CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 70 del 31/08/2021 – Michele Marconi/Federazione Italiana Giuoco Calcio/Procura Federale FIGC

Decisione n. 70

 

Anno 2021


IL COLLEGIO DI GARANZIA PRIMA SEZIONE

 

 

 

composta da 

Mario Sanino - Presidente

Giuseppe Andreotta - Relatore

Vito Branca

Guido Cecinelli

Angelo Maietta - Componenti

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 

 

 

nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 62/2021, presentato, in data 4 giugno 2021, dal sig. Michele Marconi, rappresentato e difeso dall’avv. Alessio Piscini,

 

 

contro

 

 

 

la Federazione  Italiana  Giuoco  Calcio  (FIGC), rappresentata e difesa dall’avv.  Giancarlo Viglione,

 

 

 

e

 

 

la Procura Federale della FIGC,

 

per l’annullamento

 

 

 

della decisione della CFA FIGC, di cui al C.U. n. 105/A dell'11 maggio 2021.

 

 

 

Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;

 

 

 

uditi, all’udienza del 4 agosto 2021, in collegamento da remoto, tramite la piattaforma Microsoft Teams, il difensore della parte ricorrente - sig. Michele Marconi - avv. Alessio Piscini; l'avv. Giancarlo Viglione, per la resistente FIGC, noncil Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Thomas Martone, per la Procura Generale dello Sport c/o il CONI, intervenuta ai sensi dell’art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;

 

 

udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, avv. Giuseppe Andreotta.

 

Premesso in fatto

 

 

 

1. Con ricorso presentato in data 4 giugno 2021, il sig. Michele Marconi ha adito il Collegio di Garanzia dello Sport al fine di ottenere l'annullamento della decisione della CFA FIGC, di cui al C.U. n. 105/A dell'11 maggio 2021, con la quale, in accoglimento del reclamo presentato dallProcura Federale FIGC contro la decisione del Tribunale Federale Nazionale, di cui al C.U. n. 117/TFN dell'8 marzo 2021, che aveva respinto il deferimento dell’organo requirente, è stata irrogata, in capo al suddetto ricorrente, la sanzione della squalifica per 10 giornate di gara, da scontarsi in gare ufficiali della FIGC, dal 6 maggio 2021 sino, quantomeno, al 15 settembre p.v. Narrava il ricorrente che la Procura Federale aveva deferito, con nota dell’8 febbraio 2021, il Marconi, calciatore del Pisa S.C. 1909, per violazione degli artt. 4, comma 1, e 28, commi 1 e 2, del CGS FIGC, e segnatamente «per avere, alla fine del primo tempo della gara Pisa S.C. 1909 Chievo Verona del 22 dicembre 2020, a seguito di unazione di gioco e di un diverbio verbale, utilizzato parole di contenuto discriminatorio e denigratorio per motivi di razza nei confronti del calciatore Obi Joel Chukwuma del Chievo Verona, proferendo le seguenti parole “la rivolta degli schiavi».

In particolare, durante la partita Pisa S.C. 1909 – Chievo Verona del 22 dicembre 2020, intorno al 40° minuto, dopo un rilancio del portiere del Pisa, la palla giungeva in prossimità della zona destra del centrocampo; in tale area di gioco si verificava un contrasto tra il calciatore Obi del Chievo Verona ed il calciatore Marconi del Pisa, intenti a contendersi in volo il possesso del pallone; subito dopo tale contrasto si verificava, sempre in prossimidel centrocampo, uno scambio di battute tra i giocatori nel corso del quale, secondo la prospettazione accusatoria, il calciatore sig. Marconi avrebbe proferito la predetta fraserazzista”.

Il collaboratore della Procura Federale, presente sul campo, nella propria relazione, sottolineava di essere stato «attratto da un gruppo di giocatori e dirigenti del Chievo che si erano alzati dalla panchina per segnalare al quarto uomo una "presunta" frase che il giocatore del Pisa Michele Marconi, pare a seguito di uno scontro di gioco, avrebbe indirizzato al giocatore e vice capitano del Chievo Obi Joel Chukwuma»; di essersi, quindi, recato, alla fine del primo tempo, «nello spogliatoio degli arbitri per chiedere loro se avessero sentito pronunciare la frase de qua, ma la risposta è stata negativa ed anzi, l'arbitro sig. Alberto Santoro ed il quarto uomo sig. Federico Dionisi, hanno aggiunto che se avessero sentito pronunciare una frase del genere sarebbero immediatamente intervenuti»; ma di non aver personalmente «sentito la frase incriminata» e di aver «parlato con il responsabile TV della Lega, che era rimasto in campo, che mi ha confermato che dalla registrazione non era possibile sentire niente».

2. A seguito della attiviistruttoria espletata nel corso del procedimento (audizione del sig. Joel Chukwuma Obi, tesserato del Chievo Verona; del calciatore sig. Luca Garritano, tesserato del Chievo Verona; del team manager del ChievVerona, sig. Marco Pacione; del segretario sportivo del Chievo Verona, sig. Edoardo Busala; del calciatore, sig. Michele Marconi, tesserato del Pisa SC 1909), il Tribunale Federale della FIGC, dopo aver ribadito la propria competenza a decidere sul deferimento, lo dichiarava infondato nel merito.

Secondo il Tribunale, dall’art. 28 CGS FICG (per cui «Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori») si evince che, oltre alla necessaria esistenza di una condotta materiale qualificata e tipica, sia, altresì, necessaria l’oggettivizzazione data da una percezione certa e diffusa dell’espressione discriminatoria.

Sotto tale aspetto, i giudici di prime cure sottolineavano come l’attividi indagine che aveva condotto al deferimento evidenziasse profili di evidente insufficienza probatoria.

Sottolineava il TFN come «nessuno degli ufficiali di gara ha percepito la frase contestata e nessuna percezione vi è stata da parte del collaboratore della Procura Federale.

Di contro, gli unici elementi oggetto di reale valutazione sono le dichiarazioni – di opposto tenore – rilasciate, in esito ad apposita audizione, da calciatori e dirigenti del Chievo Verona (in particolare, come si legge nellatto di deferimento, dei signori Obi Joel Chukwuma, Luca Garritano e Marco Piacione), da un lato, e dal deferito sig. Marconi, dallaltro.

Lesistenza di un contrasto di versioni, tale da ingenerare notevole incertezza sulleffettiva commissione,  o  meno,  dellillecito  oggetto  del  presente  giudizio,  ha  determinato  lavvio dellazione disciplinare, regolato dallart. 118 del Codice di giustizia sportiva, ove si prevede che “il Procuratore Federale esercita in via esclusiva lazione disciplinare nei confronti di tesserati, affiliati e degli altri soggetti legittimati quanto non sussistono i presupposti per larchiviazione. Questa permanente incertezza ha pure, con ogni evidenza, precluso che la Procura Federale disponesse  larchiviazione  ai  sensi  dellart.  122  del  Codice  di  giustizia  sportiva,  con  la conseguenza del disposto deferimento ai sensi del successivo art. 125».

Analizzando le singole dichiarazioni, il Tribunale rilevava che: 

i) La testimonianza del calciatore Obi, destinatario diretto della presunta frase razzista, esprimesse «elementi di confusione ed anche di contraddittorietà tra la rilevante gravità della frase e la poco spiegabile inerzia nel denunciare tale accadimento al direttore di gara presente in campo a pochi metri (avendo preferito, il calciatore Obi, rivolgersi al team manager della propria squadra), né potendo valutarsi scusante la circostanza che la frase in questione non sarebbe stata immediatamente percepita dallo stesso interessato, ma soltanto “dopo poco. Senza contare – sempre sul piano dellinsufficienza probatoria – che un altro calciatore del Chievo (sig. Michele Rigione), il quale avrebbe direttamente sentito la frase in questione, non risulta essere stato neppure audito dalla Procura».

ii) Le indicazioni provenienti dall’audizione dell’altro calciatore del Chievo Verona, sig. Garritano, fossero insufficienti: «sollecitato dagli inquirenti se, nel corso di una intervista, avesse fatto riferimento alla circostanza che larbitro avesse sentito la frase in questione, il calciatore ha risposto “non ricordo questo, soggiungendo, però, “nell'audio di Dazn io ho sentito chiaramente la seguente frase: pensa un pola rivolta degli schiavi: audio che, però, non risulta in alcun modo aver avallato tale assunto (anzi tale assunto risulta smentito in quanto nella propria relazione il dott. Fiorenza, collaboratore della Procura, ha attestato che “a fine gara con il collega Di Ponzio  del  controllo  prova  TV  non  sono  emersi  riscontri  probatori  tali  da  far segnalare l'evento ai fini di eventuali provvedimenti disciplinari"). Sempre il calciatore Garritano, interrogato circa la distanza alla quale si trovasse rispetto ai calciatori Obi e Marconi, non ha saputo rispondere, limitandosi a riferire “io la frase l'ho sentita in campo. Di certo il quarto uomo era quello più vicino ai giocatori: ma il quarto uomo, comè emerso dalla testimonianza del team manager del Chievo Verona, di cui meglio si dirà appresso, ha escluso di aver sentito alcunché».

iii) Non fossero in alcun modo decisive le dichiarazioni del team manager sig. Pacione, il quale, «sollecitato dagli inquirenti sulla certezza di poter confermare che la frase fosse stata rivolta al calciatore Obi direttamente dal calciatore Marconi, … non ha dato alcuna risposta chiara, essendosi limitato ad una affermazione generica ed evasiva, inidonea a sostanziare una conferma dellaccaduto (Io non conosco personalmente Marconi ma lo conosco professionalmente. È un giocatore di personalied è molto rappresentativo in campo. È uno che parla molto, si fa sentire e la sua voce è riconoscibile); piuttosto, il team manager ha confermato che nella zona in cui si è verificato il contrasto di gioco non ci fossero altri giocatori e, per il resto, ha riferito le condotte che egli avrebbe posto in essere nei tempi immediatamente successivi (ossia aver segnalato la circostanza presuntamente occorsa al quarto uomo ed essersi adoperato per evitare che il clima della gara degenerasse) e dichiarando, infine, di aver appreso dal quarto uomo che questultimo non avesse “sentito alcunché».

iv) Le dichiarazioni del sig. Edoardo Busala, segretario del Chievo Verona, fossero prive di rilevanza probatoria: «il quale ha riferito che “per la gara in questione io sedevo in tribuna. Alla fine del primo tempo sono sceso negli spogliatoi cercando l'addetto della Procura Federale. Ho visto uscire la persona in questione dallo spogliatoio del Pisa ed ho chiesto chiarimenti in merito all'episodio ed a tutto ciò accaduto successivamente: si tratta, cioè, di dichiarazioni che attengono agli eventi successivamente verificatisi, ma non certo ad una diretta percezione della frase contestata».

v) Nel corso della propria audizione, infine, il calciatore Marconi aveva dichiarato che: «Non ho assolutamente proferito detta frase e vorrei evidenziare che sono io che ho subito il fallo e sempre io a rivolgermi all'arbitro per ottenere una punizione a favore della mia squadra. In quell'occasione ho sentito un grande urlo in riferimento alla mia richiesta di fallo e parlando con l'arbitro e riferendomi ai giocatori del Chievo, ho invece proferito una frase che mi pare possa essere stata: "Cosa vogliano questi scarsi di merda, che cazzo parlano". Escludo assolutamente di poter anche solo aver pensato di dire una frase del genere anche perché il mio testimone di nozze è un ragazzo di colore e la moglie di lui è la segretaria di mia moglie. Il ragazzo di colore cui mi riferisco, fra l'altro è stato anche il padrino di mio figlio. Inoltre, frequento persone di colore; ad ulteriore domanda, lo stesso calciatore ha affermato di non essersi scusato non avendone avuto motivo».

Alla luce di ciò, il Giudice Federale rilevava come non fossero stati raggiunti sufficienti elementi probatori che rendessero non solo manifesto, ma neppure verosimile, il comportamento discriminatorio sostanziato dalla frase razzista attribuita al calciatore Marconi, evidenziando che l’intrinseca gravidi una frase razzista non avrebbe potuto giustificare di per sé la deroga al basilare regime probatorio che governa anche l’odierno procedimento disciplinare.

Così il TFN, respingendo il deferimento: «In totale difetto di prove oggettive e palesi, una diversa conclusione – da fondarsi a questo punto su elementi indiziari, ma che almeno debbano essere chiari, precisi e concordanti – avrebbe presupposto, come minimo, la linearità, coerenza ed esaustività delle dichiarazioni raccolte dalla Procura.

Ma la giurisprudenza ha chiaramente enucleato i principi che regolano la prova indiziaria, sottolineando “che il procedimento indiziario deve muovere da premesse certe, nel senso che devono corrispondere a circostanze fattuali non dubbie e, quindi, non consistere in mere ipotesi o congetture ovvero in giudizi di verosimiglianza (Sez. 4, n. 2967 del 25 gennaio 1993; Sez. 2, n. 43923 del 28 ottobre 2009)” (cfr. Corte di Cassazione, 17 giugno 2019, n. 26604). Nella specie, la soglia minima non è stata raggiunta.

Le testimonianze a carico del deferito, infatti, hanno semplicemente adombrato una condotta discriminatoria, senza però contribuire in alcun modo al suo concreto accertamento».

3. Senonché, decidendo sul gravame interposto dalla Procura Federale, la CFA, con la decisione quivi impugnata, lo accoglieva, irrogando la sanzione della squalifica per 10 (dieci) giornate effettive di gara al calciatore Michele Marconi.

A tale riforma della decisione di primo grado, la Corte Federale perveniva, avvalendosi dei poteri di indagine e di accertamento di cui all’art. 50, comma 3, CGS FIGC, demandando alla Procura Federale di compiere ulteriore attiviistruttoria, e segnatamente: i) l’acquisizione delle dichiarazioni dei calciatori sig. Michele Rigione, sig. Alessandro De Vitis e dei tecnici e giocatori che sedevano sulla panchina del Chievo Verona; ii) l’acquisizione del video, comprensivo di audio, dell’episodio in contestazione; iii) l’acquisizione, dalla Lega Nazionale Professionisti Serie B, dei referti degli arbitri della gara. Il tutto con onere di comunicazione alla controparte e di produzione in giudizio in tempo utile per l’udienza di merito.

All’esito di tale ulteriore attiviistruttoria, appunto demandata alla Procura Federale, tracciato il quadro normativo rilevante per la vicenda in esame e ribadito che lo standard probatorio nei giudizi disciplinari si assesta su un grado inferiore alla certezza, essendo sufficiente la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti tali da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito, la CFA si determinava nel senso della ascrivibilità della condotta contestata al sig. Michele Marconi.

La CFA respingeva, dunque, anche l’eccezione secondo cui l’acquisizione delle dichiarazioni testimoniali in assenza di contraddittorio avrebbe leso il diritto al giusto processo ed il diritto di difesa, e, muovendo dall’esame dei documenti ufficiali, redatti nell’immediatezza del fatto e da soggetti terzi (i.e. relazione del collaboratore della PF e referto dell’arbitro), e dunque, rilevando che risultasse acclarato il diverbio tra il sig. Marconi ed il sig. Obi, passava in rassegna le ulteriori dichiarazioni acquisite dalla Procura Federale.

Sulla scorta di queste, la CFA riteneva che, contrariamente a quanto affermato dal TFN, le dichiarazioni del calciatore Obi, oltre ad essere chiare ed inequivocabili, trovassero pieno riscontro nelle dichiarazioni testimoniali acquisite al procedimento. Invero, le dichiarazioni (p.

6.5 della decisione impugnata) dei sig.ri Marco Pacione, Michele Rigione, Guillaume Renè Saverio Enzo Gigliotti, Andrea D’Alessandro, Alfredo Aglietti, Michael Fabbro, Luca Palmiero, Emanuele Zuelli, erano, a detta della Corte, «assolutamente concordanti, in quanto tutti coloro che hanno udito il diverbio verbale tra i due giocatori hanno indistintamente sentito pronunciare la medesima identica frase “la rivolta degli schiavi". Le stesse appaiono inoltre intrinsecamente attendibili. Non sarebbero, infatti, comprensibili le ragioni per le quali i calciatori ed i tecnici si sarebbero dovuti inventare lepisodio, anche in considerazione della pacifica circostanza che nessuno aveva motivi di rancore con il sig. Marconi».

La attendibilità delle dichiarazioni emergeva, secondo la CFA, non solo dalla loro concordanza, ma anche da due elementi indiziari: i) le testimonianze – sempre “raccolte” dalla Procura Federale – di altri soggetti che non avevano sentito direttamente la frase incriminata (sig.ri Andrea Seculin, Massimo Bertagnoli, Cesar Vinicio Cervo De Luca, Antonio Agostini); ii) la circostanza che nessuna delle altre persone presenti ha sentito pronunciare la diversa frase che il Marconi assume di aver proferito, ovvero “scarsi di merda, o frase simile.

Da ultimo, la CFA non riteneva persuasiva la tesi del Marconi, secondo cui non sarebbe stata chiara la collocazione temporale dell’evento in esame da parte dei diversi testimoni, «in quanto le fisiologiche differenziazioni nella ricostruzione dei fatti, oltre a riguardare ad un arco temporale di pochi secondi, non avrebbero investito il nucleo centrale della testimonianza, in quanto tutti gli indicati testimoni hanno direttamente o indirettamente dichiarato di aver sentito la frase in esame. Invero, una perfetta coincidenza delle dichiarazioni sarebbe stata, viceversa, non poco sospetta, ben potendo essere interpretata come il sintomo di “un previo concerto” tra gli stessi».

Il quadro indiziario, secondo la Corte di Appello, si completava, poi, con l’esame del video della partita, da cui risultava che, nell’immediatezza del fatto, precisamente al minuto 41.59, il telecronista aveva interrotto la telecronaca per lasciare la parola all’operatore in campo, il quale testualmente dichiarava che si era verificata «una questione abbastanza delicata, la panchina del Chievo si lamenta nei confronti del Pisa perché Marconi avrebbe pronunciato una frase razzista nei confronti di Obi». Detta circostanza veniva anche confermata dal calciatore Garritano nell’intervista rilasciata a fine partita.

4. Con il predetto ricorso, il sig. Marconi ha adito il Collegio di Garanzia proponendo i seguenti motivi di gravame.

I.Violazione dellart. 118 e 122 CGS FIGC; art. 37, comma 6, CGS CONI e art. 346 c.p.c.; Omessa motivazione sulleccezione pregiudiziale”.

Il ricorrente lamenta come, nonostante la nota del collaboratore federale escludesse la presenza di eventi rilevanti ai fini disciplinari, la Procura avrebbe nondimeno valutato tale nota come notitia criminis, anziché come una sorta di archiviazione. L’iscrizione della notizia di illecito sulla base di tale nota sarebbe stata, dunque, violativa dell’art. 118 CGS FIGC; a ciò aggiungevasi che, a detta del Marconi, anche laddove si fosse considerata la successiva attivazione della Procura una riapertura delle indagini, questa sarebbe comunque avvenuta in assenza di nuovi fatti o circostanze rilevanti, in spregio a quanto previsto dall’art. 122, comma 4, dello stesso CGS.

Viene, dunque, contestata la decisione della CFA nella parte in cui, da una parte, afferma che tali eccezioni preliminari siano state vagliate dal TFN «seppur attraverso unenunciazione indiretta» e, dall’altra, asserisce la necessidi doversene fare oggetto di appello incidentale (penon proposto dal Marconi).

II. Violazione di legge e falsa applicazione art. 2; art. 9, comma 4, e art. 36, comma 2, CGS CONI; art. 63, comma 3, e art. 60, CGS FIGC; Violazione e falsa applicazione art. 50, comma 3, CGS FIGC; violazione dei principi del giusto processo e dei diritti di difesa dellincolpato; alterazione della corretta formazione della prova nel giudizio”.

Il ricorrente censura l’operato della CFA che disponeva lo svolgimento di ulteriore  attiviistruttoria, in tesi, senza concessione di alcun termine a difesa o diritto di partecipazione alla difesa dell’incolpato. Errata sarebbe stata, dunque, la ricostruzione della CFA, ove afferma che «La normativa endofederale riconosce, dunque, agli Organi di Giustizia Sportiva sia la totale discrezionalinel decidere se procedere o meno allacquisizione degli accertamenti richiesti dalle parti, sia i più ampi poteri di indagine e di accertamento in relazione al fatto, anche attraverso il diretto conferimento dellincarico alla Procura Federale per lo svolgimento di specifici accertamenti o supplementi di indagine. Nel processo sportivo, dunque, il giudice è autorizzato a intervenire dufficio nellistruzione probatoria, capovolgendo i principi processual- civilistici. Si tratta, quindi, di un metodo acquisitivo assai ampio, basato sullinterazione tra poteri del giudice sportivo e poteri della Procura Federale (in tal senso, CFA, SS.UU., n. 115- 2019/2020). Una diretta conseguenza di quanto appena detto è che, in tal modo, a differenza di quanto prevede lart. 2697 del Codice civile, lonere della prova non grava necessariamente su chi intende far valere in giudizio un proprio diritto. Il baricentro, in tal modo, pare spostarsi (soprattutto quanto alla deroga al vincolo juxta allegata partium) dal principio dispositivo - caratterizzante il modello accusatorio - a quello inquisitorio, in cui esiste libertà di indagine probatoria di chi deve decidere», con la conseguenza che: non solo i presupposti dell’ordinanza di supplemento di attiviistruttoria e le modalità con cui è stata effettuata sarebbero  in contrasto con i principi del giusto processo (oltre che con l’art. 345 c.p.c.), ma altresì non vi sarebbero dati da cui evincere che i Codici di Giustizia CONI e FIGC siano improntati su un modello inquisitorio.

Invero, a detta del ricorrente, le modalidi acquisizione delle ulteriori prove sarebbero in aperta violazione degli artt.: i) 62 CGS FIGC («procedimenti relativi alle infrazioni oggetto di denuncia o deferimento da parte della Procura federale, si svolgono sulla base degli elementi contenuti nel deferimento e nelle deduzioni difensive»), in quanto le testimonianze dei 13 giocatori del Chievo e l’acquisizione delle registrazioni sarebbero state esorbitanti dal perimetro probatorio risultante dal deferimento; ii) 60 CGS FIGC e 36, comma 2, CGS CONI, in quanto le testimonianze dei 13 giocatori del Chievo sarebbero state assunte fuori udienza senza il rispetto del principio di parità processuale delle parti; iii) 44 CGS FIGC («Il processo sportivo attua i principi del diritto di difesa, della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo»), in quanto l’acquisizione del materiale probatorio sarebbe avvenuta nell’ambito di un modello inquisitorio mai applicabile al processo sportivo; iv) 9, comma 4, CGS CONI («Il giudice può indicare alle parti ulteriori elementi di prova utili, laddove i mezzi istruttori acquisiti non appaiano sufficienti per la giusta decisione. Sentite le parti, può assumere ogni altra informazione che ritiene indispensabile»), in quanto l’acquisizione del materiale probatorio sarebbe avvenuta senza contraddittorio e senza concessione di un termine a difesa e senza previa indicazione alle parti degli elementi di prova ritenuti utili.

III.  “Omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: la collocazione temporale dei fatti e della presenza riferita dai testi di audio inesistente; insanabile contraddizione delle motivazioni; violazione art. 116 c.p.c. e violazione dei principi in materia di presunzioni”.

La CFA avrebbe totalmente omesso di pronunciarsi sulla collocazione temporale dei fatti senza, dunque, dare conto della notevole incertezza sulla commissione degli stessi come affermata dal TFN.

IV. Omessa motivazione in ordine allipotetica applicazione dellattenuante di cui allart. 13, comma 2 CGS FIGC; omessa applicazione di tale norma”.

 

4bis. Il ricorrente, ha concluso, chiedendo: «- in via principale, di annullare senza rinvio la decisione impugnata, per i motivi esposti in narrativa, con ogni ulteriore provvedimento di ragione e del caso e, comunque, per l'effetto, di revocare e/o annullare e/o dichiarare inefficace la sanzione disciplinare di dieci giornate di gara effettive irrogata all'esponente, ovvero, in estremo subordine, di ridurla in applicazione degli artt. 13, comma 2, e 15, comma 1, CGS FIGC; - in via subordinata, di annullare la decisione impugnata per i motivi esposti in narrativa, con ogni ulteriore provvedimento di ragione e del caso e, comunque, per l'effetto, di revocare e/o annullare e/o dichiarare inefficace la sanzione disciplinare di dieci giornate di gara effettive irrogata all'esponente e di rinviare gli atti alla Corte Federale d'Appello della FIGC affinché, in diversa composizione, svolga un nuovo esame del merito applicando il principio di diritto dichiarato dal Collegio».

5. Si è costituita in giudizio la FIGC concludendo per l’inammissibilidel ricorso, ovvero, in subordine, per la infondatezza nel merito dello stesso.

Il contraddittorio processuale si è ulteriormente articolato mediante lo scambio delle memorie ex art. 60, comma 4, CGS CONI.

 

La Procura Generale dello Sport, intervenuta in udienza, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ritenuto in diritto

  I.I.

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente censura, come detto, la violazione degli artt. 118 e 122 CGS FIGC, nonché dell’art. 37, comma 6, CGS CONI e dellart. 346 c.p.c., adducendo altresì una omessa motivazione sulleccezione pregiudiziale.

Il motivo è infondato.

È bene ricordare che l’art. 44 del Codice della Giustizia Sportiva prevede, al comma 3, che «Il Procuratore Federale prende notizia degli illeciti di propria iniziativa e riceve le notizie presentate o comunque pervenute. Lazione disciplinare è esercitata dufficio; il suo esercizio non può essere sospeso né interrotto, salvo che sia diversamente stabilito». Tale previsione (trasfusa nei codici di giustizia federali), nell’ottica dei procedimenti di giustizia sportiva di tipo disciplinare, comporta che le modalidi procacciamento della notitia criminis - intesa come qualunque rappresentazione non manifestamente inverosimile di uno specifico accadimento storico, attribuito o meno a soggetti determinati, dalla quale emerga la possibile violazione di una norma disciplinare - siano connotate da un principio di libera acquisizione, dufficio o mediante denuncia, della fonte dell’illecito; pertanto, non sussistono, nell’esercizio dell’azione, vincoli di forma, stante, comunque, la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine.

La sostanziale assenza di rigide prescrizioni in punto di qualificazione di un evento quale notizia di illecito disciplinare, nonché di rigide imposizioni nella fase di “scelta” sull’esercizio dellazione (salve ovviamente le cause di invalidità dell’atto di deferimento), rendono legittimo l’aver, come nel caso di specie, disposto il deferimento anche e in ragione dell’incertezza sui fatti nell’immediatezza dell’accaduto, considerato anche il grande allarme sociale derivante dalla violazione del divieto di comportamenti discriminatori ex art. 28 CGS FIGC.

Ma tale considerazione deriva da unaltra e più ampia notazione di carattere sistematico.

 

A mente del medesimo art. 44, comma 4, CGS CONI, il Procuratore Federale esercita l’azione disciplinare «quando non deve disporre larchiviazione». Ebbene, tra le cause di archiviazione la stessa norma annovera anche la non idoneidei fatti acquisiti per sostenere l’accusa in giudizio. Perciò si impone, da parte del Procuratore Federale, una valutazione prognostica sulla superfluità o meno del procedimento da celebrarsi dinnanzi al Tribunale Federale. Per definire siffatta “superfluità” possono essere riprese, anche in questa sede, talune conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 28 gennaio 1991, n. 88): il Procuratore Federale è tenuto a disporre l’archiviazione in situazioni di insufficienza o contraddittorietà della prova; in altri termini, quando si prevede che la prova non “reggerà” in giudizio.

Ebbene, nell’attuale sistema di giustizia sportiva, il controllo sulla legittimità dell’archiviazione o del deferimento - e dunque sull’operato della Procura Federale - è affidato, nel primo caso, alla Procura Generale dello Sport (art. 47, comma 4, CGS CONI «Il Procuratore federale, concluse le indagini, se ritiene di non provvedere al deferimento ai sensi dellart. 44, comunica entro dieci giorni il proprio intendimento di procedere allarchiviazione alla Procura Generale dello Sport.

Ferme le attribuzioni di questa, dispone quindi larchiviazione con determinazione succintamente motivata»); e nel secondo, evidentemente, al Tribunale Federale. Questultimo, infatti, come in effetti accaduto nel caso di specie, ben può rilevare la menzionata non idoneità degli elementi di indagine a sostenere l’accusa in giudizio, disponendo per l’effetto la reiezione del deferimento. Logica conseguenza di tali affermazioni è l’impossibilidi predicare una eventuale nullità del procedimento  disciplinare  per  violazione  o  falsa  applicazione  delle  citate  disposizioni,  con caducazione dei relativi effetti sanzionatori, nei casi in cui il Procuratore Federale non abbia adeguatamente giustificato il proprio convincimento sul deferimento/archiviazione, ciò in quanto, come detto, il controllo sul corretto svolgimento di tale fase decisoria dell’organo inquirente spetta, nel merito, ad altri organi di giustizia sportiva.

Né il potere/dovere di archiviazione può essere attribuito, come sembra sostenere il ricorrente, al collaboratore della Procura Federale cui era stata demandata la relazione di controllo di quanto percepito dal “vivo” per la sua presenza sul campo di gara.

Tale incedere, sempre con riferimento al primo motivo di ricorso, conduce altresì al rigetto dell’eccezione sull’omessa motivazione in ordine alla violazione degli artt. 118 e 122 CGS FIGC.

I.II

Fermo il rigetto del primo motivo di ricorso, vè da sottolineare, ad adiuvandum, che è errato quanto sostiene il ricorrente in ordine all’assenza di previsioni normative che contemplino l’obbligo di appello incidentale in aggiunta di giudizio disciplinare. Infatti, l’art. 37, comma 5, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI fa espressa menzione proprio all’«impugnazione incidentale» nei giudizi dinanzi alla Corte Federale di Appello. Tale obbligo di gravame è stato vagliato in più di unoccasione dalla giurisprudenza di questo Collegio: «Trova applicazione anche ai giudizi proposti davanti agli organi della giustizia sportiva il principio generale del processo civile per il quale le impugnazioni avverso una stessa decisione devono confluire in un unico giudizio. Ne deriva, quindi, lammissibilidi un reclamo proposto in via incidentale » (Collegio di Garanzia dello Sport, Quarta Sezione, decisione 14 maggio 2019, n. 35, nonché Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione 2 aprile 2019, n. 25).

 

 

II.

Diversamente, il secondo motivo di ricorso non può che trovare accoglimento, sussistendo nella specie una violazione delle norme che governano il potere dei Giudici federali nell’acquisizione della prova e, più in generale, le regole del giusto processo.

Benvero, infatti, il Codice della Giustizia Sportiva del CONI (la cui formulazione analoga è trasfusa nel CGS FIGC) prevede, da una parte, all’art. 9, comma 4, che «Il giudice può indicare alle  parti  ulteriori  elementi  di  prova  utili,  laddove  i  mezzi  istruttori  acquisiti  non  appaiano sufficienti per la giusta decisione. Sentite le parti, può assumere ogni altra informazione che ritiene indispensabile»; e, dall’altra, all’art. 36, comma 1: «Laddove ritenuto necessario ai fini del decidere, il collegio può disporre, anche dufficio, lassunzione di qualsiasi mezzo di prova», ma ciò non esonera dal rispetto delle forme vincolanti per la legittima acquisizione di dette prove.  Più esplicitamente, i giudici federali hanno il potere di indicare alle parti ulteriori elementi di prova utili, nonché di, una volta sentite le parti, assumere ogni altra informazione che ritengono indispensabile, sempre nell’ottica di pervenire, giova rimarcarlo, alla «giusta decisione», e ciò anche a mente della giurisprudenza della Corte costituzionale (Sentenza 26 marzo 1993, n. 111), secondo cui le disposizioni che consentono un allargamento del materiale probatorio da parte del giudice, derogando a quelle che si fondano, invece, sul principio iuxta alligata et probata, non si devono considerare lesive del diritto di difesa, ma anzi espressive della volondi  assicurare  pienezza  e  leal del  contraddittorio,  volontà,  questa,  presente  nel  processo sportivo, visto il costante interesse al pieno accertamento dei fatti e alla più volte citata giusta decisione.

In tal guisa, il Collegio di Garanzia (decisioni nn. 15/2017, 83/2017 e 56/2018) ha già affermato come anche nel processo sportivo possono essere ammesse nuove prove, compresi i documenti, laddove utili a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicidel percorso motivazionale seguito e sulla esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata (cfr. Cass. civ., sez. I, 20 aprile 2016, n. 7971). Infatti, vale la pena ricordare che, a mente dell’art. 2 del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, i principi che ispirano il processo sportivo sono principi tesi alla piena tutela degli interessati secondo regole di informalità, pur facendo riferimento alle regole del processo civile, in quanto compatibili; ma questultima locuzione non può far perdere di vista che nell’ordinamento sportivo il fine principale da perseguire, al di dell’aspetto giustiziale pur fondamentale, è quello di affermare sempre e con forza i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo e, quindi, è compito degli Organi di giustizia considerare meno stringenti le regole formali rispetto ad aspetti sostanziali, che siano utili all’accertamento dei menzionati valori.

Ma, siffatta informalità, non «deve, però, essere confusa con mancanza di rigore» (Collegio di Garanzia, Sezioni Unite, decisione n. 89/2019).

Ed invero, l’ordinamento processuale sportivo, tanto in considerazione delle specifiche disposizioni contenute nei codici e regolamenti federali, e tanto con l’esplicito rinvio alle norme generali del processo civile operato con il comma 6 dell’art. 2 del CGS CONI, può dirsi pacificamente fondato sui principi del contraddittorio e della disponibilità delle prove.

Quanto all’obbligo del contraddittorio, elevato a rango costituzionale con la legge n. 2 del 23 novembre 1999, affinché lo stesso possa dirsi rispettato, è necessario sia che la parte venga messa a conoscenza dell’esistenza del processo e, per quanto di interesse nel caso che ci occupa, venga messa in condizione di avvalersi degli strumenti che lordinamento giuridico mette a disposizione per la difesa. Così discorrendo, «si ha violazione del principio del contraddittorioquando il giudice, valendosi dei poteri discrezionali previsti dal codice di rito, abbia ammesso una prova di fronte alla quale una delle parti sia stata priva di ogni possibilidi concreta difesa istruttoria…» (Cass. Civ., sez. I, 31 gennaio 2007, n. 2201).

Ne consegue che, siano esse disposte dufficio dal giudice, che proposte dalle parti, le prove devono essere acquisite al processo nel rispetto del contraddittorio. Si concreta, perciò, una violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. quando il giudice di merito pone a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte dufficio al di fuori dei limiti legali (per tutte, Cass. Civ., Sez. lav., 3 novembre 2020, n. 24395; Sez. IV, 17 gennaio 2019, n. 1229), mentre, si ripete, si ha violazione del generale principio del contraddittorio quando alla parte non viene concessa la possibilidi concreta difesa istruttoria (in questi termini, Collegio di Garanzia, Sez. I, decisione n. 27/2021).

Ebbene, nella prospettiva del ricorso per cui è causa, l’utilizzo dei poteri officiosi in tema di istruzione probatoria, da parte dei giudici federali ex art. 9 e 36 CGS CONI, non può spingersi, come accaduto nel caso di specie, fino a demandare alla Procura Federale l’acquisizione di testimonianze senza che la controparte interessata venisse messa nelle condizioni di esaminare in contraddittorio i testimoni indicati dagli stessi giudici federali.

Invero, l’art. 60, comma 6, CGS FIGS dispone che «Lo svolgimento della testimonianza è regolato dall'organo giudicante. Le domande sono rivolte ai testimoni solo dall'organo giudicante; le parti potranno rivolgere all'organo giudicante istanze di chiarimenti, nei limiti di quanto strettamente necessario allaccertamento del fatto controverso. L'organo giudicante, alla fine della testimonianza, chiede alle parti se vi siano ulteriori domande proponendole, ove lo ritenga utile ai fini del decidere, al testimone».

Orbene, nel caso di specie risulta evidente che la CFA ha fondato la propria decisione sulle dichiarazioni testimoniali raccolte dalla Procura Federale senza che all’assunzione di tali prove partecipasse il Marconi, che, a maggior ragione considerando il diverso rilievo attribuito dal Giudice di prime cure alle dichiarazioni testimoniali già acquisite, doveva essere messo in condizione di esercitare i diritti disciplinati dal testé citato comma 6 dell’art. 60 CGS FIGC.

A tal proposito, va anche detto che non sfugge certo a questo Collegio il fatto che la stessa CFA si  è  dimostrata  ben  consapevole  della  inutilizzabili di  dette  dichiarazioni  come  prove testimoniali, tanto da ricondurre la motivazione del proprio convincimento ad un quadro presuntivo di insieme.

Ciò, tuttavia, non risolve la questione della illegittima acquisizione delle dichiarazioni testimoniali, giacché, anche nella prospettivdi una utilizzazione  alla stregua di presunzioni, le stesse scontano il vizio della non equiparabilità a fatti certi da cui desumere quelli incerti (le presunzioni), atteso che le risultanze di dette prove non potevano essere ritenute certe a causa del mancato rispetto dell’obbligo di contraddittorio.

Si coglie, pertanto, un chiaro travisamento – in cui è incorso il Giudice Federale di secondo grado – tra la piena legittimità della acquisizione dufficio delle prove e il regime legale cui nondimeno la formazione di dette prove doveva uniformarsi.

In altre parole, il fatto che la CFA potesse disporre di ufficio le prove, eventualmente delegandone l’acquisizione anche alla Procura Federale, non esimeva certo dal doversi rispettare le regole del contraddittorio in sede di assunzione di dette “prove” delegate.

Né tale vizio può dirsi superato – come si sostiene nella decisione oggetto del presente gravame– per il fatto che siano state accolte, sempre in secondo grado, le istanze istruttorie proposte dall’odierno ricorrente, atteso che queste venivano assunte in un contesto processuale del tutto distinto da quello nel quale, fuori udienza, venivano raccolte le dichiarazioni testimoniali demandate all’attividi indagine della Procura Federale.

Di più, rileva il fatto che la Procura Federale trasmetteva la documentazione e gli scritti contenenti le testimonianze il 16 aprile 2021, nella forma di atti di indagine sottoposti a segreto istruttorio, e l’udienza di discussione si celebrava il 5 maggio 2021.

Nessuna possibilità, dunque, veniva data all’odierno ricorrente di produrre ulteriori deduzioni difensive ai sensi dell’art. 62, comma 4, CGS.

Ne consegue che la violazione degli artt. 9, comma 4, 36, comma 2, CGS CONI, 50, comma 3, CGS FIGC, 63, comma 3, e 60 CGS FIGC è, nel caso di specie, idonea ad inficiare la legittimità della decisione adottata, anche liddove si volesse condividere la tesi, diffusamente tratta nella decisione della CFA, secondo cui, ai fini di pervenire ad un giudizio di colpevolezza, non si richiede doversi accertare, in modo assoluto, la commissione dell’illecito, né che si possa escludere ogni ragionevole dubbio, atteso che, nel caso che ci occupa, il rilevante error in procedendo di cui si è detto – non riguarda la formazione del convincimento del giudice, bensì la legittima acquisizione delle prove sulle quali detto convincimento si è formato.

In tal guisa, va anche rigettata l’eccezione di inammissibilità proposta dalla FIGC, in quanto la censura accolta attiene a violazione di legge, che prescinde del tutto da una rivalutazione nel merito dei fatti su cui si è fondata la decisione impugnata.

 

III.

Logico precipitato di tali considerazioni, assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso – e ferma la gravità delle prospettazioni accusatorie – è l’annullamento con rinvio della decisione della Corte Federale di Appello impugnata, affinché la stessa Corte, in diversa composizione, provveda, nell’esercizio dei poteri dei poteri di indagine e di accertamento ad essa demandati dall’art. 50, comma 3, del CGS FIGC, all’escussione dei testimoni in coerenza con lart. 60, comma 6, dello stesso Codice, a mente del quale «Lo svolgimento della testimonianza è regolato dall'organo giudicante. Le domande sono rivolte ai testimoni solo dall'organo giudicante; le parti potranno rivolgere all'organo giudicante istanze di chiarimenti, nei limiti di quanto strettamente necessario allaccertamento del fatto controverso. L'organo giudicante, alla fine della testimonianza, chiede alle parti se vi siano ulteriori domande proponendole, ove lo ritenga utile ai fini del decidere, al testimone».

 

 

IV.

Tanto deciso, non può non rimarcarsi con forza la necessità, per la giustizia sportiva nel suo complesso considerata, di contrastare  e punire  tutti i comportamenti discriminatori, di ogni genere e tipologia, volti a negare il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica. La condotta discriminatoria, del resto, si sostanzia in ogni forma di discriminazione dei diritti fondamentali della persona, che non pnon provocare una dura reazione non solo da parte dell'ordinamento giuridico generale, ma anche da parte di quello sportivo, anche alla luce degli inequivoci principi posti dalla Costituzione in materia: «nel caso dellordinamento sportivo gli obblighi di lealtà, correttezza, non violenza, non discriminazione, appaiono interpretare lessenza stessa dellordinamento al punto che la loro violazione si traduce nella negazione stessa dellattività sportiva» (Collegio di Garanzia, Sezione Consultiva, parere n. 8/2016), il che impone il massimo rigore nel sanzionare le condotte che comportino offesa, denigrazione o insulto, per motivi di razza, colore, ecc., purché ciò consegua ad un giusto processo.

 

 

V.

Circa il governo delle spese, stante l’annullamento con conseguente rinvio, si ritiene che queste vadano liquidate in sede di decisione di merito dal medesimo Giudice del rinvio.

PQM

Il Collegio di Garanzia dello Sport

Prima Sezione

 

 

Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla con rinvio la decisione della Corte Federale d'Appello della FIGC, dell’11 maggio 2021 (C.U. n. 105/A), affinché la stessa, in diversa composizione, decida in conformiai principi di diritto enunciati in parte motiva.

Spese al definitivo.

 

Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.

 

Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 4 agosto 2021.

 

 

Il Presidente                                                                  Il Relatore

F.to Mario Sanino                                                         F.to Giuseppe Andreotta

 

 

Depositato in Roma, in data 31 agosto 2021.

Il Segretario

F.to Alvio La Face

 

 

 

 

 

 



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