Decisione C.F.A. Sezione Consultiva: C. U. n. 71/CFA del 19 Dicembre 2017 (motivazioni) - www.figc.it
Impugnazione – istanza: RICHIESTA DI PARERE INTERPRETATIVO DEL PRESIDENTE FEDERALE, AI SENSI DELL’ART. 31, COMMA 1, LETT. D) C.G.S., IN ORDINE ALLA PORTATA INTERPRETATIVA DELL’ART. 22 BIS DELLE N.O.I.F..
Massima: Il richiamo alla sentenza penale di condanna contenuto nell'art. 22 bis NOIF dev’essere inteso come riferito alla pronuncia che abbia accertato la responsabilità penale dell'imputato, cui o non è in alcun modo assimilabile la sentenza applicativa di pena su richiesta. Per converso, la sentenza adottata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., anche quando si riferisca ai titoli di reato indicati dall’art. 22 bis NOIF, non produce in automatico la perdita del requisito di onorabilità, dovendosi in tali ipotesi ritenere venuto meno ogni automatismo decadenziale tra sentenza penale e perdita del requisito di onorabilità, anche se con l’inevitabile conseguente riespandersi della sfera di autonomia dell'ordinamento sportivo, nel libero apprezzamento della gravità dei fatti ai fini di un'eventuale sanzione. Dunque ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 22 bis NOIF, la sentenza resa a seguito di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., non può essere automaticamente equiparata ad un’ordinaria sentenza di condanna.
Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. Sezione Prima: Decisione n. 28 del 29/07/2015– www.coni.it
Decisione impugnata: Decisione della Corte di Giustizia Federale, pubblicata sul C.U.n. 55/CFA del 14.5.2015
Parti: Renzo Ulivieri/Federazione Italiana Giuoco Calcio (C.U. 82/A)
Massima: Il Collegio di Garanzia dello Sport dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera della Corte Federale con la quale veniva respinto il gravame dallo stesso presentato contro la decisione del Tribunale Federale Nazionale, con la quale lo stesso Tribunale Federale riteneva legittima la delibera del Consiglio Federale della FIGC assunta in data 20.11.2014, e recante modifiche all’art. 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Segnatamente, a seguito della riforma qui contestata, la condanna a pena detentiva superiore ad un anno per alcune fattispecie di reato analiticamente indicate (id est norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25.1.1982 n. 17; testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (d.p.r. 9.10.1990 n. 309), disposizioni penali in materia di società e consorzi previste dal codice civile (titolo XI libro V), testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lvo 24.2.19998 n. 58), e già previste nell’originaria formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F. come causa impeditiva all’assunzione della carica di dirigente di società o associazione e/o collaboratore ovvero come causa di decadenza, esplica i suoi effetti interdittivi solo nelle ipotesi in cui consegue alla consumazione di un delitto punito con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione. Il ricorrente ha correttamente spiegato la propria impugnazione sulla base di quanto stabilito e previsto dall’art. 31, comma 2, del CGS del CONI in raccordo con l’art. 43 bis CGS della FIGC, che consente al componente assente o dissenziente del Consiglio Federale di impugnare per l’annullamento quelle deliberazioni del Consiglio Federale contrarie alla legge, allo Statuto del CONI e ai principi fondamentali del CONI, allo Statuto ed ai regolamenti delle Federazioni. L’impugnante, Consigliere Federale – omissis -, ha però omesso, quale atto comunque prodromico e/o funzionale alla presentazione del ricorso contro la delibera federale FIGC del 20 novembre 2014, l’autonoma impugnazione della delibera della Giunta Nazionale del CONI n. 512 del 18 dicembre 2014 afferente proprio la modifica regolamentare dell’art. 22- bis NOIF. Con tale deliberazione la Giunta Nazionale del CONI, rilevata la conformità dell’art. 22-bis NOIF, pubblicato con CU n. 82/A del 20 novembre 2014 da parte della FIGC, al Decreto Legislativo 23 luglio 1999, n. 242, al Decreto Legislativo 8 gennaio 2015, allo Statuto del CONI, allo Statuto Federale e alla vigente legislazione in materia sportiva, deliberava l’approvazione ai fini sportivi dell’art. 22-bis NOIF, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, comma 5, Lett. l) dello Statuto del CONI.
E’ evidente quindi l’errores in procedendo commesso dal ricorrente il quale ha omesso l’impugnazione della delibera n. 512 del 18 dicembre 2014 della Giunta Nazionale CONI con la quale veniva deliberata la conformità allo Statuto CONI, allo Statuto Federale e alla vigente legislazione in materia sportiva dell’articolo contestato. E’ evidente, infatti, che le doglianze mosse dal ricorrente traggono la loro origine da una ritenuta contrarietà dell’art. 22-bis delle NOIF, così come approvato dal Consiglio Federale, all’art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI sulla “tutela dell’onorabilità degli organismi sportivi”. Ritiene, infatti, il ricorrente che la modifica di cui all’art. 22-bis NOIF, con l’introduzione della lettera b) al suo interno, indicante una nuova serie di reati con un’attenuazione della soglia di punibilità per l’assunzione della carica di dirigente o collaboratore di società sportive, sia in contrasto con i principi del Codice di Comportamento del CONI incentrati proprio sulla tutela e sull’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, degli Organismi delle Federazioni Sportive Nazionali, degli Enti di Promozione Sportiva, ivi compresi gli Organismi rappresentativi delle società. Va da sé che non può invocarsi la illegittimità della modifica dell’art. 22-bis NOIF, rispetto all’art. 11 CGS CONI, se prima non si impugna l’atto con il quale, dalla Giunta del CONI stesso, è stato ritenuto proprio l’art. 22-bis conforme allo Statuto del CONI e, più in generale, alla vigente legislazione in materia sportiva. Ed in tal senso il Codice di Giustizia sportiva del CONI, così come di recente approvato e modificato dal Consiglio Nazionale CONI 10 febbraio 2015, prevede, al comma 5 dell’art. 56 relativo alla organizzazione del Collegio di Garanzia, la tassativa competenza delle Sezioni Unite sulle controversia relative agli atti ed ai provvedimenti del CONI. Non può quindi il ricorrente invocare, nella propria impugnazione avverso la delibera federale FIGC del 20 novembre 2014, una contrarietà alle norme CONI sulla tutela della onorabilità dei propri dirigenti senza aver prima impugnato la delibera 512 /2014 del CONI, con la quale la Giunta stabiliva proprio la conformità dell’art. 22-bis delle NOIF allo Statuto CONI ed alla legislazione in materia sportiva vigente. Solo con una precedente impugnazione della delibera CONI 512/2014, e in caso di accoglimento, il ricorrente avrebbe potuto spiegare il gravame previsto e stabilito dall’art. 43 bis CGS della FIGC, in raccordo con l’art. 31, comma 2, CGS, chiedendo l’annullamento della delibera del Consiglio Federale FIGC del 20 novembre 2014, ritenuta in contrasto con la legge, con lo Statuto e i principi fondamentali del CONI. Su questa scorta si sono pronunciati i precedenti Giudici nell’ambito del procedimento di giustizia sportiva, ritenendo a loro volta infondato / inammissibile il ricorso sul punto. Nonostante il carattere assorbente della pronuncia di inammissibilità rispetto alla pregiudiziale di rito sollevata dalla parte resistente FIGC, ritiene il Collegio di dover aggiungere alcune considerazioni sulle questioni di merito sollevate dal ricorrente, non prive di interesse. Se è pur vero che il disposto di cui all’art. 11 CGS appare prima facie riferibile a destinatari affatto diversi rispetto a quelli ipotizzati dall’art. 22-bis delle NOIF, è altrettanto vero che nella sua più completa formulazione l’art. 11 CGS CONI non appare scevro da alcune incertezze interpretative, laddove prevede che vengano sospesi dalle loro cariche i componenti condannati in via definitiva non solo degli organismi territoriali e centrali del CONI, ma anche degli organismi di Federazioni Sportive Nazionali e di Organismi Rappresentativi delle Società. Sulla scorta di ciò è meritevole di attenzione la considerazione sollevata dal ricorrente per cui, in ogni caso, anche considerato l’art. 22-bis delle NOIF rivolto ai soli dirigenti o collaboratori di società sportive, rimane incontrovertibile il fatto che, secondo quanto previsto dall’art. 20 FIGC, i Presidenti di Società Calcistiche entrano a far parte ex lege dell’assemblea della Lega di appartenenza, nonché dell’Assemblea Federale della FIGC, con evidente distonia rispetto a quanto previsto e stabilito dall’art. 11 CGS CONI relativo all’onorabilità degli organismi sportivi.
Decisione C.F.A. – Sezioni Unite: Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e su www.figc.it
Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015
Impugnazione – istanza: RICORSO DEL SIG. R.U. AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C.DI CUI AL COM. UFF. N. 82/A DEL 20.11.2014
Massima: La Corte respinge il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera del TFN che ha respinto il ricorso, avverso la delibera consiliare del 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 82/A, e recante modifiche all’art. 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Segnatamente, a seguito della riforma qui contestata, la condanna a pena detentiva superiore ad un anno per alcune fattispecie di reato analiticamente indicate (id est norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25.1.1982 n. 17; testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (d.p.r. 9.10.1990 n. 309), disposizioni penali in materia di società e consorzi previste dal codice civile (titolo XI libro V), testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lvo 24.2.19998 n. 58), e già previste nell’originaria formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F. come causa impeditiva all’assunzione della carica di dirigente di società o associazione e/o collaboratore ovvero come causa di decadenza, esplica i suoi effetti interdittivi solo nelle ipotesi in cui consegue alla consumazione di un delitto punito con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione. Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto l’ambito cognitivo del presente procedimento verte sulla legittimità delle modifiche introdotte – con delibera 82/A del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014 – all’originario impianto normativo dell’articolo 22 bis N.O.I.F.in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Nella prospettazione del ricorrente l’enucleazione di un gruppo autonomo di fattispecie criminose, oggi elencate alla lettera b) dell’articolo in commento, per le quali è richiesto il requisito aggiuntivo della previsione di una pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione si porrebbe in rapporto di distonia, da un lato, con il quadro regolatorio vigente e, dall’altro, con i canoni di logicità e ragionevolezza che governano l’esercizio della discrezionalità normativa. Orbene, ritiene la Corte che il ricorso sia infondato e che, pertanto, vada respinto, di talchè il Collegio può ritenersi dispensato, in coerenza con consolidati modelli decisori mutuati da autorevole giurisprudenza, dalla disamina della pregiudiziale questione di rito sulla procedibilità dell’azione impugnatoria spiegata dal ricorrente avverso una delibera fatta, al contempo, oggetto di specifica approvazione da parte della Giunta del CONI. Tanto premesso, e seguendo nello scrutinio della res iudicanda lo stesso ordine espositivo fatto proprio dal ricorrente, occorre passare in rassegna, anzitutto, le censure con cui lamenta l’illegittimità dell’impugnata delibera consiliare per violazione di legge in quanto adottata in aperta violazione della disciplina di settore. Segnatamente, nella prospettazione attorea, meriterebbero di essere considerate come espressione di una vincolante cornice giuridica di riferimento le seguenti disposizioni: l’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI nonché l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali in combinato disposto con l’articolo 11 del codice di comportamento etico – sportivo del CONI. La censura non ha pregio. Ed invero, muovendo dalla disamina della disposizione compendiata all’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI è sufficiente una piana lettura della suddetta disposizione a rivelare con immediatezza la palese inettitudine di siffatta norma ad assurgere a specifica regulaiuris della qui dedotta res controversa. Segnatamente, l’articolo 5 dello statuto del CONI è dichiaratamente volto a definire la griglia dei requisiti di onorabilità dei propri componenti ed è a tale esclusivo fine che, alla lettera b) del comma 3, prescrive il requisito soggettivo di “ non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno”. Appare dunque di tutta evidenza come i profili qui in rilievo (id est legittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F.) si pongano chiaramente al di fuori del perimetro soggettivo di operatività delle prescrizioni compendiate all’articolo 5 comma 3 cit.. Nè siffatte prescrizioni possono essere pedissequamente replicate, come paradigma di legittimità, in un ambito ordinamentale del tutto diverso (id est requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse) che nemmeno evidenzia – in ragione della profonda diversità dei ruoli e delle funzioni dei soggetti impropriamente posti in comparazione (componenti del CONI da un lato e dirigenti delle società dall’altro) – significativi punti di contatto sì da pretenderne l’assoggettamento ad una disciplina omogenea. In altri termini i soggetti cui si rivolgono le disposizioni in raffronto (articolo 5 dello Statuto del CONI e articolo 22 bis N.O.I.F.) sono profondamente diversi per ruolo e funzioni svolte e tale radicale diversità preclude, in radice, ogni sforzo ermeneutico di uniformarne il regime regolatorio di riferimento. Quanto al secondo blocco di disposizioni regolamentari con cui l’articolo 22 bis si porrebbe – nella tesi del ricorrente – in aperta distonia viene, anzitutto, in rilievo l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1523 del 28 ottobre 2014) a mente del quale “ Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate dovranno prevedere un rinvio automatico al Codice di comportamento etico - sportivo emanato dal C.O.N.I.”. Coerentemente con tale disposizione il comma 5 dell’articolo 16 dello Statuto federale prevede che “I soggetti dell’ordinamento della F.I.G.C. sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del CONI. Le disposizioni del Codice sono immediatamente vigenti nell’ordinamento federale, salvi i casi in cui il Codice stesso affida alla Federazione il compito di definire i meccanismi attuativi anche in relazione alla specificità di ciascuna disciplina sportiva”. Tanto premesso, e qui ribadita (salvo le eccezioni suindicate) la diretta ed automatica operatività delle norme del Codice di comportamento, viene in rilievo, per quanto di più diretto interesse, il disposto dell’articolo 11 del suddetto Codice secondo cui “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono immediatamente sospesi in via cautelare, secondo le modalità previste al terzo comma del presente articolo, i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale”. Orbene, ancora una volta è sufficiente una piana lettura della disposizione in commento per rilevare l’infondatezza delle doglianze attoree. E’, invero, di tutta evidenza come le prescrizioni sopra richiamate si rivolgano a soggetti diversi dai dirigenti e/o collaboratori delle società riferendosi esclusivamente a quei soggetti che sono chiamati a far parte degli organi in cui si articolano il CONI, le Federazioni, gli Enti di promozione sportiva, le Associazioni benemerite, gli organismi rappresentativi delle società, idonei come tali ad evocare, in virtù del principio cd. dell’immedesimazione organica, direttamente, nei rapporti esterni, le suindicate istituzioni. Di qui, dunque, l’esigenza di preservarne l’immagine e l’azione d’istituto presidiando la composizione dei relativi organismi di rappresentanza con rigidi requisiti in tema di onorabilità. All’interno della descritta cornice di riferimento non può che concludersi per la palese estraneità delle società di calcio, da un lato, all’elenco formale dei soggetti cui si applica la norma oltre che, dall’altro, ed in ragione della non assimilabilità ai centri di interesse ivi regolati, ai presupposti ed alle finalità che hanno ispirato il precetto in argomento. Né occorre indugiare oltremodo sull’esatto significato da assegnare alla locuzione “organismi rappresentativi delle società” apparendo di tutta evidenza, in virtù dello stesso valore semantico di siffatta proposizione, come essa debba intendersi riferita (non già alla dimensione individuale di ciascuna società bensì) alle associazioni (cd. Leghe) rappresentative dell’insieme delle società che partecipano ai singoli campionati di calcio, dotate di una propria struttura organizzativa in virtù della quale a determinati organi è assegnata la funzione statutaria di rappresentare l’intera associazione. Del pari nemmeno hanno pregio le ulteriori osservazioni censoree con cui il ricorrente cerca di recuperare in via indiretta l’efficacia ostativa rinveniente dall’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, muovendo dal presupposto che i dirigenti apicali delle società possono essere chiamati a comporre organi federali di talchè la portata interdittiva della norma suindicata resterebbe comunque immutata. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non convince. E’ pur vero che, ad esempio, siedono nell’assemblea della F.I.G.C., in qualità di delegati, i presidenti o i rappresentanti delle società professionistiche (cfr. articolo 20 dello Statuto), ma tale circostanza può semmai evocare, in via di mera tesi, un problema di incompatibilità del singolo dirigente – ove privo del requisito di cui al mentovato articolo 11 - a comporre il suddetto organo. Di contro, non è certo possibile inferire da siffatta ipotetica evenienza, con la pretesa automaticità, l’illegittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F.essendo esso rivolto a disciplinare l’ambito – del tutto diverso – dei requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Le due disposizioni, l’articolo 22 bis N.O.I.F.e l’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, hanno in definitiva un ambito di riferimento diverso e non sono tra loro in conflitto rivelandosi del tutto possibile, ove si proceda ad una corretta lettura ermeneutica, una armoniosa coesistenza dei relativi precetti regolatori. In definitiva, un attento scrutinio delle disposizioni sopra passate in rassegna che, per quanto di più diretto interesse, compongono la cornice cogente dell’ordinamento CONI induce ad escludere i dedotti profili di illegittimità – per violazione di legge – articolati dal ricorrente. Quanto alle residue censure rileva preliminarmente la Corte che, al di fuori dei vincoli rinvenienti dall’ordinamento sovraordinato, si riespande, in subiecta materia, la piena discrezionalità del legislatore federale le cui delibere restano soggette a rigorosi limiti di sindacato rappresentati dalla verifica dell’eventuale contrasto con le fonti sovraordinate dell’ordinamento federale ovvero con i canoni generali della logicità e ragionevolezza, che tracciano la linea invalicabile che separa il giudizio di legittimità dalla valutazione di merito, quest’ultima non consentita. Orbene, a tal riguardo, giova rammentare che, nella prospettiva attorea, l’intrinseca irragionevolezza della delibera gravata deriverebbe dal fatto che: - non risulterebbe allineata al richiamato articolo 11 del codice di comportamento sportivo; - non risulterebbe coerente con la ratio specifica della norma e con la finalità statutaria del fair play amministrativo di cui all’articolo 3 comma 1, lettera h) dello Statuto; - sarebbe contraddittoria oltre che illogica la previsione di un regime più blando per i reati di cui alla lettera b) in quanto tali fattispecie criminose sarebbero più gravi ovvero maggiormente attinenti all’attività sportiva rispetto al gruppo di reati di cui alla lettera a) per i quali è previsto un regime più rigido; Orbene, in relazione ai divisati profili di contestazione è agevole rilevare che: - rispetto all’articolo 11 del Codice di comportamento sportivo si è già evidenziato come la specialità della fattispecie ivi regolata (fatta palese dalla diversità dei soggetti cui si riferisce la norma in ragione delle funzioni da essi svolte) impedisce, in apice di rinvenire, quella eadem ratio che consentirebbe di utilizzare la suddetta disposizione come tertiumcomparationis. In mancanza di comprovata omogeneità nelle condizioni di partenza non è possibile ritenere “irragionevole”, e per ciò stesso arbitraria, la scelta discrezionale del legislatore federale di introdurre mediante la previsione di cui all’articolo 22 bis N.O.I.F.un regime differenziato che governi in via autonoma i requisiti di onorabilità dei dirigenti delle società di calcio; - la possibilità di graduare per tali soggetti la soglia di incompatibilità all’assunzione di cariche associative, combinando per talune fattispecie di reato il profilo della pericolosità concreta (entità della condanna inflitta) con quello della gravità del reato (in ragione della pena edittale prevista), non si pone, contrariamente a quanto dedotto, in rapporto di distonia con la previsione di cui all’articolo 3 comma 1 lett h il quale, nel declinare le funzioni e gli obiettivi della F.I.G.C., si limita a prevedere, per quanto di più diretto interesse, che “al fine di promuovere e disciplinare il giuoco del calcio, la F.I.G.C. esercita, in particolare, le seguenti funzioni: ….h) la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati e, in particolare, l’adozione di un sistema di licenze per la partecipazione ai campionati professionistici in armonia con i principi dell’UEFA in materia di licenze per le competizioni europee, stabilendo sistemi di controllo, anche attraverso appositi organismi tecnici, dei requisiti organizzativi, funzionali, economico gestionali e di equilibrio finanziario delle società”. La disposizione in argomento conferisce agli organi della Federazione un ampio potere regolatorio e lo stesso ordinamento endofederale, anche alla stregua di un’interpretazione sistemica, non evidenzia una soglia minima di riferimento che fissi un livello intangibile di rigore, di talchè la definizione in concreto della misura delle singole incompatibilità non può che intendersi rimessa alle valutazioni discrezionali del legislatore federale. Ed è proprio nel solco delle richiamate coordinate che è stato esercitato il suddetto potere normativo con conseguente nuova formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F.. All’interno della descritta cornice di riferimento – priva di cogenti vincoli di riferimento – non è possibile ritenere che l’attuale assetto normativo tradisca la ratio evincibile dal sistema di garantire soglie di onorabilità soggettiva compatibili con i principi e i valori dell’ordinamento sportivo: a tal riguardo, deve infatti evidenziarsi che la norma suindicata si aggiunge alle limitazioni della capacità di agire già previste dall’ordinamento nazionale e come tale, per definizione, assolve alla sua tipica funzione di introdurre misure autonome e aggiuntive calibrate sullo specifico ordinamento settoriale di riferimento, dando luogo ad un oggettivo inasprimento del relativo regime giuridico rispetto alle ordinarie regole esigibili in subiecta materia in base al codice civile. Né la parziale mitigazione di siffatto regime introdotta con la delibera qui impugnata costituisce di per sè un elemento di contraddizione, rientrando siffatta scelta nell’ampio margine di discrezionalità rimesso dall’ordinamento al legislatore federale, le cui determinazioni – non sindacabili nel merito - non riflettono vizi di manifesta illogicità; - né, infine, possono essere valorizzate, quale sintomo della paventata irragionevolezza della norma, le generiche deduzioni attoree circa l’inclusione nell’elencazione di cui alla lettera b) dell’articolo 22 bis N.O.I.F.di fattispecie di reato che, secondo il ricorrente, sarebbero più gravi o, comunque, maggiormente connesse all’attività sportiva di quelle rimaste soggette al regime più rigido siccome contenute nell’elenco di cui alla lettera a). La metodica seguita di comparare intere categorie di reati secondo un non meglio definito criterio di prossimità all’attività sportiva - criterio solo genericamente enunciato ma non sviluppato nei suoi elementi di identificazione sì da rivelarsi una vuota affermazione di principio - si rivela del tutto inappagante viepiù se, come nel caso di specie, le deduzioni all’uopo svolte sono rimaste confinate, come già sopra anticipato, in una dimensione generale ed astratta senza alcun concreto aggancio alle singole specifiche tipologie delittuose contenute nelle elencazioni della norma in commento. Ed, invero, il ricorrente non si è peritato nemmeno di individuare quali delle singole tipologie di reato – ricadenti nella categorie cui fa riferimento l’articolo 22 bis N.O.I.F.– sarebbero destinate, per effetto dell’avversata riforma, ad essere espunte, siccome punite con una pena detentiva edittale inferiore ai tre anni, dalla griglia delle fattispecie costituenti parametro di riferimento per verificare la condizione soggettiva di onorabilità in capo ai dirigenti delle società di calcio. Di contro, appare di tutta evidenza che una preliminare ed analitica verifica del concreto impatto ingenerato dalla riforma costituisce una indefettibile pre - condizione per una seria denuncia di illogicità e irragionevolezza della norma che, per le ragioni fin qui dette, è rimasta affidata a generiche ed indimostrate affermazioni.
Decisione C.F.A. – Sezioni Unite: Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e su www.figc.it
Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015
Impugnazione – istanza: RICORSO DEL SIG. D.T. AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C.DI CUI AL COM. UFF. N. 82/A DEL 20.11.2014
Massima: La Corte respinge il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera del TFN che ha respinto il ricorso, avverso la delibera consiliare del 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 82/A, e recante modifiche all’art. 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Segnatamente, a seguito della riforma qui contestata, la condanna a pena detentiva superiore ad un anno per alcune fattispecie di reato analiticamente indicate (id est norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25.1.1982 n. 17; testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (d.p.r. 9.10.1990 n. 309), disposizioni penali in materia di società e consorzi previste dal codice civile (titolo XI libro V), testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lvo 24.2.19998 n. 58), e già previste nell’originaria formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F. come causa impeditiva all’assunzione della carica di dirigente di società o associazione e/o collaboratore ovvero come causa di decadenza, esplica i suoi effetti interdittivi solo nelle ipotesi in cui consegue alla consumazione di un delitto punito con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione. Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto l’ambito cognitivo del presente procedimento verte sulla legittimità delle modifiche introdotte – con delibera 82/A del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014 – all’originario impianto normativo dell’articolo 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Nella prospettazione del ricorrente l’enucleazione di un gruppo autonomo di fattispecie criminose, oggi elencate alla lettera b) dell’articolo in commento, per le quali è richiesto il requisito aggiuntivo della previsione di una pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione si porrebbe in rapporto di distonia, da un lato, con il quadro regolatorio vigente e, dall’altro, con i canoni di logicità e ragionevolezza che governano l’esercizio della discrezionalità normativa. Orbene, ritiene la Corte che il ricorso sia infondato e che, pertanto, vada respinto, di talchè il Collegio può ritenersi dispensato, in coerenza con consolidati modelli decisori mutuati da autorevole giurisprudenza, dalla disamina della pregiudiziale questione di rito sulla procedibilità dell’azione impugnatoria spiegata dal ricorrente avverso una delibera fatta, al contempo, oggetto di specifica approvazione da parte della Giunta del CONI. Tanto premesso, e seguendo nello scrutinio della res iudicanda lo stesso ordine espositivo fatto proprio dal ricorrente, occorre passare in rassegna, anzitutto, le censure con cui lamenta l’illegittimità dell’impugnata delibera consiliare per violazione di legge in quanto adottata in aperta violazione della disciplina di settore. Segnatamente, nella prospettazione attorea, meriterebbero di essere considerate come espressione di una vincolante cornice giuridica di riferimento le seguenti disposizioni: l’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI nonché l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali in combinato disposto con l’articolo 11 del codice di comportamento etico – sportivo del CONI. La censura non ha pregio. Ed invero, muovendo dalla disamina della disposizione compendiata all’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI è sufficiente una piana lettura della suddetta disposizione a rivelare con immediatezza la palese inettitudine di siffatta norma ad assurgere a specifica regulaiuris della qui dedotta res controversa. Segnatamente, l’articolo 5 dello statuto del CONI è dichiaratamente volto a definire la griglia dei requisiti di onorabilità dei propri componenti ed è a tale esclusivo fine che, alla lettera b) del comma 3, prescrive il requisito soggettivo di “ non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno”. Appare dunque di tutta evidenza come i profili qui in rilievo (id est legittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F.) si pongano chiaramente al di fuori del perimetro soggettivo di operatività delle prescrizioni compendiate all’articolo 5 comma 3 cit. Nè siffatte prescrizioni possono essere pedissequamente replicate, come paradigma di legittimità, in un ambito ordinamentale del tutto diverso (id est requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse) che nemmeno evidenzia – in ragione della profonda diversità dei ruoli e delle funzioni dei soggetti impropriamente posti in comparazione (componenti del CONI da un lato e dirigenti delle società dall’altro) – significativi punti di contatto sì da pretenderne l’assoggettamento ad una disciplina omogenea. In altri termini i soggetti cui si rivolgono le disposizioni in raffronto (articolo 5 dello Statuto del CONI e articolo 22 bis N.O.I.F.) sono profondamente diversi per ruolo e funzioni svolte e tale radicale diversità preclude, in radice, ogni sforzo ermeneutico di uniformarne il regime regolatorio di riferimento. Quanto al secondo blocco di disposizioni regolamentari con cui l’articolo 22 bis si porrebbe – nella tesi del ricorrente – in aperta distonia viene, anzitutto, in rilievo l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1523 del 28 ottobre 2014) a mente del quale “ Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate dovranno prevedere un rinvio automatico al Codice di comportamento etico - sportivo emanato dal C.O.N.I.”. Coerentemente con tale disposizione il comma 5 dell’articolo 16 dello Statuto federale prevede che “I soggetti dell’ordinamento della F.I.G.C. sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del CONI. Le disposizioni del Codice sono immediatamente vigenti nell’ordinamento federale, salvi i casi in cui il Codice stesso affida alla Federazione il compito di definire i meccanismi attuativi anche in relazione alla specificità di ciascuna disciplina sportiva”. Tanto premesso, e qui ribadita (salvo le eccezioni suindicate) la diretta ed automatica operatività delle norme del Codice di comportamento, viene in rilievo, per quanto di più diretto interesse, il disposto dell’articolo 11 del suddetto Codice secondo cui “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono immediatamente sospesi in via cautelare, secondo le modalità previste al terzo comma del presente articolo, i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale”. Orbene, ancora una volta è sufficiente una piana lettura della disposizione in commento per rilevare l’infondatezza delle doglianze attoree. E’, invero, di tutta evidenza come le prescrizioni sopra richiamate si rivolgano a soggetti diversi dai dirigenti e/o collaboratori delle società riferendosi esclusivamente a quei soggetti che sono chiamati a far parte degli organi in cui si articolano il CONI, le Federazioni, gli Enti di promozione sportiva, le Associazioni benemerite, gli organismi rappresentativi delle società, idonei come tali ad evocare, in virtù del principio cd. dell’immedesimazione organica, direttamente, nei rapporti esterni, le suindicate istituzioni. Di qui, dunque, l’esigenza di preservarne l’immagine e l’azione d’istituto presidiando la composizione dei relativi organismi di rappresentanza con rigidi requisiti in tema di onorabilità. All’interno della descritta cornice di riferimento non può che concludersi per la palese estraneità delle società di calcio, da un lato, all’elenco formale dei soggetti cui si applica la norma oltre che, dall’altro, ed in ragione della non assimilabilità ai centri di interesse ivi regolati, ai presupposti ed alle finalità che hanno ispirato il precetto in argomento. Né occorre indugiare oltremodo sull’esatto significato da assegnare alla locuzione “organismi rappresentativi delle società” apparendo di tutta evidenza, in virtù dello stesso valore semantico di siffatta proposizione, come essa debba intendersi riferita (non già alla dimensione individuale di ciascuna società bensì) alle associazioni (cd. Leghe) rappresentative dell’insieme delle società che partecipano ai singoli campionati di calcio, dotate di una propria struttura organizzativa in virtù della quale a determinati organi è assegnata la funzione statutaria di rappresentare l’intera associazione. Del pari nemmeno hanno pregio le ulteriori osservazioni censoree con cui il ricorrente cerca di recuperare in via indiretta l’efficacia ostativa rinveniente dall’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, muovendo dal presupposto che i dirigenti apicali delle società possono essere chiamati a comporre organi federali di talchè la portata interdittiva della norma suindicata resterebbe comunque immutata. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non convince. E’ pur vero che, ad esempio, siedono nell’assemblea della F.I.G.C., in qualità di delegati, i presidenti o i rappresentanti delle società professionistiche (cfr. articolo 20 dello Statuto), ma tale circostanza può semmai evocare, in via di mera tesi, un problema di incompatibilità del singolo dirigente – ove privo del requisito di cui al mentovato articolo 11 - a comporre il suddetto organo. Di contro, non è certo possibile inferire da siffatta ipotetica evenienza, con la pretesa automaticità, l’illegittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F. essendo esso rivolto a disciplinare l’ambito – del tutto diverso – dei requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Le due disposizioni, l’articolo 22 bis N.O.I.F. e l’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, hanno in definitiva un ambito di riferimento diverso e non sono tra loro in conflitto rivelandosi del tutto possibile, ove si proceda ad una corretta lettura ermeneutica, una armoniosa coesistenza dei relativi precetti regolatori. In definitiva, un attento scrutinio delle disposizioni sopra passate in rassegna che, per quanto di più diretto interesse, compongono la cornice cogente dell’ordinamento CONI induce ad escludere i dedotti profili di illegittimità – per violazione di legge – articolati dal ricorrente. Quanto alle residue censure rileva preliminarmente la Corte che, al di fuori dei vincoli rinvenienti dall’ordinamento sovraordinato, si riespande, in subiecta materia, la piena discrezionalità del legislatore federale le cui delibere restano soggette a rigorosi limiti di sindacato rappresentati dalla verifica dell’eventuale contrasto con le fonti sovraordinate dell’ordinamento federale ovvero con i canoni generali della logicità e ragionevolezza, che tracciano la linea invalicabile che separa il giudizio di legittimità dalla valutazione di merito, quest’ultima non consentita. Orbene, a tal riguardo, giova rammentare che, nella prospettiva attorea, l’intrinseca irragionevolezza della delibera gravata deriverebbe dal fatto che:- non risulterebbe allineata al richiamato articolo 11 del codice di comportamento sportivo; - non risulterebbe coerente con la ratio specifica della norma e con la finalità statutaria del fair play amministrativo di cui all’articolo 3 comma 1, lettera h) dello Statuto; - sarebbe contraddittoria oltre che illogica la previsione di un regime più blando per i reati di cui alla lettera b) in quanto tali fattispecie criminose sarebbero più gravi ovvero maggiormente attinenti all’attività sportiva rispetto al gruppo di reati di cui alla lettera a) per i quali è previsto un regime più rigido; Orbene, in relazione ai divisati profili di contestazione è agevole rilevare che: - rispetto all’articolo 11 del Codice di comportamento sportivo si è già evidenziato come la specialità della fattispecie ivi regolata (fatta palese dalla diversità dei soggetti cui si riferisce la norma in ragione delle funzioni da essi svolte) impedisce, in apice di rinvenire, quella eadem ratio che consentirebbe di utilizzare la suddetta disposizione come tertiumcomparationis. In mancanza di comprovata omogeneità nelle condizioni di partenza non è possibile ritenere “irragionevole”, e per ciò stesso arbitraria, la scelta discrezionale del legislatore federale di introdurre mediante la previsione di cui all’articolo 22 bis N.O.I.F. un regime differenziato che governi in via autonoma i requisiti di onorabilità dei dirigenti delle società di calcio; - la possibilità di graduare per tali soggetti la soglia di incompatibilità all’assunzione di cariche associative, combinando per talune fattispecie di reato il profilo della pericolosità concreta (entità della condanna inflitta) con quello della gravità del reato (in ragione della pena edittale prevista), non si pone, contrariamente a quanto dedotto, in rapporto di distonia con la previsione di cui all’articolo 3 comma 1 lett h il quale, nel declinare le funzioni e gli obiettivi della F.I.G.C., si limita a prevedere, per quanto di più diretto interesse, che “al fine di promuovere e disciplinare il giuoco del calcio, la F.I.G.C. esercita, in particolare, le seguenti funzioni: ….h) la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati e, in particolare, l’adozione di un sistema di licenze per la partecipazione ai campionati professionistici in armonia con i principi dell’UEFA in materia di licenze per le competizioni europee, stabilendo sistemi di controllo, anche attraverso appositi organismi tecnici, dei requisiti organizzativi, funzionali, economico gestionali e di equilibrio finanziario delle società”. La disposizione in argomento conferisce agli organi della Federazione un ampio potere regolatorio e lo stesso ordinamento endofederale, anche alla stregua di un’interpretazione sistemica, non evidenzia una soglia minima di riferimento che fissi un livello intangibile di rigore, di talchè la definizione in concreto della misura delle singole incompatibilità non può che intendersi rimessa alle valutazioni discrezionali del legislatore federale. Ed è proprio nel solco delle richiamate coordinate che è stato esercitato il suddetto potere normativo con conseguente nuova formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F.. All’interno della descritta cornice di riferimento – priva di cogenti vincoli di riferimento – non è possibile ritenere che l’attuale assetto normativo tradisca la ratio evincibile dal sistema di garantire soglie di onorabilità soggettiva compatibili con i principi e i valori dell’ordinamento sportivo: a tal riguardo, deve infatti evidenziarsi che la norma suindicata si aggiunge alle limitazioni della capacità di agire già previste dall’ordinamento nazionale e come tale, per definizione, assolve alla sua tipica funzione di introdurre misure autonome e aggiuntive calibrate sullo specifico ordinamento settoriale di riferimento, dando luogo ad un oggettivo inasprimento del relativo regime giuridico rispetto alle ordinarie regole esigibili in subiecta materia in base al codice civile. Né la parziale mitigazione di siffatto regime introdotta con la delibera qui impugnata costituisce di per sè un elemento di contraddizione, rientrando siffatta scelta nell’ampio margine di discrezionalità rimesso dall’ordinamento al legislatore federale, le cui determinazioni – non sindacabili nel merito - non riflettono vizi di manifesta illogicità; - né, infine, possono essere valorizzate, quale sintomo della paventata irragionevolezza della norma, le generiche deduzioni attoree circa l’inclusione nell’elencazione di cui alla lettera b) dell’articolo 22 bis N.O.I.F. di fattispecie di reato che, secondo il ricorrente, sarebbero più gravi o, comunque, maggiormente connesse all’attività sportiva di quelle rimaste soggette al regime più rigido siccome contenute nell’elenco di cui alla lettera a). La metodica seguita di comparare intere categorie di reati secondo un non meglio definito criterio di prossimità all’attività sportiva - criterio solo genericamente enunciato ma non sviluppato nei suoi elementi di identificazione sì da rivelarsi una vuota affermazione di principio - si rivela del tutto inappagante viepiù se, come nel caso di specie, le deduzioni all’uopo svolte sono rimaste confinate, come già sopra anticipato, in una dimensione generale ed astratta senza alcun concreto aggancio alle singole specifiche tipologie delittuose contenute nelle elencazioni della norma in commento. Ed, invero, il ricorrente non si è peritato nemmeno di individuare quali delle singole tipologie di reato – ricadenti nella categorie cui fa riferimento l’articolo 22 bis N.O.I.F. – sarebbero destinate, per effetto dell’avversata riforma, ad essere espunte, siccome punite con una pena detentiva edittale inferiore ai tre anni, dalla griglia delle fattispecie costituenti parametro di riferimento per verificare la condizione soggettiva di onorabilità in capo ai dirigenti delle società di calcio. Di contro, appare di tutta evidenza che una preliminare ed analitica verifica del concreto impatto ingenerato dalla riforma costituisce una indefettibile pre - condizione per una seria denuncia di illogicità e irragionevolezza della norma che, per le ragioni fin qui dette, è rimasta affidata a generiche ed indimostrate affermazioni.
Decisione C.F.A. – Sezioni Unite: Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e su www.figc.it
Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015
Impugnazione – istanza: RICORSO DEL SIG. L.A.P. AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C. DI CUI AL COM. UFF. N. 82/A DEL 20.11.2014
Massima: La Corte respinge il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera del TFN che ha respinto il ricorso, avverso la delibera consiliare del 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 82/A, e recante modifiche all’art. 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Segnatamente, a seguito della riforma qui contestata, la condanna a pena detentiva superiore ad un anno per alcune fattispecie di reato analiticamente indicate (id est norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25.1.1982 n. 17; testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (d.p.r. 9.10.1990 n. 309), disposizioni penali in materia di società e consorzi previste dal codice civile (titolo XI libro V), testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lvo 24.2.19998 n. 58), e già previste nell’originaria formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F. come causa impeditiva all’assunzione della carica di dirigente di società o associazione e/o collaboratore ovvero come causa di decadenza, esplica i suoi effetti interdittivi solo nelle ipotesi in cui consegue alla consumazione di un delitto punito con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione. Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto l’ambito cognitivo del presente procedimento verte sulla legittimità delle modifiche introdotte – con delibera 82/A del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014 – all’originario impianto normativo dell’articolo 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Nella prospettazione del ricorrente l’enucleazione di un gruppo autonomo di fattispecie criminose, oggi elencate alla lettera b) dell’articolo in commento, per le quali è richiesto il requisito aggiuntivo della previsione di una pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione si porrebbe in rapporto di distonia, da un lato, con il quadro regolatorio vigente e, dall’altro, con i canoni di logicità e ragionevolezza che governano l’esercizio della discrezionalità normativa. Orbene, ritiene la Corte che il ricorso sia infondato e che, pertanto, vada respinto, di talchè il Collegio può ritenersi dispensato, in coerenza con consolidati modelli decisori mutuati da autorevole giurisprudenza, dalla disamina della pregiudiziale questione di rito sulla procedibilità dell’azione impugnatoria spiegata dal ricorrente avverso una delibera fatta, al contempo, oggetto di specifica approvazione da parte della Giunta del CONI. Tanto premesso, e seguendo nello scrutinio della res iudicanda lo stesso ordine espositivo fatto proprio dal ricorrente, occorre passare in rassegna, anzitutto, le censure con cui lamenta l’illegittimità dell’impugnata delibera consiliare per violazione di legge in quanto adottata in aperta violazione della disciplina di settore. Segnatamente, nella prospettazione attorea, meriterebbero di essere considerate come espressione di una vincolante cornice giuridica di riferimento le seguenti disposizioni: l’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI nonché l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali in combinato disposto con l’articolo 11 del codice di comportamento etico – sportivo del CONI. La censura non ha pregio. Ed invero, muovendo dalla disamina della disposizione compendiata all’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI è sufficiente una piana lettura della suddetta disposizione a rivelare con immediatezza la palese inettitudine di siffatta norma ad assurgere a specifica regulaiuris della qui dedotta res controversa. Segnatamente, l’articolo 5 dello statuto del CONI è dichiaratamente volto a definire la griglia dei requisiti di onorabilità dei propri componenti ed è a tale esclusivo fine che, alla lettera b) del comma 3, prescrive il requisito soggettivo di “ non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno”. Appare dunque di tutta evidenza come i profili qui in rilievo (id est legittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F.) si pongano chiaramente al di fuori del perimetro soggettivo di operatività delle prescrizioni compendiate all’articolo 5 comma 3 cit. Nè siffatte prescrizioni possono essere pedissequamente replicate, come paradigma di legittimità, in un ambito ordinamentale del tutto diverso (id est requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse) che nemmeno evidenzia – in ragione della profonda diversità dei ruoli e delle funzioni dei soggetti impropriamente posti in comparazione (componenti del CONI da un lato e dirigenti delle società dall’altro) – significativi punti di contatto sì da pretenderne l’assoggettamento ad una disciplina omogenea. In altri termini i soggetti cui si rivolgono le disposizioni in raffronto (articolo 5 dello Statuto del CONI e articolo 22 bis N.O.I.F.) sono profondamente diversi per ruolo e funzioni svolte e tale radicale diversità preclude, in radice, ogni sforzo ermeneutico di uniformarne il regime regolatorio di riferimento. Quanto al secondo blocco di disposizioni regolamentari con cui l’articolo 22 bis si porrebbe – nella tesi del ricorrente – in aperta distonia viene, anzitutto, in rilievo l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1523 del 28 ottobre 2014) a mente del quale “ Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate dovranno prevedere un rinvio automatico al Codice di comportamento etico - sportivo emanato dal C.O.N.I.”. Coerentemente con tale disposizione il comma 5 dell’articolo 16 dello Statuto federale prevede che “I soggetti dell’ordinamento della F.I.G.C. sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del CONI. Le disposizioni del Codice sono immediatamente vigenti nell’ordinamento federale, salvi i casi in cui il Codice stesso affida alla Federazione il compito di definire i meccanismi attuativi anche in relazione alla specificità di ciascuna disciplina sportiva”. Tanto premesso, e qui ribadita (salvo le eccezioni suindicate) la diretta ed automatica operatività delle norme del Codice di comportamento, viene in rilievo, per quanto di più diretto interesse, il disposto dell’articolo 11 del suddetto Codice secondo cui “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono immediatamente sospesi in via cautelare, secondo le modalità previste al terzo comma del presente articolo, i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale”. Orbene, ancora una volta è sufficiente una piana lettura della disposizione in commento per rilevare l’infondatezza delle doglianze attoree. E’, invero, di tutta evidenza come le prescrizioni sopra richiamate si rivolgano a soggetti diversi dai dirigenti e/o collaboratori delle società riferendosi esclusivamente a quei soggetti che sono chiamati a far parte degli organi in cui si articolano il CONI, le Federazioni, gli Enti di promozione sportiva, le Associazioni benemerite, gli organismi rappresentativi delle società, idonei come tali ad evocare, in virtù del principio cd. dell’immedesimazione organica, direttamente, nei rapporti esterni, le suindicate istituzioni. Di qui, dunque, l’esigenza di preservarne l’immagine e l’azione d’istituto presidiando la composizione dei relativi organismi di rappresentanza con rigidi requisiti in tema di onorabilità. All’interno della descritta cornice di riferimento non può che concludersi per la palese estraneità delle società di calcio, da un lato, all’elenco formale dei soggetti cui si applica la norma oltre che, dall’altro, ed in ragione della non assimilabilità ai centri di interesse ivi regolati, ai presupposti ed alle finalità che hanno ispirato il precetto in argomento. Né occorre indugiare oltremodo sull’esatto significato da assegnare alla locuzione “organismi rappresentativi delle società” apparendo di tutta evidenza, in virtù dello stesso valore semantico di siffatta proposizione, come essa debba intendersi riferita (non già alla dimensione individuale di ciascuna società bensì) alle associazioni (cd. Leghe) rappresentative dell’insieme delle società che partecipano ai singoli campionati di calcio, dotate di una propria struttura organizzativa in virtù della quale a determinati organi è assegnata la funzione statutaria di rappresentare l’intera associazione. Del pari nemmeno hanno pregio le ulteriori osservazioni censoree con cui il ricorrente cerca di recuperare in via indiretta l’efficacia ostativa rinveniente dall’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, muovendo dal presupposto che i dirigenti apicali delle società possono essere chiamati a comporre organi federali di talchè la portata interdittiva della norma suindicata resterebbe comunque immutata. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non convince. E’ pur vero che, ad esempio, siedono nell’assemblea della F.I.G.C., in qualità di delegati, i presidenti o i rappresentanti delle società professionistiche (cfr. articolo 20 dello Statuto), ma tale circostanza può semmai evocare, in via di mera tesi, un problema di incompatibilità del singolo dirigente – ove privo del requisito di cui al mentovato articolo 11 - a comporre il suddetto organo. Di contro, non è certo possibile inferire da siffatta ipotetica evenienza, con la pretesa automaticità, l’illegittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F. essendo esso rivolto a disciplinare l’ambito – del tutto diverso – dei requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Le due disposizioni, l’articolo 22 bis N.O.I.F. e l’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, hanno in definitiva un ambito di riferimento diverso e non sono tra loro in conflitto rivelandosi del tutto possibile, ove si proceda ad una corretta lettura ermeneutica, una armoniosa coesistenza dei relativi precetti regolatori. In definitiva, un attento scrutinio delle disposizioni sopra passate in rassegna che, per quanto di più diretto interesse, compongono la cornice cogente dell’ordinamento CONI induce ad escludere i dedotti profili di illegittimità – per violazione di legge – articolati dai ricorrenti. Quanto alle residue censure rileva preliminarmente la Corte che, al di fuori dei vincoli rinvenienti dall’ordinamento sovraordinato, si riespande, in subiecta materia, la piena discrezionalità del legislatore federale le cui delibere restano soggette a rigorosi limiti di sindacato rappresentati dalla verifica dell’eventuale contrasto con le fonti sovraordinate dell’ordinamento federale ovvero con i canoni generali della logicità e ragionevolezza, che tracciano la linea invalicabile che separa il giudizio di legittimità dalla valutazione di merito, quest’ultima non consentita. Orbene, a tal riguardo, giova rammentare che, nella prospettiva attorea, l’intrinseca irragionevolezza della delibera gravata deriverebbe dal fatto che: - non risulterebbe allineata al richiamato articolo 11 del codice di comportamento sportivo; - non risulterebbe coerente con la ratio specifica della norma e con la finalità statutaria del fair play amministrativo di cui all’articolo 3 comma 1, lettera h) dello Statuto; - sarebbe contraddittoria oltre che illogica la previsione di un regime più blando per i reati di cui alla lettera b) in quanto tali fattispecie criminose sarebbero più gravi ovvero maggiormente attinenti all’attività sportiva rispetto al gruppo di reati di cui alla lettera a) per i quali è previsto un regime più rigido; Orbene, in relazione ai divisati profili di contestazione è agevole rilevare che: - rispetto all’articolo 11 del Codice di comportamento sportivo si è già evidenziato come la specialità della fattispecie ivi regolata (fatta palese dalla diversità dei soggetti cui si riferisce la norma in ragione delle funzioni da essi svolte) impedisce, in apice di rinvenire, quella eadem ratio che consentirebbe di utilizzare la suddetta disposizione come tertiumcomparationis. In mancanza di comprovata omogeneità nelle condizioni di partenza non è possibile ritenere “irragionevole”, e per ciò stesso arbitraria, la scelta discrezionale del legislatore federale di introdurre mediante la previsione di cui all’articolo 22 bis N.O.I.F. un regime differenziato che governi in via autonoma i requisiti di onorabilità dei dirigenti delle società di calcio; - la possibilità di graduare per tali soggetti la soglia di incompatibilità all’assunzione di cariche associative, combinando per talune fattispecie di reato il profilo della pericolosità concreta (entità della condanna inflitta) con quello della gravità del reato (in ragione della pena edittale prevista), non si pone, contrariamente a quanto dedotto, in rapporto di distonia con la previsione di cui all’articolo 3 comma 1 lett h) il quale, nel declinare le funzioni e gli obiettivi della F.I.G.C., si limita a prevedere, per quanto di più diretto interesse, che “al fine di promuovere e disciplinare il giuoco del calcio, la F.I.G.C. esercita, in particolare, le seguenti funzioni: ….h) la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati e, in particolare, l’adozione di un sistema di licenze per la partecipazione ai campionati professionistici in armonia con i principi dell’UEFA in materia di licenze per le competizioni europee, stabilendo sistemi di controllo, anche attraverso appositi organismi tecnici, dei requisiti organizzativi, funzionali, economico gestionali e di equilibrio finanziario delle società”. La disposizione in argomento conferisce agli organi della Federazione un ampio potere regolatorio e lo stesso ordinamento endofederale, anche alla stregua di un’interpretazione sistemica, non evidenzia una soglia minima di riferimento che fissi un livello intangibile di rigore, di talchè la definizione in concreto della misura delle singole incompatibilità non può che intendersi rimessa alle valutazioni discrezionali del legislatore federale. Ed è proprio nel solco delle richiamate coordinate che è stato esercitato il suddetto potere normativo con conseguente nuova formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F.. All’interno della descritta cornice di riferimento – priva di cogenti vincoli di riferimento – non è possibile ritenere che l’attuale assetto normativo tradisca la ratio evincibile dal sistema di garantire soglie di onorabilità soggettiva compatibili con i principi e i valori dell’ordinamento sportivo: a tal riguardo, deve infatti evidenziarsi che la norma suindicata si aggiunge alle limitazioni della capacità di agire già previste dall’ordinamento nazionale e come tale, per definizione, assolve alla sua tipica funzione di introdurre misure autonome e aggiuntive calibrate sullo specifico ordinamento settoriale di riferimento, dando luogo ad un oggettivo inasprimento del relativo regime giuridico rispetto alle ordinarie regole esigibili in subiecta materia in base al codice civile. Né la parziale mitigazione di siffatto regime introdotta con la delibera qui impugnata costituisce di per sè un elemento di contraddizione, rientrando siffatta scelta nell’ampio margine di discrezionalità rimesso dall’ordinamento al legislatore federale, le cui determinazioni – non sindacabili nel merito - non riflettono vizi di manifesta illogicità; - né, infine, possono essere valorizzate, quale sintomo della paventata irragionevolezza della norma, le generiche deduzioni attoree circa l’inclusione nell’elencazione di cui alla lettera b) dell’articolo 22 bis N.O.I.F. di fattispecie di reato che, secondo il ricorrente, sarebbero più gravi o, comunque, maggiormente connesse all’attività sportiva di quelle rimaste soggette al regime più rigido siccome contenute nell’elenco di cui alla lettera a). La metodica seguita di comparare intere categorie di reati secondo un non meglio definito criterio di prossimità all’attività sportiva - criterio solo genericamente enunciato ma non sviluppato nei suoi elementi di identificazione sì da rivelarsi una vuota affermazione di principio - si rivela del tutto inappagante viepiù se, come nel caso di specie, le deduzioni all’uopo svolte sono rimaste confinate, come già sopra anticipato, in una dimensione generale ed astratta senza alcun concreto aggancio alle singole specifiche tipologie delittuose contenute nelle elencazioni della norma in commento. Ed, invero, il ricorrente non si è peritato nemmeno di individuare quali delle singole tipologie di reato – ricadenti nella categorie cui fa riferimento l’articolo 22 bis N.O.I.F. – sarebbero destinate, per effetto dell’avversata riforma, ad essere espunte, siccome punite con una pena detentiva edittale inferiore ai tre anni, dalla griglia delle fattispecie costituenti parametro di riferimento per verificare la condizione soggettiva di onorabilità in capo ai dirigenti delle società di calcio. Di contro, appare di tutta evidenza che una preliminare ed analitica verifica del concreto impatto ingenerato dalla riforma costituisce una indefettibile pre - condizione per una seria denuncia di illogicità e irragionevolezza della norma che, per le ragioni fin qui dette, è rimasta affidata a generiche ed indimostrate affermazioni.
Decisione C.F.A. – Sezioni Unite: Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e su www.figc.it
Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015
Impugnazione – istanza: 4) RICORSO DEL SIG. U.C. AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C. DI CUI AL COM. UFF. N. 82/A DEL 20.11.2014
Massima: La Corte respinge il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera del TFN che ha respinto il ricorso, avverso la delibera consiliare del 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 82/A, e recante modifiche all’art. 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Segnatamente, a seguito della riforma qui contestata, la condanna a pena detentiva superiore ad un anno per alcune fattispecie di reato analiticamente indicate (id est norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25.1.1982 n. 17; testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (d.p.r. 9.10.1990 n. 309), disposizioni penali in materia di società e consorzi previste dal codice civile (titolo XI libro V), testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lvo 24.2.19998 n. 58), e già previste nell’originaria formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F. come causa impeditiva all’assunzione della carica di dirigente di società o associazione e/o collaboratore ovvero come causa di decadenza, esplica i suoi effetti interdittivi solo nelle ipotesi in cui consegue alla consumazione di un delitto punito con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione. Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto l’ambito cognitivo del presente procedimento verte sulla legittimità delle modifiche introdotte – con delibera 82/A del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014 – all’originario impianto normativo dell’articolo 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Nella prospettazione del ricorrente l’enucleazione di un gruppo autonomo di fattispecie criminose, oggi elencate alla lettera b) dell’articolo in commento, per le quali è richiesto il requisito aggiuntivo della previsione di una pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione si porrebbe in rapporto di distonia, da un lato, con il quadro regolatorio vigente e, dall’altro, con i canoni di logicità e ragionevolezza che governano l’esercizio della discrezionalità normativa. Orbene, ritiene la Corte che il ricorso sia infondato e che, pertanto, vada respinto, di talchè il Collegio può ritenersi dispensato, in coerenza con consolidati modelli decisori mutuati da autorevole giurisprudenza, dalla disamina della pregiudiziale questione di rito sulla procedibilità dell’azione impugnatoria spiegata dal ricorrente avverso una delibera fatta, al contempo, oggetto di specifica approvazione da parte della Giunta del CONI. Tanto premesso, e seguendo nello scrutinio della res iudicanda lo stesso ordine espositivo fatto proprio dal ricorrente, occorre passare in rassegna, anzitutto, le censure con cui lamenta l’illegittimità dell’impugnata delibera consiliare per violazione di legge in quanto adottata in aperta violazione della disciplina di settore. Segnatamente, nella prospettazione attorea, meriterebbero di essere considerate come espressione di una vincolante cornice giuridica di riferimento le seguenti disposizioni: l’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI nonché l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali in combinato disposto con l’articolo 11 del codice di comportamento etico – sportivo del CONI. La censura non ha pregio. Ed invero, muovendo dalla disamina della disposizione compendiata all’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI è sufficiente una piana lettura della suddetta disposizione a rivelare con immediatezza la palese inettitudine di siffatta norma ad assurgere a specifica regulaiuris della qui dedotta res controversa. Segnatamente, l’articolo 5 dello statuto del CONI è dichiaratamente volto a definire la griglia dei requisiti di onorabilità dei propri componenti ed è a tale esclusivo fine che, alla lettera b) del comma 3, prescrive il requisito soggettivo di “ non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno”. Appare dunque di tutta evidenza come i profili qui in rilievo (id est legittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F.) si pongano chiaramente al di fuori del perimetro soggettivo di operatività delle prescrizioni compendiate all’articolo 5 comma 3 cit. Nè siffatte prescrizioni possono essere pedissequamente replicate, come paradigma di legittimità, in un ambito ordinamentale del tutto diverso (id est requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse) che nemmeno evidenzia – in ragione della profonda diversità dei ruoli e delle funzioni dei soggetti impropriamente posti in comparazione (componenti del CONI da un lato e dirigenti delle società dall’altro) – significativi punti di contatto sì da pretenderne l’assoggettamento ad una disciplina omogenea. In altri termini i soggetti cui si rivolgono le disposizioni in raffronto (articolo 5 dello Statuto del CONI e articolo 22 bis N.O.I.F.) sono profondamente diversi per ruolo e funzioni svolte e tale radicale diversità preclude, in radice, ogni sforzo ermeneutico di uniformarne il regime regolatorio di riferimento. Quanto al secondo blocco di disposizioni regolamentari con cui l’articolo 22 bis si porrebbe – nella tesi del ricorrente – in aperta distonia viene, anzitutto, in rilievo l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1523 del 28 ottobre 2014) a mente del quale “ Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate dovranno prevedere un rinvio automatico al Codice di comportamento etico - sportivo emanato dal C.O.N.I.”. Coerentemente con tale disposizione il comma 5 dell’articolo 16 dello Statuto federale prevede che “I soggetti dell’ordinamento della F.I.G.C. sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del CONI. Le disposizioni del Codice sono immediatamente vigenti nell’ordinamento federale, salvi i casi in cui il Codice stesso affida alla Federazione il compito di definire i meccanismi attuativi anche in relazione alla specificità di ciascuna disciplina sportiva”. Tanto premesso, e qui ribadita (salvo le eccezioni suindicate) la diretta ed automatica operatività delle norme del Codice di comportamento, viene in rilievo, per quanto di più diretto interesse, il disposto dell’articolo 11 del suddetto Codice secondo cui “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono immediatamente sospesi in via cautelare, secondo le modalità previste al terzo comma del presente articolo, i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale”. Orbene, ancora una volta è sufficiente una piana lettura della disposizione in commento per rilevare l’infondatezza delle doglianze attoree. E’, invero, di tutta evidenza come le prescrizioni sopra richiamate si rivolgano a soggetti diversi dai dirigenti e/o collaboratori delle società riferendosi esclusivamente a quei soggetti che sono chiamati a far parte degli organi in cui si articolano il CONI, le Federazioni, gli Enti di promozione sportiva, le Associazioni benemerite, gli organismi rappresentativi delle società, idonei come tali ad evocare, in virtù del principio cd. dell’immedesimazione organica, direttamente, nei rapporti esterni, le suindicate istituzioni. Di qui, dunque, l’esigenza di preservarne l’immagine e l’azione d’istituto presidiando la composizione dei relativi organismi di rappresentanza con rigidi requisiti in tema di onorabilità. All’interno della descritta cornice di riferimento non può che concludersi per la palese estraneità delle società di calcio, da un lato, all’elenco formale dei soggetti cui si applica la norma oltre che, dall’altro, ed in ragione della non assimilabilità ai centri di interesse ivi regolati, ai presupposti ed alle finalità che hanno ispirato il precetto in argomento. Né occorre indugiare oltremodo sull’esatto significato da assegnare alla locuzione “organismi rappresentativi delle società” apparendo di tutta evidenza, in virtù dello stesso valore semantico di siffatta proposizione, come essa debba intendersi riferita (non già alla dimensione individuale di ciascuna società bensì) alle associazioni (cd. Leghe) rappresentative dell’insieme delle società che partecipano ai singoli campionati di calcio, dotate di una propria struttura organizzativa in virtù della quale a determinati organi è assegnata la funzione statutaria di rappresentare l’intera associazione. Del pari nemmeno hanno pregio le ulteriori osservazioni censoree con cui il ricorrente cerca di recuperare in via indiretta l’efficacia ostativa rinveniente dall’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, muovendo dal presupposto che i dirigenti apicali delle società possono essere chiamati a comporre organi federali di talchè la portata interdittiva della norma suindicata resterebbe comunque immutata. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non convince. E’ pur vero che, ad esempio, siedono nell’assemblea della F.I.G.C., in qualità di delegati, i presidenti o i rappresentanti delle società professionistiche (cfr. articolo 20 dello Statuto), ma tale circostanza può semmai evocare, in via di mera tesi, un problema di incompatibilità del singolo dirigente – ove privo del requisito di cui al mentovato articolo 11 - a comporre il suddetto organo. Di contro, non è certo possibile inferire da siffatta ipotetica evenienza, con la pretesa automaticità, l’illegittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F. essendo esso rivolto a disciplinare l’ambito – del tutto diverso – dei requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Le due disposizioni, l’articolo 22 bis N.O.I.F. e l’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, hanno in definitiva un ambito di riferimento diverso e non sono tra loro in conflitto rivelandosi del tutto possibile, ove si proceda ad una corretta lettura ermeneutica, una armoniosa coesistenza dei relativi precetti regolatori. In definitiva, un attento scrutinio delle disposizioni sopra passate in rassegna che, per quanto di più diretto interesse, compongono la cornice cogente dell’ordinamento CONI induce ad escludere i dedotti profili di illegittimità – per violazione di legge – articolati dal ricorrente. Quanto alle residue censure rileva preliminarmente la Corte che, al di fuori dei vincoli rinvenienti dall’ordinamento sovraordinato, si riespande, in subiecta materia, la piena discrezionalità del legislatore federale le cui delibere restano soggette a rigorosi limiti di sindacato rappresentati dalla verifica dell’eventuale contrasto con le fonti sovraordinate dell’ordinamento federale ovvero con i canoni generali della logicità e ragionevolezza, che tracciano la linea invalicabile che separa il giudizio di legittimità dalla valutazione di merito, quest’ultima non consentita. Orbene, a tal riguardo, giova rammentare che, nella prospettiva attorea, l’intrinsecairragionevolezza della delibera gravata deriverebbe dal fatto che: - non risulterebbe allineata al richiamato articolo 11 del codice di comportamento sportivo; - non risulterebbe coerente con la ratio specifica della norma e con la finalità statutaria del fair play amministrativo di cui all’articolo 3 comma 1, lettera h) dello Statuto; - sarebbe contraddittoria oltre che illogica la previsione di un regime più blando per i reati di cui alla lettera b) in quanto tali fattispecie criminose sarebbero più gravi ovvero maggiormente attinenti all’attività sportiva rispetto al gruppo di reati di cui alla lettera a) per i quali è previsto un regime più rigido; Orbene, in relazione ai divisati profili di contestazione è agevole rilevare che: - rispetto all’articolo 11 del Codice di comportamento sportivo si è già evidenziato come la specialità della fattispecie ivi regolata (fatta palese dalla diversità dei soggetti cui si riferisce la norma in ragione delle funzioni da essi svolte) impedisce, in apice di rinvenire, quella eadem ratio che consentirebbe di utilizzare la suddetta disposizione come tertiumcomparationis. In mancanza di comprovata omogeneità nelle condizioni di partenza non è possibile ritenere “irragionevole”, e per ciò stesso arbitraria, la scelta discrezionale del legislatore federale di introdurre mediante la previsione di cui all’articolo 22 bis N.O.I.F. un regime differenziato che governi in via autonoma i requisiti di onorabilità dei dirigenti delle società di calcio; - la possibilità di graduare per tali soggetti la soglia di incompatibilità all’assunzione di cariche associative, combinando per talune fattispecie di reato il profilo della pericolosità concreta (entità della condanna inflitta) con quello della gravità del reato (in ragione della pena edittale prevista), non si pone, contrariamente a quanto dedotto, in rapporto di distonia con la previsione di cui all’articolo 3 comma 1 lett h il quale, nel declinare le funzioni e gli obiettivi della F.I.G.C., si limita a prevedere, per quanto di più diretto interesse, che “al fine di promuovere e disciplinare il giuoco del calcio, la F.I.G.C. esercita, in particolare, le seguenti funzioni: ….h) la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati e, in particolare, l’adozione di un sistema di licenze per la partecipazione ai campionati professionistici in armonia con i principi dell’UEFA in materia di licenze per le competizioni europee, stabilendo sistemi di controllo, anche attraverso appositi organismi tecnici, dei requisiti organizzativi, funzionali, economico gestionali e di equilibrio finanziario delle società”. La disposizione in argomento conferisce agli organi della Federazione un ampio potere regolatorio e lo stesso ordinamento endofederale, anche alla stregua di un’interpretazione sistemica, non evidenzia una soglia minima di riferimento che fissi un livello intangibile di rigore, di talchè la definizione in concreto della misura delle singole incompatibilità non può che intendersi rimessa alle valutazioni discrezionali del legislatore federale. Ed è proprio nel solco delle richiamate coordinate che è stato esercitato il suddetto potere normativo con conseguente nuova formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F.. All’interno della descritta cornice di riferimento – priva di cogenti vincoli di riferimento – non è possibile ritenere che l’attuale assetto normativo tradisca la ratio evincibile dal sistema di garantire soglie di onorabilità soggettiva compatibili con i principi e i valori dell’ordinamento sportivo: a tal riguardo, deve infatti evidenziarsi che la norma suindicata si aggiunge alle limitazioni della capacità di agire già previste dall’ordinamento nazionale e come tale, per definizione, assolve alla sua tipica funzione di introdurre misure autonome e aggiuntive calibrate sullo specifico ordinamento settoriale di riferimento, dando luogo ad un oggettivo inasprimento del relativo regime giuridico rispetto alle ordinarie regole esigibili in subiecta materia in base al codice civile. Né la parziale mitigazione di siffatto regime introdotta con la delibera qui impugnata costituisce di per sè un elemento di contraddizione, rientrando siffatta scelta nell’ampio margine di discrezionalità rimesso dall’ordinamento al legislatore federale, le cui determinazioni – non sindacabili nel merito - non riflettono vizi di manifesta illogicità; - né, infine, possono essere valorizzate, quale sintomo della paventata irragionevolezza della norma, le generiche deduzioni attoree circa l’inclusione nell’elencazione di cui alla lettera b) dell’articolo 22 bis N.O.I.F. di fattispecie di reato che, secondo il ricorrente, sarebbero più gravi o, comunque, maggiormente connesse all’attività sportiva di quelle rimaste soggette al regime più rigido siccome contenute nell’elenco di cui alla lettera a). La metodica seguita di comparare intere categorie di reati secondo un non meglio definito criterio di prossimità all’attività sportiva - criterio solo genericamente enunciato ma non sviluppato nei suoi elementi di identificazione sì da rivelarsi una vuota affermazione di principio - si rivela del tutto inappagante viepiù se, come nel caso di specie, le deduzioni all’uopo svolte sono rimaste confinate, come già sopra anticipato, in una dimensione generale ed astratta senza alcun concreto aggancio alle singole specifiche tipologie delittuose contenute nelle elencazioni della norma in commento. Ed, invero, il ricorrente non si è peritato nemmeno di individuare quali delle singole tipologie di reato – ricadenti nella categorie cui fa riferimento l’articolo 22 bis N.O.I.F. – sarebbero destinate, per effetto dell’avversata riforma, ad essere espunte, siccome punite con una pena detentiva edittale inferiore ai tre anni, dalla griglia delle fattispecie costituenti parametro di riferimento per verificare la condizione soggettiva di onorabilità in capo ai dirigenti delle società di calcio. Di contro, appare di tutta evidenza che una preliminare ed analitica verifica del concreto impatto ingenerato dalla riforma costituisce una indefettibile pre - condizione per una seria denuncia di illogicità e irragionevolezza della norma che, per le ragioni fin qui dette, è rimasta affidata a generiche ed indimostrate affermazioni.
Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Comunicato Ufficiale n.032/TFN del 17 Febbraio 2015 - www.figc.it
Impugnazione Istanza: (66) – RICORSO EX ART. 43BIS CGS DEL SIG. U.C. PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE FIGC DEL 20.11.2014, PUBBLICATA CON C.U. N.° 82/A IN PARI DATA. (67) – RICORSO EX ART. 43BIS CGS DEL SIG. D.T. PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE FIGC DEL 20.11.2014, PUBBLICATA CON C.U. N.° 82/A IN PARI DATA.
Impugnazione Istanza: (68) – RICORSO EX ART. 43BIS CGS DEL SIG. L.A.P.PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE FIGC DEL 20.11.2014, PUBBLICATA CON C.U. N.° 82/A IN PARI DATA. (69) – RICORSO EX ART. 43BIS CGS DEL SIG. L.R.U.PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE FIGC DEL 20.11.2014, PUBBLICATA CON C.U. N.° 82/A IN PARI DATA.
Massima: Il TFN rigetta i ricorsi proposti dai componenti del Consiglio Federale FIGC, riuniti per connessione oggettiva, con i quali è stata impugnata, ai sensi dell’art. 43 bis CGS, la delibera di detto Consiglio del 20 novembre 2014, pubblicata sul CU n. 82/A di pari data, contenente modifiche all’art. 22 bis, NOIF in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di Società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Nel merito, rileva il Tribunale che l’art. 7, n. 5, lett l) dello Statuto del Coni attribuisce espressamente alla Giunta Nazionale del Coni il potere di approvare "ai fini sportivi, gli statuti, i regolamenti per l'attuazione dello statuto, i regolamenti di giustizia sportiva e i regolamenti antidoping delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate, valutandone la conformità alla legge, allo Statuto del CONI, ai principi fondamentali, agli indirizzi e ai criteri deliberati dal Consiglio Nazionale, rinviandoli eventualmente entro il termine di novanta giorni alle Federazioni sportive nazionali ed alle Discipline sportive associate per le opportune modifiche”. Nel caso di specie, posto che con delibera n. 512 del 18.12.14 la Giunta Nazionale del CONI ha effettivamente approvato il nuovo testo dell’art. 22 bis, NOIF così come modificato dalla delibera impugnata, ritenendolo “conforme al D.Lgs. 242/99, al D.Lgs 15/14, allo Statuto del Coni, allo Statuto Federale ed alla vigente legislazione in materia sportiva”, ritiene il Tribunale che l'iter procedimentale relativo alla modifica normativa in esame si sia correttamente perfezionato. Di talché, ogni valutazione in ordine alla legittimità del provvedimento da ultimo citato è rimessa alla sede competente esulando dalla previsione di cui all’art. 43 bis, CGS. Tanto più che la valutazione di conformità dell’atto impugnato ai principi fondamentali, espressa dall’organo normativamente deputato al controllo di legittimità, non trova confutazione nei motivi di ricorso che si limitano - invece - a contestare l’utilizzo del potere discrezionale del Consiglio nell’individuazione delle ipotesi di incompatibilità e decadenza nei limiti della normativa vigente.