni richieste da questo Ufficio, nei loro confronti, dinanzi al Giudice di primo grado, ovvero le sanzioni ritenute di giustizia».

Le controdeduzioni

Il sig. Giuseppe Carbone e la società ASD US Palmese, per il tramite dei propri difensori di fiducia, avv.ti Annalisa Roseti ed Eduardo Chiacchio, hanno presentato, con atti separati, ma sostanzialmente sovrapponibili nel contenuto, memorie a difesa, chiedendo che, «riconosciute la validità e la legittimità delle argomentazioni delineate in narrativa», sia rigettato «il ricorso proposto dal Procuratore federale, perché palesemente pretestuoso ed infondato in fatto come in diritto, con pedissequa conferma della impugnata delibera di primo grado».

L’accoglimento del teorema accusatorio condurrebbe, secondo la prospettazione difensiva, ad una conseguenza ingiusta, intollerabile. Svolgono, in tale direzione, i predetti resistenti, tutta una serie di acute considerazioni logico-sistematiche (il deferimento è esso stesso esercizio dell’azione disciplinare; anche nella fase antecedente alla notifica del deferimento, i termini sono certamente perentori; la previsione di cui trattasi mal si concilia con la tese dell’ordinarietà dei termini).

Qualifica, poi, del tutto “singolare” e “fantasiosa” l’ulteriore argomentazione utilizzata dalla Procura federale che fonda la non perentorietà del termine di cui trattasi sulla preesistenza della norma di cui all’art. 38, comma 6, CGS.

Ragioni logiche, oltre che positive e di ordine sistematico, inducono, poi, ad avviso dei resistenti, a considerare perentorio il termine de quo: «L’improcedibilità od irricevibilità del deferimento, dunque, viene dichiarata solo quando siano infruttuosamente spirati entrambi i margini temporali in questione: il che appare quanto mai comprensibile e ragionevole, atteso che l’inerzia e/o, comunque, il ritardo nell’esercizio dell’azione disciplinare, a questo punto dell’iter procedurale, non appaiono più giustificabili né procrastinabili (a meno di non voler ammettere la possibilità, sine die, per il requirente di proposizione del deferimento, in aperta e stridente antinomia con il dettato codicistico)».

Né alcuna «valenza ai fini del contendere può, parimenti, assumere la censura mossa dalla Procura in merito a presunti (insussistenti) contrasti tra il plesso normativo in analisi e quello, corrispondente, del codice di giustizia sportiva del Coni».

Un’ultima riflessione viene svolta in ordine al secondo motivo di gravame dell’appellante Procura, ritenuto, anch’esso, del tutto privo di fondamento: «invero, come già ampiamente enunciato nel corso del dibattimento di prime cure, l’ordinamento e la giustizia sportiva hanno, ormai da molto tempo, affrontato e risolto il problema relativo alla trattazione (necessariamente unitaria o meno) dei procedimenti contraddistinti da una pluralità di deferiti: e lo hanno fatto ammettendo la possibilità, in caso di inconvenienti afferenti al pieno esercizio del diritto di difesa e/od alla corretta instaurazione del contraddittorio (mancata notifica e/od eventuali irregolarità della comunicazione di conclusione delle indagini e/o dell’atto di deferimento, impossibilità per l’incolpato di presenziare al dibattimento perché sottoposto a misure restrittive della libertà personale, ecc.), di stralciare la posizione di tali soggetti, con prosecuzione del procedimento per gli altri deferiti».

«Una applicazione esasperata ed intransigente del principio di unitarietà dei procedimenti con più deferiti», prosegue il resistente, «sarebbe destinata a sfociare in una delle due seguenti situazioni (entrambe estremamente perniciose e destabilizzanti per l’intero ordinamento giuridico-sportivo): 1) in un giudizio con numerose parti, basterebbe l’irregolarità della notifica ad una sola di esse per provocare il rinvio della trattazione anche per tutte le altre, con il rischio di un differimento ad oltranza della discussione, sino alla inevitabile estinzione dello stesso; 2) ove, invece, al contrario, si reputasse doveroso procedere comunque al dibattimento, si verificherebbe l’intollerabile ed iniqua prosecuzione del procedimento medesimo nei confronti di chi non sia stato posto in condizione di difendersi, per non aver mai ricevuto uno o più degli atti introduttivi (c.c.i., deferimento, avviso di convocazione, ecc.)».

Concludono, quindi, i predetti resistenti, per il rigetto del ricorso del Procuratore federale.

La decisione della CFA

All’udienza fissata, per il giorno 14 dicembre 2016, innanzi questa Corte federale di appello, riunita a sezioni unite, sono comparsi:

- l’avv. Liberati, in rappresentanza della Procura federale;

 -l’avv.Chiacchio per Palmese e Giuseppe Carbone, nonché, per delega avv. Bonfiglio, per Riccardo Petrucci;

- l’avv. Bencardino, per delega avv. Rosa, per Castrovillari;

- i sigg.ri Salerno Rosario e Mazzei Antonio, personalmente.

Udite le illustrazioni difensive ed annotate le rispettive conclusioni delle parti, la Corte ha dichiarato chiuso il dibattimento, ritirandosi in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti

MOTIVI

Giusta quanto anticipato in narrativa, viene fatta oggetto di gravame la decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Campania della LND pubblicata mediante comunicato ufficiale n. 45 del 24 ottobre 2016 che ha dichiarato improcedibile il deferimento nei confronti di PETRUCCI Riccardo, CALIDONNA Salvatore Maurizio, MAZZEI Antonio, PIEMONTESE Francesco, CARBONE Giuseppe, SALERNO Rosario, GALANTUCCI Alessio, nonchè delle società A.S.D. SAMBIASE LAMEZIA 1923, U.S. PALMESE A.S.D., A.S.D. CASTROVILLARI CALCIO e U.S. SCALEA 1912.

- Con un primo motivo di gravame la Procura federale ritiene erronea la decisione del Tribunale di prime cure laddove qualifica come perentorio il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

Il motivo è fondato.

Ritiene questa Corte che il termine di cui trattasi non possa essere qualificato perentorio. Difetta, anzitutto, una specifica ed espressa disposizione normativa in tal senso. Una lettura sistematica delle norme federali in materia disciplinare, condotta alla luce delle previsioni del codice di rito civile, induce a ritenere che ai termini previsti per l’apertura e la conclusione del procedimento disciplinare può essere attribuita natura perentoria solo se e in quanto così siano espressamente qualificati dal legislatore federale o sia previsto uno specifico effetto sanzionatorio.

Occorre muovere dalla lettera della norma di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, già ricordata e che per facilità di lettura qui si riporta: «quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore Federale, entro venti giorni dalla conclusione delle indagini, informa l’interessato della intenzione di procedere al deferimento e gli elementi che la giustificano, assegnandogli un  termine  per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria». Prosegue, quindi, la norma: «qualora il Procuratore Federale ritenga di dover confermare la  propria intenzione, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio (…)».

Ora, non si può, anzitutto, che prendere atto del fatto, come già sopra osservato, che la norma non contiene una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio (la norma, peraltro, non senso significato, prevede, appunto, che il Procuratore “esercita” e non già “deve” esercitare l’azione disciplinare). È compito dell’interprete, dunque, qualificare il termine di cui trattasi.

E qui viene, appunto, in rilievo la disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS (“Tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”) invocata dai deferiti odierni appellati e richiamata dal Tribunale di prime cure a fondamento della propria decisione. Detta norma, si applicherebbe, questo, in sintesi, l’assunto anche al termine previsto dall’art. 32 ter, comma 4, CGS. L’assunto non può essere condiviso.

Rimessa al legislatore federale ogni eventuale valutazione in ordine alla opportunità di un espresso e più chiaro coordinamento con la norma di cui all’art. 38, comma 6, CGS, ragioni di natura sistematica, in primo luogo, inducono, allo stato, ad escludere che la perentorietà del termine di cui trattasi possa desumersi dalla generale, quanto generica, indicazione contenuta nello stesso predetto art. 38 CGS. Non fosse altro che, diversamente opinando, non troverebbero spiegazione tutte quelle disposizioni disseminate nell’arco dell’intero codice di giustizia sportiva, che qualificano, appunto, come perentorio, un dato termine o sanzionano espressamente il mancato compimento di una data attività entro il termine assegnato.

A  partire  da  quella  di  cui  all’art.  34  bis (rubricato  “Termini  di  estinzione  del  giudizio disciplinare e termini di durata degli altri giudizi”):

1. Il termine per la pronuncia della decisione di primo grado è di novanta giorni dalla data di esercizio dell’azione disciplinare.

2. Il termine per la pronuncia della decisione di secondo grado è di sessanta giorni dalla data di proposizione del reclamo.

3. Se la decisione di merito è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso all’Organo giudicante di 2° grado o al Collegio di garanzia dello sport, il termine per la pronuncia nell’eventuale giudizio di rinvio è di sessanta giorni e decorre dalla data in cui vengono restituiti gli atti del procedimento al giudicante che deve pronunciarsi nel giudizio di rinvio.

4. Se i termini non sono osservati per ciascuno dei gradi di merito, il procedimento disciplinare è dichiarato estinto, anche d’ufficio, se l'incolpato non si oppone”.

Così, invece, l’art. 23, comma 2, CGS, in materia di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti: “… L’efficacia dell’accordo comporta, ad ogni effetto, la definizione del procedimento e di tutti i relativi gradi nei confronti del richiedente, salvo che non sia data completa esecuzione, nel termine perentorio di 30 giorni successivi alla pubblicazione della decisione, alle sanzioni pecuniarie contenute nel medesimo accordo”.

Nello stesso senso, l’art. 32 sexies CGS (intestato “Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione”): “… Decorso tale termine, in assenza di osservazioni, l’accordo acquista efficacia e comporta, in relazione ai fatti relativamente ai quali è stato convenuto, l’improponibilità assoluta della corrispondente azione disciplinare, salvo che non sia data completa esecuzione, nel termine perentorio di 30 giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo, alle sanzioni pecuniarie in esso contenute”.

Se ne ricava che quando il legislatore federale ha voluto considerare perentorio un dato termine lo ha fatto (in modo specifico) espressamente: o attraverso una formale qualificazione o per il tramite della previsione di una speciale conseguenza sanzionatoria per il caso di mancato compimento dell’attività processuale indicata nel termine assegnato.

Del resto, se l’art. 38, comma 6, CGS valesse effettivamente a qualificare come perentori tutti i termini del codice, le suddette menzionate espresse qualificazioni non troverebbero agevole spiegazione e rischierebbero di tradursi in una mera, inutiliter data, duplicazione della prima richiamata disposizione, già di per sé, secondo la prospettazione difensiva degli appellati resistenti, esaustiva e sufficiente.

Occorre, dunque, rinunciare ad ogni ipotesi di ricostruzione unitaria dei termini rinvenibili nei codici di giustizia sportiva Figc e Coni, avendo il legislatore sportivo previsto termini di diversa natura, ai quali ha ricollegato (o non), di volta in volta, conseguenze diverse in ordine all’inosservanza degli stessi. E, per quanto qui segnatamente interessa, in mancanza di una sanzione specifica e diretta da ricollegare al termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS allo stesso deve essere negata natura perentoria.

Sempre sul piano sistematico occorre, poi, considerare che la norma di cui all’art. 32 ter è inserita nel titolo III (“Organi della giustizia sportiva”), mentre quella di cui all’art. 38 è inserita nel titolo IV (“Norme generali del procedimento). Una siffatta collocazione sembra confortare  il convincimento di questo Collegio secondo cui il riferimento alla perentorietà, rinvenibile nella disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS, è effettuato ai termini indicati nello stesso art. 38 (primo tra tutti quello per la proposizione dei reclami e connessi adempimenti).

Non a caso, del resto, la predetta norma è rubricata, appunto, “Termini dei procedimenti e modalità di comunicazione degli atti”.

Al più il riferimento alla perentorietà di cui trattasi, anche alla luce della predetta collocazione sistematica, può ritenersi effettuato ai termini indicati per lo svolgimento della fase processuale, ma non anche a quella procedimentale o propedeutica all’instaurazione della fase contenziosa vera e propria. Del resto, è proprio in questa fase che i principi del giusto processo e parità delle parti trovano la loro massima espressione ed attuazione. Pertanto, appare logico ritenere che il legislatore abbia generalmente inteso attribuire natura perentoria (solo) ai termini attraverso cui si snoda il processo e in ordine ai quali il mancato espletamento di una data attività processuale nel termine imposto è suscettibile di ledere ex se i diritti e le garanzie difensive dell’altra parte.

Anche sotto siffatto profilo, dunque, la lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, qui affermata, appare coerente con il sistema e non contrasta con la pronuncia n. 27/2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, richiamata dal Tribunale federale nazionale, considerato che l’organo di vertice della giustizia sportiva si è espresso, appunto, proprio sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare, termine che, non solo è riferito al processo e non già al procedimento istruttorio, ma è anche stabilito espressamente a pena di estinzione, come già, del resto, anche affermato da alcune recentissime decisioni di questa Corte.

In tale contesto complessivo di riferimento sistematico è, poi, possibile osservare che il pubblico ministero federale, i cui atti dotati di efficacia endoprocessuale esauriscono i loro effetti nella fase delle indagini preliminari, agisce come organo di investigazione caratterizzato da ampia libertà ed autonomia, seppur, ovviamente, nell’ambito del reticolato normativo dettato per tale fase.

Con riguardo, in particolare, ai tempi ed ai termini dell’attività istruttoria il legislatore della riforma del codice di giustizia sportiva ha indicato delle previsioni di massima volte a regolamentare, per quanto possibile e con efficacia essenzialmente ordinatoria, il susseguirsi delle attività tipiche della fase procedimentale, ferme fatte, ovviamente, le disposizioni dettate ai fini prescrizionali. Traspare, in modo chiaro, dalle suddette indicazioni normative, l’esigenza di una definizione della fase istruttoria preprocessuale in tempi ragionevolmente brevi, esigenza, questa, più volte, del resto, messa in evidenza dalla dottrina in materia e affermata dalla giurisprudenza sportiva. Non, dunque, una illimitata discrezionalità nella determinazione della durata delle indagini nella fase che precede il deferimento, ma una cadenza temporale ordinamentale affidata al prudente apprezzamento del Procuratore federale da “adeguare” al singolo procedimento istruttorio, in relazione alla complessità della fattispecie ed alle eventuali difficoltà delle acquisizioni probatorie e compatibilmente anche con le esigenze organizzative del suo Ufficio, non facilmente valutabili all’esterno.

Non ci si può, qui, esimere dall’evidenziare, seppur rapidamente ed in via incidentale, come il predetto termine di trenta giorni per l’esercizio dell’azione disciplinare dalla scadenza del termine a difesa assegnato dalla Procura si rivelerebbe, laddove ritenuto posto in modo perentorio, probabilmente inadeguato, specie laddove si tenga conto che nello stesso predetto termine la Procura federale dovrebbe esaminare le deduzioni dell’indagato, valutarne le argomentazioni difensive o sentire lo stesso in audizione (se richiesto), rivalutare il materiale probatorio acquisito alla luce delle prospettazioni difensive e delle indicazioni formulate dall’indagato medesimo. Per ciò che concerne, in particolare, l’audizione richiesta dall’interessato è possibile osservare come la stessa sia evidentemente volta a soddisfare esigenze istruttorie dell'indagato medesimo e non già a garantire  un  necessario  contraddittorio  preliminare  o  consentire  all’inquirente  di  acquisire (eventuali) ulteriori elementi a suo carico, per cui deve ritenersi che, laddove richiesta dal destinatario dell’invito a difendersi, l’audizione diventi un onere per la Procura federale.A tal proposito è bene rimarcare come la Procura federale, anche in sede di acquisizione ante causam di materiale istruttorio, agisce pur sempre nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale, avvalendosi di un regime probatorio che sposta al momento del processo le esigenze del contraddittorio pieno; regime, questo, non solo correlato a quella che è la natura stessa delle sue funzioni, ma anche non sovrapponibile agli schemi civilistici fondati sul principio dell’onere della prova piena da parte dell’attore, né a quelli penalistici volti ad anticipare alla fase del procedimento le garanzie tipiche della fase contenziosa piena.

Non occorre neppure trascurare di considerare, in questo ambito valutativo, che, come segnalato nell’atto di appello, laddove la notificazione sia eseguita a mezzo servizio postale, «la prova dell’avvenuta notifica, da rinvenirsi nell’avviso di ricevimento ovvero nella certificazione di compiuta giacenza apposta sul plico, nella maggior parte dei casi si acquisisce ben oltre la scadenza del termine di trenta giorni per promuovere il deferimento, sempre con la medesima conseguenza della improcedibilità, ove detto termine venisse ritenuto perentorio».

In altri termini, sotto questo angolo visuale, la perentorietà del termine di cui trattasi sembra in contrasto, non solo con il principio della obbligatorietà dell’azione disciplinare desumibile dallo stesso art. 32 ter CGS (azione, cioè, da esercitarsi obbligatoriamente in presenza di un minimo di fumus di fondatezza della fattispecie illecita accertata e di sufficienza di elementi probatori atti a sostenere l’accusa in giudizio), ma anche con lo stesso interesse dell’indagato, le cui garanzie difensive sarebbero frustrate laddove non si riconoscesse alla Procura federale la (concreta) possibilità di esaminare gli elementi e documenti a discarico dallo stesso offerti nella memoria difensiva o in sede di audizione, specie in procedimenti complessi, quali quelli, come il caso di specie, che coinvolgono un numero consistente di indagati, le cui posizioni si intrecciano e nelle quali, dunque, le deduzioni di uno possono anche influire sulla posizione di altro coindagato.

La lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, dunque, non incide in alcun modo sulle garanzie difensive dell’indagato. Anzi.

La previsione di una fase pre-processuale è volta, da un lato, a proteggere la funzione del pubblico ministero federale, nel senso di sollevarlo dal disagio di un deferimento in difetto di sufficienti elementi idonei a sostenere la responsabilità dell’incolpato, dall’altro, a garantire l’indagato di non essere portato a giudizio in ipotesi in cui non vi siano sufficienti elementi probatori da cui desumere la responsabilità dello stesso. Premesso che, considerata l'obbligatorietà e la irretrattabilità dell'azione di cui trattasi e vista l'indisponibilità del bene tutelato, quella della pubblica accusa federale deve considerarsi, con riferimento all’ordinamento sportivo nel cui ambito ci troviamo, quale azione iurispublici al pari dell'azione penale, il Procuratore federale deve, dunque, muoversi con equilibrio tra le opposte esigenze connesse, l’una, all’obbligo di richiedere l’accertamento della responsabilità dell’indagato l’altra, all’esigenza di non gravare inutilmente la posizione dell’indagato medesimo, portando fino al processo notizie di illecito che, all’esito dell’attività istruttoria, si rivelino prive di fondamento o, quantomeno, incapaci di reggere  al confronto contenzioso.

In tale direzione, non vi è dubbio che, pur essendo inconfutabile l'interesse dell’ordinamento federale al corretto esercizio della funzione inquirente e, quindi, della repressione delle condotte illecite, lo stesso non può, tuttavia, soverchiare l'interesse del tesserato a non sopportare l'onere di un processo manifestamente inutile. Da qui il necessario contemperamento delle due esigenze che vede il suo momento di maggior rilievo proprio nello spatiumdeliberandi esistente tra le difese presentate dall’indagato dopo l’avviso di conclusione delle indagini ed il concreto esercizio dell’azione disciplinare. Alla Procura federale, infatti, organo neutrale e indipendente, che agisce nell’interesse dell’ordinamento e a fini di giustizia, è demandata la ricerca delle prove tanto a carico, quanto a discarico.Del resto, nello svolgimento della sua autonoma e discrezionale attività di indagine, funzionalizzata alla verifica della non manifesta infondatezza dell'evento illecito di cui è venuto a conoscenza, il Procuratore federale è tenuto, al pari del Pubblico ministero penale, a svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore del presunto responsabile.

E l’importanza della decisione di archiviazione o di esercizio dell’azione disciplinare (deferimento  e  archiviazione  rappresentano,  in  alternativa,  l’effetto  ineludibile  del  carattere necessario dell’azione intestata alla Procura) che assumerà il Procuratore federale riveste ancora maggiore rilievo sol che si consideri come, nell’ordinamento sportivo, non è prevista una verifica sulle determinazioni, appunto, in ordine allo svolgimento dell'azione, da parte di un diverso organo di natura giurisdizionale, come accade, invece, nell’ambito dell’esercizio dell’azione penale.

È, dunque, interesse, per quanto detto, tanto dell’ordinamento, quanto dell’indagato, consentire che, in contesti procedimentali complessi e con più parti, quale quello oggetto del presente giudizio, la Procura federale possa disporre di un congruo spazio temporale al fine di verificare, alla luce, lo si ribadisce,  delle complessive argomentazioni difensive e della documentazione offerte dagli indagati, se sussistano effettivamente o meno quegli elementi probatori idonei a sostenere l’accusa in giudizio che lo stesso legislatore federale ha posto quale presupposto per l’esercizio dell’azione disciplinare.

Si osservi, più in generale, come il procedimento della Procura federale non rivesta di certo natura di procedimento amministrativo e, del pari, come non rivesta di certo natura giurisdizionale vera e propria. Pertanto, al procedimento istruttorio di cui trattasi, se non sono applicabili i principi fondamentali che oggi regolano l'esercizio della funzione amministrativa tipicamente intesa (a titolo esemplificativo, accesso e contraddittorio, se non nei limiti delle specifiche disposizioni federali), non sono neppure applicabili principi e regole tipiche della fase processuale in senso stretto intesa.

Si tratta, come detto, di una sequenza di attività successive legate da un ordine  logico  e funzionali al raggiungimento di un obiettivo (accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare di responsabilità). Fase, questa procedimentale-istruttoria collegata a quella (eventuale) successiva strutturata secondo le regole proprie di ogni processo, a cominciare da quella dell’assoluta parità delle parti e pienezza del contraddittorio. 

Un avvicinamento, dunque, per gradi al giudizio, attraverso fasi caretterizzate da esigenze diverse e discipinate da differenti regole.

Sotto diverso profilo, sia consentito anche osservare come l’affermazione della perentorietà del termine di cui si discute condurrebbe ad un esito abnorme (proscioglimento dell’indagato) in una fase che, come detto, non è neppure ancora quella cognitiva. L’indagato, in altri termini, ne trarrebbe un effetto sostanziale che andrebbe sicuramente al di là delle ragionevoli previsioni del sistema procedimentale nel cui ambito il termine di cui trattiamo è incardinato.La declaratoria di improcedibilità o irricevibilità, nella fattispecie, vestirebbe natura ed effetti di “proscioglimento”, a fronte, invece, della mera inosservanza di un termine, peraltro, come detto, di natura esclusivamente (pre-)processuale.

In tale direzione, in fattispecie, ovviamente, solo in parte assimilabile a quella che qui ci occupa, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in tema di verifiche tributarie, che «il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione» (Cassazione, sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17002). Analogamente, come detto, apparirebbe, francamente, eccessiva la sanzione della improcedibilità dell’azione disciplinare volta all’accertamento (ed alla eventuale conseguente condanna) dell’indagato per il solo superamento (di qualche giorno) di un termine, a fronte del disagio arrecato all’indagato medesimo dall’assoggettamento, per qualche giorno in più di quanto indicato nella previsione normativa, alla mera incertezza dell’esercizio o meno dell’azione disciplinare nei suoi confronti.

Richiamati i profili finalistici dell'azione di responsabilità disciplinare, comunque conformati, nei tratti essenziali, agli istituti civilistici, intesi a tutelare l'esigenza che l’adesione alla Federazione sia utilizzata per il raggiungimento di fini propri e non già per finalità illecite, unitamente con l'esigenza di sanzionare le condotte devianti dai fondamentali principi posti dall’ordinamento federale, occorre, ancora una volta, osservare come non sia prevista alcuna decadenza del potere del Procuratore federale di emettere l'atto di deferimento in giudizio per il mancato rispetto del termine di cui trattasi. Anzi, l'imposizione di un obbligo di alternativamente emettere l'atto di citazione o disporre l'archiviazione, ha fatto affermare a consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti, a proposito del procedimento erariale per certi versi assimilabile, sotto gli aspetti qui in rilievo, a quello disciplinare-sportivo, «che detto potere (rectius, obbligo) permane pur dopo la scadenza del termine, non  potendosi logicamente e sistematicamente ammettere che l'attività istruttoria del Procuratore regionale non abbia alcun esito né positivo né negativo» (Corte dei Conti, sezioni riunite, 9 marzo 2005, n. 1), per poi concludere che «gli effetti della mancata osservanza del termine ordinatorio vanno individuati di volta in volta in relazione alla natura dell'atto rispetto al quale il termine è stabilito, ovvero al mancato rispetto del termine fissato dal giudice nel provvedimento di proroga ovvero mediante il collegamento a termini fissati per altri atti connessi», con la inequivoca precisazione che, in ogni caso, «la pronuncia del giudice dovrà essere di natura meramente processuale, con esclusione di effetti diretti sul diritto sostanziale».

Del resto, non è casuale che l'ordinamento federale tenga ben distinti i termini di prescrizione e di decadenza dai termini procedimentali, come quello di trenta giorni per emettere l'atto di deferimento a giudizio, in quanto (solo) i primi, a differenza degli altri, operano sul piano del diritto sostanziale.

Posta dunque la natura procedimentale del termine di trenta giorni di cui trattasi deve escludersi che lo stesso abbia natura perentoria con effetti decadenziali. Di conseguenza, al suo mancato rispetto non può ricollegarsi l'effetto della improcedibilità della “intempestiva” citazione a giudizio. La ratio di tale conclusione è anche desumbile dalla semplice, quanto inequivoca, considerazione che, diversamente ragionando, l'azione della Procura federale sarebbe limitata e compressa da un ulteriore e ben più penalizzante limite (di natura decadenziale) rispetto a quello ben più lungo legato alla prescrizione, limite incompatibile con le prima ricordate finalità ordinamentali del giudizio di responsabilità disciplinare.

A tale conclusione non è di ostacolo il principio costituzionale di ragionevole durata  del processo, atteso che il diritto di accesso ai tribunali, previsto dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, con disposizione cui il giudice italiano deve dare applicazione a norma dell'art. 117 Cost., implica l'esigenza di evitare che un'interpretazione troppo formalistica delle regole di procedura dettate dalla disciplina nazionale impedisca l'esame nel merito dell’eventuale incolpazione (cfr. Cassazione, sez. VI, 8 maggio 2012, n. 7020).

In definitiva, questa Corte ritiene che il termine di cui trattasi possa essere qualificato come acceleratorio.

La necessità di definizione della fase preprocessuale riflette, infatti, non vi è dubbio, l’esigenza di tutela del soggetto sottoposto alle indagini volte all’accertamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità a vedere risolta una situazione di incertezza che incide sulla sua vita associativa e, sovente, anche di relazione, con un provvedimento di archiviazione oppure con il deferimento, provvedimento, questo, a partire dal quale le sue garanzie difensive trovano la massima espansione, in applicazione dei principi del giusto processo e di quello, in particolare, dell’accertamento della responsabilità nel contesto di un contraddittorio pieno, proprio della fase di cognizione.

Nel contempo, tuttavia, è chiara l’insistenza di altra esigenza, quella della repressione delle condotte che si pongano in contrasto con la nomativa federale, così come altrettanto chiaro l’interesse alla giustizia, in generale, ma anche nello specifico, essendo, come detto, interesse, appunto, non solo dell’ordinamento, ma anche del singolo indagato consentire una adeguata valutazione del complessivo materiale  istruttorio al fine della  adozione del provvedimento di archiviazione o di esercizio dell’azione disciplinare, onde evitare tanto un inutile dispendio di attività processuale, quanto un inutile onere ulteriore di difesa in capo all’indagato, nelle ipotesi in cui, all’esito delle rappresentazioni difensive dello stesso (o degli altri coindagati), possano ritenersi sussistenti gli elementi per escludere la responsabilità dell’indagato medesimo, o, comunque, insussistenti sufficienti elementi per sostenerne l’accusa in giudizio.

La sede è impropria per richiamare una seppur sintetica ricostruzione dottrinaria del termine processuale, ma non appare inutile, ai fini propri del presente giudizio, ricordare che nel nostro panorama giuridico il “termine” indica il periodo di tempo entro cui, secondo la disposizione di legge o il provvedimento del giudice, un determinato atto debba o possa essere compiuto, così divenendo,  il  termine  medesimo,  un  requisito  dell’atto  o  un  fatto  giuridico,  strutturalmente autonomo e caratterizzato da una propria efficacia (di tipo estintivo o meno a seconda della classificazione perentoria o ordinatoria allo stesso assegnata).

La locuzione “perentorio” conduce poi, attraverso un breve esame etimologico, alla perenzione, ossia a quel tipico effetto di cancellazione di quanto già realizzato. Insomma, il termine perentorio può essere inteso come quella condizione che, in caso di inosservanza dello stesso, conduce, come effetto ipso iure, alla decadenza del correlato diritto. Ecco perché dottrina e giurisprudenza definiscono come perentorio quel termine stabilito, appunto, a pena di decadenza.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare come i termini del procedimento disciplinare siano «da qualificarsi — di regola — ordinatori e non perentori, ad eccezione di quelli previsti per l'inizio e la conclusione del procedimento stesso nonché di quello massimo di 90 giorni che può intercorrere tra un atto e l'altro del procedimento. Più in generale, i termini del procedimento disciplinare devono intendersi ordinatori in tutti i casi in cui la fonte regolatrice del rapporto non commini — in caso dell'inosservanza degli stessi — effetti decadenziali, in relazione al principio sancito dall'art. 152 c.p.c.» (così, ad esempio, TAR Lazio, sez. I, 14 Febbraio 2012, n. 1491).

«Il carattere ordinatorio o perentorio dei termini stabiliti in materia di procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti discende dagli effetti che la fonte regolatrice del rapporto ricollega alla loro osservanza, tenuto conto che, in base al principio sancito dall'art. 152 c.p.c., i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori tranne che la legge stessa li dichiari perentori; per quanto riguarda le norme degli artt. 16 e 17, d.lg. 30 ottobre 1992 n. 449, esse hanno chiara natura ordinatoria non essendo prevista alcuna decadenza nell'ipotesi di loro inosservanza» (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2189).

Ne consegue che il mancato rispetto di un termine non perentorio non può determinare effetti invalidanti dei provvedimenti adottati (nel caso di specie, deferimento), fermo restando, peraltro, che «l’azione di responsabilità amministrativa può essere riproposta, salva la prescrizione quinquennale, per i medesimi fatti e nei confronti dei medesimi soggetti, anche dopo una pronuncia di inammissibilità dell'azione per il superamento del termine di proposizione dell'atto di citazione» (Corte dei Conti, sez. giurisd. Lazio, 6 marzo 2012, n. 270).

Analogamente, in materia tributaria si è osservato che «ogni decadenza non può che essere testuale, dovendo essere espressamente sancita dalla legge, ai sensi dell'art. 152 c.p.c., comma 2, sicchè, in mancanza di un'esplicita previsione, il termine normativamente stabilito per il compimento di un atto, ha efficacia meramente ordinatoria ed esortativa, ovverosia costituisce un invito a non indugiare, e l'atto può essere compiuto dall'interessato o dalla stessa Amministrazione fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto» (cfr. Cassazione, sez. tributaria, 8 maggio 2013, n. 10761; Cassazione, n. 12259 del 2010; Cassazione, sez. unite, n. 21498 del 2004).

In breve, mentre il termine perentorio è strettamente correlato alla decadenza, per quello ordinatorio il decorso del termine non spiega una incidenza sull’atto a quo, ma solo un effetto relativo su quello ad quem. La differenza tra termini perentori e ordinatori, allora, non risiede tanto nell’effetto della loro inosservanza, connaturata in entrambi i casi, ma nella modalità di realizzazione di tale effetto: ipso iure, in un caso; previa valutazione discrezionale del giudice, nell’altro.

In applicazione pratica di tali principi di autorevole elaborazione giurisprudenziale, dai quali questa Corte non intende discostarsi, deve concludersi che il termine in questione ha, come detto, natura sollecitatoria e non già perentoria. Si tratta, cioè, di un termine volto ad assicurare la speditezza dei corrispondenti itineraprocedimentali, ossia diretto ad imprimere un certo ritmo allo svolgimento del procedimento, in funzione di un equo contemperamento delle molteplici esigenze prima richiamate e di una celere definizione dei  procedimenti istruttori, tesi ad assicurare al giudizio, rapidamente, per quanto possibile, tesserati ritenuti responsabili di violazioni disciplinarmente rilevanti e, nel contempo, a scongiurare un inutile aggravio di attività processuale e di onere di difesa per l’indagato che, all’esito di una adeguata ponderazione del complessivo materiale istruttorio acquisito, risulti non imputabile della violazione in relazione alla quale è stato iscritto nell’apposito registro.

Pertanto, all’eventuale infruttuoso decorso del termine di cui trattasi l’ordinamento sportivo non assegna una specifica sanzione di decadenza o una data efficacia preclusiva, non avendo previsto la produzione di un determinato effetto giuridico con ricaduta sulla (inammissibilità della) instaurazione del giudizio.

Certo, per contro, la Procura federale è indubbiamente tenuta alla osservanza di detto termine, pur previsto dal sistema: disattendere il termine acceleratorio di cui trattasi (come nel caso di specie) per pochi giorni o in occasione di procedimenti complessi con molteplici indagati le cui condotte violative risultano tra loro intrecciate, è eccezione che l’ordinamento è in  grado  di assorbire e tollerare, alla luce delle specifiche variegate esigenze di cui si è detto; un sistematico mancato rispetto dello stesso predetto termine denoterebbe, invece, una insufficienza (per “definizione”, per così dire) del termine di cui trattasi oppure una disfunzione dell’organizzazione dell’attività investigativa, con la connessa esigenza di un eventualmente apposito esame e valutazione nelle opportune sedi istituzionali.

Sotto ulteriore profilo, diversamente ritenendo e considerando, quindi, perentori tutti i termini che regolano lo svolgimento della fase procedimentale, che precede, cioè, l’eventuale giudizio innanzi al giudice sportivo, si dovrebbe ritenere perentorio, a titolo meramente esemplificativo, anche quello di cui all’art. 32 quinquies, comma 4, CGS, che così recita: “Il Procuratore federale, concluse le indagini, se ritiene di non provvedere al deferimento, comunica entro dieci giorni il proprio intendimento di procedere all’archiviazione alla Procura generale dello sport. Ferme le attribuzioni di questa, dispone quindi l’archiviazione con determinazione succintamente motivata.”. Orbene, se il Procuratore federale non comunicasse il suo intendimento di archiviare entro cinque giorni ed il termine, per effetto del richiamo all’art. 38, comma 6, CGS, dovesse reputarsi perentorio, l’eventuale archiviazione successivamente disposta dovrebbe reputarsi inammissibile o la Procura decaduta da tale possibilità. Con la conseguenza che il Procuratore dovrebbe procedere necessariamente al deferimento, avendo consumato la possibilità di optare per l’archiviazione? Evidente, il paradosso, che smentice anche l’assunto secondo cui la perentorietà dei termini è posta a garanzia dell’indagato o dell’incolpato.

Ed allora, riepilogando, l’art. 32 ter, comma 4, CGS, non qualifica espressamente come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare (trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa assegnati dalla Procura federale con l’avviso di conclusione delle indagini). Occorre, pertanto, desumerne la natura in via necessariamente interpretativa. Orbene, in tale prospettiva occorre ricercare il il riferimento positivo, il dato normativo, nell’ambito, anzitutto, del codice di giustizia sportiva. In tale direzione, tuttavia, deve escludersi, per quanto detto, la possibilità di considerare perentorio detto termine in virtù del mero richiamo all’art. 38, comma 6,  CGS. Soccorre, allora, una interpretazione di tipo logico-sistematica che, come detto, sembra portare ad escludere la natura perentoria del termine di cui trattasi.

In breve, in difetto di qualificazione, da parte dell’ordinamento federale, della natura del termine de quo occorre riferirsi, per espresso disposto della norma di cui all’art. 1, comma 2, CGS, alle disposizioni del codice di giustizia sportiva del Coni. Così, infatti, recita la predetta norma: “Per tutto quanto non previsto dal presente Codice, si applicano le disposizioni del Codice della giustizia sportiva emanato dal CONI”.

Nel predetto codice Coni non vi è alcuna norma che qualifichi come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare entro i trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa di cui si è detto. Né, per inciso, risulta esservi una norma replica dell’art. 38, comma 6, CGS. Correttamente, a tal proposito, il Procuratore federale evidenzia come «dal che appare logico ricavare l’intenzione del legislatore del codice Coni di non stabilire la perentorietà di tale termine per la formulazione del deferimento, prevedendone una conseguenza specifica. Anche in tal ottica, quindi, non appare certo casuale che il codice di giustizia sportiva Figc abbia previsto delle conseguenze sanzionatorie soltanto con riferimento al mancato rispetto dei termini per la conclusione delle indagini (inutilizzabilità di quanto successivamente compiuto), di quelli per la proposizione dei reclami (inammissibilità, non impugnabilità delle decisioni) e di quelli per la pronuncia delle decisioni degli organi giudicanti (estinzione del procedimento disciplinare); non prevedendo, di contro, alcuna sanzione per il mancato rispetto dei termini per l’adozione della comunicazione di conclusione delle indagini e dell’atto di deferimento».

Non rimane, pertanto, che rifarsi alla disposizione di cui all’art. 2, comma 6, CGS Coni che prevede espressamente che “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”.

Per l’effetto del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni la disposizione di riferimento è, dunque, quella dettata dall’art. 152 c.p.c.(rubricato “Termini legali e termini giudiziari”), che così recita al comma 2: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

Detta disposizione reca un principio generale del nostro ordinamento giuridico (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 30 dicembre 2014, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3431), con la conseguenza che, non essendo dichiarato espressamente perentorio, tale non può essere considerato il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

È, infatti, principio generale dell’ordinamento giuridico quello secondo cui è  perentorio  il termine stabilito a pena di decadenza, inammissibilità, improcedibilità e tale è dichiarato dalla legge (o dal Giudice nei casi consentiti dalla legge medesima).Riprendendo un arresto giurisprudenziale, che questo Collegio condivide, «gli artt. 152 e 156 c.p.c., traducono principi generali applicabili a tutti i procedimenti salvo che per essi non sia diversamente disposto o che la norma generale non possa trovare applicazione per incompatibilità» (Cassazione, sez. V, 27 giugno 2011, n. 14020).

È vero che l’espressa qualificazione normativa può anche mancare, potendosi, la perentorietà di un termine, desumersi dallo scopo e dalla funzione che esso è chiamato a svolgere o dagli effetti riconnessi dalla legge al suo infruttuoso decorso (cfr. Corte Costituzionale, 1 aprile 2003, n. 107; Cassazione, 5 marzo 2004, n. 4530). In particolare, di recente la Suprema Corte, nella sentenza, resa a sezioni unite, 23 settembre 2014, n. 19980 (richiamata sia dall’accusa, che dalla difesa) ha affermato che la perentorietà può anche desumersi «dalla considerazione dello scopo» e «l’espressa qualificazione può anche risultare dal carattere del termine e, in particolare, dagli effetti che l’inutile decorso di esso produce secondo l’espressa sanzione normativa».

Orbene, a tal riguardo, il termine posto dall’art. 32 ter, comma 4, CGS, non è, come detto, espressamente qualificato come perentorio e detta sua asserita natura non è desumibile da altri indici, quali l’espressa previsione di una data conseguenza sanzionatoria. Nel caso di specie, insomma, difetta tanto la formale qualificazione, quanto il riferimento ad un espresso effetto sanzionatorio: c’è la norma-precetto, manca la norma-sanzione.

Tutte le suesposte considerazioni conducono questa Corte ad escludere che il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, in rilievo nel presente giudizio, abbia natura perentoria. Con la conseguenza, dunque, che l’inosservanza dello stesso, nei termini e nei limiti sopra precisati, non comporta l’improcedibilità o irricevibilità del deferimento emesso oltre lo stesso.

- Con il secondo mezzo di doglianza la Procura federale censura, comunque, la decisione di prime cure nella parte in cui ritiene che il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare decorra, per ciascun deferito, dal momento di comunicazione allo stesso dell’avviso di conclusione delle indagini.

Anche questo motivo è fondato.

La disposizione normativa in materia fa riferimento alla “scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria”, disciplinando, con ogni evidenza, l’ipotesi di procedimento disciplinare aperto nei confronti di un solo indagato. Difetta, invece, una esplicita disciplina per l’ipotesi del procedimento con pluralità di indagati. Pertanto, occorre desumere in via interpretativa la disciplina applicabile alla fattispecie, che, ai sensi del combinato disposto delle norme, già sopra richiamate, di cui all’art. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni deve essere rintracciata nel codice di rito civile.

Orbene, detto impianto codicistico (e, segnatamente, per quanto qui rileva, le norme di cui agli artt. 165, comma 2, 347 e 369, comma 1, c.p.c.) prevede, appunto, che il termine decorra dall’ultima delle notifiche effettuate. In particolare, recita l’art. 165, comma 2, c.p.c., “se la citazione è notificata a più persone, l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione”. Detta norma, nel disporre che “l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione”, «non soltanto precisa che, in tal caso, si verifica una protrazione delle formalità, di cui la costituzione dell'attore si compone; a è altrettanto significativo del fatto che il differimento di questa modalità implica anche il logico differimento del termine stesso di costituzione a decorrere dall'ultima notificazione» (Cassazione, 18 gennaio 2001, n. 718).

Tesi, questa, inaugurata da Cassazione 6 novembre 1958, n. 3601, secondo cui l'art. 165, comma 2, c.p.c. nell'affermare che “se la citazione è notificata a più persone l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione”, intendeva differire non solo tale formalità, ma anche i termini per la costituzione dell'attore e, senza dubbio, più convincente, anche per le ragioni di seguito meglio precisate.

Non è, anzitutto, consentito all’interprete ritenere che l’art. 165, comma 1, c.p.c. permetta di affermare che, nel caso di più notificazioni, il dies a quo deve essere individuato nella prima notificazione. Anzi, il comma 2 della medesima disposizione, con gli incisi “se la notificazione è notificata a più persone” e “dall’ultima notificazione” sembra imporre, più che suggerire, all’interprete di cristallizare il dies a quo dall’ultima delle notifiche, e non già dalla prima.

Si aggiunga che, in sede processuale di valutazione degli atti, occorre privilegiare la sostanza sulla forma e, dunque, ritenere valido l’atto nei casi in cui abbia raggiunto il suo scopo e sia funzionale alle esigenze allo stesso sottese.

Tale ricostruzione ermeneutica appare anche in linea con evidenti ragioni di logica-giuridica e di economia processuale. Diversamente opinando, del resto, se anche nel processo pluriparte il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare dovesse farsi decorrere dal primo avviso di comunicazione di conclusione delle indagini, ne conseguirebbe un effetto, per certi versi, paradossale, che imporrebbe alla Procura federale di emettere tanti deferimenti per quanti sono gli indagati da mandare a processo. Conclusione, questa, che, nel contempo, risulterebbe sia irragionevole, sia contraria tanto all’interesse di ciascun incolpato, quanto all’interesse superiore della giustizia ed al principio di economia del giudizio.

È, infatti, di certo, interesse dell’ordinamento federale esaminare in un unico giudizio, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare personale di ciascuno, il complessivo materiale probatorio acquisito dagli inquirenti e che inevitabilmente, sebbene in parte, intreccia o può intrecciare le posizioni di tutti i soggetti deferiti o di alcuni di essi. Nel caso di istruttoria unica si realizza una connessione soggettiva e oggettiva delle vicende, dei fatti, delle condotte e delle circostanze che coinvolgono i singoli soggetti sottoposti al procedimento: unico (o, comunque, comune a più deferiti), dunque, il materiale istruttorio, unitario e congiunto è opportuno che sia l’esame dello stesso e delle singole posizioni disciplinari dedotte in giudizio. Ciò non significa, come già più volte affermato dalla giurisprudenza endofedereale, che singole posizioni, per ragioni eccezionali o, comunque, particolari, possano (o debbano) essere stralciate: ma non occorre operare confusione tra eccezione e regola.

Ma, nello stesso tempo, non nutre alcun dubbio, questo Collegio, che è anche interesse degli incolpati poter esaminare, in modo integrale, le emergenze probatorie complessivamente acquisite dalla Procura e di quelle offerte a discarico da ciascun incolpato, unitamente alle argomentazioni difensive degli stessi, al fine di potersi difendere da tutti gli elementi che potenzialmente possono incidere sfavorevolmente in ordine all’accertamento della responsabilità dello stesso e, contemporaneamente, desumere dal predetto materiale eventuali utili elementi a discarico.

Senza dire, ancora, che, fino alla scadenza dell’ultimo termine a difesa assegnato agli indagati, l’organo inquirente potrebbe acquisire documenti, elementi e argomentazioni difensive di un indagato che potrebbero rivelarsi utili anche per la posizione di altro o altri coindagati, tanto da poter anche giungere, in ipotesi, all’archiviazione dell’azione nei confronti dello stesso o di alcuni degli indagati.

Né possono, a supporto della tesi contraria, essere richiamate generiche esigenze di celerità dei procedimenti e di rapida celebrazione dei processi, essendo evidente che, laddove si ritenesse che il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare decorra dalla notifica dell’anzidetta comunicazione a ciascun indagato, ne deriverebbe una moltiplicazione dei giudizi, con un inutile e diseconomico dispendio di attività giudiziaria e con connesso inevitabile rallentamento della celebrazione dei processi e dell’accertamento delle responsabilità di ciascuno.

In altri termini, l’instaurazione di diversi autonomi processi, con riferimento a fattispecie complesse,  specie  se  con  molteplici  tesserati  coinvolti,  produrrebbe  una  proliferazione  di procedimenti, che rallenterebbero, anziché accelerare, il corso della giustizia sportiva, con evidente vulnus al principio di economia processuale e potenziale lesione del principio di efficienza dell’azione disciplinare e celerità dei procedimenti, cui tutto l’ordinamento sportivo è informato.

E, ancora, non si può neppure affermare che, così argomentando, si lascerebbe l’indagato alla mercè di una valutazione meramente discrezionale dell’organo inquirente, atteso che, in ogni caso, a garantire tempi certi per la definizione del procedimento disciplinare, vi è, appunto, il termine per la decisione di primo grado che deve, comunque, intervenire, a pena di estinzione, come noto, entro novanta giorni dal deferimento a giudizio.

Del resto, occorre anche considerare che quello della notificazione è un procedimento e, come tale, deve essere considerato unitario, una sequela di atti tra loro correlati. Se, dunque, il procedimento di notificazione è unitario, non sembra possibile immaginare una formazione progressiva della fattispecie rappresentata dalla finalità dello stesso, costituito dalla rituale instaurazione del giudizio.

Anche l'interpretazione finalistica della norma,  dunque, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie e delle specifiche (sopra in sintesi ricordate) molteplici esigenze del procedimento disciplinare sportivo depone nel senso di ancorare all’ultima notificazione la decorrenza del termine per la concreta emissione dell’atto di deferimento.

Una siffatta interpretazione non lede né il principio della durata ragionevole del processo, nè il diritto di difesa delle parti. D’altronde, la soluzione qui accolta è comunque idonea ad assicurare i principi inderogabili del contraddittorio, ex art. 101 c.p.c. ed art. 24 Cost. Anzi, a ben vedere, realizza un equo contemperamento delle molteplici esigenze che insistono sulla fattispecie, oltre che degli interessi della parte pubblica (accusa federale) e di quelle private. La decorrenza del termine dall’ultima notifica appare anche più funzionale, per quanto già osservato, al complessivo esercizio del diritto di difesa di ognuno dei deferiti, oltre che alle esigenze di economia processuale.

Da ultimo, ritiene questa Corte, inconferente il richiamo della difesa alla decisione n. 58 del 2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, secondo cui i termini per il valido esercizio dell’azione disciplinare decorrerebbero dalla prima notifica. Invero, la fattispecie oggetto del giudizio che ha trovato, poi, esito nella predetta decisione è del tutto differente da quella che costituisce oggetto del presente giudizio disciplinare. Il Collegio di Garanzia ha, infatti, affermato il principio secondo cui, nel caso di reiterazione di un deferimento, in origine viziato, il termine di estinzione (novanta giorni) del giudizio di primo grado decorre non già dal deferimento validamente effettuato, ma dal primo seppur invalidamente emesso o per qualche ragione non efficace.

Ciò premesso, constatato che dalla documentazione in atti emerge come l’ultima notifica della comunicazione di conclusione delle indagini si sia perfezionata in data 3 giugno 2016 nei confronti della società Sambiase Lamezia 1923, e, considerato che il termine concesso a difesa, fissato in giorni trenta, scadeva, quindi, il 3 luglio 2016, il deferimento, notificato il giorno 1 agosto 2016, è stato tempestivamente proposto.

In conclusione, il Tribunale, all’esito di una ricostruzione interpretativa di sicuro pregio, ma, tuttavia, non condivisibile, ha erroneamente dichiarato la improcedibilità del deferimento. Il termine di cui trattasi, stabilito dall’art. 32 ter, comma 4, CGS non può, infatti, essere qualificato come perentorio e, ad ogni buon conto, anche laddove lo stesso predetto termine potesse essere considerato perentorio, l’azione disciplinare sarebbe stata, nel caso di specie, tempestivamente ed utilmente esercitata, mediante deferimento emesso nel termine -indicato dalla norma- che deve ritenersi decorrere dall’ultima notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini, trattandosi di fattispecie complessa e con più parti.

Per questi motivi la C.F.A., accoglie il ricorso come sopra proposto dal Procuratore Federale e annulla la decisione impugnata, rinviando al Tribunale Federale Territoriale presso C.R. Calabria - per il relativo esame di merito.

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