Decisione C.S.A. – Sezione III: DECISIONE N. 0181/CSA del 27 Marzo 2024 (Motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del Giudice Sportivo presso il Dipartimento Interregionale LND, di cui al Com. Uff. n. 66 del 05.03.2024
Impugnazione – istanza: - U.S. Lavagnese 1919
Massima: Confermata la decisione del giudice Sportivo che ha sanzionato al calciatore con 10 giornate di squalifica “per avere rivolto espressioni dal chiaro contenuto discriminatorio per motivi di razza all’indirizzo di un calciatore avversario provocando una rissa tra tesserati delle due società. Sanzione così determinata ai sensi dell’art. 28 comma 2 del CGS”….Le condivisibili preoccupazioni espresse dalla reclamante tramite il proprio Segretario nel corso della discussione orale, circa il pericolo di un abbandono definitivo dell’attività sportiva da parte del giovane calciatore …., si scontrano tuttavia con l’insuperabile tenore letterale dell’art. 28 C.G.S., il cui 2°comma punisce il comportamento discriminatorio appunto con il minimo edittale di 10 giornate di squalifica. Sanzione certamente grave ma, come è noto, espressione della ferma ed inequivocabile volontà del legislatore federale di perseguire energicamente ed in modo esemplare “ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale, ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”. Condotta pacificamente ravvisabile nell'espressione profferita dal calciatore Cinefra all'indirizzo di calciatori avversari di colore. Da tale punto di vista, non può certo costituire motivo di attenuazione della sanzione (in assenza di alcuna delle attenuanti specifiche di cui al 1° comma dell’art. 13 C.G.S.) la paventata gravità delle conseguenze sul futuro percorso sportivo del calciatore, né la sua giovane età: potendo al contrario valorizzarsi, in senso negativo, la pronuncia dell’offesa discriminatoria al di fuori del contesto agonistico (negli spogliatoi, a gara terminata) e l’aver causato una rissa tra le due compagini. Quanto all’invocata applicazione di sanzioni commutate, è agevole osservare che il complesso normativo di cui agli artt. 126, 127 e 128 C.G.S. è totalmente estraneo al giudizio sportivo, trovando ingresso esclusivamente nell’ambito del procedimento disciplinare e previo accordo con la Procura Federale. Sicchè, a ben vedere, nel caso di specie non si tratterebbe di assumere decisioni “coraggiose”, come invoca la reclamante, bensì addirittura di introdurre arbitrariamente istituti, quali appunto ipotesi di “accordo con la struttura prima dell’udienza di discussione”, del tutto sconosciuti in sede sportiva.
Decisione C.S.A. – Sezione III: DECISIONE N. 0055/CSA del 17 Novembre 2023 (Motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del Giudice Sportivo presso il Dipartimento Interregionale, di cui al Com. Uff. n. 15 del 17.10.2023, in relazione al Campionato Nazionale Juniores Under 19
Impugnazione – istanza: - ASD Flaminia Civita Castellana - calciatore A.D.A.
Massima: Confermata la decisione del giudice Sportivo che ha sanzionato il calciatore con 10 giornate di squalifica “Per avere rivolto espressioni dal chiaro contenuto discriminatorio per motivi di razza all’indirizzo di un calciatore avversario….Al riguardo, l’art. 28, comma 2, C.G.S. prevede la sanzione minima della squalifica per 10 giornate a carico dei calciatori responsabili di comportamento discriminatorio, definito quale condotta che “direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori” (art. 28, comma 1, C.G.S.). Tale è da considerarsi quella addebitata al …, stando alla puntuale descrizione desumibile dal rapporto scritto dell’arbitro, provvisto della fede privilegiata di cui all’art. 61, comma 1, C.G.S. La giurisprudenza di questa Corte Sportiva ha affermato in proposito che la prevenzione e repressione dei comportamenti discriminatori nello sport e, per quanto più specificamente riguarda l’art. 28 del Codice, nel contesto delle competizioni calcistiche, ha assunto una rilevanza centrale nell’ordinamento di settore. Lo Statuto delle Federazione prevede al riguardo che “la FIGC promuove l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza” (art. 2, comma 5). La disposizione di ordine programmatico ha trovato proprio nell’art. 28 C.G.S. una compiuta attuazione, mediante la previsione di sanzioni afflittive a carico dei tesserati responsabili di “offesa, denigrazione o insulto” (CSA, III, 3 novembre 2023, n. 35, che richiama anche Id., II, 7 febbraio 2022, n. 161). Quanto all’offesa, la norma ha tipizzato l’idoneità discriminatoria del comportamento, ai fini della configurazione dell’illecito, disancorandone la punibilità dalla percezione soggettiva della persona destinataria. Come chiarito dalla giurisprudenza richiamata, ad integrare l’illecito è sufficiente la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie e, sulla base di un nesso causale, la verificazione dell’effetto discriminatorio prodottosi direttamente o indirettamente. La denigrazione è, invece, da collegare alla lesione della reputazione, dell’onore e del decoro del destinatario, nuovamente in una prospettiva oggettivata, non secondo uno stato emotivo o un sentimento individuale, talché dovrà verificarsi se l’aggressione sia stata rivolta al senso di dignità che un singolo o una comunità ha consolidato nell’opinione comune. Da ultimo, l’insulto è riferibile alle modalità di espressione della discriminazione, venendo in rilievo l’uso di espressioni ingiuriose o la commissione di atti di spregio volgare. Dall’art. 28 C.G.S. si evince che, oltre alla condotta materiale qualificata e tipica, è necessaria l’oggettivizzazione data da una percezione certa e diffusa dell’espressione discriminatoria, e ciò, peraltro, può ben verificarsi anche laddove questa non sia specificamente indirizzata ad un altro tesserato o a uno specifico soggetto, bensì risulti semplicemente "inneggiante a comportamenti discriminatori". Se ne ricava una precisa volontà del legislatore sportivo, intesa a contrastare qualsivoglia forma di razzismo o discriminazione, attraverso sanzioni che vogliono avere peraltro anche una funzione didattica e pedagogica - non solo strettamente punitiva - in linea con la previsione del citato art. 2, comma 5, Statuto Figc, richiamato anche dall'art. 4 C.G.S. Nella specie, il Collegio ritiene che la sanzione di 10 giornate di squalifica possa ritenersi adeguata a fronte delle parole discriminatorie pronunciate dal calciatore … verso il calciatore avversario (ma lo stesso varrebbe anche se si trattasse di un compagno di squadra). Appellare, infatti, un calciatore di incarnato scuro (sia esso un avversario o un compagno) con l’espressione “Bravo negro”, accompagnata dall’espressione “vattene via”, indipendentemente da ogni altra considerazione circa la sua provenienza, merita l'inflizione della squalifica, peraltro nella misura edittale minima, prevista dal legislatore federale per le condotte discriminatorie.
Decisione C.S.A. – Sezione III: DECISIONE N. 090/CSA del 21 Dicembre 2022 (Motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Dilettanti – Dipartimento Interregionale, di cui al Com. Uff. n. 28 del 22.11.2022
Impugnazione – istanza: - A.S.D. Fanfulla
Massima: Confermata la squalifica per 10 gare inflitta al calciatore “per avere rivolto espressioni ingiuriose, nonché costituenti discriminazione per ragioni di razza e nazionalità. Sanzione così determinata a norma dell’art. 28 C.G.S.”.
Decisione C.S.A. – Sezione II: DECISIONE N. 161/CSA del 7 Febbraio 2022 (Motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del Giudice Sportivo della Lega Italiana Calcio Professionistico di cui al Com. Uff. n. 173/DIV del 25.01.2022;
Impugnazione – istanza: - Proposto dal sig. F.P.C.
Massima: Confermata la squalifica per 10 giornate effettive di gara al calciatore “per avere, al 46°minuto del secondo tempo, tenuto un comportamento discriminatorio nei confronti di un calciatore avversario proferendo nei confronti del predetto un epiteto ingiurioso comportante offesa per motivi di razza. Misura e irrogazione della sanzione in applicazione dell'art. 28 C.G.S. valutate le modalità complessive della condotta (supplemento arbitrale).”….Al proposito, giova premettere che il tema della prevenzione e repressione dei comportamenti discriminatori nello sport e, per quanto più specificamente riguarda l’art. 28 del Codice di Giustizia Sportiva, nel contesto delle competizioni calcistiche ha assunto, ormai da alcuni anni, una rilevanza centrale nell’ordinamento di settore, in forza della progressiva consapevolezza che l’affermazione dei principi che presiedono all’attività sportiva non possa essere disgiunta dalla normalizzazione di condotte, ispirate ad una funzione di vero e proprio incivilimento, a giusto titolo richieste ai diretti protagonisti di tale attività, in primis ai calciatori, per perseguire un efficace contrasto al fenomeno della violenza negli stadi e, nel contempo, garantire la serena partecipazione del pubblico, complemento naturale ed essenziale di ogni evento. Non a caso, lo Statuto delle Federazione prevede che “la FIGC promuove l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza” (art. 2, comma 5): una disposizione che evidenzia una finalità di ordine programmatico, ma che oggi sembra aver trovato proprio nell’art. 28 C.G.S. una compiuta realizzazione. Con palese intento di chiarificazione, espressione della naturale tensione dell’ordinamento dello sport – quale ordinamento di settore – a delimitare i confini applicativi della propria disciplina, il legislatore federale ha definito come comportamento discriminatorio “ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, condizione personale o sociale, ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori” (comma 1). L’art. 28 C.G.S. conferma l’avvenuto recupero di una tradizione giuridica di antica matrice, quella, cioè, propugnata dalla dottrina penalistica che ha individuato nella dignità umana il bene giuridico protetto; non è affatto sorprendente, pertanto, che anche alla disciplina delle competizioni calcistiche il legislatore federale abbia voluto imprimere un regime di doppia tutela, vale a dire: a) in funzione preventiva, prevedendosi, al comma 6 del predetto articolo, che prima dell’inizio della gara la società ospitante avverta il pubblico “delle sanzioni previste a carico della stessa società in conseguenza a comportamenti discriminatori posti in essere da parte dei sostenitori”, costituite dall’ammenda ai sensi dell’art. 8, comma 1 del Codice di giustizia sportiva; b) in funzione repressiva di comportamenti che, in quanto discriminatori, determinino una compromissione della personalità dell’uomo come singolo e come soggetto di comunità, in entrambi i casi ledendosi un patrimonio di valori fondamentali per motivi di “razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, condizione personale o sociale” o – alla stregua di una valutazione, certo più sofisticata ma, comunque, pienamente equiparata sul piano delle conseguenze sanzionatorie – per condotte che siano in grado di concorrere al dilagare di una cultura contraria al bene protetto sotto forma di “propaganda ideologica”. Passando all’analisi delle condotte descritte dall’art. 28 C.G.S., il legislatore federale ha posto le definizioni di “offesa, denigrazione o insulto”. Il riferimento all’offesa presenta caratteri peculiari e, dunque, di estremo interesse in relazione alla considerazione della sua rilevanza oggettiva; si vuol dire, cioè, che l’art. 28 C.G.S. ha inteso concepire in termini di assolutezza l’idoneità discriminatoria del comportamento ai fini della configurazione dell’illecito, disancorandone l’entità dalla percezione soggettiva che, necessariamente o meno, possa averne avuto la persona o il gruppo leso dalla condotta. Piuttosto, è sufficiente ad integrare l’illecito la manifesta sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie descritta nella norma e, sulla base di un nesso causale, la verificazione dell’effetto discriminatorio prodottosi direttamente o indirettamente, quindi anche sfuggendo dalla sfera intenzionale o di controllo del soggetto o del gruppo agente. Il richiamo alla denigrazione è, invece, da collegare alla lesione della reputazione, dell’onore e del decoro del soggetto passivo del comportamento discriminatorio, ma, anche in questo caso, in una prospettiva oggettivizzata, vale a dire non secondo uno stato emotivo o un sentimento individuale, indipendente dal mondo esteriore: sicché deve verificarsi se l’aggressione al bene protetto sia stata rivolta al senso di dignità che un singolo o una comunità ha consolidato nell’opinione comune. Da ultimo, il riferimento all’insulto allude alle modalità di espressione dell’azione discriminatoria, venendo in rilievo, a tal riguardo, l’uso di espressioni ingiuriose (anche nella forma dell’antifrasi) o il porre in essere atti di spregio volgare, come ad esempio nel caso di “cori, grida e ogni altra manifestazione che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione”, come è possibile ricavare – sia pure in via di interpretazione implicita – dalla formulazione espressa al comma 4. Dall’esame della disciplina trasfusa nell’art. 28 C.G.S. si evince, allora, che oltre alla necessaria esistenza di una condotta materiale qualificata e tipica sia, altresì, necessaria l’oggettivizzazione data da una percezione certa e diffusa dell’espressione discriminatoria. Alla luce delle superiori considerazioni, questa Corte ritiene che la sanzione di dieci giornate di squalifica, comminata al sig. Cusumano dal Giudice Sportivo, sia del tutto proporzionata alla gravità del comportamento discriminatorio tenuto dallo stesso all’indirizzo del calciatore avversario. Appellare, infatti, con l’espressione “zingaro di m…..” un proprio avversario merita, all’evidenza, la comminazione della sanzione, peraltro minima, prevista dal legislatore federale per le condotte discriminatorie.