F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2021/2022 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0012/CFA pubblicata il 31 Agosto 2021 (motivazioni) – Sig. Melchiorre Zarelli/Procura Federale

Decisione/0012/CFA-2021-2022

Registro procedimenti n. 0008/CFA/2021-2022

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Roberto Caponigro – Componente

Mauro Mazzoni – Componente

Marco Lipari – Componente

Raffaele Tuccillo – Componente (relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo numero 0008/CFA/2021-2022, proposto dal sig. Melchiorre Zarelli

contro

la Procura federale per la riforma della decisione del Tribunale federale nazionale, sezione disciplinare n. 0014 del 23 luglio 2021;

visto il reclamo e i relativi allegati; visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 24 agosto 2021 il dott. Raffaele Tuccillo e udito l’avv. Massimiliano Capuzi, il sig. Melchiorre Zarelli e il dott. Luca Scarpa per la Procura federale;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

Con nota Prot. 12939/481pf20-21/GC/gb del 18 giugno 2021, la Procura federale deferiva dinanzi al Tribunale federale nazionale – sezione disciplinare il Sig. Melchiorre Zarelli, quale presidente del Comitato regionale Lazio FIGC LND, per rispondere della violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S. con riferimento a quanto disposto dagli artt. 15 dello Statuto L.N.D., 12 del Regolamento della L.N.D. e 9, commi 3 e 4, delle Norme procedurali per le assemblee elettive L.N.D. (C.U. n. 130/A del 4.12.2021, all. A), con le aggravanti di cui all’art. 14, comma 1, lett. a), b) e i), del C.G.S. in quanto, nella sua qualità di vertice apicale del Comitato regionale Lazio della L.N.D. e quindi di soggetto avente, oltre a obblighi di vigilanza e di controllo, la diretta e immediata responsabilità della corretta gestione contabile/amministrativa del Comitato stesso, aveva omesso di assumere ogni e più opportuna iniziativa volta e finalizzata a tutelare e garantire il Comitato regionale Lazio nell’ambito dell’investimento del valore nominale di oltre 1 milione di euro (per l’esattezza di 1.011.094) effettuato nell’anno 2012 (per il tramite della controllata LND Lazio Srl avente quale unico socio la L.N.D. nella sua articolazione Comitato regionale Lazio e quale Presidente del relativo consiglio di amministrazione proprio Melchiorre Zarelli) in favore della società cooperativa C.R.A.R. 80 (attualmente posta in liquidazione), per la realizzazione di una nuova sede e di un nuovo impianto sportivo istituzionali, opere mai realizzate in quanto sul terreno individuato quale sito per la costruzione delle stesse insisteva un vincolo paesaggistico/urbanistico ostativo a qualsivoglia edificazione. Per l’effetto, favorendo un ingiustificato depauperamento delle risorse economiche del Comitato regionale Lazio per l’intero importo dell’anzidetto investimento (omettendo, peraltro, quale Presidente del Consiglio di amministrazione della controllata LND Lazio Srl di provvedere ad escutere tempestivamente la fidejussione rilasciata dalla C.R.A.R. 80 a garanzia della prefata somma ricevuta per la realizzazione della nuova sede del Comitato regionale Lazio) nonché, compiendo, anche successivamente, reiterate irregolarità nella predisposizione dei bilanci periodici del Comitato (per il quadriennio 2017/2020) tali da dare una erronea rappresentazione dello stato patrimoniale di quest’ultimo. In particolare, omettendo nelle poste di siffatti bilanci periodici di “svalutare” completamente il credito (pari ad oltre 1 milione di euro) vantato verso la controllata LND Lazio Srl per il finanziamento delle ridette opere di realizzazione della nuova sede del Comitato regionale Lazio affidate alla C.R.A.R. 80 e mai realizzate, attesa l’impossibilità sopravvenuta di poter recuperare, anche solo parzialmente, detto credito in ragione della aver quest’ultima società cessato qualsivoglia attività e, pertanto, non avendo la stessa più alcuna risorsa economica. Con le aggravanti di aver cagionato un danno patrimoniale al Comitato regionale Lazio, di aver commesso il fatto abusando del proprio ruolo istituzionale e con violazione dei doveri - specie di controllo e vigilanza - derivanti e conseguenti all’esercizio del ricoperto incarico funzionale - istituzionale, nonché, dell’aver agito al fine di assicurare a sé un ingiusto vantaggio quale quello di riottenere la conferma alla presidenza del Comitato regionale Lazio anche attraverso l’appostamento di voci di bilancio non veritiere (mancata “svalutazione” del credito vantato verso la controllata LND Lazio Srl) in quanto tali da rappresentare una falsa realtà, ovvero, da nascondere l’insuccesso dell’iniziativa legata alla costruzione della nuova sede istituzionale e la conseguente perdita della somma di oltre 1 milione di euro al fine versata dalle varie società affiliate al Comitato regionale Lazio.

Con la decisione impugnata il Tribunale federale nazionale, Sezione disciplinare, accoglieva la richiesta della procura e, per l’effetto, irrogava nei confronti del reclamante la sanzione dell’inibizione di mesi 9 (nove).

Con l’atto introduttivo del presente grado di giudizio il reclamante contestava la decisione impugnata chiedendone la riforma. Rappresentava, in particolare, che: la decisione impugnata era nulla per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonché per manifesta illogicità o contraddittorietà della parte motiva e comunque per eccesso di potere, nonché per l’assenza di specifica qualificazione giuridica del fatto ascritto. Nel merito, chiedeva il proscioglimento dell’incolpato poiché il fatto contestato dalla Procura e il diverso fatto enucleato dal Tribunale non sussistevano, non costituivano illecito disciplinare e comunque il reclamante non li aveva commessi.

Ai sensi dell’art. 99 del codice il Presidente della Corte deferiva la questione alle sezioni unite, in considerazione dei profili di rilevanza e di principio che investiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con un primo motivo di reclamo, il sig. Zarelli contestava la nullità della decisione impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e manifesta illogicità della decisione, con conseguente nullità del procedimento e della successiva decisione.

Nel capo di incolpazione, la Procura federale ha assunto la violazione dell’art. 4, comma 1, del CGS della FIGC (ai sensi del quale i soggetti di cui all’art. 2 sono tenuti all’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto riferibile all’attività sportiva), con riferimento a quanto disposto dagli artt. 15 dello statuto LND, rubricato “Il collegio dei Revisori dei Conti”, 12 del regolamento della LND, rubricato “Il Collegio dei Revisori dei Conti”, 9, commi 3 e 4 CU n. 130 A recante norme procedurali per le assemblee della LND, rubricato “Presentazione delle candidature”.

Le norme di cui si assume violazione, con l’eccezione dell’art. 4, comma 1, CGS della FIGC, non hanno alcuna correlazione con quanto ascritto all’incolpato, il quale, sulla base del deferimento, nella qualità di vertice apicale del Comitato regionale Lazio della LND, avrebbe omesso di assumere adeguate iniziative per tutelare il Comitato regionale nell’ambito dell’investimento del valore nominale di oltre 1 milione di euro effettuato nel 2012 per la realizzazione di una nuova sede e di un nuovo impianto sportivo istituzionale, opere mai realizzate in quanto sul terreno individuato quale sito per la costruzione delle stesse insisteva un vincolo paesaggistico urbanistico ostativo a qualsivoglia edificazione. Nel deferimento si precisava, quindi, che il reclamante avrebbe favorito un ingiustificato depauperamento delle risorse economiche del Comitato per l’intero importo – omettendo peraltro di escutere tempestivamente la fideiussione rilasciata dalla CRAR – nonché avrebbe compiuto reiterate irregolarità nella predisposizione dei bilanci periodici del Comitato tali da dare una erronea rappresentazione dello stato patrimoniale di quest’ultimo.

Ne discende la discrasia tra le norme richiamate e le condotte ascritte.

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che la compiuta e analitica specificazione dei comportamenti attribuibili al reclamante, così come descritti nell’atto di deferimento, non ne abbia leso il diritto di difesa, avendo lo stesso contraddetto in ordine a tutti i fatti puntualmente contestatigli.

Al riguardo, il Collegio ritiene sul punto condivisibili le conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale, in quanto anche nel processo sportivo la mera erronea indicazione della norma violata si risolve in un errore materiale che non può essere causa di nullità dell’atto di deferimento, purché tale errore non abbia leso il diritto di difesa dell’incolpato.

Nello stesso senso è orientata anche la giurisprudenza penale di legittimità, con orientamento costante, pienamente condivisibile ed espressivo di un principio generale applicabile anche nel processo sportivo. È stato infatti ritenuto che la mera erronea indicazione della norma violata si risolve in un mero errore materiale che non può essere causa di nullità del decreto di citazione (in senso sostanzialmente conforme si vedano, tra le altre: Cass. pen., 25 novembre 1999, n. 5415; Cass. pen., sez. VI, 16 settembre 2004, n. 437 secondo cui “Ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati”; Cass. pen., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 22434; Cass. pen., sez. III, 5 dicembre 2013, n. 5469, secondo cui “In tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa.”; Cass. pen., sez. I, 5 aprile 2019, n. 30141; Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2020, n. 16993).

Nel caso di specie, a fronte dell’erronea indicazione di alcune delle norme violate, nell’atto di deferimento sono indicate in modo sufficientemente chiaro le condotte ascritte all’incolpato, con conseguente adeguata descrizione del fatto e mancanza di violazione del diritto di difesa, avendo potuto il reclamante, sia in primo che in secondo grado, prendere posizione e difendersi sulle condotte allo stesso ascritte.

D’altro canto, anche a prescindere dalla presenza di errori materiali, costituisce principio generale, non solo del diritto sportivo, il potere del giudice di riqualificare il fatto giuridico e, quindi, sussumere il fatto all’interno di una fattispecie differente da quella descritta dalle parti o dalla procura nell’atto di deferimento. Sul punto, il Collegio di garanzia dello sport (sez. IV, decisione 3 maggio 2018, n. 23) ha ritenuto che per principio generale, sancito in ambito penale ed estendibile al giudizio sportivo, l’attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 c.p.p., qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, qualora l’imputato e il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa. La riqualificazione giuridica del fatto costituisce un potere intrinsecamente devoluto alla giurisdizione con la condizione che la difesa non subisca un reale pregiudizio e possa interloquire in ordine alla stessa.

Nel caso di specie, pertanto, è dato riscontrare un errore materiale nell’atto di deferimento nella parte in cui vengono richiamate, in correlazione con l’art. 4, comma 1, CGS della FIGC, alcune disposizioni non attinenti all’illecito contestato, ma non si riscontra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato essendo adeguatamente descritti nel medesimo atto di deferimento i fatti contestati al reclamante.

Il motivo di reclamo non può trovare pertanto accoglimento.

2.Con un secondo motivo di reclamo viene chiesto accertarsi la nullità della decisione per mancata individuazione della norma violata da parte del reclamante. L’art. 4 CGS della FIGC, a giudizio del reclamante, è una norma sanzionatoria in bianco che impone di individuare, all’interno dell’ordinamento sportivo, la disposizione in concreto violata. Nel caso di specie mancherebbe tale opera di individuazione il cui onere graverebbe sulla procura.

In merito osserva il Collegio che il citato art. 4, primo comma, del CGS della FIGC, rubricato obbligatorietà delle disposizioni generali, prevede che “I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”, stabilendo poi al secondo comma l’applicabilità delle sanzioni di cui all’art. 8, in caso di violazione dei citati obblighi.

La disposizione appare astrattamente distinguibile in due parti.

Una prima parte con la quale il legislatore si è limitato a prevedere l’obbligatorietà, per i soggetti di cui all’art. 2, delle norme dello Statuto, del Codice, delle NOIF nonché delle altre norme federali. In questo caso, come rilevato da parte reclamante, occorre individuare la norma dell’ordinamento sportivo violata.

Una seconda parte in cui si fa invece riferimento ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Con tale riferimento il legislatore sportivo ha voluto introdurre una norma di chiusura onde poter sanzionare ogni comportamento contrario ai citati principi.

La maggiore ampiezza dell’ambito applicativo dell’illecito sportivo rispetto all’illecito penale è funzionale a perseguire lo scopo specifico della sanzione disciplinare sportiva, ossia la generica prevenzione di condotte suscettibili di alterare il buon andamento della competizione atletica.

Il perseguimento di tale obiettivo comporta non soltanto una compressione dei principi di materialità e colpevolezza, ma anche una declinazione maggiormente flessibile del principio di legalità, con particolare riguardo ai corollari della tassatività e determinatezza della disposizione sanzionatoria.

L’ordinamento sportivo impone a tutti i soggetti appartenenti allo stesso l’osservanza dei principi etici, quali l’obbligo di lealtà, il fair play, la correttezza e la probità, nonché l’adozione di una condotta rispondente alla dignità dell’attività sportiva. La violazione di tali principi costituisce un grave inadempimento, meritevole di adeguate sanzioni e di importanza tale da colpire anche soggetti non più appartenenti all’ordinamento sportivo, per violazioni commesse in costanza di tesseramento. L’inosservanza dei principi etici costituisce quindi un potenziale presupposto di un procedimento disciplinare (in questo senso Collegio di garanzia dello sport, parere 26 giugno 2018, n. 5).

Ne discende la configurabilità di una sanzione disciplinare anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico inadempimento ad una disposizione espressa.

Come evidenziato, l’attività sportiva si fonda sul rispetto di canoni comportamentali di correttezza e lealtà, principi questi ultimi non suscettibili di essere circoscritti all’interno di fattispecie descritte secondo i criteri della precisione e della determinatezza.

Nel caso di specie, in cui il ricorrente è incolpato della non corretta gestione del CR Lazio, del quale era presidente, con specifico riferimento alla vicenda che ha determinato una probabile perdita di 1 milione di euro per il medesimo Comitato, la norma di riferimento è individuabile nella seconda parte dell’art. 4, con specifico riferimento al principio di correttezza, e la condotta ascritta al reclamante è di carattere gestionale.

3.Nel merito il reclamo deve trovare accoglimento nei limitati termini che seguono.

Il 18 luglio 2012 viene stipulata una convenzione tra LND Lazio s.r.l. (società presieduta dal reclamante, creata ad hoc dal CR Lazio e interamente partecipata dal medesimo comitato regionale) e CRAR 80, società cooperativa, per il futuro acquisto di un immobile da costruire con un corrispettivo di oltre 6 milioni di euro, ove realizzare la nuova sede del Comitato regionale Lazio. Alla data della stipulazione della convenzione era previsto il versamento di una caparra confirmatoria di 1 milione di euro, versato dalla LND Lazio s.r.l. Al fine di consentire il versamento della citata caparra, il CR Lazio aveva concesso un prestito di ammontare corrispondente alla società partecipata.

Contestualmente era stipulato un contratto di fideiussione per garantire la restituzione della caparra versata.

La vendita non si realizzava e quindi il 19 febbraio 2016 la LND Lazio s.r.l. citava in giudizio la CRAR 80 e il fideiussore per ottenere, tra l’altro, il pagamento della somma di 1 milione di euro, dalla stessa versato a titolo di caparra confirmatoria.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 30 novembre 2018, n. 23350, condannava la CRAR 80 alla restituzione della caparra (la sentenza era preceduta da ordinanza ingiunzione emessa in corso di causa il 30 novembre 2016 di analogo tenore), ma dichiarava improcedibili le domande proposte avverso il fideiussore in quanto in liquidazione coatta amministrativa.

Nel deferimento, come evidenziato, viene contestato al reclamante, quale vertice apicale del CR Lazio della LND, la diretta responsabilità della corretta gestione contabile amministrativa del comitato stesso, in relazione alla vicenda in questione, avendo omesso di assumere ogni opportuna iniziativa per tutelare il Comitato con riferimento al citato investimento. Nel dettaglio sono contestate l’omessa tempestiva escussione della garanzia fideiussoria e reiterate irregolarità nella predisposizione dei bilanci periodici del Comitato.

Si tratta pertanto di violazioni di tipo gestionale, in relazione alle quali - anche se come da costante orientamento giurisprudenziale non esiste un dovere degli amministratori di non commettere errori e nemmeno di essere “periti” nei più diversi settori dell’organizzazione e della gestione dell’impresa sociale - le loro scelte devono essere informate e meditate, frutto di rischio calcolato. La cd. business judgement rule o giudizio prognostico postumo costituisce valido criterio di accertamento della correttezza procedurale delle decisioni assunte e, perciò, di imputazione della responsabilità disciplinare con riferimento ai fatti accertati (Cfr. in questo senso: Collegio di garanzia dello sport, sez. un., 1 giugno 2017, n. 42, nonché nella giurisprudenza di legittimità Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2020, n. 12108, secondo cui l'insindacabilità delle scelte di gestione, cd. Business judgement rule, trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi ex ante, secondo i parametri di diligenza di cui all'art. 2392 c.c., tenuto conto in particolare della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per decisioni di quel tipo, oltre che della cura mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione intrapresa).

In ogni caso, come già precisato dalle sezioni unite della Corte federale d’Appello (decisione n. 4/2021-2022) lo scrutinio richiesto al giudice sportivo in materia disciplinare non comporta la celebrazione di una sorta di processo parallelo o di processo sovrapposto rispetto alla giurisdizione ordinaria (civilistica o penalistica) o alle eventuali responsabilità degli amministratori di una società sportiva. Oggetto di valutazione è invece il rispetto delle regole fondamentali che costituiscono presidio della FICG in sé considerata, e altresì presidio della regolarità di gestione delle società sportive e dei comportamenti esigibili. Il principio del fair play costituisce l’in sé dell’ordinamento sportivo e culmina in ogni caso nella declinazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza richiamati dal CGS. Il CGS, del resto, non opera un richiamo (come pure avrebbe potuto) agli artt. 2381 o 2392 c.c. e dunque alle relative regole attuative o di interpretazione. E neppure ciò accade per lo Statuto della FIGC (art. 19), che invece (e di nuovo) si riferisce a clausole aperte, di “equilibrio economico e finanziario” e di “corretta gestione”. Il giudice sportivo, dunque, non è deputato a valutare le responsabilità ordinarie. E neppure deve dimostrare una perdita economica (giacché una tale dimostrazione neppure è richiesta). Esso deve valutare il rispetto della lex specialis costituente l’ordinamento sportivo. Ed è chiamato a traguardare con tale disciplina speciale – e non con quella ordinaria – se le modalità con le quali la persona deferita si è comportata, o per il contesto nel quale ha agito, hanno determinato o meno una compromissione dei valori cui si ispira l’ordinamento sportivo (principio già contenuto nel parere del Collegio di Garanzia n. 5/2017).

Per questo, le regole etiche e le clausole generali di correttezza e buona fede, in ambito sportivo, acquistano uno specifico rilievo giuridico e vanno considerate clausola di chiusura del sistema, poiché evitano di dover considerare permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta e facoltativo ogni comportamento che nessuna norma rende obbligatorio.

Tali principi di diritto inducono, da un lato, a ritenere che tra i fatti rilevanti in ambito disciplinare sportivo si possono sussumere anche eventi non riconducibili ai consueti criteri civilistici o penalistici e, dall’altro, che una violazione degli obblighi gestionali può senz’altro costituire violazione del principio di correttezza di cui all’art. 4, comma 1, CGS della FIGC.

3.1. Nel dettaglio, con riferimento alla tempestiva escussione della fideiussione, il reclamante non ha fornito adeguati elementi probatori per ritenere di aver fatto tutto quanto nelle sue possibilità per ottenere la restituzione della somma di un milione di euro da parte della LND Lazio s.r.l. e il pagamento del milione di euro da parte del fideiussore.

Diversamente da quanto evidenziato dal Tribunale federale, la documentazione depositata da parte reclamante consente di ritenere adeguatamente provata la stipulazione del contratto di fideiussione fin dal momento della stipulazione della convenzione nel 2012; tuttavia, una volta manifestatasi l’impossibilità o l’estrema difficoltà di realizzare le opere oggetto della convenzione, il reclamante avrebbe dovuto, nel più breve tempo possibile e con l’utilizzo di tutti gli strumenti a sua disposizione, secondo il comportamento esigibile da un creditore diligente, cercare di ottenere la restituzione del prestito dalla società partecipata e dal fideiussore il pagamento dell’obbligazione garantita.

Nel caso di specie, dall’esame della convenzione e dalle successive proroghe e come evidenziato nella citata sentenza del Tribunale di Roma (nonché nell’ordinanza ingiunzione emessa in corso di causa), risulta che la convenzione aveva definitivamente perso efficacia, per scadenza del relativo termine, in data 31 marzo 2015, mentre l’impossibilità di realizzare i beni si era già manifestata in precedenza. Parte reclamante, in qualità di presidente del CR Lazio, non ha depositato né ha provato di aver effettuato attività esecutive nei confronti della LND Lazio srl – interamente partecipata dalla LND nella sua articolazione CR Lazio e presieduta dallo stesso reclamante – e non risulta essersi attivata, anche in via surrogatoria, in relazione all’attività di riscossione del credito di cui la LND Lazio srl era titolare nei confronti del fideiussore, in sostituzione della stessa società, ovvero per spingere la società ad attivarsi per ottenere l’adempimento dell’obbligazione garantita. Nel dettaglio, la LND Lazio s.r.l. si è limitata a richiedere l’escussione della garanzia con raccomandata inviata il 27 luglio 2015 e quindi a introdurre un giudizio nei confronti del debitore principale e del fideiussore con atto di citazione notificato il 19 febbraio 2016, quasi un anno dopo la cessazione della efficacia della convenzione.

Dalla sentenza del Tribunale di Roma risulta quindi che, con decreto n. 62 del 2 febbraio 2017 pubblicato sulla G.U. n. 48 del 27.2.2017, il Ministero dello sviluppo economico ha messo la UnionCoopFidi (fideiussore) in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art. 194 ss. della legge fallimentare.

Con specifico riferimento alla fideiussione, pertanto, il reclamante, da un lato, non risulta essersi attivato tempestivamente per richiederne il pagamento, autonomamente o per il tramite della LND Lazio s.r.l., dell’obbligazione garantita, dall’altro, non ha fornito elementi probatori adeguati, anche in applicazione del principio di vicinanza della prova a fronte delle contestazioni della Procura, per dimostrare di aver fatto tutto quanto nelle sue possibilità per ottenere l’escussione della garanzia fideiussoria. In particolare: non sono state allegate e descritte iniziative creditorie attivate nei confronti del fideiussore dopo la dichiarazione di improcedibilità della domanda giudiziale del Tribunale di Roma (in particolare se vi sia stato intervento nel relativo procedimento ovvero sia stata proposta azione giudiziale di cognizione in tale sede); non risulta essere stata proposta azione diretta a ottenere ordinanza ingiunzione ex art. 186 ter nei confronti del fideiussore (ma solo nei confronti della CRAR 80, con provvedimento positivo depositato in data 14 dicembre 2016 e, quindi, anteriormente alla data in cui il fideiussore era stato posto in l.c.a.); l’attività del creditore nei confronti del fideiussore avrebbe dovuto risolversi in atti posti in essere anche anteriormente al marzo 2015 – data di definitiva cessazione di efficacia della convenzione – se si considera che la CRAR 80 nella nota integrativa al bilancio 2015 a pag. 13 e 34 dà atto della definitiva impossibilità di edificare nell’area in questione e il sig. Zarelli, in sede di dichiarazioni rilasciate alla Procura federale in data 27.4.2021, ha rappresentato di essere a conoscenza che la soc. CRAR80 nella nota integrativa al bilancio 2014 (pp. 11 e 33) aveva confermato che i problemi dell’anno precedente relativi all’edificazione del bene non erano stati risolti e che la Cooperativa aveva richiesto al Comune di Roma di trasferire i diritti edificatori assegnati dal comparto ‘f’ al comparto 1 del medesimo piano di zona e di non conoscere le ragioni per le quali non era stato escusso il credito nei confronti del fideiussore.

 Ne discende che, anche se con motivazione differente da quella indicata dal Tribunale federale, deve essere accertata la responsabilità disciplinare del reclamante per mancata tempestiva escussione della garanzia fideiussoria, nei termini che precedono.

3.2. Per quanto concerne le irregolarità contabili, nel deferimento, si fa esclusivo riferimento al bilancio del CR Lazio e non della società LND Lazio srl. Ne discende che, sul punto, la censura formulata dal reclamante deve ritenersi condivisibile.

Tuttavia, nell’atto di deferimento, si fa riferimento espresso alla mancata svalutazione del credito vantato dal CR Lazio nei confronti della LND Lazio srl e, quindi, alla mancata rappresentazione della oggettiva incertezza di recuperare il credito e della sostanziale impossibilità di realizzare le opere. La certezza della impossibilità realizzata è stata in sostanza acquisita nel 2015 e nei successivi bilanci non si dà conto di tale vicenda né si svaluta il credito al fine di descrivere la situazione patrimoniale in modo conforme alla realtà.

Nel bilancio del Comitato regionale Lazio il credito vantato nei confronti della LND Lazio, in seguito al finanziamento dell’operazioni di realizzazione della nuova sede, andava svalutato, muovendo dalla citata premessa che, per il raggiungimento dello scopo sociale, il C.R. Lazio ha erogato alla società controllata al 100% un prestito pari a 1.000.000,00 euro, prelevato dai Fondi di Riserva ed iscrivendo nel proprio Bilancio, chiuso al 30.06.2013, nell’Attivo dello Stato Patrimoniale il credito relativo.

Parte reclamante sostiene di aver correttamente rappresentato la situazione nei vari bilanci depositati e facendo riferimento alla p. 27 della nota integrativa del bilancio 2017 si precisa che “A causa dell’impossibilità a realizzare l’impianto sportivo sul terreno concesso dal Comune di Roma, per tale scopo risultato essere eccessivamente oneroso a causa di lungaggini burocratiche e lavori di predisposizione non preventivabili, si è proceduto a riconsegnare l’area al Comune. In conseguenza di ciò la L.N.D., nel precedente esercizio, ha chiesto la restituzione del contributo vincolato assegnato. L’importo complessivo delle spese sostenute 347.791,69 coerentemente contabilizzate tre le immobilizzazioni immateriali quali spese di miglioria beni di terzi, sono state per gli effetti degli accadimenti sopra enunciati “girocontate” al conto creditorio “Debitori vari” in attesa dell’esito della richiesta, avanzata all’Ente proprietario (Comune di Roma) di vedere riconosciute le migliorie apportate in ordine alla bonifica bellica, nulla osta del Ministero dei Beni Culturali che incrementano la possibilità di nuova assegnazione. In tale voce pertanto, confluisce la quota di accantonamento annuaeffettuata dal C.R. – di competenza del rischio suddetto, in ossequio ad un principio di prudenziale valutazionedeitempi e possibilità di rimborso risarcitorio”.

La citata descrizione, da un lato, appare relativa a vicenda diversa da quella connessa alla restituzione della caparra confirmatoria e alla perdita della citata somma, dall’altro lato, appare in ogni caso riferibile a un ammontare differente e inferiore rispetto al credito vantato nei confronti della società partecipata (a sua volta da questa vantato nei confronti nel debitore principale CRAR 80 e del fideiussore). Non vi sono al contrario riferimenti alla sostanziale non realizzazione della nuova sede del Comitato, alla estinzione del contratto e, soprattutto, alle difficoltà connesse alla restituzione della caparra confirmatoria e, quindi, del credito nei confronti della società partecipata.

Ne discende la responsabilità disciplinare del reclamante anche per tale profilo.

3.3. La responsabilità del sig. Zarelli in ordine ai fatti ascrittigli risulta provata con sufficiente certezza, in ragione del ruolo apicale rivestito e delle funzioni ad esso correlate sia nel CR Lazio, che nella LND Lazio Srl. Del resto, in quanto firmatario delle note integrative al bilancio presenti in atti, il deferito risulta essere pienamente a conoscenza della situazione patrimoniale sopra esposta; né la eventuale corresponsabilità di altri soggetti (componenti del Consiglio di Presidenza, componenti del Collegio dei Revisori dei conti), allo stato non deferiti, appare circostanza idonea ad escludere la sua personale responsabilità, né i tentativi giudiziari promossi nei confronti del Comune di Roma appaiono idonei a far venire meno la responsabilità per i descritti fatti.

3.4. Nella determinazione della sanzione devono prendersi in considerazione alcuni elementi di fatto e di diritto idonei a modificarne, in diminuzione, l’ammontare rispetto a quanto indicato nella decisione adottata dal Tribunale federale. Deve, infatti, considerarsi che: i fatti rilevanti, dovendosi tenere conto solo di quelli indicati nell’atto di deferimento, sono in parte differenti da quelli descritti nella decisione impugnata; si tratta in ogni caso di condotta colposa e non dolosa del reclamante il quale, in seguito a un investimento di carattere aleatorio e al verificarsi di alcune sopravvenienze fattuali che hanno reso particolarmente complessa la vicenda, non ha tenuto la condotta concretamente esigibile a un diligente amministratore; la situazione si è rivelata eccezionalmente complessa a causa delle vicende amministrative e burocratiche che hanno interessato il bene da acquistare e a causa della sopravvenuta incapienza del fideiussore.

In ogni caso, da un differente punto di vista, non si può trascurare che la vicenda è di grande impatto sociale ed economico e ha determinato una probabile perdita della somma di circa un milione di euro per il CR Lazio.

In conformità con quanto evidenziato dal Tribunale federale, al contrario, non sono emersi adeguati elementi istruttori per ritenere provate le circostanze aggravanti dedotte nell’atto di deferimento. In ragione delle modalità di svolgimento dei comportamenti contestati, infatti, tanto la qualifica di Presidente del CR Lazio, quanto il danno procurato al Comitato, rappresentano elementi costituitivi della fattispecie, nel mentre non risulta provato che tali fatti, già nel lontano 2012, siano stati preordinati al fine di conseguire un ulteriore mandato presidenziale a distanza di circa dieci anni.

Ne discende che la sanzione della inibizione deve essere determinata in mesi 6.

Le richieste istruttorie formulate da parte ricorrente appaiono pertanto irrilevanti ai fini della definizione della controversia.

 4.Deve essere disposta la restituzione del contributo per l’accesso alla giustizia sportiva.

Ai sensi dell’art. 48, comma 2, CGS della FIGC, i ricorsi ed i reclami sono gravati dal prescritto contributo. Il versamento del contributo deve essere effettuato entro il momento della trasmissione del ricorso o del reclamo all’organo di giustizia sportiva. Il sesto comma della medesima disposizione prevede che “i contributi dei giudizi accolti, anche parzialmente, proposti in ambito LND e del Settore per l’attività giovanile e scolastica, sono restituiti”.

Nel caso di specie, il reclamo è stato accolto parzialmente e riguarda un giudizio disciplinare promosso nei confronti del sig. Zarelli, in qualità di Presidente del Comitato regionale Lazio FIGC LND. La ratio della disposizione è di tutelare un settore, quale quello dilettantistico (analogamente a quello giovanile e scolastico), caratterizzato da risorse economiche limitate e di non aggravare i soggetti che operano in tale settore del pagamento del citato contributo, nelle ipotesi in cui la domanda da essi proposta risulti almeno parzialmente fondata. Il legislatore sportivo, con la locuzione “in ambito LND”, utilizza un enunciato linguistico molto ampio; il che non consente di escludere dal relativo ambito applicativo i giudizi aventi ad oggetto un procedimento disciplinare avverso i Presidenti o altre figure apicali del Comitato regionale LND.

Ne discende l’applicabilità della disposizione anche al caso in esame.

P.Q.M.

accoglie in parte e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, ridetermina la sanzione in 6 (sei) mesi di inibizione.

Dispone la restituzione del contributo per l’accesso alla giustizia sportiva.

Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori, con PEC.

 

L’ESTENSORE                                                                        IL PRESIDENTE

Raffaele Tuccillo                                                                        Mario Luigi Torsello 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

   Fabio Pesce

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