CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Seconda – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 51 del 12/07/2017 – Pastore Vincenzo contro F.I.G.C.

Decisione n. 51

Anno 2017

 

 

 

 

IL COLLEGIO DI GARANZIA SECONDA SEZIONE

 

 

 

composta da

Attilio Zimatore - Presidente

Ferruccio Auletta

Oreste Michele Fasano

Silvio Martuccelli - Componenti

Laura Marzano - Relatrice

 

ha pronunciato la seguente

 

 

DECISIONE

nel giudizio iscritto al R.G. n. 45/2017 sul ricorso del 14 aprile 2017, proposto da:

 

 

Vincenzo PASTORE, rappresentato e difeso, come da procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Gaetano Aita, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Eboli (SA), via Leonardo da Vinci, n. 27;

 

contro

 

 

la F.I.G.C. Federazione Italiana Giuoco Calcio, con sede in Roma, Via Allegri, n. 14, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa, come da procura a margine della memoria di costituzione, dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via Panama, n. 58;

 

nonché nei confronti

 

 

  • della Procura Generale dello Sport c/o CONI,

 

 

per la riforma

 

 

della decisione della Corte Federale di Appello della F.I.G.C., Sezioni Unite (disp. C.U. n. 103/CFA del 10 febbraio 2017 e motivazioni C.U. n. 112/CFA del17 marzo 2017), con la quale, in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti, è stata rideterminata in mesi 21 la sanzione dell’inibizione comminata al dott. Pastore Vincenzo, già presidente del Comitato Regionale Campania L.N.D..

 

  • Uditi, nell’udienza del 10 giugno 2017, l’avv. Gaetano Aita per il ricorrente; gli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli per la F.I.G.C., nonché il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Federico Vecchio, all’uopo delegato dal Procuratore Generale dello Sport, ai sensi dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;
  • viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
  • udita, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, la Relatrice, Cons. Laura Marzano;

 

Ritenuto in fatto

 

 

  1. Con ricorso presentato in data 14 aprile 2017, il dott. Vincenzo Pastore ha impugnato, dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, la decisione della Corte Federale di Appello della FIGC, Sezioni Unite (disp. C.U. n. 103/CFA del 10 febbraio 2017 e motivazioni C.U. n. 112/CFA del 17 marzo 2017), con la quale, in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti, è stata rideterminata in mesi 21 la sanzione dell’inibizione comminata al dott. Pastore Vincenzo.

Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Giuoco CalcioFIGC, con memoria del 21 aprile 2017, eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza.

All’udienza del 12 giugno 2017, sentiti a lungo il difensore del ricorrente e i difensori della FIGC,

la causa è stata decisa come da dispositivo prot. n. 493/17, in pari data.

  1. Con Comunicato Ufficiale n. 113 del 14 settembre 2015 il vice presidente vicario della Lega Nazionale Dilettanti, vista la relazione conseguente ad una verifica ispettiva effettuata presso il Comitato Regionale Campania - LND dalla società di consulenza Labet S.r.l., considerato che all'esito degli accertamenti svolti emergeva una situazione gestoria del predetto Comitato caratterizzata da notevoli criticità, nell'ambito delle quali aveva assunto particolare rilevanza una probabile appropriazione indebita di rilevante importo, favorita da una diffusa carenza di controlli e vigilanza, ha dichiarato la decadenza degli organi direttivi del Comitato Regionale Campania, di cui veniva disposto il commissariamento.

Seguivano le indagini effettuate dalla Procura Federale, in conseguenza della ricezione della nota

n. 2611/AC del 27 ottobre 2015, con la quale la presidenza della Lega Nazionale Dilettanti trasmetteva una relazione, con annessi allegati, a firma del Commissario straordinario del Comitato Regionale Campania, nominato con il provvedimento sopra ricordato, nella quale venivano evidenziate le risultanze della prima attività di verifica e le criticità riscontrate.

Acquisiti elementi di conoscenza e di riscontro presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, richiesti chiarimenti alla LND sulle poste contabili indicate nel Piano dei conti riferito al Comitato Regionale Campania, sentiti il dott. Vincenzo Pastore (già presidente del predetto Comitato) e il dott. Giuseppe Aversano (già responsabile amministrativo del Comitato medesimo), svolte le ulteriori indagini e verifiche di rito, la Procura Federale, previa comunicazione dell'avviso di conclusione delle indagini, riteneva sussistere i presupposti per procedere al deferimento.

  1. Deferimento Procura Federale

Con provvedimento del 30 giugno 2016 il Procuratore Federale ha deferito al Tribunale Federale Nazionale, sez. disciplinare, il dott. Vincenzo Pastore - nella sua qualità, all'epoca dei fatti (dal 5 dicembre 2012 al 14 settembre 2015), di Presidente del Comitato Regionale Campania LND, per la violazione dell'art. 1 bis, comma 1, CGS/FIGC ovvero del dovere di comportarsi, in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva, secondo i principi di lealtà, correttezza e probità.

Secondo la prospettiva accusatoria gli accertamenti espletati e le emergenze probatorie acquisite erano sufficienti a dimostrare una gestione contabile-amministrativa, del Comitato Regionale presieduto dal deferito, contraddistinta da «molteplici criticità, favorite da diffuse condotte omissive e da criteri di inadeguatezza organizzativa, tali da aver condotto al commissariamento di quel Comitato». In particolare, la Procura Federale contesta al dott. Vincenzo Pastore di aver:

a) “omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a dar luogo alla puntuale rimessa alla FIGC delle somme dovute dal Comitato per "sanzioni comminate dalla Commissione disciplinare nazionale" (ora Tribunale Federale Nazionale - sez. disciplinare) favorendo, in tal modo, una ingiustificata esposizione del Comitato, per quegli importi, verso la Federazione;

  1. omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a consentire di procedere alla restituzione in favore di n. 5 società affiliate (US Arzanese S.r.l.; A.S.D.US Scafatese Calcio; A.S.G. Nocerina S.r.l.; SS Cavese 1919 S.r.l. e SSD Puteolana 1902 Internapoli) degli importi per crediti esigibili da ciascuna delle stesse vantati nei confronti del Comitato, con conseguente compromissione dei diritti patrimoniali, derivanti da quelle somme, propri di queste ultime;
  2. omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata ad assicurare il corretto e tempestivo adempimento, da parte del Comitato, ai pagamenti in favore dei propri fornitori e collaboratori, dando, per l'effetto, causa all'insorgenza di una rilevante esposizione debitoria del primo nei confronti dei secondi;
  3. omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a dare effettiva e concreta attuazione al protocollo d'intesa, sottoscritto in data 26 gennaio 2015 tra il Comitato e la Regione Campania e finalizzato al finanziamento e alla realizzazione di opere di adeguamento e ristrutturazione di n. 6 impianti sportivi campani per un costo stimato in 7 milioni di euro.

Sul punto, nella relazione della Procura Federale viene evidenziato: «... il presidente del Comitato Vincenzo Pastore ha stipulato con la Regione Campania un Protocollo d'intesa in data 26.01.15, rappresentando al Presidente della Giunta Regionale della Campania la necessità di finanziare, nell'ambito delle iniziative di accelerazione della spesa del POR Campania FESR 2007-2013, l'intervento relativo alla realizzazione di opere di adeguamento e ristrutturazione di diversi impianti sportivi per un costo totale di 7 milioni di euro. Benché detti interventi sono stati definiti immediatamente cantierabili, con specifico crono programma coerente con i termini di ammissibilità della spesa ... ad oggi nessuna attività di ristrutturazione è stata attivata, ne è stato percepito alcun contributo dalla Regione Campania ...»”.

Decisione TFN

Il TFN, esaminati gli atti, ha ritenuto che gli argomenti difensivi prospettati non fossero idonei a suffragare una decisione di esclusione dalle responsabilità allo stesso attribuite, nel senso che le difese offerte dal deferito non contenevano elementi in grado di giustificare o supportare una differente valutazione dei fatti e delle condotte a lui contestate.

Ha disatteso, poi, il TFN, l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dallo stesso Pastore (secondo cui, essendo decaduto dalla carica e non essendo più tesserato presso la FIGC, non sarebbe potuto più essere assoggettato al procedimento disciplinare).

Ritenuto, in conclusione, provato il comportamento antiregolamentare posto in essere dal deferito, con evidente violazione dell'art. 1 bis, comma 1, CGS/FIGC, precisato che l'entità della sanzione inflitta teneva anche conto del comportamento scarsamente collaborativo assunto dal deferito nel corso dell'intero procedimento, il Tribunale Federale Nazionale, sez. disciplinare, in accoglimento del deferimento proposto, ha condannato il signor Vincenzo Pastore alla sanzione dell'inibizione per mesi 18 (diciotto) e dell'ammenda di € 5.000,00 (euro cinquemila/00).

Avverso la suddetta decisione del TFN, pubblicata sul C.U. n. 13/TFN del 14 settembre 2016, il sig. Vincenzo Pastore, come difeso ed assistito, ha proposto ricorso in appello.

  1. Deferimento Procura Federale.

Il dott. Pastore era, poi, raggiunto da altro deferimento, in relazione, questa volta, al fatto che nel corso delle stagioni sportive 2013/2014 e 2014/2015 alcune Società si erano iscritte ai campionati di loro competenza con un numero di calciatori tesserati di gran lunga inferiore rispetto al necessario per la disputa delle gare ufficiali, gettando così le premesse per l'utilizzo di calciatori non tesserati e quindi in posizione irregolare, cosa che si era effettivamente, poi, verificata.

La Procura Federale, rilevando la responsabilità da omessa vigilanza della presidenza del Comitato Regionale e la responsabilità da illecito sportivo delle Società e dei dirigenti coinvolti, con atto del 18 agosto 2016 ha, dunque, deferito innanzi al TFN, oltre ad altri soggetti, Pastore Vincenzo, all'epoca dei fatti Presidente del Comitato Regionale Campania (violazione art. 1 bis, comma 1, CGS/FIGC), per aver omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa diretta ad evitare che un numero rilevante di calciatori partecipasse a gare ufficiali senza averne titolo perché privi di tesseramento; per aver omesso di informare i competenti Organi di giustizia sportiva delle suddette irregolarità di cui era venuto a conoscenza, nonché della ulteriore circostanza, di cui era al pari a conoscenza, che alcune Società (segnatamente la AC Airola, la ASB Real San Tammaro 2012, la ASB Virtus Grottaminarda, la ASB Sporting Cancello Amene), al momento della iscrizione al campionato, avevano un numero complessivo di tesserati inferiori a quello necessario per la disputa delle gare, venendo così meno al controllo ed alla vigilanza sul corretto svolgimento dei campionati.

Decisione TFN

Il TFN ha, anzitutto, disatteso l'istanza di riunione formulata dall'incolpato.

Quanto all'eccezione dell'incolpato, di mancanza di legittimazione passiva per non essere più nei ruoli della FIGC ed essere quindi estraneo all'Ordinamento federale e, in particolare, all'art. 30 dello Statuto sulla efficacia dei provvedimenti federali, del vincolo di giustizia e della clausola compromissoria, il TFN ha così osservato: «L'incolpato è decaduto dalla carica il 14 settembre 2015; all'epoca dei fatti (stagione sportiva 2014/2015, gare disputate verosimilmente prima di detta data) egli era nel pieno dei suoi poteri e quindi suscettibile di essere sottoposto nell'attualità alla giurisdizione di questo Tribunale».

Nel merito, il TFN riteneva fondato il deferimento, pertanto infliggeva al Vincenzo Pastore le seguenti sanzioni: inibizione di mesi 3 (tre) ed ammenda di € 1.500,00.

  1. Deferimento Procura Federale

Con ulteriore provvedimento del 3 agosto 2016 la Procura Federale, in relazione alle vicende connesse alla gestione del Comitato Regionale Campania sotto la presidenza del dott. Vincenzo Pastore dal 5 dicembre 2012 al 14 settembre 2015, lo deferiva innanzi al Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare, per rispondere della violazione dell'art. 1 bis, comma 1, CGS/FIGC, ovvero, del dovere fatto a ciascun soggetto dell'Ordinamento federale di comportarsi in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva secondo i principi di lealtà, correttezza e probità, nella propria qualità di vertice apicale del sopradetto Comitato Regionale e, dunque, di soggetto avente, almeno nella forma del controllo e della vigilanza, la diretta responsabilità della corretta gestione contabile - amministrativa del Comitato da esso a quel momento presieduto, per aver:

“1) omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a dare effettivo e concreto impulso alla esazione coatta, ex art. 30 del Regolamento della LND, dell'ingente credito (ammontante alla data del 30 giugno 2015 ad € 1.397.936,31) vantato dal Comitato nei confronti delle Società affiliate (attive e inattive) con conseguente ingiustificata "esposizione" del Comitato per l'intero ammontare di quel credito e reiterata disapplicazione e violazione nella prassi, anche attraverso un sistematico ricorso a forme di rateizzazione dei debiti contratti dalle diverse Società interessate non rispondente alle linee guida emanate dalla LND, della vigente normativa di cui al richiamato Regolamento della LND che tra le condizioni inderogabili per la iscrizione e partecipazione delle Società ai campionati pone, innanzitutto, "...l'inesistenza (a carico delle stesse) di situazioni debitorie nei confronti di Enti federali" (art. 28 Reg. LND);

  1. omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata ad evitare l'insorgenza, o perlomeno, ad eliminare le pregiudizievoli conseguenze di quelle gravi carenze di carattere amministrativo e di evidente disordine contabile, rilevate dalla gestione commissariale in parola, per come, in specie, compendiate in quel "Verbale di operazioni compiute" steso dalla Guardia di Finanza, in data 16 dicembre 2015, all'esito della attività di ispezione e controllo dalla stessa condotta presso la sede del Comitato Regionale Campania, al fine di verificare la regolarità delle operazioni bancarie, con specifico riferimento a tutti gli assegni circolari emessi, effettuate dal Comitato stesso, e dalla quale è emersa l'esistenza di ben 313 operazioni per importi non giustificati (per un valore complessivo di € 1.067.098,18) tali da aver nel loro insieme provocato un oggettivo danno economico e patrimoniale, tanto al Comitato quanto, più in generale, alla FIGC;
  1. omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata, come peraltro sollecitato finanche - dalla gestione commissariale della Lega Pro, a consentire il trasferimento e la restituzione in favore della società S.S. Cavese 1919 S.r.l. della somma di € 250.000,00 in precedenza accreditata presso il C.R. Campania, a seguito dell'escussione della fideiussione in favore della Lega Pro risalente al campionato 2011/12 e la relativa non ammissione di quella Società al campionato di competenza, con conseguente compromissione dei diritti patrimoniali, derivanti da siffatta somma, propri, non solo, della società S.S. Cavese 1919 S.r.l., ma, vieppiù, dei diversi tesserati (calciatori, tecnici e dirigenti) in contenzioso, da tempo, con quest'ultima e, pertanto, portatori di un interesse specifico ad ottenere la distribuzione pro-quota dell'anzidetta fideiussione non appena fosse stata effettivamente resa disponibile; nonché, ancora, con specifico riferimento a tale ultimo aspetto, ovvero, nella consapevolezza dell'esistenza di numerosi contenziosi aperti verso la S.S. Cavese 1919 S.r.l., per aver autorizzato la rimessa in favore di questa della somma di € 4.502.00 da destinare poi al calciatore Arturo Carbonaro con evidente lesione, sotto il profilo della disparità di trattamento, dei diritti di tutti gli altri tesserati della predetta Società in contenzioso con la stessa;
  2. omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a dare concreta ed effettiva attuazione, attraverso la puntuale predisposizione di idonei flussi informativi, a quel "Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/01" che prevede, appunto, la predisposizione da parte di ciascun Comitato Regionale di flussi informativi, volti a monitorare le attività a potenziale rischio di reato, da rendere disponibili in occasione di apposite verifiche periodiche condotte da uno specifico Organismo di Vigilanza della LND Servizi S.r.l., sostanziando, in tal modo, una condotta tale da essersi posta, non soltanto, come di evidente ostacolo all'attività propria di quest'ultimo Organismo,  ma, vieppiù, proprio in ragione della mancata puntuale adozione di quel "Modello di organizzazione" e dei relativi "Presidi organizzativi" da attuare in concreto onde contenere i pericoli connessi allo svolgimento di attività a potenziale rischio di reato, tale anche da aver favorito o, almeno, non impedito l'insorgenza di quel disordine amministrativo alla base del deciso provvedimento, da parte della LND, di commissariamento del Comitato”.

Decisione TFN

Il TFN ha ritenuto parzialmente fondato il deferimento.

Preliminarmente  ha  respinto  l’istanza  di  riunione  dei  procedimenti,  nonché  l'eccezione  di estraneità del ricorrente all'Ordinamento federale.

Quanto al merito, il TFN ha ritenuto improponibile il deferimento in relazione ai punti 3 e 4 dello stesso, per violazione del principio di divieto di bis in idem rispetto a precedenti contestazioni.

Quanto agli altri due capi di contestazione, il TFN ha ritenuto non provata la culpa in vigilando in relazione al capo di deferimento di cui al punto 1; viceversa, ha ritenuto fondato l'addebito di cui al punto 2 del deferimento.

Quindi, in conclusione, il deferimento della Procura è stato accolto, in parte qua, e la sanzione determinata proporzionalmente.

Pertanto, il TFN ha così deciso: “dichiara la non proponibilità dell'azione disciplinare in relazione ai capi 3 e 4 del deferimento per violazione del divieto di bis in idem in relazione ai contenuti ed alla portata delle decisioni n. 68 e n. 13/TNF/2016. Proscioglie l'incolpato in relazione al capo I del deferimento per essere il fatto non provato. Accertata la violazione dell'art. 1 bis, comma 1, CGS/FIGC da parte del dott. Pastore in relazione al capo 2 del deferimento, gli irroga la sanzione della inibizione per mesi 3 (tre)”.

Decisione CFA SSUU

La Corte di Appello Federale a Sezioni Unite, disposta preliminarmente la riunione dei tre procedimenti di cui trattasi, attese ragioni di connessione soggettiva e anche in parte oggettiva e, comunque, di economia processuale, ha assunto la seguente decisione.

In parziale accoglimento dei reclami proposti dal dott. Vincenzo Pastore e in parziale riforma delle decisioni del TFN impugnate:

“1) Quanto al reclamo avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale - sezione disciplinare, di cui al Com. Uff. n. 13/TFN del 14 settembre 2016, lo accoglie parzialmente e, per l'effetto, anche considerata la ricorrenza della continuazione, ridetermina la sanzione allo stesso inflitta nella inibizione per mesi 19 (diciannove), con esclusione dell'ammenda;

  1. Quanto al reclamo avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale - sez. disciplinare, di cui al Com. Uff. n. 35/TFN del 30 novembre 2016, lo accoglie parzialmente e, per l'effetto, in applicazione dell'istituto della continuazione, ridetermina la sanzione allo stesso inflitta nella inibizione per mesi 2 (due), con esclusione dell'ammenda;
  2. Quanto al reclamo avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale - sez. disciplinare, di cui al Com. Uff. n. 35/TFN del 30 novembre 2016, lo accoglie e, per l'effetto, in parziale modifica della decisione impugnata, dichiara inammissibile il deferimento con riferimento al capo n. 2) di incolpazione;
  3. Pertanto, per effetto di quanto sopra, la Corte ridetermina nella complessiva inibizione di mesi 21 (ventuno) la sanzione inflitta al dott. Vincenzo Pastore.”.
  4. Avverso la suddetta decisione, resa nota nel dispositivo del 10 febbraio 2017 e pubblicata in forma integrale il 17 marzo 2017, con CU n. 112/CFA, il dott. Vincenzo Pastore ha interposto ricorso dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, formulando i motivi di seguito sintetizzati.
  1. Omessa insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 30 Statuto federale e dell'art. 1 bis, commi 1 e 5, CGS/FIGC e dell'art. 19 CGS, estraneità all'ordinamento federale.

Con tale motivo il ricorrente ha riproposto la questione del difetto di giurisdizione sostenendo che la carica di Presidente del C.R. Campania non renderebbe appartenente il dott. Pastore Vincenzo all'Ordinamento federale, nei termini di assoggettabilità dello stesso alla giustizia sportiva.

Infatti, il dott. Pastore, avendo ricoperto il ruolo di Presidente del C.R. Campania, perché eletto dall'Assemblea Regionale delle Società del 5 dicembre 2012, come soggetto estraneo alle società, dunque non tesserato, risponderebbe del suo operato esclusivamente al Presidente della LND, il quale soltanto disporrebbe di poteri sanzionatori: poteri, in effetti, esercitati  con la declaratoria di decadenza dalla sua carica di Presidente e di nomina del Commissario straordinario.

  1. Violazione degli artt. 34, 34 bis e 38 CGS/FIGC e degli artt. 37 e 38 CGS/CONI; estinzione dell'azione disciplinare.

Il procedimento disciplinare di secondo grado sarebbe estinto:

  • perché il dispositivo è stato pubblicato il 10 febbraio 2017 mentre le motivazioni sul C.U. n. 112/CFA del 17 marzo 2017, quindi in violazione del termine di 10 giorni di cui all’art. 34 CGS/FIGC;
  • perché, dalla proposizione del reclamo alla data di pubblicazione delle motivazioni, sono decorsi oltre 60 giorni.
  1. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti, violazione e falsa applicazione dell'art. 1 bis CGS/FIGC perché il fatto non sussiste, non lo ha commesso, non costituisce illecito disciplinare; violazione del principio del ne bis in idem (deferimento n. 15710/ 288 PF - decisione CU n. 13/TPNI).

La CFA avrebbe errato poiché, in accoglimento del ricorso, ha annullato due dei quattro capi d'incolpazione rideterminando l'originaria sanzione, di mesi 18 d'inibizione e di € 5.000,00 di ammenda, addirittura in quella di mesi 19 di inibizione, dunque, aumentandola.

Quanto al capo A), il ricorrente, in sintesi, sostiene che la CFA, avendo escluso la responsabilità diretta del dott. Pastore per i mancati riversamenti alla FIGC degli importi dovuti dal C.R. per sanzioni irrogate dagli Organi della giustizia sportiva a tesserati e società affiliate e avendo affermato la sua responsabilità in termini di omessa adozione di misure preordinate ad evitare tali irregolarità, avrebbe operato un mutamento del capo d'incolpazione.

Quanto al capo B), ossia alla contestazione relativa alla omessa adozione di iniziative volteconsentire la restituzione da parte del Comitato di crediti esigibili di alcune società affiliate, il ricorrente sostiene che la Corte avrebbe errato, in quanto dalla lettura dell'incolpazione risulterebbe che manca una violazione della norma, perché il Pastore, con il suo operato, altro non avrebbe fatto che mantenere nelle casse della Federazione le somme spettanti alle società, in doverosa attesa della verifica dei reali importi dovuti.

Sostiene, pertanto, che in seguito il Pastore avrebbe restituito le somme, se non ci fossero stati problemi.

  1. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 bis CGS/FIGC (artt. 28 e 44 reg. LND e artt. 19, 37 e 39 NOIF) perché il fatto non sussiste, non lo ha commesso, non costituisce illecito disciplinare; violazione del principio del ne bis in idem (Deferimento N. 1950/811PF - Decisione CU n. 35/TFN). Con l’emarginato motivo, il ricorrente afferma che in tale giudizio la Corte avrebbe compiuto un vero e proprio “pasticcio giuridico”, essendo tornata a giudicare sul punto dell’omessa vigilanza sui tesseramenti, già deciso dal Tribunale Federale Nazionale - sezione disciplinare, con pronuncia di proscioglimento.

Il ricorrente osserva che la contestazione della Procura Federale, in questo caso, poneva due ordini di problemi: il tesseramento dei calciatori al momento dell'iscrizione al campionato e la partecipazione irregolare di calciatori in mancanza di tesseramento durante il campionato.

Viceversa il ricorrente è stato ritenuto dalla Corte responsabile per culpa in vigilando che, tuttavia, in questa fattispecie non era contestata e per la quale il Pastore era già stato, comunque, sanzionato, con conseguente violazione anche del ne bis in idem.

La Corte, che si sarebbe dovuta pronunciare proprio su questo punto, invece, con contraddittoria, insufficiente ed omessa motivazione sarebbe ritornata sull'intera vicenda.

Inoltre, la Corte nulla avrebbe detto sulla circostanza che all'Ufficio Tesseramenti era preposto un responsabile, il sig. Gargiulo, unico soggetto tenuto a conoscere la posizione di tesseramento dei calciatori e a riferirla e avrebbe addirittura ritenuto non provata la circostanza, documentalmente dimostrata, che dell’Ufficio Tesseramenti si occupava il sig. Vecchione.

Ad ogni modo, la Corte Federale sarebbe incorsa in un grosso errore, evidentemente perché ignorerebbe che, al momento dell'iscrizione al campionato, la LND FIGC ed i Comitati Regionali richiedono la sussistenza soltanto di alcuni requisiti, quali la disponibilità del campo ed il pagamento delle tasse, mentre, quanto al tesseramento, lo esigono solo per l'allenatore e non anche per i calciatori.

  1. Sotto il profilo sanzionatorio: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione e falsa applicazione dell'art. 1 bis, commi 1 e 6, CGS/FIGC, in riferimento agli artt. 19, comma 1 e comma 3, 37, comma 4, CGS/FIGC, all'art. 81 c.p. (continuazione) e all'art 59 e segg. c.p. (aggravanti).

Con tale motivo il ricorrente contesta la rideterminazione della sanzione, la cui motivazione sarebbe illogica e contraddittoria laddove si consideri che, a fronte dell'annullamento di 3 capi d'incolpazione su 6 e della dichiarata eccessività della sanzione per un altro capo, la sanzione è stata ridotta di soli 3 mesi.

In pratica, la riunione dei procedimenti e l'applicazione dell'istituto della continuazione avrebbero prodotto effetti contrastanti con il principio del favor rei.

La Corte Federale, da un lato, avrebbe errato i calcoli e, dall'altro, avrebbe applicato la reformatio in peius, illegittima sia per la mancanza di appello da parte della Procura Federale sia in ragione della ricostruzione dei fatti operata dalla stessa Corte.

Inoltre, pur essendo stata espressamente richiesta l'applicazione della continuazione per la determinazione della sanzione finale, essa sarebbe stata considerata solo attraverso l'annullamento di n. 3 capi d'incolpazione e la rideterminazione di altro, mentre sui restanti capi ciò non sarebbe avvenuto.

Infine, la Corte avrebbe errato nel disattendere la richiesta del ricorrente di applicazione dell'istituto della continuazione, fra questi tre procedimenti e le decisioni del Collegio di Garanzia dello Sport, già passate in giudicato, ossia la decisione di 6 mesi di inibizione (n. 49/2016) e la decisione di anni 1 di inibizione (n. 10/2017); pertanto, il ricorrente insiste nel richiedere l'applicazione della continuazione della decisione impugnata con i suddetti precedenti.

Sotto questo profilo la Corte avrebbe errato, atteso che la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 19593 del 23 gennaio 2015, ha, tra l'altro, riconosciuto l'applicazione della continuazione anche nella fase esecutiva.

  1. La FIGC si è difesa deducendo l’infondatezza delle avverse censure ed ha, comunque, eccepito l’inammissibilità dei motivi con i quali il ricorrente pretenderebbe di analizzare gli elementi fattuali sui quali la CFA ha fondato il proprio convincimento e di censurarne le valutazioni di merito.

 

Considerato in diritto

 

 

  1. Innanzitutto, data la complessità della vicenda sottoposta all’esame del Collegio, deve perimetrarsi l’ambito del giudizio precisando che, con la decisione impugnata, le responsabilità del ricorrente sono state ridimensionate rispetto ai tre atti di deferimento che hanno dato origine ai ricorsi riuniti in appello.

Invero, all’esito della impugnata decisione della CFA, residuano a carico del ricorrente soltantoseguenti capi di incolpazione:

  • deferimento 1, del 30 giugno 2016:
  • capo A), omessa adozione di iniziative finalizzate al riversamento alla FIGC degli importi dovuti a titolo di sanzioni disciplinari irrogate dagli organi della giustizia sportiva a carico di tesserati e società affiliate;
  • capo B), omessa adozione di iniziative finalizzate alla restituzione, in favore di cinque società affiliate, degli importi per crediti esigibili, dalle stesse vantati nei confronti del Comitato;
  • deferimento 2, del 18 agosto 2016:
  • omessa assunzione di iniziative volte a contrastare preventivamente il fenomeno dei giocatori non tesserati, consentendo di fatto alle società, che non disponevano del numero minimo di giocatori, di far scendere in campo calciatori non tesserati.

Per gli addebiti come innanzi circoscritti, la CFA ha rideterminato la sanzione, applicando il beneficio della continuazione, disponendo l’inibizione per complessivi mesi 21 (19 in relazione al deferimento sub 1, e 2 per la contestazione di cui al deferimento sub 2).

  1. Passando all’esame dei motivi di ricorso, preliminarmente il Collegio deve rammentare che, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 2, dello Statuto del Coni, il giudizio innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport è un giudizio di legittimità.

Pertanto, gli unici motivi ammissibili innanzi a questo Collegio sono quelli che denunciano violazione di norme di diritto ovvero omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa fra le parti.

Ne discende che sono inammissibili i motivi, come di seguito si dirà, con i quali il ricorrente ripropone tutte le argomentazioni già prospettate nei precedenti gradi di giudizio, utilizzando, come mero simulacro nominale, la formula “omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa fra le parti”.

7.   Con il primo motivo, il ricorrente sostiene il difetto di giurisdizione della Giustizia sportiva argomentando che l'intervenuta sua decadenza, a seguito di commissariamento, dalla carica di Presidente del Comitato Regionale, dichiarata con C.U. della LND n. 113 del 14 settembre 2015, farebbe venire meno la sua assoggettabilità alla giurisdizione domestica.

7.1.  La tesi è destituita di fondamento.

Invero, le condotte ascritte al ricorrente, in quanto compiute nell'ambito dell'attività istituzionale svolta dal Comitato, sono certamente sussumibili nell'ambito di applicazione dell'art. 1 bis CGS/FIGC, il quale fa obbligo alle società, ai dirigenti, agli atleti, ai tecnici, agli ufficiali di gara e a ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l'Ordinamento federale, di osservare le norme e gli atti federali e di comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva.

Peraltro, questo Collegio ha più volte osservato che le previsioni statutarie e regolamentari, a cui l'associato soggiace per effetto del tesseramento, possono operare anche per il tempo successivo alla cessazione del vincolo associativo, purché riguardino vicende attinenti a quel vincolo e con effetti limitati ad esso (cfr. decisione Sez. II, 18 ottobre 2016, n. 49; id. 23 febbraio 2015, n. 5).

E’ quanto accade nel caso di specie, in cui i fatti per cui è causa sono relativi al periodo in cui il dott. Pastore era tesserato in qualità di dirigente federale.

8.    Con il secondo motivo, il ricorrente sostiene l’estinzione dell'azione disciplinare e, sostanzialmente, la nullità della decisione di Appello, sia perché il dispositivo è stato pubblicato il 10 febbraio 2017, mentre le motivazioni sul CU n. 112/CFA sono del 17 marzo 2017, quindi in violazione del termine di 10 giorni di cui all’art. 34 CGS/FIGC, sia perché, dalla proposizione del reclamo alla data di pubblicazione delle motivazioni, sono decorsi oltre 60 giorni.

8.1.  Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento del Collegio, per i giudizi collegiali il momento in cui la decisione è “pronunciata” è quello in cui, all'esito della camera di consiglio, la decisione è stata adottata e sottoscritta (anche solo nel dispositivo) dal Presidente e dal Relatore del collegio giudicante. Costituisce poi un necessario adempimento, immediatamente successivo, quello del “deposito della decisione presso la segreteria che provvede poi alla sua tempestiva comunicazione" (cfr. C.G., Sez. Unite, 11 ottobre 2016, n. 46; id., 22 marzo 2016, n. 13).

Nel caso di specie, il dispositivo della decisione è stato pubblicato entro 60 giorni, come previsto dagli artt. 34 bis, comma 2, CGS/FIGC e 38 CGS/CONI.

D’altra parte, anche sulla pretesa perentorietà del termine di giorni 10 fissato per la pubblicazione della decisione in forma integrale, il Collegio si è già pronunciato nella decisione n. 49/2016.

  1. Con il terzo motivo, il ricorrente, dopo aver accennato critiche alla quantificazione della sanzione (oggetto dell’ultimo motivo), sostiene che la decisione della CFA sarebbe errata: quanto al capo

A) perché, a suo dire, la Corte, avendo escluso la responsabilità diretta del dott. Pastore per i mancati riversamenti alla FIGC degli importi dovuti dal C.R. a tesserati e società affiliate, e avendo affermato la sua responsabilità in termini di omessa adozione di misure preordinate ad evitare tali irregolarità, avrebbe operato un mutamento del capo d'incolpazione; quanto al capo B), ossia quello relativo alla omessa adozione di iniziative volte a consentire la restituzione, da parte del Comitato, di crediti esigibili di alcune società affiliate, la Corte non avrebbe considerato che il Pastore, con il suo operato, altro non avrebbe fatto che mantenere nelle casse della Federazione le somme spettanti alle Società, in doverosa attesa della verifica dei reali importi dovuti.

9.1.  Il motivo, così come formulato, come già accennato al precedente punto 6, è inammissibile. Invero,  con  tali  doglianze,  il  ricorrente  non  censura  affatto  l’assenza  o  l’insufficienza  della motivazione data dalla Corte Federale di Appello sui punti in esame, ma ne contesta i sottostanti accertamenti di merito.

Osserva il Collegio che la motivazione resa sul punto dalla Corte risulta più che convincente e adeguatamente esplicitata, di talché la decisione impugnata si presenta immune da vizi.

è consentito al Collegio, attesa la richiamata natura di mera legittimità del giudizio innanzi a questo Organo, riesaminare la vicenda nel merito.

9.2.  In ogni caso il motivo è anche infondato.

Invero, come schematizzato innanzi per facilitare la lettura, i capi di incolpazione di cui al deferimento 1 del 30 giugno 2016, residuati all’esito della decisione della CFA, sono: capo A), omessa adozione di iniziative finalizzate al riversamento alla FIGC degli importi dovuti a titolo di sanzioni disciplinari irrogate dagli organi della giustizia sportiva a carico di tesserati e società affiliate; capo B), omessa adozione di iniziative finalizzate alla restituzione, in favore di cinque società affiliate, degli importi per crediti esigibili, dalle stesse vantati nei confronti del Comitato.

In proposito la Corte, nell’impugnata decisione, ha testualmente affermato:

“Ritiene, pertanto, questa Corte, che la contestazione di cui al capo di incolpazione sub. a) sia fondata e bene abbia fatto il TFN ad affermarne la responsabilità del deferito. L'appellante ha violato l'art. 1 bis del vigente CGS ed i sottesi principi di lealtà, probità e correttezza, per aver omesso di assumere, nello svolgimento dello specifico incarico assunto, le doverose iniziative utili ai fini di una migliore gestione finanziaria o di un maggior controllo delle operazioni relative ai fondi movimentati (e non movimentati) dal Comitato regionale. Omesse iniziative ed insufficienti controlli che hanno, peraltro, reso, appunto, possibile, il mancato versamento alla FIGC delle somme di cui si è detto e/o, di fatto, agevolato la condotta violativa dei responsabili amministrativo-finanziari del Comitato. Ed in tal senso deve essere, quantomeno in parte, corretta/integrata la motivazione di cui alla impugnata decisione di prime cure.

Resta da chiarire che non si intende in alcun modo concludere per l'affermazione di una generale, quanto generica, responsabilità da posizione apicale, non codificata nel nostro ordinamento giuridico, così come non prevista da quello settoriale sportivo. questa Corte intende autorizzare una inammissibile inversione dell'onere della prova, chiedendo, di fatto, all'incolpato di dimostrare di aver fatto tutto quanto dallo stesso dovuto per evitare il fatto dannoso.

Secondo questa Corte, infatti, si versa in ipotesi di illecito omissivo, consistente nel mancato rispetto dei doveri imposti dall'art. 1 bis CGS/FIGC e, segnatamente, dell'obbligo di improntare il proprio comportamento ai principi di lealtà, probità e correttezza. Il rimprovero che si muove all'appellante, atteso il ruolo dallo stesso rivestito e le funzioni svolte, è quello di non aver compiuto quelle azioni possibili (di gestione e di controllo) allo stesso richieste e dallo stesso dovute. Quest'ultimo requisito, quello della doverosità del comportamento, differenzia, come noto, l'omissione dalla semplice inerzia improduttiva di effetti giuridicamente rilevanti.

L'appellante, in relazione al proprio ruolo, incarico e mandato, aveva, ovviamente per il periodo durante il quale ha assunto la qualifica di presidente, la possibilità concreta di agire, di operare un diverso, più penetrante, più intenso controllo sulla gestione complessiva dei fondi del Comitato, in generale, e sulla gestione amministrativo-finanziaria, in particolare”.

Dopodiché la Corte passa ad esaminare puntualmente i singoli fatti emersi nel corso del giudizio.

9.3.    Ciò posto, questo Collegio osserva che la decisione impugnata non è certamente stigmatizzabile per difetto di motivazione.

Al contrario, la motivazione esiste, è prodiga di analisi dei fatti e di considerazioni in diritto: il che la rende immune da vizi.

Il fatto, poi, che le conclusioni in fatto e in diritto cui sono giunte le SSUU della CFA non siano condivise dal ricorrente, da una parte e in generale, certamente non rende censurabile il decisum per difetto di motivazione; dall’altra, nello specifico, rende inammissibile il motivo di ricorso innanzi a questo Organo di giustizia, innanzi al quale, come già detto, si celebra un giudizio di mera legittimità.

  1. Per le stesse ragioni, che non si ripetono in ossequio alle doverose esigenze di sintesi che devono presiedere alla stesura di tutti gli atti giurisdizionali, è inammissibile il quarto motivo, con il quale il ricorrente afferma che in tale giudizio la Corte avrebbe compiuto un vero e proprio “pasticcio giuridico”, essendo, a suo dire, tornata a giudicare sul punto dell’omessa vigilanza sui tesseramenti, già deciso dal Tribunale Federale Nazionale - Sezione disciplinare, con pronuncia di proscioglimento.

Dal tenore del motivo, come innanzi tratteggiato, emerge invero, con tutta evidenza, come il ricorrente tenda a ripercorrere i fatti di causa, offrendone una lettura che, ovviamente, non coincide con quella data dalla Corte Federale di Appello.

Secondo la tesi prospettata in ricorso, la Corte Federale avrebbe ritenuto il ricorrente responsabile per culpa in vigilando, responsabilità che, tuttavia, in questa fattispecie non era contestata e per la quale egli era già stato, comunque, sanzionato.

Ciò avrebbe comportato anche la violazione del divieto del bis in idem.

A sostegno delle superiori affermazioni, il ricorrente richiama i fatti: la circostanza che all'Ufficio Tesseramenti era preposto un responsabile, il sig. Gargiulo, unico soggetto tenuto a conoscere la posizione di tesseramento dei calciatori e a riferirla; avrebbe addirittura ritenuto non provata la circostanza, documentalmente dimostrata, che dell’Ufficio Tesseramenti si occupava il sig. Vecchione; inoltre il dato che, al momento dell'iscrizione al campionato, la LND FIGC ed i Comitati Regionali richiedono la sussistenza soltanto di alcuni requisiti, quali la disponibilità del campo ed il pagamento delle tasse, mentre, quanto al tesseramento, lo esigono solo per l'allenatore e non anche per i calciatori.

Si tratta di argomentazioni con le quali, in sostanza, il ricorrente tende inammissibilmente a sostituire le proprie valutazioni a quelle date dalla CFA; a ciò si aggiunga, come fattore dirimente di chiusura, che si è in presenza di censure di merito, il cui esame è precluso a questo Collegio, in quanto Giudice di legittimità.

  1. Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente deduce l’erroneità della sentenza per manifesta

illogicità della motivazione in ordine all'entità della pena inflitta.

La CFA, a dire del ricorrente, a fronte dell'annullamento di 3 capi d'incolpazione su 6 e della dichiarata eccessività della sanzione per un altro capo, illogicamente avrebbe ridotto la sanzione di soli 3 mesi; anzi, disponendo, come richiesto, la riunione dei procedimenti e l'applicazione dell'istituto della continuazione, avrebbe di fatto operato una illegittima reformatio in peius.

Inoltre, la Corte avrebbe errato nel disattendere la richiesta del ricorrente di applicazione dell'istituto della continuazione fra questi tre procedimenti e le decisioni del Collegio di Garanzia dello Sport, già passate in giudicato, ossia la decisione di 6 mesi di inibizione (n. 49/2016) e la decisione di anni 1 di inibizione (n. 10/2017).

    1. 1.  Il motivo è innanzitutto inammissibile.

Invero, deve ribadirsi che innanzi a questo Collegio, ove si celebra un giudizio di mera legittimità, non sono scrutinabili motivi con cui si muovono censure di merito segnatamente alla congruità della sanzione comminata.

Dunque, alla stregua delle deduzioni formulate in ricorso, questo Collegio non rileva nel capo della decisione che ha rideterminato la sanzione - in 21 mesi di inibizione - alcuna violazione di norme di diritto, peraltro neanche dedotta, alcun vizio di motivazione né, tanto meno, la dedotta contraddittorietà o illogicità, non ravvisandosi comunque, nell’entità della sanzione inflitta al ricorrente, profili di palese incongruità o sproporzione.

    1. 2.  Il motivo è, comunque, anche infondato.

Come riferito dal ricorrente, la CFA ha annullato due dei quattro capi d'incolpazione (i capi c) e d) del deferimento del 30 giugno 2016), rideterminando l'originaria sanzione, di mesi 18 d'inibizione e di € 5.000,00 di ammenda, in quella di mesi 19 di inibizione.

Orbene, sul punto l’impugnata decisione argomenta come segue.

“Ai fini del trattamento sanzionatorio,  dunque, quanto alla decisione del Tribunale federale nazionale di cui al Com. Uff. n. 13/TFN del 14.9.2016, oltre al dichiarato proscioglimento del dott. Pastore dai capi di incolpazione di cui alle lett. c) e d), occorre tenere conto del fatto che non è possibile condividere l'aggravamento di pena determinato dal TFN in relazione ad un asserito (e non motivato) comportamento processuale "scarsamente collaborativo assunto dal deferito nel corso dell'intero procedimento”….Tutto ciò conduce ad una riduzione della sanzione. Ritiene, questa Corte che il proscioglimento dai due suddetti capi di incolpazione giustifichi una riduzione di mesi 6 complessivi della sanzione della inibizione. Una ulteriore riduzione di mesi due di inibizione deve essere, poi, riconosciuta in relazione al disconosciuto fondamento dell'aggravamento di pena sancito in prime cure per il ritenuto comportamento non collaborativo del deferito. Tuttavia, la sanzione così, per un verso, complessivamente rideterminata in mesi dieci di inibizione deve essere, per altro verso, aggravata in modo consistente e significativo per le seguenti ragioni: visto l'art. 37 CGS, rivalutate, in fatto e in diritto, le risultanze del procedimento di prima istanza, considerato il contesto complessivo della vicenda, tenuto conto della gravità dei fatti e delle violazioni contestate nei capi di incolpazione sub a) e b) del deferimento, qui, sub II e del loro correlato disvalore sul piano disciplinare-sportivo, tenute presenti le inevitabili ricadute della vicenda sia in termini di lesione di immagine per la FIGC, sia in termini di offesa alla credibilità del sistema sportivo nel suo complesso considerato, ritenuta la gravità delle condotte di cui trattasi, atteso il ruolo apicale rivestito dal dott. Pastore e la sua lunga esperienza e conoscenza, maturata all'interno del Comitato regionale Campania, ritiene, questa Corte, che la predetta sanzione "base" della inibizione di mesi dieci debba essere raddoppiata (mesi venti, quindi), con esclusione, tuttavia, della sanzione dell'ammenda. Tenuto, altresì, conto del minor grado di riprovevolezza o, meglio, del complessivo minor disvalore disciplinare-sportivo rinvenibile nella fattispecie della pluralità di condotte omissive legate dal requisito della continuazione, quali quelle, appunto, oggetto della fattispecie, ritiene, questa Corte, che la sanzione debba essere ridotta di mesi uno di inibizione, così, quindi, rideterminando in complessivi mesi diciannove, la sanzione della inibizione da infliggere al. dott. Pastore per il primo dei deferimenti di cui trattasi.

Quanto alla decisione del Tribunale federale nazionale di cui al Com. Uff. 35/TFN del 30.11.2016 (sanzione inibizione mesi tre + ammenda euro 1.500), relativo al deferimento della Procura federale di cui al provvedimento nota n. 1950/811 pfl 5-16 SP/blp del 18.8.2016, ritiene questa Corte, che la stessa, in applicazione dell'istituto della continuazione, possa essere ridotta a mesi due, con esclusione della sanzione dell'ammenda”.

Come è agevole rilevare dalla riportata motivazione, innanzitutto è incontrovertibile il dato per cui la sanzione dell’inibizione è stata complessivamente ridotta di tre mesi ed è stata totalmente annullata la sanzione, di importo non trascurabile, dell’ammenda; di talché è patentemente destituita di fondamento ogni censura di violazione del divieto di reformatio in pejus.

D’altra parte, la riportata motivazione è costruita su un incedere argomentativo serrato e strettamente consequenziale; il che esclude in radice che possa configurarsi il vizio di difetto di motivazione o di motivazione illogica o contraddittoria.

Ancora una volta, con le censure in commento, il ricorrente pretenderebbe, in ultima analisi, di rideterminare dala propria sanzione, sostituendo inammissibilmente proprie valutazioni a quelle date dalla CFA.

    1. 3.   Infine, quanto alla asserita erroneità nell’applicazione dell’istituto della continuazione, preliminarmente il Collegio ricorda la condivisibile impostazione, seguita da giurisprudenza consolidata, che pone i due rami dell’ordinamento (quello penale e quello sportivo) su piani del tutto autonomi e indipendenti fra loro (Cass. Pen., sez. III, 20 marzo 2013, n. 39071; id., sez. V, 11 marzo 2011, n. 21301).

Ne discende che deve ritenersi inconferente, nel presente giudizio,  la giurisprudenza della Cassazione, invocata dal ricorrente, secondo cui sarebbe possibile l'applicazione della continuazione anche nella fase esecutiva; ciò, peraltro, non solo per la richiamata autonomia dei due rami dell’ordinamento, ma anche per il dato, non meno rilevante, che il giudizio che si celebra innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport non è certamente un giudizio di esecuzione.

Tanto chiarito, il Collegio rileva che la Corte Federale ha comunque esplicitato compiutamente e in modo assai convincente la tecnica giuridica adoperata, nel caso di specie, per l’applicazione dell’istituto della continuazione e, viepiù, le ragioni di diritto per le quali non ha potuto prendere in considerazione, ai suddetti fini, i fatti accertati con sentenze passate in giudicato.

Afferma, infatti, la CFA: “Sotto tale profilo, deve precisarsi, con riferimento più generale all'applicazione dell'istituto della continuazione invocata dal reclamante, che questa Corte non conosce, può comunque valutare, seppur al solo limitato scopo di stabilire l'eventuale ricorrenza della continuazione, fatti e violazioni contestate in separati e diversi giudizi e, segnatamente, nel procedimento di cui al deferimento n. 8999/90 (delibera TFN n. 68 del 12/04/2016, confermata dalla CFA n. 12 del 28/07/2016, annullata con rinvio CGS n. 49 del 18/10/16 e, quindi, riconfermata dalla CFA n. 73 del 1/12/2016) e nel procedimento di cui al deferimento n. 9363/246 (delibera TFN n. 93 del 30/06/16, confermata dalla CFA Sez. Unite n, 48 del 14.10.16). Infatti, a prescindere dalla impossibilità, per così dire, tecnica, attesa la mancata conoscenza degli atti del diverso procedimento, vi osterebbe comunque l'autorità di giudicato acquisita, appunto, dalla predetta pronuncia. L'accertamento contenuto nella predetta decisione, infatti, una volta divenuto definitivo, non è più modificabile, dal giudice che lo ha emesso, dai giudici di grado superiore (c.d. inoppugnabilità) ed è incontestabile non solo sul piano sostanziale, ma, ad avviso di questa Corte, anche in ogni eventuale successivo processo, seppur in relazione ad effetti limitati (c.d. incontentabilità esterna del contenuto della decisione).

Del resto, è noto che il giudicato formale, che esprime la definitività del provvedimento, e quello sostanziale, volto a rappresentare la vincolatività del contenuto dello stesso, sono considerati momenti fondamentali, se non indefettibili, del nostro ordinamento giuridico, anche in relazione alla tutela dei diritti ed alla certezza dei rapporti giuridici ed alla stabilità degli accertamenti giudiziari. Diversamente ritenendo si recherebbe, peraltro, un evidente vulnus allo stesso sistema della giurisdizione dichiarativa, che si svolge a cognizione piena, nell'ambito di processi dotati di specifico rigore formale, che si chiudono, appunto, con una decisione idonea al giudicato formale ed a quello materiale”.

Conclusivamente, per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere respinto.

  1. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Collegio di Garanzia dello Sport Seconda Sezione

 

  

definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

 

Le spese seguono la soccombenza, liquidate, nella misura di € 1.500,00, oltre accessori di legge,

in favore della resistente FIGC.

 

DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 12 giugno 2017.

 

 

Il Presidente                                                                             La Relatrice

F.to Attilio Zimatore                                                                  F.to Laura Marzano

 

Depositato in Roma, in data 12 luglio 2017.

Il Segretario

F.to Alvio La Face

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