T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 9946/2010
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale (…), proposto da:OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Maria Montaldo, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, v.le delle Milizie, 38;
contro
C.O.N.I. – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Angeletti, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via G. Pisanelli, 2;
per il riconoscimento della natura subordinata del rapporto intercorso tra la ricorrente e il coni dal 1982 al 1999 e alla percezione dei relativi emolumenti a carattere stipendiale e accessorio, con interessi e rivalutazione dalla data di spettanza, previo, ove occorra, annullamento dei provvedimenti ostativi del diritto rivendicato, ivi compresi, in parte qua, ove di ragione, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati tra il coni e la ricorrente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del C.O.N.I.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2010 il I ref. Rosa Perna;
Uditi l’avv. Montaldo per la ricorrente e l’avv. Angeletti per il C.O.N.I.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato al C.O.N.I. il 12-14 luglio 2000 e depositato il successivo 25 luglio, la signora OMISSIS chiedeva il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il suddetto Ente dal 1982 al 1999 e del diritto alla percezione dei relativi emolumenti a carattere stipendiale e accessorio, con interessi e rivalutazione dalla data di spettanza, previo, occorrendo, annullamento dei provvedimenti ostativi del diritto rivendicato, tra cui i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati con il CONI.
La ricorrente esponeva di aver svolto, fin dalla sua assunzione, un’attività lavorativa subordinata consistente, fino al 1992, in mansioni di 5^ livello, successivamente e fino al licenziamento, in mansioni di 6^ livello.
Con l’unico motivo di ricorso l’interessata deduceva la violazione degli artt. 36 e 97 della Costituzione e l’eccesso di potere, sostenendo che l’attività lavorativa svolta doveva essere definita di natura subordinata, in quanto la stessa aveva svolto le attività richieste dai superiori gerarchici, osservato un orario di lavoro prestabilito, effettuato le prestazioni determinate dai superiori gerarchici utilizzando strumenti e attrezzature dell’ufficio.
Si costituiva l’Ente intimato per resistere al ricorso, eccependone pregiudizialmente l’inammissibilità sia per la sua genericità, sia per l’inerzia dell’interessata, che sarebbe decaduta dall’azione non avendo tempestivamente impugnato gli atti con i quali il rapporto era stato instaurato né i compensi pattuiti; nel merito, la difesa del Coni chiedeva il rigetto del gravame siccome infondato in fatto e in diritto.
Con memoria del 1° marzo 2010, depositata in vista dell’udienza pubblica, la ricorrente rappresentava che, in ragione dell’incertezza sulla ripartizione della giurisdizione, analogo ricorso era stato proposto nel 2000 dall’interessata dinanzi al giudice del lavoro di Roma, per l’intero periodo di lavoro, e che la questione di giurisdizione era stata definita dalla Corte di Cassazione SS.UU. civili, con la sentenza n. 7398/07, dichiarando la giurisdizione del Giudice amministrativo per il periodo di lavoro fino al 30 giugno 1998, e del Giudice ordinario per il periodo successivo.
La controversia all’esame di questo Tribunale, pertanto, rimaneva circoscritta al solo periodo di lavoro anteriore alla detta data del 30 giugno 2008, sussistendo, per il periodo successivo, il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo.
Alla Pubblica Udienza dell’11 marzo 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Occorre preliminarmente delimitare l’oggetto del presente giudizio, circoscrivendolo al periodo del rapporto di lavoro controverso, anteriore al 30 giugno 1998, per il quale soltanto la sentenza n. 7398/07 della Corte di Cassazione S.S.U.U. ha affermato la giurisdizione di questo Tribunale, mentre per il periodo successivo a detta data, pure dedotto in lite con il ricorso in epigrafe, il Collegio deve dichiarare il proprio difetto di giurisdizione sulla controversia.
Nei limiti sopra delineati, si procede quindi all’esame del merito del ricorso, prescindendo dalle pur apprezzabili eccezioni di inammissibilità, spiegate dall’Ente intimato, stante l’evidente infondatezza del gravame.
L’odierna deducente sostiene che l’attività lavorativa svolta dovrebbe essere definita di natura subordinata, in quanto l’interessata avrebbe svolto le attività richieste dai superiori gerarchici, osservato un orario di lavoro prestabilito, effettuato le prestazioni determinate dai superiori gerarchici utilizzando gli strumenti e le attrezzature dell’ufficio; la OMISSIS chiede pertanto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e dei relativi emolumenti stipendiali.
Le doglianze sono prive di fondamento.
Osserva preliminarmente il Collegio che la subordinazione, intesa come assoggettamento concreto del lavoratore all'esercizio effettivo di poteri imprenditoriali, direttivi e disciplinari, deve essere provata da chi assume l'esistenza di un rapporto di lavoro dipendente, tenuto conto che altri elementi, quali la continuità delle prestazioni, l'obbligo di osservare un determinato orario, la predeterminazione della retribuzione, il difetto dell'organizzazione di impresa nel soggetto che offre la prestazione (elementi questi rinvenibili nel rapporto in contestazione) sono compatibili, tutti, sia con un rapporto di lavoro autonomo che con un rapporto di lavoro dipendente, per cui, non sono affatto decisivi ove manchi il nucleo centrale della subordinazione.
E, invero, l’elemento che distingue il rapporto di lavoro subordinato da quello di collaborazione continuativa e coordinata è costituito dalla subordinazione gerarchica del lavoratore al datore di lavoro (Cass., Sez. UU. Civ, 16 febbraio 1984, n.1155, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 21 febbraio 1996, n. 40).
Ne consegue che in mancanza del vincolo di subordinazione, possono sussistere tutti gli altri indici che caratterizzano il rapporto d’impiego, senza che lo stesso possa qualificarsi di lavoro subordinato.
In particolare, il semplice inserimento nell’organizzazione aziendale dell'attività lavorativa, non è sufficiente a dimostrare il vincolo di subordinazione, essendo il primo compatibile con la coordinazione, che è un elemento tipico del rapporto di lavoro parasubordinato (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 2 maggio 1994, n. 4204).
In pari modo, è compatibile con la coordinazione, la predisposizione di un orario di lavoro, anche a tempo pieno, essendo lo stesso connesso con le esigenze organizzative dell’Amministrazione e non incidente sulle modalità di svolgimento dell’attività coordinata e continuativa (Cass. Civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 3234 citata, Cons. di St., Sez. VI, 18 luglio 1997, n. 1136) e la corresponsione di una retribuzione pattuita con parametri predeterminati (Cass. Civ., Sez. Lavoro, Sez. n. 3234 citata).
Anche il periodo in cui il titolare di un rapporto di collaborazione continuativa e coordinata usufruisce delle ferie deve essere compatibile con le esigenze organizzative del datore di lavoro, mentre le modalità concernenti tale fruizione, non sono idonee a dimostrare la sussistenza di una dipendenza gerarchica.
L'Ente, inoltre, può imporre prescrizioni dirette ad armonizzare l'attività dei collaboratori con le proprie esigenze organizzative o a stabilire modalità procedurali strettamente connesse con le proprie esigenze e finalità e, comunque, con l'organizzazione dello stesso.
Tali prescrizioni e modalità sono dirette a salvaguardare interessi dell'Amministrazione committente e non incidono sulle caratteristiche della prestazione professionale.
Il rapporto di lavoro subordinato e, quindi, la dipendenza gerarchica, implicano, invece, un potere più penetrante che include anche quello disciplinare.
Applicando questo principio - più volte affermato dalla Corte di Cassazione (sent. 3 giugno 1985, n. 3309; 21 gennaio 1987, n. 548; 17 aprile 1990, n. 3170; 8 marzo 1995 n. 2690) e già fatto proprio dalla Sezione (Tar Lazio, sez. III ter, n. 1834/03 e n. 3877/08) - al caso di specie, il Collegio ritiene che il rapporto di lavoro controverso non manifesta gli indici propri del lavoro subordinato, come preteso dalla ricorrente, quanto piuttosto quelli di un rapporto di collaborazione continuativa.
E, invero, esaminando le lettere d’incarico professionale della OMISSIS, peraltro mai tempestivamente impugnate dalla medesima, non risulta alcuna volontà dell’Ente di dar vita a un rapporto di pubblico impiego con stabile inserimento dell’interessata nell’organizzazione del C.O.N.I., applicazione alla stessa delle norme del Regolamento Organico del Personale e assoggettamento della lavoratrice al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro estrinsecantesi nell’emanazione di ordini specifici.
Al contrario, dalle suddette lettere risulta che era la stessa ricorrente a richiedere, di volta in volta, di prestare attività di collaborazione, per la quale veniva consensualmente pattuito un compenso che era poi incontestabilmente percepito; a fronte di tali compensi, la ricorrente rilasciava all’Ente ricevute nelle quali dichiarava di ricevere somme a fronte di prestazioni per collaborazione autonoma ovvero coordinata e continuativa, con indicazione della ritenuta d’acconto e del contributo versato all’Inps ai sensi dell’art. 2,comma 26 della legge n. 335/95, istituti, questi, tipici del rapporto di lavoro autonomo.
Tali ricevute, pertanto, non confermano ma smentiscono l'assunto della ricorrente, perché dalle stesse si desume che la posizione lavorativa della medesima ricorrente è qualificata come rapporto di collaborazione autonoma o coordinata e continuativa.
A conclusioni non diverse si perviene attraverso la lettura dei verbali di audizione testi nel procedimento pendente innanzi al Tribunale di Roma per il medesimo rapporto di lavoro in contestazione, per il periodo successivo al 31 giugno 1998.
In essi non si rinviene infatti alcun riferimento, non solo all’esistenza di un rapporto di subordinazione gerarchica nei confronti della ricorrente, ma nemmeno ad un obbligo di presenza e permanenza della OMISSIS nei locali dell’Ente secondo un certo orario accompagnato da un sistema di rilevazione dell’orario osservato dalla collaboratrice.
Dalla documentazione depositata in giudizio dall’interessata si desume soltanto che la stessa ha prestato la propria opera per attività d’ufficio (segreteria, protocollo etc.), presso i locali dell’Ente, trattenendosi per un certo orario giornaliero e utilizzando, a tal fine, strumenti e apparecchiature dell’Ente.
Le suddette attività, tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto con il ricorso, ben possono rientrare nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, allorquando le modalità dell'incarico e la prestazione lavorativa abbiano, come nella specie, i connotati di tale rapporto e non si caratterizzano, invece, per una subordinazione gerarchica.
Il carattere di subordinazione, nel caso all’esame del Collegio, è stato meramente desunto dalle mansioni esecutive svolte dalla OMISSIS e dalla dedotta continuità del rapporto di lavoro, mentre non è stato dimostrato in alcun modo.
Né si può infine sostenere che la durata della collaborazione per un lungo periodo di tempo sia di per sé idonea a dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro, perché ciò che assume importanza è, invece, la sussistenza di un rapporto gerarchico.
Per le ragioni anzidette, l'assunto della ricorrente, secondo cui il rapporto di lavoro intercorso con il CONI sarebbe di tipo subordinato, non è fondato.
Dagli atti prodotti in giudizio dalla stessa ricorrente si desume, invece, che trattasi di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa che, in quanto tale, ha carattere di lavoro autonomo.
Alla stregua delle argomentazioni svolte, il ricorso è infondato e va respinto per il periodo ricadente entro il 30 giugno 1998, mentre per il periodo successivo va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge per quanto concerne il periodo anteriore al 1° luglio 1998 e dichiara il proprio difetto di giurisdizione per il periodo successivo.
Compensa, tra le parti, le spese e gli onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Maria Luisa De Leoni, Presidente FF
Donatella Scala, Consigliere
Rosa Perna, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/05/2010