F.I.G.C. – CORTE SPORTIVA D’APPELLO NAZIONALE – SEZIONE III – 2018/2019– FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE PUBBLICATA SUL C.U. n. 167/CSA del 27/06/2019 (motivazioni) con riferimento al C.U. n. N. 139/CSA del 3 Maggio 2019 RICORSO DEL TARANTO F.C. 1927 S.R.L. (ABBREVIAZIONE DEI TERMINI CU 51/A) AVVERSO DECISIONI MERITO GARA A.Z. PICERNO/TARANTO F.C. 1927 S.R.L. DEL 18.04.2019 (Delibera del Giudice Sportivo presso il Dipartimento Interregionale – Com. Uff. n. 131 del 19.4.2019)

RICORSO DEL TARANTO F.C. 1927 S.R.L. (ABBREVIAZIONE DEI TERMINI CU 51/A) AVVERSO DECISIONI MERITO  GARA  A.Z.  PICERNO/TARANTO  F.C.  1927  S.R.L.  DEL  18.04.2019  (Delibera  del  Giudice  Sportivo

presso il Dipartimento Interregionale – Com. Uff. n. 131 del 19.4.2019)

 

Con reclamo del 30 aprile 2019 il Taranto FC 1927 impugna la delibera del Giudice Sportivo presso il Dipartimento Interregionale, pubblicata sul Com. Uff. n. 131 del 19.4.2019, con la quale veniva respinto il ricorso proposto in primo grado dall’odierna istante contro la regolarità della gara tra A.S.D. AZ Picerno e Taranto FC 1927 del 18 aprile 2019, valevole per la quindicesima giornata di ritorno del Campionato Nazionale Dilettanti di Serie D, 2018-2019, Girone H, e per l’effetto veniva convalidato il  risultato acquisito sul campo di 0 a 0.

Nello specifico il Taranto sostiene l’irregolarità della gara in quanto durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo alcuni individui riconducibili agli stewards della società di casa sferravano una violenta aggressione verso i calciatori della compagine ospite, tra i quali Ciro Favetta, Stefano Manzo e Antonio Croce, che riportavano traumi contusivi ed escoriazioni su molteplici parti del corpo, tanto da essere costretti a ricorrere prontamente alle cure ospedaliere, con conseguente impossibilità per gli stessi di proseguire la disputa dell’incontro eccezion fatta per il calciatore Croce, il quale era stato espulso dal direttore di gara in seguito alla rissa. Più precisamente, diversi giocatori della formazione ospite venivano aggrediti all’interno del campo da uno steward che colpiva con una cazzottiera/tirapugni in più parti del corpo i tre tesserati ionici. A questi ultimi, condotti in ospedale, venivano diagnosticati, come da referti allegati, traumi con prognosi di giorni 10 per il signor Favetta, di giorni 10 per il signor Manzo e di giorni 6 per il signor Croce.

A suffragio delle ricostruzioni ci si richiama al supplemento di rapporto dell’arbitro, il quale riferisce che al momento del rientro negli spogliatoi per l’intervallo notava in particolare un addetto  alla sicurezza che con tirapugni in ferro colpiva un giocatore del Taranto non però identificato. Da tale azione scaturiva tensione sedata soltanto con l’intervento dei Carabinieri. Successivamente, tutta la squadra del Taranto comunicava al direttore di gara la volontà di non rientrare sul terreno di gioco per disputare il secondo tempo dell’incontro, sentendone pregiudicata l’incolumità. Soltanto dopo un confronto tra i capitani e allenatori di entrambe le società alla presenza della terna arbitrale, il Taranto decideva di prendere parte al secondo tempo. Tutto ciò ha comportato inevitabile ritardo dell’inizio della seconda frazione di gara. Prima di riprendere la gara veniva comunicata sempre all’arbitro la sostituzione dei giocatori Manzo e Favetta per permettere loro  di essere trasportati al più  vicino ospedale per le cure del caso.

All’attenzione di questa Corte è portato anche il resoconto del commissario di campo, signor Franco Basile, il quale riferisce che alla fine del primo tempo notava un alterco verbale tra gli allenatori delle squadre, quindi si poneva alle loro spalle al fine di poter controllare cosa stesse accadendo. Durante il tragitto, lo scrivente rilevava un nuovo movimento di persone nell’area antistante gli spogliatoi, quindi si dirigeva velocemente sul posto. Nello specifico afferma: «vedevo uno Steward sferrare colpi a dei calciatori del Taranto dei quali non riuscivo a prendere il numero di maglia a causa della ressa che si era creata. Notavo nettamente il calciatore del Taranto con la maglia numero 86 che interveniva a difesa dei propri compagni e tentava di dare colpi allo steward, senza peraltro colpirlo. Appena dopo, il predetto calciatore con la maglia numero 86 trovava rifugio presso lo spogliatoio senza più uscire».

 

Nel frattempo, riferisce ancora il commissario, «un altro steward bloccava il collega e lo trascinava via dal luogo mentre all’imbocco degli spogliatoi nasceva un parapiglia verbale tra appartenenti alle due società, mentre l’arbitro unitamente agli assistenti, al sottoscritto e ai Carabinieri intervenuti riuscivano non senza fatica a far entrare tutti nel proprio spogliatoio. In questo frangente il direttore di gara mi comunicava che avrebbe espulso il dirigente accompagnatore del Picerno, signor Calabrese Maurizio, per proteste nei suoi confronti e il calciatore del Taranto con il numero 86 per avere reagito nei confronti dello steward».

In conclusione, la reclamante,  alla luce delle circostanze esposte e di alcuni precedenti giurisprudenziali riferiti, anche se risalenti, spiega richiesta volta ad ottenere la sconfitta per 0 a 3 a carico del Picerno, in conseguenza dei gravissimi e deplorevoli atti minatori e violenti ai danni dei calciatori ospiti, tali da stravolgere e compromettere, a suo dire, per intero la regolarità della gara de qua.

Controdeduce il Picerno che dalla lettura degli atti Ufficiali di Gara non risulta possibile addivenire a una certa ricostruzione dei fatti. Sottolinea altresì che le osservazioni della terna arbitrale e del commissario di campo non permetterebbero di individuare i presunti tesserati coinvolti in quanto non identificati. Sottolinea dunque che la gara in questione, al di là di ogni tentativo strumentale, ha avuto un regolare svolgimento e si è disputata anche dopo gli episodi verificatisi nell’intervallo in un clima di assoluta tranquillità e sicurezza. A sostegno di ciò la resistente riferisce quanto affermato dal responsabile dell’ordine pubblico, il Tenente signor Domenico Vignola dell’arma dei Carabinieri, il quale rassicurò sul ripristino della sicurezza e della tutela della squadra ospite, comunicando di aver allontanato tutti gli steward e tutte le persone anche quelle autorizzate dall’area antistante gli spogliatoi ponendo a presidio del luogo i Carabinieri. Il Picerno ancora sottolinea l’assenza di una carenza della vis psicologica per affrontare il secondo tempo da parte dei  tesserati  del  Taranto, facendo leva sulla ricostruzione del giudice in primo grado. Ribadisce quindi la più completa dissociazione dalle condotte violente tenute dallo steward, e sottolinea l’efficace cooperazione mostrata con le forze dell’ordine. In ragione delle sopracitate motivazioni e allegando alcuni precedenti giurisprudenziali, chiede di rigettare la richiesta formulata da parte della ricorrente.

Orbene, questa Corte ritiene che gli accadimenti siano di estrema gravità e inconfutabili in ragione dei documenti di gara prodotti unitamente ai referti medici allegati.

Rileva che sotto il profilo tecnico-giuridico la questione verta su due punti: in primo luogo, sulla possibilità di accogliere il reclamo del Taranto, volto ad ottenere la sanzione della perdita della gara a carico del Picerno con il punteggio di 0 a 3; in secondo luogo, sull’eventuale facoltà di questa Corte di pronunciarsi al di là dell’istanza della ricorrente su possibili ulteriori sanzioni ai danni della squadra lucana.

Al fine di risolvere tali problematiche appare indispensabile soffermarsi in prima battuta sulla ratio dell’art. 17 C.G.S., per poi valutare i poteri concessi su simili questioni alla Corte sportiva. In vero, l’interprete, qualunque esso sia, è chiamato ad individuare, in relazione alla quaestio facti oggetto di giudizio e di valutazione, «la ratio complessiva della norma» (v. già Cass. 21 agosto 1991, n. 8980; più di recente, Cass., 25 gennaio 2018, n. 1845), ossia «la funzione che la norma è orientata a perseguire nel sistema ordinamentale» (Cass., Sez. un., 26 novembre 2009, n. 5385), verificandone compatibilità e conformità con questo. L’individuazione dell’obiettiva giustificazione di una disposizione giuridicamente rilevante non è attività puramente deduttiva e logica,  ma valutativa,  ispirata dalla razionalità e soprattutto dalla ragionevolezza. Essa, dunque, vive nel momento applicativo.

Venendo alla disposizione in esame, va in primo luogo chiarito che questa, nel suo complesso, ha la funzione di sanzionare qualsiasi accadimento intervenga sulla regolarità dell’incontro.

È indubbio, infatti, che  la  ratio  della  norma  si  basi  sul  peculiare  presupposto  della  responsabilità che il legislatore federale ricollega all’opera di vigilanza e di opportuna cautela  che  ogni  società sportiva  è  tenuta  a  porre  in  essere  onde  prevenire  le  condotte  illecite  commesse  dai  soggetti coinvolti, a vario titolo, nel sistema sportivo. Tale responsabilità può essere individuata in relazione alle vicende della fattispecie concreta. Infatti, in ragione delle peculiari circostanze, ai giudici sportivi è riconosciuto il potere di scelta ovvero di graduazione della pena da infliggere al club, sí da consentire una valutazione caso per caso circa la sanzione piú conforme a criteri di giustizia sostanziale e di ragionevolezza. In letteratura è condivisa la posizione secondo la quale l’art. 17 C.G.S. costituisca un prezioso strumento nelle mani degli organi giudicanti affinché le sanzioni ivi previste siano comminate sulla base dei criteri di ragionevolezza, congruità e meritevolezza della sanzione rispetto al fatto commesso.

La fattispecie delineata nella prima parte dell’articolo in questione individua la direttiva generale della norma: punire «fatti o situazioni che abbiano influito sul regolare svolgimento della gara o che ne abbiano impedito la regolare effettuazione». In linea di principio può affermarsi che la piú grave delle

 

ipotesi disciplinate dall’art. 17, comma 1, si verifica quando le situazioni riferibili alla società abbiano concretamente alterato il regolare svolgimento della gara ovvero siano state tali da impedirne lo svolgimento. Si pensi, per esempio, ad una invasione di campo che impedisca la prosecuzione o lo svolgimento della gara; alle aggressioni fisiche al direttore di gara cosí gravi da incidere sulla sua serenità di giudizio, alterando il regolare svolgimento della gara (cfr. App. fed., 5 aprile 2004, in Com. uff. 6 aprile 2004, n. 41/C). Secondo la Corte di Giustizia Federale ricorrono tali circostanze quando si è in presenza di un’«oggettiva gravità di un evento che appare radicalmente estraneo al contesto di una gara sportiva necessariamente ispirata da principi di lealtà e correttezza» (Corte giust. fed., in Com. uff. 20 giugno 2013, n. 309/CGF). In questi casi la sanzione può arrivare fino alla perdita della gara con il punteggio di 0 a 3.

Altra questione verte sulla seconda fattispecie disciplinata dal comma 1 dell’art. 17, la quale ha ad oggetto «fatti o situazioni, imputabili ad accompagnatori ammessi nel recinto di giuoco o sostenitori della società, che abbiano comportato unicamente alterazioni al potenziale atletico di una o di entrambe le società». Essa rappresenta il confine, ad oggi invalicabile per il giudice sportivo, di sanzionare con la perdita della gara una compagine. Si tratta di fattispecie comportamentali di accompagnatori o sostenitori del club dalle cui condotte consegue «unicamente» la menomazione al potenziale atletico della società.

Ciò non toglie che è riconducibile al disposto della prima parte dell’art. 17 l’aggressione subita da un calciatore mentre «si trova a bordo campo, la quale ha costretto l’atleta ad allontanarsi dal campo, abbandonare il giuoco e recarsi in ospedale per le cure e gli accertamenti del caso». Nella fattispecie si è rilevato che «l’accaduto ha finito per incidere proprio sulla regolarità della gara alterandone la dinamica e non già solo sul potenziale atletico della società. La perdita nella fase iniziale della partita di un calciatore deve infatti ricondursi al novero di quegli eventi che integrano un vero e proprio effetto incidente sulla regolarità della dinamica di un confronto agonistico» (cosí Corte giust. fed., 20 giugno 2013, cit.). Questo regime punitivo si può aggravare con l’inflizione di ulteriori e diverse sanzioni, qualora i comportamenti verificatisi integrino anche la violazione delle disposizioni federali, o ledano i valori di lealtà, correttezza e probità ex art. 1 bis, comma 1, C.G.S.

Pertanto, il reclamo, con specifico riferimento alla richiesta dell’F.C. Taranto di irrogare la sanzione della perdita della partita con il risultato di 0 a 3, non può essere accolto. Da quanto esposto, è insuperabile il dettato normativo dell’art. 17, comma 1, C.G.S. nella parte in cui afferma che «[n]on si applica la punizione sportiva della perdita della gara qualora si verifichino fatti o situazioni, imputabili ad accompagnatori ammessi nel recinto di giuoco o sostenitori della società, che abbiano comportato unicamente alterazioni al potenziale atletico di una o di entrambe le società». Corretta dunque sul punto è stata la decisione del giudice sportivo in primo grado.

Nondimeno, se dunque è vero, per un verso, che una menomazione del potenziale atletico della squadra impedisce di colpire con sanzione della perdita della gara con il punteggio di 0 a 3, per altro verso è altrettanto vero che simili condotte possano invece rilevare sul clima di regolarità dell’incontro ed essere utilizzate quale parametro di valutazione per sanzionare la società, in ossequio al principio di afflittività previsto dall’ordinamento sportivo.

Infatti, in tali casi, il legislatore federale ha previsto come sanzione minima a carico della società ritenuta colpevole, in luogo della perdita della gara, la penalizzazione dei punti in classifica.

In sostanza, nella seconda parte del comma 1 dell’art. 17 C.G.S., il legislatore, anche al fine di limitare la discrezionalità degli organi federali nell’individuare i fatti e le situazioni di cui alla prima parte della disposizione – ai quali consegue automaticamente la sanzione della perdita della gara – ha avvertito l’esigenza di sottrarre una serie di fatti concreti a tale rigidità sanzionatoria (ribadiamolo: perdita della gara) stabilendo che quanto imputabile ad accompagnatori ammessi al recinto di gioco, sostenitori al séguito della società o soggetti comunque riconducibili ad un determinato sodalizio, che abbiano comportato esclusivamente alterazioni al potenziale atletico, non determina l’applicazione della (eccessiva) sanzione della perdita della gara, ma quella della penalizzazione di punti in classifica che nel minimo è rapportata ai punti conquistati con il risultato connesso a quello della gara stessa (in tal senso, v. Corte giust. fed., in Com. uff., 17 luglio 2009, n. 301/CGF).

Per meglio comprendere il rapporto esistente tra i due frammenti di norma descritti dal comma 1 dell’art. 17 C.G.S., può farsi riferimento alla figura di due cerchi concentrici ove il cerchio piú grande è costituito dalla fattispecie di cui alla prima parte della disposizione, punita con la perdita della gara, e quello piú piccolo dalla previsione  di cui alla seconda parte della disposizione, punita con la penalizzazione in classifica. Tuttavia, lo scopo della norma è unico: tutelare la regolarità della gara.

Ribaltando la prospettiva, dunque, in assenza della seconda fattispecie, i fatti e le situazioni ivi indicati sarebbero da punire ai sensi della prima parte della disposizione e, quindi, senza limitazioni (come quella prevista di ‘lesione del solo potenziale atletico’), con la sanzione della perdita della gara,

 

la quale rappresenta – va rimarcato – una extrema ratio e può operare soltanto in particolari circostanze.

A suffragio di questa ricostruzione, il codice di giustizia FIGC, inoltre, prevede che qualora il fatto avvenuto  o  il  comportamento  posto  in  essere  da  accompagnatori  o  da  sostenitori  della  società  sia  di

«particolare gravità», si applica, oltre alla penalizzazione, una delle sanzioni di cui alle lett. d), e), f) del comma 1 dell’art. 18 C.G.S. Viceversa, nel caso in cui l’episodio contestato sia di «particolare tenuità», ‘può’ essere irrogata, in luogo di tale sanzione, una delle sanzioni di cui alle lett. b), c), d), e), f) del comma 1 dell’art. 18 C.G.S. La differenza del regime sanzionatorio nelle due situazioni descritte è allora conseguenza della diversa gravità delle condotte vietate.

Pertanto, mentre nel caso di particolare tenuità del fatto è lo stesso giudice a valutare discrezionalmente (‘può’) se la sanzione della penalizzazione dei punti in classifica risulta sproporzionata rispetto al disvalore del fatto, con la conseguente applicazione di una sanzione meno grave, nell’ipotesi di particolare gravità della vicenda è lo stesso legislatore a ritenere inadeguata e insufficiente – rispetto al reale disvalore del fatto – la sanzione della penalizzazione obbligando il giudice ad applicare, in aggiunta a quest’ultima, anche ulteriori sanzioni, fermo restando la decurtazione di punti in classifica, che è sanzione inevitabile.

Un simile automatismo sanzionatorio e la conseguente rigorosa applicazione nella giurisprudenza sportiva di tale speciale forma di responsabilità colpisce la società per il sol  fatto del verificarsi dell’illecito, anche in assenza dell’identificazione dell’autore fisico [ad avviso della Corte di Giustizia Federale «[l]a mancata identificazione della persona (autrice della aggressione) non può però comportare la esclusione della responsabilità dell’accaduto» (cosí Corte giust. fed., 20 giugno 2013, cit.)].

Se infatti la giustizia disciplinare si atteggia e agisce come un sistema dalle precipue funzioni punitive, non può certamente revocarsi in dubbio come alla stessa vada riconosciuta  anche  una diversa valenza morale e di natura promozionale. In quest’ottica, allora, come confermato dalla Corte di giustizia federale, i moduli della responsabilità oggettiva trovano una valida  giustificazione nell’esigenza di assicurare il pacifico e regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati (Corte giust. fed., in Com. uff., 12 ottobre 2011, n. 061/CGF).

Ciò posto, è evidente che l’aggressione confermata da tutti gli ufficiali di gara realizzata da uno steward, riconducibile alla società ospitante responsabile nel caso di specie per culpa in eligendo, che si reca allo stadio per tutelare ‘la sicurezza’ con un tirapugni – in via dunque senza dubbio premeditata

–, i referti medici sui calciatori del Taranto, il rapporto dettagliato del commissario di campo Basile, la necessità da parte dei Carabinieri di presidiare fisicamente l’area antistante gli spogliatoi dopo aver addirittura allontanato gli stewards stessi e altri individui autorizzati, sono elementi che confermano senza timore di smentita la gravità degli avvenimenti discussi davanti a questa Corte.

Questi ultimi non possono che essere stigmatizzati con fermezza in virtù della salvaguardia dei basilari principi ai quali l’ordinamento sportivo si ispira.

Se è dunque incontestabile, ad avviso di questo Collegio, che la funzione dell’art 17 C.G.S. FIGC nel suo complesso sia quella di punire irregolarità che possano  influire  sul  corretto  svolgimento dell’incontro, è altresì incontestabile che la vile aggressione compiuta ai danni  dei  giocatori  del Taranto abbia influito sulla gara medesima. È di palmare evidenza, in definitiva, che  tutto  quanto accaduto esuli nella maniera più assoluta dai valori sportivi, brutalmente vilipesi nel caso di specie. Se tale irregolarità non può comportare la  sanzione  della   perdita  della  gara,  in  quanto  colpito   è unicamente il potenziale atletico del sodalizio pugliese, ciò non toglie che è comunque possibile comminare all’ASD Picerno un aggravio di sanzione per responsabilità di posizione.

Come anche espresso in un precedente di questa Corte (Cfr. Corte sportiva d’appello nazionale, 7 giugno 2017, in Com. uff. n. 143/CSA) richiamato dalla resistente, ma con esclusivo e parziale riferimento alla possibilità di negare la sanzione della perdita della gara per 0 a 3, si sottolinea al contrario che, per eventi senza dubbio  gravi e assolutamente paragonabili al caso che occupa, il Collegio, nel medesimo comunicato introdotto in udienza dal sodalizio lucano, ha espressamente ammesso la possibilità di comminare la sanzione della penalizzazione alla società che si reputa comunque soggetto responsabile oggettivamente della lesione al potenziale atletico della compagine avversaria. Tale scelta – va ribadito – si giustifica in ragione della natura e della gravità dei fatti commessi, in base al principio di afflittività (cfr., ex plurimis, Comm. disc. naz., in C.u. FIGC, 29 gennaio 2014, n. 48/CDN).

Veniamo poi ad altro punto della questione, ossia alla possibilità, in ragione della ratio della norma appena delucidata, di riformare in peius la sanzione già comminata dal giudice sportivo in primo grado ai danni della società Picerno per responsabilità oggettiva ex artt. 17 e 4 C.G.S.

 

Orbene, vero è che la Corte sportiva deve pronunciarsi su quanto richiesto nel reclamo, ossia la sanzione della perdita della gara per 0 a 3, cosa che ha puntualmente fatto, prova ne è il rigetto del ricorso del Taranto; tuttavia, vero è pure che il giudicante sportivo ben può pronunciarsi ultra petita, ovvero oltre ciò che è sottoposto alla sua attenzione dalla reclamante, ma che è presente nei documenti ufficiali di gara, come chiaramente ha statuito un recente e importante arresto del Collegio di garanzia del CONI.

A suffragio di questa tesi appare indispensabile richiamarsi testualmente ai principi enunciati dal massimo organo di giustizia in ambito sportivo. Il Collegio di garanzia, infatti, ha deliberato in maniera chiara che è «di tutta evidenza che il Giudice Sportivo, sulla base delle norme federali nonché dei dettami del C.G.S. del C.O.N.I. (art. 14), decide senza udienza e con immediatezza su tutte le questioni connesse allo svolgimento delle gare, potendo pronunciarsi o su reclamo di una delle parti o, come dice espressamente il C.G.S. della F.I.G.C., d’ufficio, sulla base di quanto risulta dai documenti ufficiali di gara». E altresì palese, infatti, «che, laddove si vincolasse il Giudice Sportivo Nazionale al concetto di pronuncia solo ed unicamente sulla questione reclamata in presenza di altra evidente irregolarità, si violerebbe il principio generale di tutela dell’ordinamento sportivo di natura evidentemente pubblicistica». «[…] Del resto la procedibilità d’ufficio, così come prevista e stabilita per il Giudice Ordinario, rientra anche fra i poteri del Giudice Sportivo il quale finisce per pronunciarsi su questioni di interesse pubblico». «Non sfugge quindi a tale interpretazione neppure la giustizia ordinaria che sancisce, anche in assenza di apposita previsione, il potere-dovere del Giudice di pronunciarsi oltre il dedotto su questioni considerate rilevabili ex officio. Un’interpretazione contraria del potere d’ufficio del Giudice comporterebbe, infatti, un vero e proprio vulnus al principio di coerenza dell’ordinamento sportivo, che, quale ordinamento disciplinante interessi pubblici collettivi, deve vedere l’assoluto rispetto delle norme organizzative di un campionato sportivo». Sostiene ancora il Collegio – in maniera dirimente per la fattispecie che occupa – che «non a caso, il C.G.S. della F.I.G.C. parla di potere di rilevazione d’ufficio da parte del Giudice Sportivo di tutte quelle irregolarità regolamentari che falsano il risultato di una gara, e che sono dallo stesso conosciute, indipendentemente dall’impulso di parte. Una limitazione al potere di indagine sugli atti di gara finirebbe per svilire la funzione del Giudice Sportivo Nazionale che, al contrario, ha il compito di pronunciarsi con immediatezza e senza indugio su tutte le questioni inerenti la regolarità di una gara e la conseguente sua omologazione, secondo il principio sancito dall’art. 14 C.G.S. del CONI» (Coll. Garanzia CONI, 7 aprile 2017, decisione n. 24) e, nel caso di specie, proprio in merito ad «ogni altro fatto rilevante per l’ordinamento sportivo avvenuto in occasione della gara» [testualmente, art. 14, comma 1, lett. e) C.G.S. CONI]. In questo senso anche la norma del Codice di giustizia del CONI è cristallina.

D’altronde, va sottolineato, medesime sanzioni (perdita della gara, penalizzazione di punti, ammende) vengono utilizzate anche per colpire le società che schierano calciatori in posizione irregolare, ai quali, ancora una volta, si riferisce sempre l’art 17 C.G.S., a ennesima dimostrazione della volontà del legislatore federale di punire qualsiasi vizio possa colpire in senso ampio la regolarità della gara (commi 5 e ss., art. 17 C.G.S.).

Per questi motivi la C.S.A., in riforma della decisione del Giudice Sportivo, convalida il risultato della gara e commina la sanzione della penalizzazione di punti 3 in classifica alla società A.Z. Picerno.

Conferma per il resto.

Dispone addebitarsi la tassa reclamo.

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