T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 10456/2017

Pubblicato il 18/10/2017

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2463 del 2011, proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Scuderi, Giovanni Mandolfo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Scuderi in Roma, via Antonio Stoppani, 1;

contro

Federazione Italiana Giuoco Calcio FIGC, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Medugno in Roma, via Panama, 58; Commissione degli Agenti di Calciatori; CONI - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G Pisanelli, 2;

per il risarcimento

dei danni subiti per effetto della illegittimità del provvedimento del 28 settembre 2007 della Commissione Agenti di Calciatori, col quale il ricorrente è stato dichiarato “non idoneo” alla prova di idoneità per avere diritto all’iscrizione all’Albo degli Agenti di calciatori.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Giuoco Calcio e del Coni - Comitato Olimpico Nazionale Italiano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2017 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe OMISSIS ha chiesto il risarcimento dei danni subiti per effetto della illegittimità del provvedimento del 28 settembre 2007 della Commissione Agenti di Calciatori, col quale è stato dichiarato “non idoneo” alla prova di idoneità per avere diritto all’iscrizione all’Albo degli Agenti di calciatori.

Il ricorrente ha esposto di avere partecipato, il 27 settembre 2007, alla prova d’idoneità per l’iscrizione all’Elenco degli Agenti di calciatori, bandita con Comunicato Ufficiale numero 2/F, pubblicato il 6 luglio 2007; all’esito della prova avrebbero conseguito l’idoneità i candidati con un punteggio minimo di 26,00 (pari al 66% delle risposte esatte); il ricorrente aveva conseguito un punteggio di 25,00, insufficiente per un solo punto al conseguimento dell’idoneità, a causa del fatto che la Commissione d’esame, in relazione ad uno dei quesiti, aveva ritenuto errata la risposta fornita dal ricorrente.

Il ricorrente aveva quindi proposto ricorso innanzi al Tribunale Amministrativo del Lazio, censurando gli atti della procedura; il ricorso, respinto in primo grado con la sentenza del 14 gennaio 2009 numero 147, era stato accolto in appello dal Consiglio di Stato che, con la sentenza del 9 novembre 2010 numero 7984, aveva dichiarato “..illegittima la decurtazione di punti 1..”, col conseguente “..incremento a 26 del punteggio finale con ogni effetto sull’esito positivo della prova idoneativa..”.

Il ricorrente, con atto del 18 gennaio 2011, aveva diffidato le amministrazioni resistenti a procedere alla sua immediata iscrizione nell’Albo degli Agenti di calciatori, rilevando peraltro che gli veniva pure preclusa la possibilità di partecipare alla sessione invernale del calcio-mercato, che si sarebbe chiusa il 31 gennaio 2011.

La FIGC, preso atto della sentenza del Consiglio di Stato, con nota del 27 gennaio 2011 aveva infine comunicato al ricorrente medesimo che risultava “idoneo alla prova di idoneità per Agenti di Calciatori tenutasi il 27 settembre 2007 ed ha acquisito il diritto al rilascio della licenza di Agente di calciatori autorizzato dalla FIGC..”.

Il ricorrente ha dunque lamentato il danno conseguente agli illegittimi provvedimenti adottati dall’amministrazione, in quanto, ove la Commissione avesse correttamente valutato il suo elaborato, gli avrebbe riconosciuto l’idoneità sin dal 28 settembre 2007, consentendogli pertanto di esercitare l’attività di Agente di calciatori sin dall’ottobre dell’anno 2007, in quanto l’esito della prova idoneativa in questione era stato reso noto il giorno successivo alla prova stessa del 27 settembre 2007, secondo quanto previsto dalla lettera “d” del bando, sicché gli idonei avrebbero potuto procedere all’immediata iscrizione all’albo, secondo quanto stabilito dalla lettera “e” del bando medesimo.

Al riguardo il ricorrente ha dedotto che l’illegittimo comportamento tenuto dall’amministrazione doveva ritenersi inquadrabile nel novero della responsabilità extracontrattuale, risultando violato il principio del neminem laedere, contenuto nell’articolo 2043 del codice civile, sussistendone tutti i presupposti, ovvero l’evento dannoso, la lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, ovvero il così detto "danno ingiusto", il nesso di causalità e l'elemento soggettivo e dunque l’imputabilità dell'evento dannoso alla colpa dell'amministrazione.

In particolare, sotto il profilo oggettivo, la Commissione d’esame aveva illegittimamente ritenuto errata una delle risposte dallo stesso fornite, come accertato dal Consiglio di Stato con la sentenza del 9 novembre 2010 numero 7984.

Tale condotta avrebbe spiegato una chiara efficienza causale, rispetto al danno subito dal ricorrente, in quanto il Regolamento FIFA, all’articolo 3, espressamente prevedeva che “..l’attività di agente di calciatori può essere effettuata solo da persone fisiche che abbiano ottenuto la licenza dalle Federazioni nazionali competenti..” e che “..solo gli agenti di calciatori hanno il diritto di rappresentare e promuovere gli interessi dei giocatori e/o delle società di calcio nei rapporti con altri giocatori e/o società di calcio..”.

Il mancato avvio dell’attività di agente di calciatori era derivato pertanto, in via immediata e diretta, dai provvedimenti dell’amministrazione, con quel nesso di causalità diretta fra evento e danno, richiesto dall’articolo 2043 del Codice Civile quale titolo giuridico della pretesa risarcitoria.

Sotto il profilo soggettivo, era ravvisabile la colpa della Pubblica Amministrazione, risultando violate le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.

Il danno andava determinato tenendo conto che la misura legale del compenso era fissata nel tre per cento dell’importo dei contratti stipulati, qualora al momento della stipula del mandato tra agente ed il calciatore non fosse stato previsto un diverso ammontare, calcolando poi, mediante tale base di calcolo la media del guadagno dell’agente tenendo conto del reddito complessivo degli agenti operanti sul territorio nazionale e del numero degli stessi.

In tal modo il danno subito risultava pari a 237.718 euro annui, ovvero 713.154 euro complessivi per i tre anni di mancato svolgimento dell’attività di agente.

Si sono costituiti la FIGC e il CONI resistendo al ricorso; il CONI ha eccepito preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva, ed entrambe le parti resistenti hanno controdedotto in ordine all’assenza dei presupposti per l’affermazione della responsabilità dell’amministrazione.

Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Va preliminarmente rilevato il difetto di legittimazione passiva del CONI, come eccepito dallo stesso ente, non venendo in rilievo nella presente controversia alcun atto allo stesso riconducibile.

Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano deve quindi essere estromesso dal giudizio.

Nel merito il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.

Il ricorrente ha richiesto in questa sede il risarcimento dei danni subiti in quanto, per effetto dell’erronea formulazione del quesito contenuto nella prova per ottenere l’idoneità quale agente di calciatori, non avrebbe potuto svolgere tale attività a seguito dell’esito della prova, essendo stato iscritto nel relativo albo tenuto dalla FIGC solo nel 2011, a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato che ha accertato l’illegittimità nella individuazione della risposta esatta alla domanda n. 18 contenuta nel questionario sottopostogli.

Il danno è stato quantificato, con riferimento al periodo intercorrente tra la comunicazione dell'originario giudizio di inidoneità (27 settembre 2007) e la rettifica dello stesso a seguito della sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2010, in euro 713.154,00.

Nel caso di specie non sono ravvisabili, tuttavia, i presupposti per l’affermazione di una responsabilità della Federazione, sia sotto il profilo del nesso di causalità, che della condotta colposa della FIGC.

Deve osservarsi, in primo luogo, che, come eccepito dalla Federazione, il Regolamento FIFA per Agenti di Calciatori (2001), nel proibire in via generale a calciatori e società di usufruire dei servizi di un agente non autorizzato, prevede espressamente l’inoperatività del divieto "se l'agente che agisce a nome del calciatore o della Società è legalmente autorizzato ad esercitare in qualità di legale, in conformità alle leggi in vigore nel suo paese di residenza" (cfr. art. 1, comma 3).

Tale deroga è stata recepita dai Regolamenti della FIGC, che stabiliscono che "ai calciatori ed alle società di calcio è vietato avvalersi dell'opera di una persona priva di licenza, salvo che si tratti di un avvocato iscritto nel relativo albo professionale, in conformità alla normativa statale e sportiva vigente".

Ne consegue che il ricorrente, avendo superato l’esame di abilitazione alla professione di avvocato, fin dalla data dell’iscrizione nel relativo albo, il 9 dicembre 2009, avrebbe comunque potuto esercitare l’attività di agente di calciatori, nel rispetto della disciplina sopra riportata.

Né rileva, come dedotto dal OMISSIS, che l’avvocato che svolge il ruolo di agente di calciatori dovrebbe limitare la sua attività all’ambito italiano, non potendo esercitare la sua professione all’estero, in quanto, in primo luogo, tale limitazione non risulta dal Regolamento Agenti della FIFA; inoltre, è evidente che l’occasione di rappresentare calciatori all’estero si può presentare solo dopo un apprezzabile periodo di svolgimento della carriera in Italia, e dopo aver acquisito una certa notorietà, non certo all’inizio della carriera e prima ancora di aver svolto l’incarico per numerosi sportivi sul territorio nazionale.

Al riguardo, il fatto, eccepito dalle controinteressate e non contestato dal ricorrente, che nel periodo di iscrizione come agente di calciatori egli abbia rappresentato solo due calciatori, in ambito strettamente locale, conferma tale conclusione e consente di escludere che la limitazione connessa all’iscrizione come avvocato possa avere in alcun modo influito sullo sviluppo di carriera del OMISSIS.

L’eventuale danno andrebbe quindi, in ogni caso, limitato al periodo ottobre 2007-dicembre 2009, epoca in cui comunque il ricorrente avrebbe potuto cominciare ad esercitare l’attività di agente in ambito sportivo.

Non solo, ma deve anche rilevarsi che il ricorrente, proposto il ricorso al Tar avverso il giudizio di inidoneità risultante dalle prove svolte, pur avendo inizialmente richiesto la tutela cautelare, alla camera di consiglio del 17 gennaio 2008 vi ha poi rinunciato, né ha avanzato, a seguito della pronuncia di rigetto del Tar, richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza innanzi al Consiglio di Stato.

Tali circostanze consentono già di per sé di escludere del tutto il collegamento causale tra il giudizio di inidoneità conseguente all’esito delle prove scritte e la mancata iscrizione all’albo, e la conseguente responsabilità per il danno derivante dall’asserita impossibilità di svolgere tale attività.

Ma per completezza deve rilevarsi che anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo risulta carente l’individuazione di una condotta colposa dell’Amministrazione.

Al riguardo deve sottolinearsi, in primo luogo, che il ricorso non apporta alcun argomento a sostegno della sussistenza di un profilo di colpa, limitandosi ad affermare apoditticamente la stessa sulla base della accertata illegittimità della formulazione del quesito e dell’indicazione della relativa risposta esatta, così postulando una sorta di culpa in re ipsa a fronte del provvedimento illegittimo.

Com’è noto, di contro, e ribadito dalla giurisprudenza anche di recente, l’illegittimità del provvedimento non implica ex se l’affermazione della colpa dell’Amministrazione procedente, dovendosi comunque accertare, al fine di affermare la responsabilità civile di quest’ultima, la sussistenza di ulteriori indici di rimproverabilità soggettiva della condotta contestata.

Infatti, al di fuori del peculiare settore degli appalti pubblici - dove la specialità del sistema di tutela (fortemente connotato dall'impronta derivante dalla normativa U.E.) giustifica un regime speciale di responsabilità di natura essenzialmente "oggettiva " - negli altri ambiti la responsabilità civile della Pubblica amministrazione continua ad essere di natura "soggettiva " e, quindi, fondata anche sull'elemento della colpa, in conformità con la regola che vale nei rapporti tra privati (art. 2043, c.c.); ma la colpa non si identifica nell'illegittimità del provvedimento, richiedendo un quid pluris, rappresentato dalla rimproverabilità soggettiva, in termini di inescusabilità, dell'errore che ha determinato il vizio di invalidità del provvedimento amministrativo, fonte materiale del danno (da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 19 giugno 2017 n. 2986; sez. IV, 30 gennaio 2017, n. 361; ).

Si deve, quindi, verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell'Amministrazione per danni conseguenti ad un atto illegittimo quando la violazione risulti commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato. Viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine presupposta conduce al riconoscimento dell'errore scusabile, come ad esempio nel caso della sussistenza di contrasti giudiziari, di incertezza del quadro normativo di riferimento o di particolare complessità della situazione di fatto (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 16/01/2017, n. 387).

Nel caso di specie, l’analisi della condotta asseritamente causativa del danno deve prendere le mosse dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato l’esito negativo della prova, ritenendo sussistente “la potenziale ambiguità delle soluzioni indicate alle lett. A) e C)” della domanda n. 18 della prova scritta.

In particolare, il quesito richiedeva: “E’ possibile per il calciatore Henrik tesserarsi e giocare con il Logos soltanto due mesi e poi rientrare nel club di provenienza Al Hiss?” e le risposte considerate ambigue erano la A): “Si”, giudicata esatta dalla FIGC, e la C): “no, perché la durata di due mesi non è valida”, quest’ultima ritenuta esatta dal ricorrente.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che, alla stregua dell’art. 10, comma secondo, del Regolamento FIFA 2005 sullo status e sui trasferimenti dei calciatori, l’istituto del prestito era equiparato al trasferimento, salva la durata minima da ragguagliarsi al lasso temporale intercorrente tra i due periodi annuali di tesseramento dei giocatori, secondo i regolamenti delle federazioni nazionali; pertanto, ha ritenuto che sussistesse non una vera e propria erroneità nell’individuazione della risposta esatta ma un’ambiguità tra le due risposte, in quanto per verificare l’effettiva attendibilità delle stesse sarebbe stata necessaria la conoscenza degli ordinamenti delle federazioni nazionali, non compresa nel programma di esame.

Tuttavia, tenuto conto della accertata correttezza della risposta indicata dalla Federazione come esatta, e della predisposizione dei quesiti da parte della FIFA, non si ravvisa a carico della federazione nazionale quella palese negligenza tale da ravvisare una condotta colposa nella conduzione della prova.

In conclusione, pur a fronte delle censure di legittimità riscontrate all’esito del giudizio impugnatorio, nella peculiarità della fattispecie concreta non si rinviene a carico dell'autorità procedente una palese violazione delle comuni regole di buona amministrazione, correttezza, imparzialità e buon andamento.

Infine, anche con riferimento al danno deve evidenziarsi che per ogni ipotesi di responsabilità della Pubblica amministrazione per i danni causati dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il cd. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; sicché, quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d'ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte dell’istante.

Anche sotto tale profilo non può non evidenziarsi che il ricorrente, pur avendo ipotizzato una quantificazione del danno sulla base della media dei guadagni degli agenti di calciatori, non ha in alcun modo documentato che, dopo l’agognata iscrizione nel gennaio 2011, ha prodotto il reddito ipotetico che ha quantificato come danno subito nel periodo pregresso, avendo ottenuto incarico da due giocatori dilettanti in relazione al quale non ha dato prova del compenso ottenuto e, anzi, ha ammesso di avere preferito poi intraprendere altre attività, sicché la verificazione del danno lamentato è stata prospettata in via del tutto ipotetica e indimostrata.

La domanda risarcitoria va, quindi, respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

dispone l’estromissione dal giudizio del CONI;

respinge il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione in favore della FIGC e del CONI delle spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 3.000 per ciascuna di dette parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Alessandro Tomassetti, Consigliere

Francesca Petrucciani, Consigliere, Estensore

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