CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 4 del 05/08/2021 – Su Richiesta CONI

Parere n. 4
Anno 2021
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
Composta da
Virginia Zambrano - Presidente
Amalia Falcone - Relatore
Barbara Agostinis
Giuseppe Albenzio
Pierpaolo Bagnasco
Giovanni Bruno - Componenti
Ha pronunciato il seguente
PARERE N. 4/2021
Su richiesta di parere iscritta al R.G. pareri n. 5/2020, presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, prot. n. CE231020154031232PU del 23 ottobre 2020.
La Sezione
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
vista la richiesta di parere n. 5/2020, presentata dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, in data 23 ottobre 2020 (prot. n. CE231020154031232PU), ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;
visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione Consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI;
visti gli articoli 2 e 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport;
visto, in particolare, l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo;
esaminati gli atti e udito il relatore, avv. Amalia Falcone, ha rilasciato il seguente parere:
Fatto
il Segretario Generale del CONI, ha richiesto che la Sezione Consultiva del Collegio di Garanzia dello Sport fornisca parere motivato riguardo ai seguenti quesiti:
a) quale sia l’interpretazione che debba essere data al comma 7 del principio 7.4 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate1 laddove dispone che siano ineleggibili alle cariche federali quanti abbiano in essere controversie giudiziarie con il CONI, le Federazioni, le Discipline Sportive Associate o con altri organismi riconosciuti dal CONI e se tale ineleggibilità debba essere considerata applicabile anche alla ipotesi in cui il soggetto candidato ad organo direttivo centrale o territoriale di una Federazione Sportiva Nazionale o di una Disciplina Sportiva Associata abbia in essere
controversie giudiziarie con altra Federazione o Disciplina Sportiva Associata diversa rispetto a quella per il cui organo direttivo il predetto soggetto presenta la propria candidatura.
b) Se la incandidabilità connessa a qualsiasi violazione delle norme sportive antidoping e del Codice Mondiale Antidoping WADA, di cui all’art. 5, comma 4, dello Statuto del CONI, recepito integralmente da tutti gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, possa confliggere con il principio di democrazia interna, di cui al secondo principio ed all’art. 16.1 del decreto legislativo del 23 luglio 1999, n. 2422 e con quanto previsto dagli artt. 2 e 24 e 51 della Costituzione, e quindi sia necessaria da parte del legislatore sportivo una modifica di carattere normativo, in considerazione anche del fatto che:
- per condanne penali gravi, viene effettuata, dal medesimo art. 5 dello Statuto del CONI, al comma 3, specifica distinzione in base alla fattispecie di reato, nonché all’entità della sanzione inflitta;
- il legislatore nazionale ha previsto l’istituto della riabilitazione (artt. 178 e ss. c.p. e art. 683 c.p.p.) da concedersi entro un determinato lasso di tempo dal giorno di esecuzione della pena o dalla sua estinzione.
Diritto
Tanto premesso, la Sezione risponde nei termini che seguono ai quesiti posti:
Quanto al primo quesito, occorre in primo luogo rilevare che i principi della Carta Olimpica delineano un sistema informato ai principi di eguaglianza, non discriminazione, democraticità, e partecipazione.
Tale sistema è stato recepito nell’ordinamento sportivo italiano anche attraverso la formulazione, da parte del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionale e delle Discipline Sportive Associate, tra cui figura il principio di legalità, di cui all’art. 16.1 del decreto legislativo del 23 luglio 1999, n. 242, che prevede che “Le Federazioni sportive nazionali e le Discipline Sportive Associate sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna”. In tale contesto, occorre esaminare la disposizione di cui al comma 7 del principio 7.4, in riferimento alle garanzie costituzionali di cui agli artt. 2, 24 e 51 della Costituzione, richiamate nella richiesta di parere formulata.
La Costituzione, infatti, prevede: - all’art. 2, il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
- all’art. 24, che tutti possano agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e che la difesa sia diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento; - all’art. 51, che tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possano accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza3. Prima di entrare nel merito del parere richiesto, i componenti della sezione esprimono valutazione unanime circa la necessità che vengano rispettate, in via principale e generale, le disposizioni statutarie ed ordinamentali in ordine al possesso dei requisiti sostanziali della onorabilità e della professionalità per rivestire cariche federali4. È evidente, però, che tali principi, prevalenti nel sistema sportivo, devono trovare una giusta integrazione con l’ordinamento statale e con i principi fondamentali della Carta Costituzionale che ne rimodulano i termini e gli ambiti di applicazione. Se, da un lato, quindi, il rispetto dei principi di lealtà, correttezza e probità, impone al legislatore sportivo di prevedere, nel caso sussistano ragioni di convenienza o in presenza di conflitto di interessi, l’ineleggibilità del soggetto candidato alle cariche federali o di una Disciplina Sportiva Associata in caso di controversie pendenti tra lo stesso e la Federazione Sportiva Nazionale o la Disciplina Sportiva Associata per il cui organo presenta la propria candidatura o nel caso in cui il contenzioso riguardi il predetto soggetto ed il CONI 5; dall’altro, l’estensione di detta ineleggibilità anche ad eventuali contenziosi pendenti tra il predetto soggetto e Federazioni Sportive Nazionali, Discipline Sportive Associate ed Organismi riconosciuti dal CONI, diversi rispetto a quello per cui presenta la propria candidatura, appare essere una previsione in contrasto con il principio di democrazia interna posto alla base dell’Ordinamento Sportivo nazionale, nonché con quanto previsto dalla Carta Costituzionale in merito al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, nonché al diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, l’accesso dei cittadini alle cariche elettive.
Ma v’è di più. La previsione di cui al principio oggetto del primo quesito deve essere valutata - seguendo un’impostazione sistematica - anche in relazione agli effetti di quanto disposto dall’Ordinamento Sportivo, sempre nei medesimi principi, riguardo alla sanzione più grave per un tesserato o affiliato ad una FSN o ad una DSA, vale a dire la radiazione.
In base a quanto previsto dal comma 8 del principio 7.46, il sistema ad oggi vigente permette, infatti, che il soggetto radiato possa comunque continuare a praticare attività sportiva (e quindi essere tesserato) presso Enti sportivi diversi da quello in cui è stato sanzionato. Scopo della previsione è quello di tutelare i diritti fondamentali delle persone (art. 2 Cost.) nel contesto delle formazioni sociali in cui si dispiega la loro personalità, nonché il diritto alla salute cui va univocamente collegato il diritto alla pratica sportiva. La conclusione non muta nel caso sottoposto al parere di codesto Collegio, poiché anche qui - come nel caso del libero svolgimento dell’attività sportiva - sono coinvolti beni costituzionalmente rilevanti come, appunto, la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
In virtù di quanto sopra esposto, nonché dell’evoluzione dell’Ordinamento Sportivo e dei rapporti che possono stabilirsi tra soggetti all’interno e all’esterno del predetto ordinamento, si deve necessariamente porre l’attenzione sul fatto che una ineleggibilità ampiamente intesa, estesa, cioè, anche alle ipotesi di pendenza di controversie tra un soggetto candidato per una carica elettiva di una Federazione ed altro Ente Sportivo (Federazione Sportiva Nazionale, Disciplina Sportiva Associata, Organismo riconosciuto dal CONI) appare in palese contrasto con il principio di cui all’art. 24 della Costituzione, secondo cui “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Non appaiono sussistere ragioni ostative, quindi, al fatto che un soggetto, il quale abbia in essere una controversia giudiziaria contro una Federazione, possa candidarsi ad una carica elettiva di altra Federazione, per il solo fatto di aver ritenuto opportuno tutelare i propri diritti ed interessi legittimi dianzi all’autorità giudiziaria esercitando così un diritto costituzionalmente garantito.
L’ineleggibilità - come noto - presuppone l’esistenza di situazioni che possano creare indebite pressioni, causa di invalidità del procedimento. Vero è che la legge 2012/190 (cd. legge anticorruzione) ha evidenziato che il conflitto di interesse, anche potenziale, è un generale parametro di incompatibilità e che l’incompatibilità è a garanzia dei principi di imparzialità e buon andamento, che non possono non ispirare anche il funzionamento delle Federazioni. Ma ciò posto, nel caso di specie, è da escludere si configurino quelle condizioni di convenienza o di conflitto di interessi che potrebbero invece sicuramente ravvisarsi laddove il contenzioso sia instaurato avverso la Federazione a cui il tesserato che ha presentato la propria candidatura appartiene o nei confronti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, il quale svolge funzioni di controllo e vigilanza rispetto a tutte le FSN.
D’altro canto, che quello di cui al principio 7.4, comma 7, dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate sia una eccezione introdotta per evitare che si creino reali, o anche solo potenziali, situazioni di conflitto di interessi o di indebite pressioni, appare evidente sol che - in un’ottica di sistema - si volga lo sguardo a quanto stabilisce il legislatore nazionale. Basti pensare, ad esempio, a quanto previsto dalla normativa riguardante gli Enti Locali - nello specifico il riferimento è all'art. 63, comma 1, n. 4, D.Lgs. 267/2000 - T.U.E.L.7 - che indica, fra le cause di incompatibilità che determinano la ineleggibilità alla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, la pendenza di un procedimento civile o amministrativo nei confronti esclusivamente dell'ente di riferimento.
Gli stessi Giudici costituzionali (Corte Cost. 160/1997), richiamandosi alla ratio di cui agli artt. 3 e 51 Cost., hanno rimarcato l’importanza “di temperare l’eccessiva severità del sistema attuale, quale risulta definito dalla giurisprudenza, assicurando la proporzione tra fini perseguiti e mezzi prescelti”. In discussione - nella specie - era la possibilità di far cessare la causa generatrice dell’incompatibilità. I Giudici colgono l’occasione per osservare che “bisogna consentire di rimuovere la causa d’incompatibilità entro un termine ragionevolmente breve… per assicurare un equilibrio fra la ratio giustificativa della incompatibilità e la salvaguardia del diritto di elettorato passivo, senza pregiudizio di un futuro intervento del Parlamento e di un’evoluzione giurisprudenziale che diano compiuta razionalità al sistema”. La riconosciuta facoltà di rimuovere utilmente la causa di incompatibilità entro un congruo termine conferma la eccezionalità del regime. In tal senso, il comma 7 del principio richiamato al punto 7.4 deve essere letto nel senso di ritenere che l’ineleggibilità ivi prevista trovi applicazione esclusivamente qualora il soggetto che presenta la propria candidatura sia parte in controversie giudiziarie contro il CONI o contro la Federazione Sportiva Associata/Disciplina Sportiva Associata per il cui organo intende candidarsi, non anche laddove il predetto contenzioso riguardi altra Federazione o altra Disciplina Sportiva Associata o altri organismi riconosciuti dal CONI.
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Quanto al secondo quesito, ritiene questo Collegio che la incandidabilità connessa all’ineleggibilità di chi abbia subito una sanzione a seguito dell’accertamento di una violazione delle Norme sportive Antidoping o delle disposizioni del Codice Mondiale Antidoping WADA, come previsto dall’art. 5, comma 4, Statuto del CONI8, recepita in tutti gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, trovi ragione, sia dal punto di visto sportivo sia etico - sociale, nel disvalore attribuito al fenomeno del doping9.
Lo stesso legislatore nazionale, con la legge 14 dicembre del 2000, n. 376, “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, nella consapevolezza della crescente medicalizzazione dell’attività sportiva, ha introdotto una serie di misure di contrasto al fenomeno del doping che riguardano anche l’ambito sanitario. I beni giuridici tutelati dalla predetta normativa che (rispetto alla previgente disciplina) ha ampliato la catena delle responsabilità e lo stesso concetto di “doping” sono la salute degli atleti e la lealtà delle competizioni sportive. L’attività sportiva, infatti, deve essere diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e formata/informata al rispetto di principi etici ed educativi (Convenzione di Strasburgo, novembre 1989, come ratificata dalla legge 29 novembre 1995, n. 522). Il suo corretto svolgimento implica l’assoggettamento ai controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute e della regolarità delle gare, senza che tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura possano compromettere l’integrità psicofisica degli atleti.
Il quesito posto al Collegio di Garanzia, che pure si inserisce in questa cornice generale di riferimento, è volto tuttavia a verificare la possibile lesività della previsione dell’incandidabilità quale sanzione connessa, per dir così, tout court, a qualsiasi violazione delle norme sportive sopra richiamate. Siffatta previsione, laddove non prevede distinzione in ordine alla sanzione - per una violazione delle norme sportive antidoping - eventualmente comminata al soggetto che intende candidarsi, sembra muovere in contrasto con quel principio di democrazia interna di cui all’art. 16.1, Dlgs. 23 luglio 1999, n. 242. In questo senso, l’attento esame del Codice Sportivo Antidoping rivela come in esso vengano attentamente previste una serie di sanzioni a seguito dell’accertamento delle violazioni delle norme sportive antidoping che vanno dalla mera nota di biasimo sino alla squalifica a vita (artt. 4 e segg., Norme Sportive Antidoping del CONI).
La gravità della sanzione si accompagna, in altri termini, alla gravità della violazione in applicazione di un principio di proporzionalità che non può che essere espressione di un principio di giustizia sostanziale. Se, infatti, il principio di proporzionalità costituisce un canone fondamentale posto a presidio del legittimo esercizio del potere punitivo affinché la reazione sia adeguata alla rilevanza dell’infrazione, non v’è dubbio che, in stretta connessione col principio di proporzionalità, vi sia quello della graduazione della sanzione. Proprio questa esigenza di rispetto della proporzionalità ha condotto il legislatore Antidoping a costruire un sistema nel quale anche la “punizione” viene inflitta secondo principi di correttezza e gradualità, articolando un ventaglio di sanzioni, il più possibile preciso e variegato, in modo tale da assicurare che la punizione sia sempre da rapportare al fatto concretamente commesso.
La richiesta di parere pervenuta pone in risalto, dal canto suo, come lo stesso Statuto del CONI operi siffatta gradazione. Per condanne penali gravi, si compie al comma 3, lett. b), dell’art. 5 dello Statuto del CONI10, una specifica distinzione in base alla fattispecie di reato, nonché all’entità della sanzione inflitta.
In particolare, si stabilisce che i componenti degli organi del C.O.N.I., nonché, in virtù del diffuso recepimento negli Statuti delle FSN, coloro i quali presentino candidatura alle cariche federali elettive non debbano aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno.
Analoga condizione è prevista al comma 3, lett. c), dell’art. 5 dello Statuto del C.O.N.I., anche essa recepita dagli Statuti Federali, per coloro i quali abbiano riportato nell’ultimo decennio, salva riabilitazione, squalifiche o inibizioni sportive definitive complessivamente superiori a un anno, da parte delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, del CONI o di organismi sportivi internazionali riconosciuti.
Vero è che il rischio della “medicalizzazione” dell’attività sportiva è incombente ed espone a quello smarrimento di valori e di principi sinteticamente richiamati (ma, in vero, ben noti) nel Preambolo della Convenzione di Strasburgo sulla lotta al doping. Del pari indubbio che una cosa è il richiamo con nota di biasimo, altra la squalifica. In virtù del quadro normativo appena ricostruito, sarebbe allora auspicabile che il legislatore sportivo possa riesaminare le disposizioni sopra richiamate, stabilendo che l’ineleggibilità presente negli Statuti Federali delle Federazioni Sportive Nazionali e Discipline Sportive Associate, scatti solo a seguito del superamento di una soglia minima di sanzione eventualmente comminata al tesserato che abbia violato le Norme Sportive Antidoping - analogamente a quanto prevede il comma 3, lett. b), dell’art. 5 dello Statuto del CONI - al fine di evitare che una sanzione, quale, ad esempio, la nota di biasimo o la squalifica per pochi mesi, possa avere una portata oltremodo afflittiva rispetto alla violazione accertata ed al suo disvalore in ambito sportivo. Tanto, specie ove si consideri la possibilità di far ricorso all’istituto della riabilitazione, di cui agli artt. 178 e ss. c.p. e art. 683 c.p.p., già peraltro recepito nell’ordinamento sportivo (art. 5, comma 3, Statuto del C.O.N.I.) e negli Statuti e Regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali e Discipline Sportive Associate, da concedersi entro un determinato lasso di tempo dal giorno di esecuzione della pena o dalla sua estinzione e pur sempre nel rispetto di determinate condizioni.
Per il Collegio, l’auspicato intervento, volto a riesaminare dette previsioni, deve tenere in conto gli aspetti legati alla proporzionalità della sanzione comminata e dei suoi effetti. Il principio di proporzionalità della pena si atteggia a linea guida per il legislatore e impone la previsione di un trattamento sanzionatorio adeguato e congruo al fatto commesso. Nella determinazione della sanzione, la ponderazione attinge - in altri termini - alla valutazione concreta del disvalore giuridico della condotta illecita, alla luce di criteri ed elementi che devono essere attentamente analizzati e, appunto, ponderati.
In questo senso la Corte Costituzionale ha evidenziato come il concetto di proporzionalità vada inteso non soltanto quale proporzione tra gravità del fatto e sanzione bensì anche, e soprattutto, quale “criterio generale” di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalità da perseguire (Corte Cost., 25 ottobre 1989 n. 487), e ciò al fine di evitare che una determinata sanzione ed i suoi effetti possano cagionare all’individuo sanzionato un pregiudizio maggiore rispetto ai vantaggi ottenuti dall’ordinamento sportivo con la previsione di sanzioni a tutela dei beni o valori offesi dalle violazioni compiute dal predetto soggetto11.
Negli stessi termini, in tema di proporzionalità delle sanzioni si è, peraltro, espressa sia la Corte di Giustizia UE - fra le tante sentenze, e nei più svariati settori, cfr. CGUE 8 maggio 2019, n. 712/17; 12 novembre 2019, n. 233/18; 20 marzo 2018, n. 537/16 - sia la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - cfr. sentenze 8 ottobre 2013, Ricci c. Italia; 20 settembre 1994, Otto Preminger Institut c. Austria.
D’altro canto, se è principio generalmente accettato quello per cui ad ogni azione corrisponde una reazione, principio destinato sicuramente a valere nell’ordinamento penale, è anche vero che è necessario che la risposta punitiva ad un determinato fatto di reato sia ad esso proporzionata: vale a dire commisurata già, ab origine, al momento della predeterminazione normativa da parte del legislatore. La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative L. n. 689/1981, ex art. 11, etc.), dovendosi fare riferimento non tanto alla sanzione disegnata per analoghi fatti di reato, quanto piuttosto all’effettiva lesione cagionata al bene giuridico oggetto della tutela. Ad argomentare diversamente, l’effetto prodotto condurrebbe ad una completa inibizione del principio di rieducazione, cui la pena deve tendere per dettato costituzionale, nonché ad un disallineamento della dinamica punitiva rispetto il binario delle decisioni politico-criminali incuneate nel testo normativo12.
PQM
Si rilascia il presente parere.
Deciso nella camera di consiglio del 3 novembre 2020.
Il Presidente                                       Il Relatore
F.to Virginia Zambrano                     F.to Amalia Falcone
Depositato in Roma, in data 5 agosto 2021.
Il Segretario
F.to Alvio La Face
1 PRINCIPI FONDAMENTALI DEGLI STATUTI DELLE FEDERAZIONI SPORTIVE NAZIONALI, DELLE DISCIPLINE SPORTIVE ASSOCIATE, approvati con Deliberazione del Consiglio Nazionale n. 1613 del 4 settembre 2018 - Decreto Presidenza Consiglio dei Ministri UPS del 14 settembre 2018.
7.4. Requisiti per rivestire cariche
7. Sono, altresì, ineleggibili quanti abbiano in essere controversie giudiziarie con il C.O.N.I., le Federazioni, le Discipline Sportive Associate o con altri organismi riconosciuti dal C.O.N.I.
2 Art. 16 Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate. 1. Le Federazioni Sportive Nazionali e le Discipline Sportive Associate sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna, del principio di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale.
3 Secondo la Corte Cost., sentenza n. 160/1997, “…Spetta al legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalità, attuare l’art. 51 della Costituzione, stabilendo il regime delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità”.
4 7.4. Requisiti per rivestire cariche
1. I componenti degli organi federali elettivi e di nomina devono possedere i requisiti generali di cui all’art. 5, commi 3 e 4, dello statuto del CONI, e devono essere in regola con il tesseramento alla data di presentazione della candidatura. Il Presidente e i componenti del Consiglio federale devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità stabiliti dal Consiglio Nazionale CONI.
5 Proprio in virtù dell’attività di vigilanza e controllo che il Comitato Olimpico svolge nei confronti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate.
6 Il soggetto radiato può praticare attività sportive, e quindi essere tesserato, presso Enti diversi da quello nel quale gli è stata comminata la radiazione, ferma la sua ineleggibilità a qualsiasi carica ed il divieto di rivestire qualsiasi incarico all’interno dell’ordinamento sportivo. Il provvedimento di radiazione, così come il successivo, eventuale provvedimento di riabilitazione, nonché tutte le sanzioni iscrivibili nel registro delle Sanzioni Disciplinari dell’Ordinamento Sportivo, devono essere comunicati al CONI che lo rende noto, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di privacy, a tutte le Federazioni, le Discipline Associate, gli Enti di promozione sportiva e alle Associazioni Benemerite, al fine di rendere effettiva l’ineleggibilità in altri Enti sportivi. (art. 7.4, comma 8).
7 Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale: …4) colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia…
8 Art. 5, comma 4: È ineleggibile chiunque abbia subito una sanzione a seguito dell’accertamento di una violazione delle Norme Sportive Antidoping del CONI o delle disposizioni del Codice Mondiale Antidoping WADA.
9 Le cause di ineleggibilità rispetto a quelle di incompatibilità sono tese a limitare lo jus ad officium, onde evitare lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis (cfr. Corte Cost., sentenza n. 120/2013).
10 Art. 5, comma 3: I componenti degli organi del CONI, oltre ai requisiti specifici previsti dal presente Statuto, devono possedere i seguenti requisiti generali: a) essere in possesso della cittadinanza italiana; b) non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno; c) non aver riportato nell’ultimo decennio, salva riabilitazione, squalifiche o inibizioni sportive definitive complessivamente superiori a un anno, da parte delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, del CONI o di organismi sportivi internazionali riconosciuti.
11 “Vanno, inoltre, particolarmente ricordati, a proposito di limiti sostanziali del legislatore nelle scelte criminalizzatrici, i principi di sussidiarietà, proporzionalità e frammentarietà dell'intervento penale, costituenti, quanto meno, direttive di politica criminale. Anche tali principi implicano il possesso d'una visione generale dei beni e valori presenti nell'intera Comunità statale e limitano ulteriormente, nell'atto in cui le fondano, le scelte criminalizzatrici: la realizzazione di tali principi, che costituiscono garanzia dell'intera comunità, rende impossibile affidare alla legge regionale la più importante e difficile tra le funzioni statali”.
Il principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l’ultima ratio, deve intervenire soltanto allorché, da parte degli altri rami dell'ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire, implica, fra l'altro, programmi di politica generale, e criminale in ispecie, nonché giudizi prognostici che soltanto lo Stato può formulare.
Il principio di proporzionalità, inteso non soltanto quale proporzione tra gravità del fatto e sanzione penale bensì, anche e soprattutto, quale <criterio generale> di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalità da perseguire, conferma che soltanto lo Stato e in grado, avendo piena consapevolezza di tutti gli strumenti idonei a compiutamente realizzare la direttiva in esame, d'effettivamente garantire, sotto questo aspetto, la comunità.
Ed infine, anche il principio di frammentarietà, inteso come intervento penale <puntiforme>, che attua la garanzia <liberale> determinata dai necessari <vuoti di tutela>, e adeguatamente rispettabile dall'organo statale di produzione legislativa: quest'ultimo, che appunto possiede la più generale visione di beni e valori presenti nella società, é particolarmente idoneo a confermare, con la determinatezza della legge penale, la concezione della libertà quale regola e dell'illecito penale quale eccezione.
Nè va dimenticato che ulteriori limiti sostanziali vengono costituzionalmente imposti al legislatore, quale, fra i tanti, quello, fondamentale, della finalità rieducativa della pena (ex art. 27, terzo comma, Cost.): anch'esso fonda e nello stesso tempo limita l'intervento penale”. Così Corte Cost. cit.
12 Cass., Sez. un., sent. 28 febbraio 2019 (dep. 3 luglio 2019), n. 28910.
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