CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 7/2015 del 01/10/2015 – (su richiesta FITET)

Parere n. 7

Anno 2015

IL COLLEGIO DI GARANZIA

SEZIONE CONSULTIVA

composta da  

Virginia Zambrano Presidente

Pierpaolo Bagnasco - Relatore

Amalia Falcone

Alessandro M. Levanti

Mario Tonucci – Componenti

Ha pronunciato il seguente

PARERE 7/2015

 

 

Su richiesta di parere presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva.

PREMESSE

 

Visto  il  decreto  di  nomina  del  Presidente  del  Collegio  di  Garanzia,  prot.  n. 0544 del 10 settembre 2015;

Vista la richiesta di parere prot. n. 0007974/15, presentata dal Segretario Generale del CONI, Dott. Roberto Fabbricini, in data 8 settembre u.s., ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;

Visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI;

Visto l’art. 3, commi 2 – 4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo; Visti  gli articoli  2 e 3  del Regolamento  di organizzazione e  funzionamento  del Collegio  di Garanzia dello Sport;

Esaminati gli atti e udito il relatore, rende il seguente

 

PARERE

 

1. Con atto dell’8 settembre 2015 il Segretario Generale del CONI ha richiesto parere alla Sezione Consultiva del Collegio di Garanzia dello Sport sul quesito prospettato dalla Federazione Italiana Tennistavolo (FITET) in data 13 luglio 2015, prot. n. 3418, relativo alla possibilità di applicare in via analogica il provvedimento di grazia previsto per la radiazione anche all’inibizione perpetua, pur nel silenzio della disciplina statutaria per tale fattispecie sanzionatoria.

Recita infatti lart. 35, comma 7, dello Statuto Federale: Il Presidente della F.I.Te.T può concedere grazia, purché risulti scontata almeno la metà della sanzione irrogata. Nei casi di radiazione, la grazia non può essere concessa prima che siano decorsi almeno 5 anni dalla data del provvedimento definitivo …”; di qui (l’apparente) silenzio della norma che, argomenta la Federazione istante, se non risolto attraverso l’applicazione dell’interpretazione analogica, si tradurrebbe in una grave ingiustizia perché lascerebbe la sanzione meno grave (l’inibizione) priva di un provvedimento di clemenza paradossalmente previsto per la sanzione più grave (la radiazione).

2. Ai fini della risoluzione della questione è necessario preliminarmente soffermarsi sulle caratteristiche e sulle differenze delle due misure sanzionatorie.

La radiazione quale forma di reazione dell’ordinamento dinanzi ad un illecito di  particolare gravità spiega i suoi effetti sullo status del sanzionato che perde la sua qualità di associato.

La durezza del provvedimento è però mitigata, eventualità comune a praticamente tutti gli ordinamenti, dalla possibilità di ottenere, a seguito del decorso di un congruo lasso temporale e della valutazione della condotta tenuta, un provvedimento di grazia, con conseguente riacquisizione dello status precedentemente perduto.

Provvedimento quest’ultimo le cui radici risultano essere antichissime ma che, mutuando attualmente la sua configurazione dall’insegnamento della Giurisprudenza costituzionale, si qualifica quale atto eccezionale di clemenza emesso per ragioni umanitarie con la precipua finalità di favorire la risocializzazione del reo.

Immediatamente al di sotto della radiazione, come intensità della pena, si colloca l’inibizione perpetua che comporta il divieto sine die per il tesserato di ricoprire un determinato ruolo nell’ambito dell’organizzazione; essa, che evidentemente si ripercuote esclusivamente sull’attività facendo salvo lo status del tesserato, fa seguito ad una valutazione di assoluta inidoneità e/o indegnità a svolgere una funzione, giudizio non modificabile neanche in seguito al decorso del tempo.

Così definito il quadro, la riflessione deve incentrarsi sulla possibilità, nel silenzio della normativa, di applicare l’istituto della clemenza anche all’inibizione.

La risposta, a parere di questo Collegio non può che essere negativa, non condividendosi una soluzione positiva che poggi la propria argomentazione unicamente sulla maggiore tenuità dell’inibizione rispetto alla radiazione.

Innanzitutto è proprio la dedotta eccezionalità della norma che prevede il provvedimento di clemenza ad escluderne la possibilità di un’estensione analogica (art. 14 disp. prel. c.c.).

Inoltre anche la funzione di risocializzazione del reo appare, avuto riguardo all’inibizione, ultronea: l’inibito infatti non è stato espulso dall’associazione di appartenenza ma solo limitato nello svolgimento di una determinata attività.

Ma osta all’accoglimento l’ulteriore valutazione dell’effetto del provvedimento di grazia a favore dell’inibito che si porrebbe in aperta contraddizione con le previsioni statutarie relative ai requisiti per l’eleggibilità o nomina alle cariche federali.

Infatti il tesserato, una volta rimosso attraverso la clemenza il vincolo perpetuo, potrebbe astrattamente accedere all’incarico dal quale era stato inibito; ma tale effetto si porrebbe in contrasto con l’art. 64 dello Statuto della Federazione Tennistavolo (Requisiti per l’eleggibilità o nomina a cariche federali) il quale recita testualmente: “Per essere eletti o nominati alla cariche federali occorrono i seguenti requisiti…. d) Non avere riportato nell’ultimo decennio, salva riabilitazione, squalifiche o inibizioni sportive definitive complessivamente superiori ad un anno, da parte di Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva del CONI o di organismi sportivi internazionali riconosciuti”, così da escludere che chi ha subito pene afflittive (anche cumulate) superiori ad un anno  possa accedere a determinate funzioni. Ne discende dunque che la grazia sarebbe inutiliter data atteso il generale divieto sancito dalla sopracitata disposizione.

La sostanziale irrevocabilità della valutazione di inidoneità permanente che sorregge l’inibizione perpetua trova aggiuntiva conferma nell’inapplicabilità a tale fattispecie anche della riabilitazione, ulteriore istituto, ma di competenza della Corte Federale d’Appello, la cui applicazione estingue le sanzioni disciplinari ed ogni altro effetto.

Dispone infatti l’art. 63 dello Statuto Federale: “La riabilitazione può essere concessa quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia estinta …”, così limitando la possibilità di ricorrere a tale istituto unicamente nei casi di pene temporalmente determinate.

L’analisi condotta permette di individuare quale sia lo scopo che la normativa si propone e cioè quello di caratterizzare con il sigillo dell’ irrevocabilità la misura sanzionatoria dell’inibizione perpetua.

Pertanto la mancata previsione dell’applicabilità della grazia proprio all’inibizione assume il significato di ben ponderata scelta operata dal legislatore sportivo, così che il criterio di interpretazione non può rinvenirsi nel ricorso all’analogia bensì nel più stringente concetto espresso nel noto brocardo “ubi lex voluit dixit, ubi nolit tacuit”.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte questo Collegio ritiene che la norma prevista per la radiazione non possa essere applicata anche all’inibizione perpetua.

 PQM

 

Esprime il parere come in motivazione.

 

Deciso nella camera di consiglio del 17 settembre 2015.

 

Depositato in Roma, in data 1 ottobre 2015.

 

Il Presidente                                                         Il Relatore

 

F.to Virginia Zambrano                                F.to Pierpaolo Bagnasco

 

Il Segretario

 

F.to Alvio La Face

 

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