CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Quarta – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 23 del 28/03/2017 – Alessandro Cristilli-Alessandro Bario/Federazione Italiana Tennis

Decisione n. 23

 

Anno 2017

 

 

 

 

IL COLLEGIO DI GARANZIA

QUARTA SEZIONE

 

 

 

Composta da 

Dante DAlessio – Presidente

Laura Santoro - Relatrice

Giovanni Iannini

Cristina Mazzamauro

Alfredo Storto - Componenti 

 

ha pronunciato la seguente

 

 

DECISIONE

 

 

 

Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 73/2016, presentato congiuntamente, in data 30 dicembre 2016, dai signori Alessandro Cristilli e Alessandro Bario, rappresentati e difesi dall’avv. Luca Rinaldi;

 

 

per l’annullamento

 

 

 

della decisione della Corte Federale d'Appello della Federazione Italiana Tennis (F.I.T.n. 24/2016, emessa il 26 novembre 2016, con pubblicazione della motivazione in data 5 dicembre 2016,  che,  in  riforma  della  decisione  del  Tribunale  Federale  FIT  del  1  ottobre  2016,  ha condannato, rispettivamente, il sig. Cristilli Alessandro a 5 mesi di sospensione da qualsiasi attività, oltre alla sanzione pecuniaria pari ad € 3.000,00, per la violazione dell’art. 1, commi 1 e 2, del Regolamento di Giustizia FIT, ed il sig. Bario Alessandro a 3 mesi di sospensione da qualsiasi attività, ex art. 31 del Regolamento di Giustizia FIT, oltre alla sanzione pecuniaria pari ad € 1.500,00, a seguito della contestata violazione dellart. 1, commi 1 e 2, del Regolamento di Giustizia FIT.

Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;

sono comparsi all’udienza del giorno 14 febbraio 2017, l’avv. Luca Rinaldi per i ricorrenti, sigg. Alessandro Cristilli e Alessandro Bario; il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. prof. Maria Elena Castaldo, all’uopo delegata dal Procuratore Generale dello Sport, ai sensi dellart. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, nonché il Procuratore Federale Aggiunto della Federazione Italiana Tennis (FIT), avv. Guido Cipriani;

udita, nella successiva Camera di Consiglio dello stesso giorno, la relatrice, prof.ssa Laura Santoro.

 

 

                                Ritenuto in fatto

 

 

 

I sigg.ri Alessandro Cristilli e Alessandro Bario hanno agito innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport chiedendo che sia annullata la decisione della Corte di Appello Federale della FIT, con la quale, in riforma della decisione del Tribunale Federale Nazionale, sono stati condannati alle sanzioni, rispettivamente, il primo di mesi cinque di sospensione, oltre l’ammenda di € 3.000,00, e il secondo di mesi tre di sospensione, oltre l’ammenda di € 1.500,00, perché colpevoli di condotta contraria ai principi di lealtà, probità e rettitudine, ai sensi dellart. 1, commi 1 e 2, del Regolamento di Giustizia FIT. I fatti contestati concernevano l’aver tratto in inganno gli allievi iscritti alla scuola tennis organizzata dal TC Le Palme ASD, nella stagione sportiva 2015/2016, per aver questi confidato nel regolare svolgimento della scuola e nella piena disponibilità dell’impianto per tutta la stagione sportiva di riferimento; concernevano, inoltre, l’aver fatto uso del logo della FIT nei volantini utilizzati per pubblicizzare la predetta scuola.

I ricorrenti hanno presentato, in data 19 gennaio 2017, istanza cautelare per l’ottenimento della sospensione  dell’esecuzione  della  decisione  impugnata  sino  alla  definizione  del  presente giudizio.

Con provvedimento del 20 gennaio 2017, assunto al prot. n. 50/17, il Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport ha respinto la predetta istanza, in base alla motivazione dell’assenza di straordinarie ragioni di urgenza tali da non consentire di attendere la decisione collegiale già calendarizzata per la data odierna.

Lodierno ricorso tratta due posizioni, riferite ai tesserati Alessandro Cristilli e Alessandro Bario, per le quali la difesa solleva i medesimi motivi e precisamente:

  1. Violazione degli artt. 98, comma 5, e 99, comma 1, del Regolamento di Giustizia della Federazione Italiana Tennis.

Sul punto, gli odierni istanti rilevano che, in data 1° aprile 2016, il Procuratore Federale aveva emesso nei loro confronti atto di deferimento che era stato trasmesso al Tribunale Federale soltanto in data 30 maggio 2016.

Nelle more era entrato in vigore il nuovo Regolamento di Giustizia della FIT (edizione 2016), approvato dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione n. 155 del 27/4/2016, nel quale, all’art. 98, in riferimento all’esercizio dell’azione disciplinare da parte del Procuratore Federale, viene inserito l’inciso “entro trenta giorni dalla scadenza del termine per laudizione o per la presentazione della memoria.

In data 1° ottobre 2016, il Tribunale Federale, richiamando il dettato dell’art. 99, comma 1, il quale dispone che “Il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti si estingue quando il Procuratore federale non lo eserciti entro i termini previsti dal presente Regolamento, dichiarava l’estinzione dell’azione disciplinare, rilevando il mancato rispetto del termine di trenta giorni, il cui dies a quo di decorrenza veniva dallo stesso Tribunale identificato nella data di entrata in vigore del nuovo Regolamento di Giustizia.

I ricorrenti, nell’atto introduttivo di questo giudizio e nel corso della discussione orale, hanno rilevato che l’art. 99, sopra citato, secondo l’argomento letterale, non può condurre ad altra interpretazione differente da quella fatta propria dal Tribunale Federale, a meno di non doverne affermare la sua tacita abrogazione.

In subordine i ricorrenti sollevano gli ulteriori seguenti motivi: 

  1. Omessa motivazione in ordine alla dichiarazione di responsabilità per la violazione di cui all’art. 1, comma 2, del Regolamento di Giustizia.

Sul punto i ricorrenti contestano che la gravata sentenza ha affidato la motivazione della condanna alla seguente manciata di righe: Per quanto riguarda lart. 1 comma 2 R.G. tutti gli incolpati hanno avuto un comportamento tuttaltro che leale e corretto, sia nei confronti dedenunziante che dei ragazzi che hanno partecipato ai corsi. Per quanto riguarda il denunziante, tutti gli incolpati hanno rappresentato in maniera difforme dal vero i rapporti con il Comune di Genova; analogo comportamento è stato tenuto anche nei confronti dei frequentatori della scuola tennis che si trovavano nella ignara situazione di poter essere estromessi dallimpianto da un momento allaltro (anche se poi così non è accaduto). Lamentano, quindi, che “non vi è stata la benché minima presa in considerazione delle argomentazioni difensive che erano state articolate nella memoria difensivae che la Corte dAppello non ha neppure menzionato la copiosissima documentazione versata agli atti della difesa nonché le risultanze dellaudizione del testimone sentito dal Tribunale federale, di cui i ricorrenti producono verbale di udienza.

I ricorrenti affermano, quindi, che “clamoroso è dunque il travisamento del fatto in cui è incorsa la impugnata decisione nel passaggio in cui osserva che “questo procedimento giunge al vaglio di questa Corte dAppello Federale senza alcun contributo probatorio da parte del Tribunale che si era limitato a dichiarare estinto il processo per intervenuta prescrizione.

  1. Omessa motivazione in ordine alla dichiarazione di responsabilità per la violazione di cui all’art. 1, comma 2, R.G., in relazione all’utilizzo del logo FIT.

I ricorrenti riconoscono che il fatto storico era incontroverso, ma lamentano che di esso avevano offerto spiegazione di cui la Corte “non ha offerto replica alcuna.

  1. Omessa motivazione in ordine alla dichiarazione di responsabilità per la violazione degli artt. 35 e 50 del Regolamento dei Tecnici.

I ricorrenti contestano che “anche in questo caso era incontroverso il fatto storico, ma anche in questo caso la Corte Federale non ha speso neppure un rigo di motivazione per valutare quella che era stata la versione del Bario.

Nel corso della discussione orale, la Procura Generale dello Sport ha eccepito, in primis, l’errata interpretazione dei ricorrenti della norma contenuta nell’art. 99, comma 1, posto che essa, nonostante la sua formulazione letterale, concerne il “potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevantiche compete al Tribunale Federale e non già alla Procura Federale.

La Procura Generale ha rilevato, inoltre, che l’art. 99 sopra citato non opera alcun riferimento all’art. 98, comma 5, e, pertanto, il termine ivi previsto non può considerarsi avente natura prescrizionale, né, daltra parte, tale soluzione interpretativa può fondarsi sul semplice argomento della continuità testuale tra le due norme sopra richiamate.

Viene, infine, rilevato, a sostegno della tesi contraria alla natura perentoria del termine di cui all’art. 98, comma 5, che tale articolo non reca alcuna espressa indicazione in tal senso, né alcuna indicazione in ordine alle conseguenze scaturenti dal mancato rispetto del termine e, inoltre, che il testo della norma dice che il Procuratore federale (…) esercita lazione disciplinaree non già che deve esercitarla.

Con riguardo ai motivi di ricorso sopra riferiti sub nn. 2, 3 e 4, la Procura Federale, nel corso della discussione orale, ne ha eccepito l’infondatezza, rilevando, tra l’altro, come la sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, operi invece l’espresso riferimento alle prove assunte nel corso del giudizio.

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

I ricorrenti, con il primo motivo di ricorso, hanno sostenuto che, ai sensi dell’art. 98, comma 5, del vigente Regolamento di Giustizia FIT, il termine di trenta giorni, ivi previsto per l’esercizio dell’azione disciplinare da parte del Procuratore Federale, avrebbe natura perentoria e tale interpretazione risulterebbe suffragata dalla norma contenuta nell’art. 99, comma 1, la quale statuisce che “Il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti si estingue quando il Procuratore federale non lo eserciti entro i termini previsti dal presente Regolamento. Lespressione impiegata dal legislatore federale, mediante il riferimento ai “termini previsti dal presente Regolamento, implicherebbe, dunque, che la prescrizione dellazione non andrebbe ricollegata soltanto ai termini indicati in dettaglio al comma 3 dello stesso articolo 99 (cui deve aggiungersi il termine previsto dall’art. 47 che fa espresso rinvio allart. 99), bensì ad ogni altro termine previsto dal Regolamento e, dunque, anche al termine di cui all’art. 98, comma 5.

Al riguardo, questo Collegio deve preliminarmente evidenziare linfelice formulazione letterale della disposizione contenuta nell’art. 99, comma 1, del vigente Regolamento di Giustizia FIT, che sembra attribuire al Procuratore federale “il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti, quando tale potere è evidentemente assegnato agli organi giudicanti. La norma deve essere quindi interpretata nel senso che il potere del Procuratore federale di chiedere una sanzione per fatti disciplinarmente rilevanti si estingue quando tale potere non sia esercitato entro i termini previsti dal Regolamento di Giustizia federale.

Ciò premesso, la Sezione ritiene che la disposizione indicata, considerata la sua portata generale e la sua chiara finalità, si debba applicare non solo nei casi elencati nel comma 3 dell’art. 99, alle lettere a), b), c) e d), nonché nel caso specificamente previsto allart. 47, comma 2, per le infrazioni correlate ad illeciti da doping, ma anche nella fattispecie disciplinata dall’art. 98, comma 5, del vigente Regolamento di Giustizia FIT, che assegna al Procuratore Federale, a conclusione dell’attiviistruttoria, il termine di trenta giorni  per lesercizio dell’azione disciplinare. Con la conseguenza che, come negli altri casi elencati nel comma 3 dell’art. 99 (e nel caso previsto all’art. 47, comma 2), il decorso di tale termine comporta l’estinzione del procedimento disciplinare.

Peraltro, anche a voler ritenere che l’art. 99, comma 1, per la sua collocazione sistematica, non voglia includere anche la disposizione dettata dall’art. 98, comma 5, non per questo si può ritenere privo di effetti l’eventuale superamento, da parte della Procura Federale, del termine di trenta giorni assegnato da tale disposizione per il promovimento dell’azione disciplinare.

A tale conclusione si deve giungere per diverse ragioni. 

In primo luogo, non si può condividere la tesi, sostenuta dalla Procura Generale, secondo cui il termine previsto all’art. 98, comma 5, avrebbe natura ordinatoria e, come tale, ove non venga rispettato, non determinerebbe la decadenza dal potere di esercizio dell’azione disciplinare. Infatti, come è noto, nellapplicare la legge, ai sensi dellart. 12 delle disp. prel. cod. civ., l’interprete non può fermarsi al significato letterale della norma, ma deve indagare quale sia stata l’intenzione del legislatore, vale a dire la ratio legis.

Con riguardo specifico alla norma di cui all’art. 98, comma 5, va rilevato, in applicazione del criterio di interpretazione storico, che essa era già presente nel previgente Regolamento di Giustizia, all’art. 112, comma 4, salvo l’inciso, aggiunto nel Regolamento vigente “entro trenta giorni dalla scadenza del termine per laudizione o per la presentazione della memoria.

Se, dunque, il legislatore federale è intervenuto modificando la norma de qua proprio con l’aggiunta di tale termine, la norma deve essere interpretata assegnandole un significato tale da non svuotare di efficacia tale modifica. E tale significato non può rinvenirsi nella semplice intenzione di cadenzare l’attività della Procura Federale, senza collegare ad essa alcuna conseguenza in caso di mancato rispetto del termine prefissato, posto che, altrimenti, la modifica introdotta risulterebbe pressoché svuotata di efficacia.

Va rilevato, peraltro, che tale modifica non può che essere letta nel senso di un intervento legislativo favor rei, in ossequio al principio di garanzia dellesigenza di una rapida definizione della posizione dellincolpato. In altri termini, essa mira a garantire che il diritto di difesa non venga nei fatti limitato, se non addirittura compromesso, là dove si consenta che l’azione disciplinare sia avviata anche dopo un lungo lasso di tempo dalla commissione dellinfrazione. Questo Collegio in altra occasione ha già avuto modo di precisare quanto sopra, là dove ha affermato che se linizio dellazione disciplinare fosse rimessa alla mera discrezionalità della Procura, i tesserati si vedrebbero contestare degli illeciti rispetto ai quali potrebbero aver perso ogni elemento di prova contraria, proprio a causa del lungo lasso di tempo intercorso dalla commissione della pretesa infrazione alla sua contestazione, e, inoltre, che “potrebbe apparire irragionevole  e  in  violazione  del  principio  della  pari delle  parti  ritenere  che  linizio  del procedimento sanzionatorio sia rimesso esclusivamente al vaglio della Procura(Collegio di Garanzia, Sez. IV, n. 17/2016). Sulla medesima questione, il Collegio di Garanzia a Sezioni Unite, a seguito di rimessione da parte della IV Sezione, ha espresso il convincimento che “non è possibile che una Procura rimanga indifferente alla notizia di una infrazione e proceda in modo non solerte e a suo piacimento alla iscrizione sul Registro dei fatti perseguibili. In quella occasione, peraltro, poiché, a differenza che nel caso de quo, difettava nella normativa endofederale la previsione di un termine per l’esercizio dellazione disciplinare, le Sezioni Unite hanno riconosciuto che sarebbe arduo far ricorso a criteri di per sé assai discrezionali, quali il tempo ragionevole’ o il periodo di tempo congruolasciando però priva di tutela la giusta pretesa a che la Procura Federale iscriva entro un termine preciso la notizia, pervenendo alla conclusione di sollecitare la Giunta del CONI affinché, con un intervento ad hoc, provvedesse a colmare la predetta lacuna (Collegio di Garanzia a Sez. Unite, n. 29/2016).

Va, infine,  osservato come  l’interpretazione della norma de qua, nel senso di vincolare  la Procura Federale al rispetto del termine ivi previsto, pena la decadenza dal potere di compiere l’attività cui il termine si collega, è in linea con il principio di celerità che informa tutto il sistema della giustizia sportiva.

Il riconoscimento della natura ordinatoria del termine di cui è causa non può fondarsi, daltra parte, sul rilievo che un termine di  trenta giorni a pena di  decadenza risulterebbe troppo stringente e, quindi, insufficiente per la formulazione dell’incolpazione e la comunicazione dell’atto di deferimento.

Occorre in proposito richiamare la norma contenuta nell’art. 98, comma 4, la quale dispone che “Quando non deve disporre larchiviazione, il Procuratore federale entro venti giorni dalla conclusione delle indagini informa linteressato dellintendimento di procedere al deferimento e gli comunica gli elementi che la giustificano, assegnandogli un termine per presentare una memoria ovvero, se questi non sia stato già udito, per chiedere di essere sentito”. Dalla scadenza di questo termine decorre il termine di trenta giorni di cui si tratta.

Dalla lettura della norma sopra richiamata si evince, pertanto, che la Procura Federale può liberamente quantificare la durata del termine (che deve essere ragionevole, in applicazione del generale principio di celerità sopra richiamato) entro il quale l’interessato può presentare una memoria ovvero, se questi non sia stato già udito, chiedere di essere sentito, ed anche che “entro trenta giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria”, la Procura Federale “esercita l’azione disciplinare”.

Le ulteriori argomentazioni addotte dalla Procura Generale dello Sport per affermare la natura ordinatoria del termine di cui all’art. 98, comma 5, non sono condivisibili. Esse, come sopra detto, si fondano, in primo luogo, sull’assenza di espressa previsione legislativa in ordine alla perentorietà di tale termine, nonché alle conseguenze del suo mancato rispetto e, in secondo luogo, sul dato terminologico impiegato nella norma de qua, là dove si dice che il Procuratore Federale esercital’azione disciplinare e non che deveesercitarla.

Quanto al primo rilievo, va osservato che l’art. 152, 2° comma, c.p.c., secondo cui “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori, deve essere interpretato, secondo il costante indirizzo di dottrina e giurisprudenza, nel senso che la natura perentoria di un termine deve essere espressamente prevista dalla legge oppure può essere desunta dallo scopo e dalla funzione che il termine adempie. In proposito, la Corte di Cassazione ha, infatti, affermato che alla perentorietà del termine non “osta la mancata espressa previsione della sua perentorietà, poiché, sebbene lart. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senzaltro escludersi la perentorietà del termine, dovendo pur sempre il giudice indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato a pena di decadenza e sia quindi perentorio(cfr. Cass. civ., n. 17978/2008 e Cass. civ., n. 14692/2007; in senso sostanzialmente analogo, cfr. Cass. civ., n. 21365/2010 e Cass. civ., n. 5060/2016).

E, dunque, la ratio legis sottesa alla previsione del termine di cui all’art. 98, comma 5, più sopra enunciata, che può valere a fondare la natura perentoria del termine stesso.

Peraltro, potrebbe più in generale anche escludersi che l’art. 152, 2° comma, si applichi al caso de quo, considerato che tale norma si riferisce ai termini peil compimento degli atti del processo, mentre il termine di trenta giorni di  cui  si discorre attiene alla fase prodromica all’instaurazione del processo.

Con riguardo al secondo rilievo, si osserva che la previsione legislativa di termini decadenziali non si accompagna necessariamente all’enunciazione in termini di doverosità del comportamento cui il termine si ricollega (si vedano, ad esempio, gli artt. 1168 e 1170 c.c. in cui l’esercizio delle azioni di reintegrazione e di manutenzione entro il termine di decadenza di un anno è enunciato in forma di potere e non di dovere).

Ai fini della decisione del caso de quo, la ratio legis della disposizione, in ossequio ai principi di celerità e certezza della posizione dell’incolpato, deve condurre a riconoscere, pertanto, la decadenza della Procura Federale dal potere di esercitare l’azione disciplinare decorso il termine di trenta giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria.

Peraltro, secondo tesi di autorevole dottrina che si condivide, la differenza tra l’inosservanza di un termine perentorio e quella di un termine ordinatorio non consiste nelle conseguenze che da tale inosservanza si producono, bensì nel fatto che, nel primo caso, la decadenza è un effetto ope legis, che si produce, dunque, ipso iure alla scadenza del termine, senza possibilità di diversa soluzione, mentre, nel secondo caso, è un effetto ope iudicis, giacché spetta al giudice, una volta constatata dufficio la mancata osservanza del termine, pronunciare l’avvenuta decadenza.

Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto, con l’assorbimento degli ulteriori motivi di gravame e, in riforma della decisione impugnata, deve essere dichiarata lestinzione del procedimento disciplinare in questione.

 

 

PQM

 

Il Collegio di Garanzia dello Sport Quarta Sezione

 

 

Accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara estinto il procedimento disciplinare a carico degli incolpati, sigg. Alessandro Cristilli e Alessandro Bario.

Spese compensate.

 

Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.

Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 14 febbraio 2017.

 

Il Presidente                                                                                 La Relatrice

 

F.to Dante D’Alessio                                                                    F.to Laura Santoro

 

 

Depositato in Roma in data 28 marzo 2017.

Il Segretario

 

F.to Alvio La Face

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