CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE QUINTA – SENTENZA DEL 29/05/2023 N. 5241

Pubblicato il 29/05/2023

N. 05241/2023REG.PROV.COLL.

N. 07444/2022 REG.RIC.

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7444 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Lubrano e Filippo Lubrano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Enrico Lubrano in Roma, via Flaminia n. 79;

contro

Nado Italia Antidoping, Procura Nazionale Antidoping presso Nado Italia Antidoping, non costituiti in giudizio; C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Angeletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 11169/2022, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C.O.N.I.;

Viste le memorie delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. Annamaria Fasano e udito per le parti l’avvocato Angeletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Il dott. -OMISSIS-, medico specializzato in Medicina dello Sport, proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, chiedendo, previo accertamento del carattere illegittimo delle condotte tenute dalla Procura Nazionale Antidoping, la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni arrecati a seguito delle comunicazioni effettuate dal Procuratore Nazionale Antidoping alle strutture Serafini ed Alliance, e delle conseguenti determinazioni assunte da queste ultime strutture, che avevano causato la sospensione professionale dell’attività del ricorrente.

L’istanza cautelare proposta dal ricorrente, con cui chiedeva al Tribunale adito di inibire alla Procura Nazionale Antidoping ogni ulteriore attività di invio di comunicazioni a terzi veniva respinta. L’ordinanza cautelare di rigetto veniva appellata dinanzi a questa Sezione che, con ordinanza n. 1564 del 8 aprile 2022, disponeva, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., la sollecita fissazione dell’udienza per la trattazione del merito del ricorso.

2. La Procura Nazionale Antidoping si era determinata ad effettuare le contestate comunicazioni, in quanto, a seguito di indagini avviate per il decesso di un giovane ciclista, si era proceduto nei confronti del dott. -OMISSIS- per la violazione degli artt. 2.7, 2.8, 2.9 e 3.2 delle Norme Sportive Antidoping.

L’assunto accusatorio era finalizzato a dimostrare il coinvolgimento del medico nelle pratiche dopanti compiute dai componenti di una squadra ciclistica e da altri ciclisti dilettanti.

A conclusione del giudizio dinanzi al Tribunale Nazionale Antidoping, veniva accertata la responsabilità del dott. -OMISSIS-, per le violazioni di cui agli artt. 2.9 e 3.2 delle Norme Sportive Antidoping, in particolare ritenendolo responsabile di aver fornito assistenza ad atleti, in violazione della normativa di settore antidoping.

Il Tribunale Nazionale Antidoping, pertanto, con decisione n. -OMISSIS- del 2019, infliggeva al ricorrente la sanzione dell’inibizione per anni 4, a decorrere dal 14.1.2021, con scadenza al 13.1.2025.

La condanna passava in cosa giudicata all’esito della successiva decisione di conferma n. -OMISSIS- da parte della Corte Nazionale d’Appello Antidoping.

Successivamente la Procura Nazionale Antidoping riceveva una comunicazione dalla Federazione Ciclistica Italiana, con la quale si segnalava che il ricorrente, nonostante la suddetta condanna passata in giudicato, continuava a rilasciare certificati di idoneità sportiva a favore di vari atleti.

Pertanto, veniva delegata attività investigativa finalizzata a riscontrare la fondatezza di tale segnalazione, all’esito della quale, si accertava che effettivamente il dott. -OMISSIS- continuava, nonostante la condanna definitiva, a rilasciare certificati di idoneità sportiva.

La Procura Nazionale Antidoping contestava a -OMISSIS- la violazione dell’art. 11.14 del Codice Sportivo Antidoping, per aver svolto attività vietata in costanza di inibizione. La contestazione veniva integrata a seguito della ricezione di una ulteriore segnalazione inviata, in data 8.10.2021, dai NAS di Livorno ed inerente agli accertamenti eseguiti presso le strutture sanitarie Andrea Vesalio e Serafini Sport lab s.r.l., e ai successivi riscontri effettuati presso altre associazioni sportive, mediante l’audizione a campione di alcuni atleti.

Dagli ulteriori accertamenti emergeva che il dott. -OMISSIS-, in costanza di inibizione, continuava a rilasciare agli atleti certificati di idoneità sportiva agonistica, pertanto, il Procuratore Nazionale Antidoping provvedeva ad informare le strutture sanitarie presso le quali il ricorrente lavorava del fatto che il -OMISSIS-, a seguito dell’inibizione inflittagli dalla giustizia antidoping, non poteva intrattenere rapporti professionali con atleti tesserati presso Federazioni e Discipline Sportive Associate. La Procura provvedeva ad effettuare la medesima segnalazione anche nei confronti dei tesserati che avevano ottenuto certificati di idoneità sportiva agonistica dal ricorrente.

Le missive del Procuratore Nazionale Antidoping evidenziavano anche le gravi conseguenze che, sotto il profilo della normativa di settore antidoping, le strutture sanitarie e gli atleti tesserati, avrebbero potuto subire, nel caso in cui avessero continuato ad avvalersi del ricorrente ai fini del rilascio di certificati di idoneità sportiva da utilizzare nell’ambito delle competizioni sportive agonistiche.

3. Il dott. -OMISSIS-, impugnando le suddette missive, denunciava che, a causa dell’attività informativa della Procura Nazionale Antidoping, dal contenuto minatorio ed effettuata al di fuori del perimetro delle proprie competenze, ne era derivato sotto il profilo causale un pregiudizio alla propria attività professionale, in quanto le strutture sanitarie avevano deciso di interrompere qualsiasi rapporto, con rilevanti danni di natura patrimoniale e non patrimoniale. Con riferimento a quest’ultima categoria di danno, il ricorrente allegava una perizia medica attestante il pregiudizio non patrimoniale subito.

4. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza n. 11169 del 2022, respingeva il ricorso, ritenendo l’infondatezza delle censure. Il Collegio di prima istanza, richiamando l’art. 11.14 e l’art. 2 del Codice Sportivo Antidoping, secondo una interpretazione non solo meramente letterale, individuava il medico sportivo che rilascia certificati come ‘la persona di supporto dell’atleta professionista’, evidenziando come ‘anche sotto il profilo della interpretazione letterale, non appare implausibile ritenere che, con la locuzione associazione tra un atleta e una persona a suo supporto, si intenda il rapporto professionale tra medico ed atleta in virtù del quale il primo sottoponga il secondo a pratiche mediche ovvero nel corso del quale gli fornisca assistenza al fine di consentirne la partecipazione ad una competizione’. Il Tribunale rammentava, inoltre, la rilevanza di quanto stabiliva l’art. 2 del Codice Mondiale Antidoping, applicabile al caso di specie in ragione del notorio carattere piramidale che contrassegnava l’ordinamento sportivo, e l’art. 22 delle norme sportive antidoping che consentiva alla Procura Nazionale Antidoping di porre in essere tutte le più opportune attività di indagine, nel rispetto dei principi di equità, integrità e imparzialità, volte a prevenire ed accertare violazioni della normativa antidoping, tra cui era previsto anche alla lett. c) il coinvolgimento del personale di supporto dell’atleta o di altre persone nell’ambito di una violazione della normativa antidoping. Il Collegio di primo grado evidenziava che proprio nel quadro di tali ampi poteri di indagine preventiva si inscriveva il potere di segnalare a strutture e atleti, che si avvalevano del supporto di medici destinatari di una sanzione interdittiva, i rischi cui potevano andare incontro sotto il versante delle sanzioni dell’ordinamento sportivo o comunque sotto il profilo della validità dei certificati medici rilasciati.

5. -OMISSIS- ha proposto appello avverso la suddetta pronuncia, chiedendone l’integrale riforma, e denunciando testualmente, in sintesi: “I. Profili sostanziali. Illegittimità della condotta della Procura Nazionale Antidoping di inibire ad un cittadino italiano (esterno all’ordinamento sportivo) il proprio diritto al lavoro ed all’esercizio della propria attività di libero professionista come medico sportivo (attività esterna all’ordinamento sportivo). Illegittimità della sentenza impugnata, che ha ‘giustificato’ la condotta della Procura Nazionale Antidoping, riprendendo testualmente ed integralmente (con mero ‘copia ed incolla’ di dieci pagine) la propria precedente ordinanza cautelare n. 585/2022 (sottoscritta dal medesimo relatore), nonostante la stessa fosse stata riformata con ordinanza del Consiglio di Stato n. 1564/2022, in palese violazione di quanto indicato dal Consiglio di Stato: 1. Primo profilo: valutazione dell’art. 11.14. CSA; 2. Secondo profilo: valutazione dell’art. 2 CSA; 3. Terzo profilo: carattere primario, a livello costituzionale, del diritto al lavoro ed all’esercizio dell’attività professionale (artt. 1 e 4 Cost.): illegittimità di ogni eventuale preclusione/limitazione al diritto al lavoro e al diritto al libero esercizio della professione di medico sportivo in tutti i suoi aspetti (compreso rilascio di certificati di idoneità agonistica) da parte di Autorità dell’ordinamento sportivo, essendo tale diritto limitabile esclusivamente dalle Autorità dell’ordinamento statale e dall’ordinamento professionale competente (Ordine dei Medici); 4. Quarto profilo: incompetenza della Procura Antidoping (possibilità di segnalare fatti rilevanti esclusivamente alla WADA, ai sensi dell’art. 2.10.3. del Codice Mondiale). II. Profili risarcitori. La sentenza impugnata ha ‘liquidato’ la questione del risarcimento dei danni, dicendo semplicemente che sarebbe mancato il presupposto della illegittimità della condotta della PNA e, quindi, l’ingiustizia del danno ed il nesso causale. 3. Profili cautelari: gravità ed irreparabilità del danno (continuato) alla preclusione allo svolgimento del diritto al lavoro da parte del ricorrente.

6. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano si è costituito in resistenza, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità dell’appello.

7. Con ordinanza cautelare n. 5045 del 2022, questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, presentata in via incidentale dalla parte appellante.

8. Con ordinanza n. 5947 del 2022, questa Sezione ha, altresì, respinto l’istanza di nuova valutazione della richiesta cautelare proposta dall’appellante, con cui è stato contestualmente richiesto il rinvio dell’incidente cautelare per l’assegnazione della trattazione del ricorso ad altro Presidente e relatore.

9. In data 24.3.2023, i difensori dell’appellante hanno depositato un’istanza di rinvio per la trattazione della causa all’udienza del 30 marzo 2023, assumendo di essere nell’impossibilità di essere presenti all’udienza ‘per sopravvenuto impegno familiare che coinvolge ambedue i professionisti’, e che, data la delicatezza della questione, non sarebbe stato possibile delegare ad altro avvocato la trattazione del ricorso.

10. Con decreto del 24.3.2023, il Presidente ha dichiarato il non luogo a provvedere monocraticamente sull’istanza di rinvio “che viene rimessa all’esame del collegio in udienza”, precisando che: “a) ai sensi dell’art. 73, c.1-bis c.p.a. il rinvio è consentito solo in casi eccezionali, che debbono essere documentati dalla parte e di cui si deve dare motivatamente conto nel provvedimento di rinvio; b) non rientra nella disponibilità delle parti la scelta della data della udienza ad quem, che deve essere individuata in applicazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, secondo gli atti attuativi che declinano tale principio e segnatamente i criteri fissati dall’Organo di autogoverno e il decreto presidenziale n. 4/2023 (recante i criteri, per l’anno 2023, di assegnazione dei ricorsi a udienza e a relatore), in base ai quali i rinvii da udienza cautelare a udienza di merito e da udienza di merito a altra udienza di merito vanno disposti a udienza in cui sia garantita la presenza, se non del medesimo collegio, quanto meno del medesimo presidente e del medesimo relatore”.

11. In data 28.3.2023, i difensori dell’appellante hanno reiterato la richiesta di rinvio, assumendo che l’avvocato Angeletti, difensore del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, con atto in data 27 marzo 2023, ha aderito all’istanza di rinvio “peraltro richiedendo che il rinvio avvenga con riapertura dei termini e manifestando la propria impossibilità per la data del 4 aprile 2023”, concludendo con la richiesta di trattazione del ricorso all’udienza del 13 aprile 2023.

12. All’udienza pubblica del 30 marzo 2023, la causa è stata assunta in decisione.

13. Con istanza del 18.4.2023, i difensori dell’appellante hanno formulato istanza di trattazione del ricorso ad altra udienza, alla luce del decreto n. 337/2023 relativo alla precedente istanza, assunto dal Presidente della Sezione in data 24 marzo 2023, dichiarando di averne avuto casuale notizia sul sito, per mancata comunicazione a mezzo PEC ai sensi dell’art. 2 dell’Allegato n. 2 del c.p.a. Nella predetta istanza, si deduce che la mancata comunicazione a mezzo PEC del richiamato Decreto Presidenziale avrebbe assunto una rilevanza sostanziale e non meramente formale, in quanto la conoscenza dello stesso avrebbe consentito ai predetti avvocati di specificare le ragioni eccezionali della richiesta di rinvio, precisando testualmente “che, pertanto, i richiamati Avvocati manifestano ora, in maniera specifica e dettagliata, le ragioni di eccezionalità della loro richiesta di rinvio dell’udienza, dovuta al decesso di un comune congiunto, specificamente il dott. -OMISSIS-, deceduto in data 23 marzo 2023; che, alla luce della situazione di fatto sopra evidenziata, l’eventuale ulteriore diniego del rinvio dell’udienza avrebbe un carattere rilevante nei rapporti Magistratura- Avvocatura, essendo lo stesso assimilabile all’attuale caso mediatico di cronaca giudiziaria: a tale proposito, i predetti Avvocati si riservano ogni iniziativa di tutele dell’Avvocatura in generale e dell’Avvocatura amministrativa in particolare”.

14. Il Collegio, ai fini dell’esame della predetta istanza di rinvio depositata in data 18 aprile 2023, ha disposto una riconvocazione della camera di consiglio per il giorno 11 maggio 2023, all’esito della quale, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

15. Lo scrutinio dell’istanza di rinvio depositata in data 18 aprile 2023, unitamente alle altre istanze di trattazione differita della controversia, rappresenta una questione preliminare.

15.1. Va puntualizzato che con l’ultima istanza di rinvio, depositata 18 giorni dopo la celebrazione dell’udienza fissata per la trattazione del merito del ricorso (30 marzo 2023), i difensori del ricorrente hanno dichiarato di avere appreso ‘per caso’ il contenuto del Decreto Presidenziale del 24 marzo 2023 n. 337, che ha disposto il ‘non luogo a provvedere monocraticamente sull’istanza di rinvio, che viene rimessa all’esame del Collegio in udienza’. Gli avvocati Enrico Luprano e Filippo Luprano hanno dedotto che nell’istanza del 24 marzo 2023 si era fatto riferimento a ‘impegno familiare’, avente chiaramente carattere eccezionale, riguardante la morte di un comune congiunto, il dott. -OMISSIS-, deceduto in data 23 marzo 2023, e che non si era proceduto a specificare le ragioni del rinvio, né a depositare particolare documentazione, ‘stante la dovuta attendibilità di una dichiarazione di due Avvocati nei normali rapporti con la magistratura’. Tali motivi, hanno argomentato i suddetti difensori, sarebbero stati comunque adeguatamente illustrati ed eventualmente documentati prima dell’udienza del 30 marzo 2023, laddove, da parte della Sezione, fosse stata inviata la PEC contenente il richiamato Decreto Presidenziale. L’omessa comunicazione del Decreto Presidenziale a mezzo PEC risulterebbe in violazione dell’art. 2, comma 1, lett. d) dell’Allegato n. 2 al c.p.a., dell’art. 2, comma 3, dell’Allegato n. 2 al c.p.a., dell’art. 2, comma 6, dell’Allegato n. 2 al c.p.a..

15.2. Questa Sezione evidenzia preliminarmente che i difensori dell’appellante non hanno allegato, neppure al momento del deposito dell’istanza di rinvio del 18.4.2023, alcuna documentazione attestante il decesso del dott. -OMISSIS-, né hanno provato il rapporto di parentela che hanno assunto intercorrere con il de cuius, ciò al fine di documentare l’eccezionalità della ragione a supporto della richiesta di rinvio.

15.3. Nell’ordinamento processuale vigente non esiste una norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge.

L’art. 73, comma 1 bis c.p.a. dispone che ‘il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza’ (…).

Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell’udienza. Ciò in quanto, spetta alle parti la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzioni di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le stesse non hanno anche la disponibilità dell’organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l’esercizio del diritto di difesa.

Tenuto conto del chiaro tenore dell’art. 73, comma 1 bis c.p.a., le situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee ad incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici in esso coinvolti.

15.4. Nella specie, le istanze di rinvio depositate prima dell’udienza del 30 marzo 2023, fissata per la discussione del merito del ricorso, non recano alcuna motivazione, facendo riferimento a un ‘non meglio precisato impegno familiare’, non allegato e non documentato, tanto da non integrare, in alcun modo, stante l’estrema genericità, una ragione eccezionale di rinvio.

Né può essere predicato che l’eventuale notifica a mezzo PEC del Decreto Presidenziale del 24 marzo 2023 (conoscibile secondo l’ordinaria diligenza in quanto pubblicato sul sito lo stesso giorno 24 marzo e quindi ben prima che la parte vi accedesse ancora in data 28 marzo per depositare una ulteriore istanza), avrebbe in qualche modo consentito all’appellante di ottemperare all’udienza del 30 marzo 2023 all’obbligo di motivazione della richiesta di rinvio imposto dalla legge, tenuto conto che, per espressa dichiarazione dei difensori istanti, non sarebbe stato consentito agli stessi non solo presenziare all’udienza del 30 marzo 2023, ma addirittura provvedere ad una sostituzione, anche al solo fine di illustrare al Collegio, come era invece processualmente doveroso, le ragioni ‘eccezionali’ della richiesta di differimento dell’udienza.

L’ordinaria diligenza professionale avrebbe imposto ai predetti difensori di esplicitare prima dell’udienza di discussione le ragioni ‘eccezionali’ poste a fondamento del rinvio, non limitandosi ad una semplice di dichiarazione di impedimento a presenziare in udienza per un non meglio specificato ‘impegno familiare’.

15.5. Gli avvocati Lubrano omettono di tenere conto del contenuto dell’art. 73 comma 1 bis c.p.a. il quale, a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 9 giugno 2021, n. 80, conv. in legge 6 agosto 2021, n. 113, consente, come si è detto, il rinvio solo in casi eccezionali. La novità si inserisce nel più ampio contesto di riforma del processo amministrativo volto a contrastare la formazione di nuovo arretrato nella giustizia amministrativa che incide, a sua volta, sul grado di efficienza e di affidabilità dell’intero sistema economico nazionale, chiamato peraltro a fronteggiare le nuove sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilenza (P.N.R.R.).

Con la disposizione in esame il legislatore ha, in generale, ritenuto prevalente l’interesse pubblico alla celerità della decisione, in coerenza con il principio della ragionevole durata del processo, rispetto a quello, particolare ed eccezionale, di protrazione della trattazione della causa.

Ne consegue che, in disparte la necessità o meno della notifica a mezzo PEC del Decreto Presidenziale del 24 marzo 2023 (con cui si è semplicemente dichiarato il ‘non luogo a provvedere’ sull’istanza di rinvio), non sussisteva e non sussiste, neppure con riferimento all’istanza depositata in data 18 aprile 2023, il diritto della parte al rinvio della discussione della causa, stante il chiaro deficit motivazionale dell’istanza, non supportata in alcun modo sotto il profilo probatorio, ciò anche al fine di consentire al Giudice di valutarne la fondatezza, dovendosi evidenziare che, nella specie, avrebbe avuto eventuale rilievo in termini di ‘opportunità’ il rinvio della discussione del ricorso in caso di decesso di un congiunto (laddove fosse stato provato) e non in termini di obbligo imposto dalla legge, potendo, comunque, il difensore provvedere alla nomina di un sostituto in delega.

Difatti, è principio consolidato quello secondo cui l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore deve fare riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita a un collega, venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore (Cass. civ. 28 gennaio 2021, n. 1783), non rilevante ai fini del differimento dell’udienza (Cass. Sez. Unite, 26 marzo 2012, n. 4773). Tale impossibilità di sostituzione, nel caso in esame, non è stata adeguatamente allegata, limitandosi a sostenere la ‘delicatezza’ della vicenda processuale, e neppure provata, dovendosi rammentare che la sostituzione mediante delega conferita ad un collega è una facoltà generalmente consentita dall’art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1993, 1578.

La giurisprudenza ha chiarito che carenza organizzativa del difensore incaricato non consente la concessione del differimento dell’udienza fissata, di modo che è del tutto legittima la sentenza pronunciata a seguito del diniego del provvedimento di rinvio (Cass. n. 25783 del 2018). Ciò anche laddove la parte sia rappresentata all’udienza di discussione da altro difensore, che sostituisca il dominus impedito a presenziarvi e che si limiti a richiedere il differimento per grave impedimento dipendente da concomitante impegno professionale (o come nella specie, un impegno familiare) del medesimo dominus, impegno di cui il difensore presente in sostituzione non provi l’esistenza e l’anteriorità rispetto alla controversia da discutere, così precludendo di ricondurre l’istanza di rinvio a legittima causa e non a mera strategia difensiva.

Si è, in più occasioni, affermato che non esiste in capo alle parti un diritto al rinvio della discussione, poiché il principio dispositivo deve essere calato nel sistema di giustizia amministrativa, dove l’esistenza di interessi pubblici, al cui assetto occorre dare certezza, impone, salvo situazioni oggettive tempestivamente allegate e provate (nella specie non ricorrenti), non ricomprendenti neppure l’esigenza di acquisire mezzi istruttori necessari per la migliore difesa in giudizio, che, una volta fissata (su istanza di chi promuove il giudizio), l’udienza di discussione del ricorso, essa si svolga nella data stabilita (Cons. Stato, n. 196 del 2016; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 14 maggio 2020, n. 672).

15.6. Nella fattispecie, non sussiste neppure un motivato impedimento personale del difensore a partecipare alla udienza di discussione dell’appello, idoneo ad imporre al giudice l’opportunità di disporre il rinvio.

Ove venissero accolte generiche e non motivate istanze di differimento rispetto a quelle tassativamente previste a tutela del diritto di difesa, rischierebbe di essere pregiudicato il diverso principio, parimenti di rango costituzionale, della ragionevole durata del processo (T.A.R. Toscana, sez. II, 12 marzo 2018, n. 369).

Invero, si è affermato, in giurisprudenza, che la richiesta di rinvio d’udienza presentata dal difensore in ragione della sua impossibilità a partecipare all’udienza deve essere esaminata con riferimento, oltre al principio del giusto processo, anche al principio della ragionevole durata e della leale collaborazione processuale, dovendosi considerare non solo le esigenze del difensore che chiede il rinvio, ma anche le esigenze organizzative generali del Tribunale e quelle delle altre parti.

In conclusione, non esiste in capo alle parti un diritto potestativo al rinvio della discussione ogni volta che il difensore si trovi nell’impossibilità di presenziare personalmente all’udienza per assolvere al proprio mandato, dovendosi valorizzare il dovere di cooperazione che impone l’obbligo al difensore, il quale sia nelle obiettive condizioni di non poter comparire, di porre in essere ogni attività, materiale o giuridica, necessaria e sufficiente a rendere ugualmente possibile la celebrazione del processo, anche attraverso, come si è detto, la sostituzione processuale.

Per altro verso, occorre evidenziare come la richiesta di rinvio in esame debba essere considerata alla luce della pregressa attività defensionale e, in particolare, dell’istanza del 16 dicembre 2022, con cui l’appellante ha espressamente richiesto l’assegnazione della trattazione del ricorso ad altro Collegio giudicante e del contenuto dell’istanza di cui si verte, con la quale non si è semplicemente evidenziata la propria indisponibilità ma si è ritenuto anche di indicare la data per la successiva trattazione, individuando udienze in cui era presente una diversa formazione del Collegio. Deve invece essere rimarcato come l’identità del Collegio, ed in particolare l’assegnazione della causa allo stesso relatore, rappresenti un elemento organizzativo rilevante per “la qualità, la tempestività e l’efficientamento della giustizia amministrativa” (così le delibere del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, ed in particolare quella del 18 gennaio 2013), ragioni che non possono dunque essere disattese in assenza di una ragione processualmente valida.

La condotta processuale della parte, come sopra sintetizzata, rende palese come l’attività posta in essere dai difensori dell’appellante abbia invece integrato un chiaro abuso del processo, a mezzo del quale, attraverso un atto formale lecito, si è inteso perseguire finalità estranee al suo scopo, e sia stata di carattere disfunzionale, rispetto alle evidenziate necessità di celerità del giudizio.

Da siffatti rilievi consegue il rigetto delle istanze di rinvio e, quindi, anche dell’ultima istanza depositata in data 18.4.2023.

16. Prima di passare al merito della controversia, va esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dal Comitato Olimpico Nazionale, con memoria di costituzione.

16.1. Al riguardo, va rilevato che il procedimento in esame attiene alla richiesta di risarcimento del danno proposta per asserita illegittimità dell’attività di informazione posta in essere dalla Procura Nazionale Antidoping; pertanto non è impedito al giudice amministrativo di valutare tale domanda risarcitoria per assunto comportamento illegittimo dell’Amministrazione, quale sarebbe il predetto invio di missive informative presso strutture sanitarie, come, peraltro, non pare esservi più alcun dubbio dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 49 dell’11 febbraio 2011, che espressamente fa riferimento ad altra pronuncia del Consiglio di Stato (sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5782), sia in ordine ai rapporti tra le varie giurisdizioni riguardo a fatti propri dell’ordinamento sportivo, sia in ordine alla giurisdizione specifica del giudice amministrativo in relazione alla domanda di risarcimento del danno su tali fatti (cfr. nella vigenza del Codice del Processo Amministrativo di cui al d.lgs. n. 104 del 2010, Cons. Stato 24 gennaio 2012, n. 302).

Ne consegue che va respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

16.2. Passando all’esame del merito della controversia, con il primo mezzo, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha legittimato la condotta tenuta dalla Procura Nazionale Antidoping, posto che tale attività inibitoria sarebbe stata posta in essere con riferimento all’art. 11.14. CSA, nella specie non applicabile. Il T.A.R. avrebbe del tutto omesso di procedere alla valutazione se nel caso in esame sia effettivamente applicabile l’art. 11.14. CSA, operando il richiamo ad un’altra disposizione, l’art. 2 CSA, del tutto estranea ed irrilevante nel presente giudizio. Secondo l’appellante, a parte l’estraneità alla fattispecie delle altre ipotesi considerate dall’art. 11.14. CSA (chiaramente le ‘competizioni’), l’attività di visita e rilascio attestazioni medico-sportive ad un singolo soggetto non può essere in alcun modo ricompresa nella partecipazione ad ‘attività’ organizzata da soggetti dell’ordinamento sportivo, come, peraltro, rilevato chiaramente anche dai NAS dei Carabinieri nella nota in data 8 ottobre 2021. Al contrario, quello che sarebbe precluso al -OMISSIS- sarebbe esclusivamente lo svolgimento delle funzioni di medico- sportive presso una società o altro soggetto affiliato ad un Firmatario del Codice WADA, in quanto in questo modo soltanto parteciperebbe ad attività autorizzate o organizzate nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

In tal senso depone, secondo l’esponente, l’interpretazione letterale, logica e teleologica e sistematica della suddetta disposizione, con la conseguenza che, non sussistendo, nella fattispecie, gli estremi per l’applicazione dell’art. 11.14. CSA, la pronuncia conseguente dovrà essere senz’altro nel senso di accertamento della illegittimità del comportamento tenuto dal Procuratore Nazionale Antidoping, senza necessità di procedere alla valutazione del profilo attinente l’art. 2 CSA.

16.3. Con il secondo mezzo, si denuncia l’assoluta inconferenza ed irrilevanza dell’art. 2 CSA, tanto da non essere stato neanche richiamato come contestazione posta in essere dalla Procura Nazionale Antidoping nell’ambito del giudizio disciplinare in corso. Il ricorrente lamenta, dal punto di vista sostanziale, la palese erroneità dell’interpretazione del richiamato art. 2 CSA come preclusione ad esercitare la libera attività professionale di medico sportivo comprensiva del rilascio di certificati di idoneità per l’attività agonistica. Nella specie, non risulterebbe alcuna violazione dell’art. 2 CSA in quanto il -OMISSIS- non avrebbe posto in essere alcuna attività di ‘associazione’ o di ‘cure e prescrizioni’ per i soggetti destinatari della propria attività di medico sportivo, rilasciando il certificato medico per attività agonistica. L’attività dell’appellante consisterebbe, al contrario, nella certificazione della idoneità agonistica degli atleti dilettanti, e non degli sportivi professionisti.

Inoltre, la tesi prospettata dal T.A.R. sarebbe erronea, in quanto i giudici di primo grado avrebbero escluso che la locuzione ‘associazione’ di un atleta a persona di supporto comporti la necessaria partecipazione di almeno tre soggetti, ritenendo che il termine possa avere diverso significato quale ‘compagno, alleato’ o indicare ‘un’unione o un’aggregazione, o un’alleanza’, affermando anche che ‘non appare implausibile ritenere che, con la locuzione associazione tra un atleta o una persona a suo supporto si intenda il rapporto professionale tra medico ed atleta in virtù del quale il primo sottoponga il secondo a pratiche mediche ovvero nel corso del quale gli fornisca assistenza al fine di consentire al partecipazione ad una competizione’.

Secondo il ricorrente, le stesse espressioni usate nella sentenza appellata dimostrerebbero l’erroneità dell’assunto, tenuto conto che il termine ‘associazione’ indica un rapporto stabile, continuativo e duraturo tra due persone, mentre il termine ‘contatto’ tra atleta e medico, al solo fine del rilascio del certificato di idoneità fisica all’attività agonistica, è puramente casuale e limitato nel tempo. Inoltre, sarebbe da escludere che la norma possa estendersi anche al divieto di rilascio di certificati medici, posto che l’art. 2 CSA precluderebbe esclusivamente rapporti stabili e duraturi.

16.4. Con la terza doglianza, si evidenzia un altro profilo di censura della decisione impugnata, che si assume di carattere primario a livello costituzionale (art. 1 e 4 Cost.), lamentando l’illegittimità di ogni eventuale preclusione/limitazione al diritto al lavoro e al diritto al libero esercizio della professione di medico sportivo in tutti i suoi aspetti (compreso rilascio di certificati di idoneità agonistica) da parte di Autorità dell’ordinamento sportivo, essendo tale diritto limitabile esclusivamente dalle Autorità dell’ordinamento statale e dall’ordinamento professionale competente. L’appellante eccepisce che l’attività del sanitario inibito può essere svolta solo in relazione alla propria specializzazione in Medicina dello Sport, sicchè non potendo il professionista svolgere una differente specializzazione, né avviarsi a praticare la professione di c.d. ‘medico di base’, che richiederebbe un reinventarsi l’attività lavorativa, non sarebbe corretta l’argomentazione della sentenza impugnata la quale limita la preclusione in ragione della condanna subita solo all’esercizio di ‘un segmento della più ampia attività di medico sportivo’ .

16.5. Con la quarta censura, si denuncia l’incompetenza della Procura Antidoping, atteso che la possibilità di segnalare fatti rilevanti competerebbe esclusivamente alla WADA, ai sensi dell’art. 2.10.3 del Codice Mondiale. Lo stesso art. 22 delle NSA, richiamato nella sentenza impugnata, confermerebbe come i poteri di indagine della Procura siano comunque funzionali all’esercizio delle proprie prerogative inquirenti, ovvero concludere il procedimento con il ‘deferimento’ o con l’archiviazione.

16.6. Con il quinto mezzo, l’appellante illustra la domanda di risarcimento del danno, già proposta in primo grado e, quindi, l’ingiustizia del pregiudizio, il nesso causale e il profilo psicologico. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’esponente sostiene che la responsabilità civile della Pubblica Amministrazione deve intendersi oggettiva, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, per i quali la prova dell’elemento psicologico non è più richiesta ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno, in quanto esso è insito in re ipsa nella illiceità della condotta. In via subordinata, la giurisprudenza nazionale, secondo il ricorrente, avrebbe ritenuto di configurare la accertata illegittimità della condotta da parte dell’Amministrazione quanto meno come indice presuntivo della colpa, salvo prova contraria dell’errore scusabile da parte dell’Amministrazione, nella specie non sussistente. Nella specie, sarebbe comunque ravvisabile una responsabilità dell’Amministrazione per colpa, stante la grave violazione dei più basilari principi di diligenza e di buona fede da parte della Procura Antidoping. Con riferimento alla quantificazione del danno, il ricorrente domanda il risarcimento del danno patrimoniale diretto, derivato dalla risoluzione dei rapporti con le strutture sanitarie Serafini e Alliance che, allo stato attuale, avrebbe determinato un’interruzione dell’attività professionale per un totale di euro 180.000,00, a cui si aggiungerebbe il danno di immagine e il danno esistenziale.

17. I suddetti motivi, in quanto inerenti alla medesima questione e tra loro logicamente connessi, vanno trattati congiuntamente.

18. Le critiche sono infondate.

L’esame della questione impone il corretto inquadramento della vicenda processuale.

Oggetto della controversia è l’invio da parte della Procura Nazionale Antidoping di due lettere, indirizzate alle strutture sanitarie Serafini e Alliance presso cui il dott. -OMISSIS- presta attività lavorativa, con le quali viene comunicata la posizione del professionista in relazione alla sanzione dell’inibizione inflittagli (con decisione passata in giudicato resa a seguito di un’indagine conseguente al decesso di un giovane ciclista) dal Tribunale Nazionale Antidoping, e confermata dalla Corte d’Appello Nazionale.

Con le suddette missive, il Procuratore Nazionale Antidoping ha informato le strutture sanitarie interessate del fatto che il -OMISSIS- versava in una situazione di inibizione, con conseguente divieto di intrattenere rapporti per ragioni sportive con atleti tesserati con Federazioni e Discipline Sportive Associate, evidenziando la necessità di rendere edotti questi ultimi del divieto di servizi dell’attività professionale del suddetto medico sportivo, investito da una inibitoria, in quanto ciò avrebbe comportato una violazione della normativa antidoping.

Il contenzioso, pertanto, non attiene al nuovo procedimento disciplinare avviato dalla Procura Nazionale Antidoping a seguito delle segnalazioni ricevute in ordine all’attività svolta dal ricorrente in costanza di inibizione, che era in corso al momento della proposizione dell’appello, e nelle more è stato definito con la decisione n. 50 del 2022.

Dalle emergenze processuali si evince che il -OMISSIS- è stato sanzionato dal Tribunale Nazionale Antidoping, con decisione n. -OMISSIS-/19 del -OMISSIS-, per le violazioni di cui agli artt. 2.9 e 3.2 NSA (in particolare, per la complicità nella violazione della normativa antidoping e mancata denunzia di violazioni antidoping da parte di soggetto tesserato nonché per la consulenza ed assistenza prestata a ciclisti nell’assunzione di sostanze dopanti vietate dalla lista WADA e all’omessa denunzia, quale tesserato FMSI e FCI, di circostanze concernenti l’assunzione di sostanze vietate da parte di atleti tesserati), a seguito dell’inchiesta penale condotta dall’Autorità giudiziaria di Lucca in conseguenza della morte per doping di un ciclista minorenne; le condotte sanzionate, poste in essere nell’anno 2017, furono commesse quando il -OMISSIS- era tesserato nella qualità di medico specialista dello sport, in favore di atleti tesserati, soggetti anch’essi alla normativa antidoping WADA, “circostanza anche ricavabile dalle stesse dichiarazioni del -OMISSIS- rese in sede nell’audizione del 17 novembre 2021, allorquando egli specificava che, a seguito delle varie procedure sanzionatorie a suo carico (procedimento penale; procedimento della Federazione Medici Sportivi, finito con la sua destituzione; procedimento per violazione antidoping, conclusosi con le 2 pronunzie allegate) aveva deciso di cessare dal tesseramento in atto e di non rinnovarlo più…” (cfr. sentenza TNA n. 50 del 2022).

Il Tribunale Nazionale Antidoping, con la decisione n. 50 del 2022, pronunciata, come si è detto, in relazione al deferimento del ricorrente a seguito della violazione della sanzione dell’inibizione già inflittagli con la precedente decisione del medesimo Tribunale Nazionale Antidoping, e con riferimento ai medesimi fatti che hanno indotto la Procura Nazionale all’invio delle contestate informative, ha affermato che la sanzione dell’inibizione comporta che “allo stesso è stata preclusa – in vigenza di sanzione – la possibilità di proseguire nell’esercizio delle medesime attività, coinvolgenti ambiti e persone riferibili al CONI, alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate o agli Enti di promozione Sportive.”.

Ne deriva, per come chiaramente esplicitato dal suddetto Tribunale, che non è fondato l’assunto difensivo finalizzato ad escludere l’inibitoria dell’attività professionale medico- sportiva svolta nei confronti di atleti agonisti dilettanti, tenuto conto che l’attività è interdetta nei confronti non solo di ambiti e persone riferibili al C.O.N.I., ma anche alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate o agli Enti di promozione Sportive. Il Tribunale, inoltre, nella suddetta pronuncia, precisa: “La portata interdittiva della sanzione irrogata coinvolge, dunque, chiaramente, l’aspetto della professione, nella misura in cui è escluso che l’attività medico sportiva, durante il periodo dell’inibizione, possa essere svota in favore di soggetti che, per essere tesserati con le federazioni e/o con altri cennati enti, ovvero per essere riconducibili ad organizzazioni sportive della stessa matrice, devono ritenersi tutti sottoposti alla normativa WADA.” Ritiene, pertanto, integrata ‘la condotta di cui all’art. 11.14.1. CSA in contestazione, che prevede il divieto di partecipazione alle attività sportive durante il periodo di squalifica (con riferimento al -OMISSIS- di inibizione, atteso che al momento della condanna non era più tesserato)’, atteso che ‘non è revocabile in dubbio che, senza la certificazione medica rilasciata dal dr. -OMISSIS-, gli atleti non avrebbero potuto partecipare alle attività agonistiche o professionistiche, così ponendo in essere l’interessato una prestazione direttamente funzionale allo svolgimento di quelle attività sportive che erano, invece, allo stesso precluse….sicchè è innegabile che l’attività sanitaria offerta dal -OMISSIS- avesse, nella fattispecie, una connotazione tipicamente sportiva, alla stregua di quanto previsto dal disposto di cui all’art. 11.14.1. CSA’.

Il Collegio giudicante richiama anche l’art. 2.10 CSA che vieta agli atleti tesserati di associarsi a persone che abbiano subito una squalifica, precisando ‘delineandosi in tal senso, anche sul piano sistematico, l’esigenza di proteggere il mondo dello sport e le sue appartenenze da ogni propagazione del doping e altresì confermandosi come al dott. -OMISSIS- dovesse ritenersi vietata la realizzazione di qualsiasi rapporto professionale con i tesserati’.

19. Ciò premesso, questa Sezione condivide l’approdo argomentativo sostenuto dal Tribunale amministrativo regionale nella sentenza impugnata, le cui conclusioni sono peraltro in linea con le argomentazioni sostenute dal Tribunale Antidoping nella decisione n. 50 del 2022.

Nella specie, invero, trova certamente applicazione l’art. 11.14 CSA, che, al paragrafo 1, dispone:

nessun Alteta o Persona squalificata o soggetta a sospensione cautelare può partecipare a qualsiasi titolo, per tutto il periodo di squalifica o di sospensione cautelare, ad una competizione o ad un’attività (con l’eccezione dei programmi di formazione antidoping e riabilitazione autorizzati da NADO Italia) che sia autorizzata o organizzata da un Firmatario del Codice WADA, da un’organizzazione ad esso affiliata, da una società o altra organizzazione affiliata ad un’organizzazione affiliata ad un Firmatario, oppure a competizioni autorizzate o organizzate da una lega professionistica o da una qualsiasi organizzazione di eventi sportivi a livello nazionale o internazionale, o qualsiasi attività sportiva agonistica di alto livello o di livello nazionale finanziata da un ente governativo”.

Come precisato correttamente dal Collegio di primo grado, in relazione ai medici sportivi, il divieto di partecipare ad attività di carattere sportivo non può che riguardare le prestazioni professionali connesse con le attività agonistiche degli atleti e, quindi, i rapporti che i medici intrattengono con atleti ai fini della loro partecipazione alle suddette attività.

Appare all’evidenza che quando il medico sportivo attesta l’idoneità dell’atleta, la fattispecie prevista dall’art. 11.14 CSA si configura solo nell’ipotesi in cui tale attestazione sia indispensabile al fine di consentire allo stesso di espletare una qualsiasi attività agonistica. Ciò in quanto, diversamente opinando, si consentirebbe l’omissione di controllo antidoping in tutte le situazioni in cui la professione medica venga illecitamente svolta nei confronti di atleti che non hanno rapporti con società sportive.

L’art. 11.14 CSA va letto in correlazione con l’art. 2 del CSA che inserisce tra le violazioni della normativa sportiva antidoping il ‘Divieto di associazione da parte di un Atleta o Altra persona” disponendo che: “2.10.1. L’associazione da parte di un Atleta o Altra Persona soggetta all’autorità di un’Organizzazione antidoping, in veste professionale o in altra veste sportiva, con una persona a supporto dell’Atleta che: 2.10.1.1 se soggetta all’autorità di un’Organizzazione antidoping, stia scontando un periodo di squalifica, oppure 2.10.2 se non soggetta all’autorità di un’Organizzazione antidoping, e nel caso in cui la squalifica non sia stata trattata nell’ambito della procedura di gestione dei risultati ai sensi del Codice Wada, sia stata condannata o ritenuta colpevole solo nell’ambito di un procedimento penale, disciplinare o professionale per aver assunto una condotta che costituisca violazione della normativa antidoping se siano state applicate a tale Persona norme conformi al Codice WADA. Lo stato di squalifica di tale persona sarà valido per un periodo non superiore a sei (6) anni dalla decisione in sede penale, professionale o disciplinare ovvero per la durata della sanzione penale, disciplinare o professionale; oppure 2.10.1.3. funga da copertura o da intermediario per un soggetto descritto all’articolo 2.10.1.1. oppure 2.10.1.2. “

L’art. 2.10.2 precisa che “Per configurarsi una violazione dell’articolo 2.10, un’Organizzazione antidoping deve stabilire che l’Atleta o altra Persona siano a conoscenza dello stato di squalifica della Persona di supporto dell’Atleta. Spetta all’Atleta o ad altra Persona stabilire che qualsiasi associazione con una Persona di Supporto all’Atleta descritta all’articolo 2.10.1.1 o 2.10.1.2 non sia a titolo professionale o sportivo e /o che tale associazione non avrebbe potuto essere ragionevolmente evitata “.

L’analisi del percorso interpretativo della fattispecie in esame deve prendere avvio dalla piana lettura delle suddette disposizioni, ma deve seguire altresì criteri di logica, dovendosi tenere conto che la teoria dell’interpretazione, peraltro, non prescinde dalla rilevanza del fatto, il quale, per essere meritevole di tutela, ha una sua qualificazione giuridica.

In proposito, occorre subito chiarire che la qualificazione del fatto non può prescindere dalla qualificazione degli effetti, che vanno sussunti nella norma di cui si invoca l’applicazione.

Orbene, sulla base del tenore letterale delle norme, e secondo un’interpretazione teleologicamente orientata, si deduce che la persona di supporto dell’atleta professionista può essere ragionevolmente individuata nel medico sportivo, che in suo favore rilascia un certificato di idoneità sportiva.

Quanto al termine ‘associazione’- suggestivamente interpretato dall’appellante al fine di escludere l’applicabilità della disposizione, richiamando la necessità di un sodalizio composto da almeno tre persone - va precisato che il concetto può essere certamente ricondotto al rapporto tra un atleta e la persona a suo supporto, che può identificarsi senza dubbio con il rapporto tra medico ed atleta nell’ipotesi in cui il primo, nell’esercizio della propria attività professionale, sottoponga il secondo a pratiche mediche, ovvero gli fornisca assistenza sanitaria al fine di consentirgli di partecipare ad una competizione sportiva. Il T.A.R. precisa che depone in tal senso l’etimologia del termine ‘associazione’, che deriva dal latino ed assume i seguenti significati: compagno, alleato.

Il giudice di prima istanza, infatti, ha chiarito come il concetto di ‘associazione’ possa assumere vari significati a seconda del contesto di riferimento, nondimeno “ si può certamente ritenere che, anche sotto il profilo della interpretazione letterale, non appare implausibile ritenere che, con la locuzione associazione tra un atleta e una persona a suo supporto, si intenda il rapporto professionale tra medico ed atleta in virtù del quale il primo sottoponga il secondo a pratiche mediche ovvero nel corso del quale gli fornisca assistenza al fine di consentirne la partecipazione ad una competizione”.

Come correttamente evidenziato dal C.O.N.I., e condiviso dal T.A.R., tale interpretazione consente di dare concreta attuazione alla ratio legis delle disposizioni richiamate, che è quella di evitare che soggetti non tesserati e condannati per violazioni della disciplina antidoping continuino a porre in essere atti funzionalmente connessi al mondo dello sport professionistico, quale possono essere il rilascio di certificati medici di idoneità sportiva professionistica, traducendosi in attività di supporto all’atleta, che necessariamente ha bisogno di una attestazione di idoneità medico sanitaria per partecipare ad una competizione sportiva.

Da siffatti rilievi, si desume che le disposizioni richiamate, con riferimento al medico sportivo oggetto di inibitoria, stabilendo il divieto di partecipazione ad attività di carattere agonistico non possono che riguardare le prestazioni professionali connesse con le attività degli atleti e, quindi, i rapporti che i medici intrattengono con atleti stessi, ai fini della loro partecipazione ad attività sportive e agonistiche.

20. Quanto all’asserita incompetenza della Procura Nazionale nel svolgere una attività informativa dell’inibitoria comminata ad un professionista coinvolto in un procedimento in materia antidoping, va rammentato che la sanzione originaria inflitta al -OMISSIS- era scaturita da una attività illecita riscontrata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, per indagini avviate a seguito del decesso di un giovane ciclista, il cui assunto accusatorio mirava a dimostrare il coinvolgimento del medico nelle pratiche dopanti compiute dai componenti di una squadra calcistica e da altri ciclisti dilettanti. Pertanto, a mente dell’art. 2 del Codice Mondiale Antidoping, certamente applicabile al caso di specie, sussisteva il potere di avviso da parte dell’organo inquirente anche nei confronti di altri atleti, in ordine al rischio cui potevano andare incontro laddove si fossero avvalsi di certificati rilasciati da medici sportivi destinatari di misure inibitorie.

L’art. 2 del Codice Mondiale Antidoping statuisce, infatti, che “gli atleti e le altre persone sono tenute ad astenersi dal collaborare con allenatori, preparatori o altro personale di supporto dell’atleta che risultino inammissibili a causa di violazione del regolamento antidoping ovvero che siano stati condannati in sede penale ovvero siano stati oggetto di misure disciplinari da parte di organismi professionali per questioni legate al doping”.

Ai sensi dell’art. 22 della NSA, inoltre, la Procura Nazionale Antidoping è dotata di poteri di indagine anche in ottica ‘preventiva’, finalizzata ad evitare il pericolo di future violazioni della normativa antidoping, pertanto, al fine di concretizzare l’esercizio di tale ‘potere preventivo’, all’organo inquirente non può essere inibito di informare di ‘atleti e le altre persone’ che “sono tenute ad astenersi dal collaborare con allenatori, preparatori o altro personale di supporto dell’atleta che risultino inammissibili a causa di violazione del regolamento antidoping ovvero che siano stati condannati in sede penale ovvero siano stati oggetto di misure disciplinari da parte di organismi professionali” (v. art. 2 Codice Mondiale Antidoping).

L’attività ‘preventiva’ rientra nel più ampio compito di ‘vigilanza sull’osservanza delle leggi’ affidato a tutti gli organi inquirenti, ciò al fine di tutela dell’interesse pubblico, sicchè spetta al titolare del potere di informazione la scelta discrezionale di attuarla, tenuto conto della rilevanza dei fatti, sicchè tale scelta non può essere sindacata, se non nei casi di una palese irragionevolezza, che, nella specie, stante la gravità delle violazioni contestate al dott. -OMISSIS-, non appare sussistente.

La Procura Antidoping aveva il potere di segnalare a strutture e atleti che il dott. -OMISSIS- era destinatario di una misura inibitoria, perché la sanzione inflittagli gli impediva di intrattenere rapporti professionali con atleti tesserati riferibili al C.O.N.I., alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di promozioni sportive, con il rischio di questi ultimi di incorrere in sanzioni, in quanto tenuti ad astenersi.

21. Prive di rilievo sono anche le censure relative alla asserita violazione delle norme costituzionali in tema di tutela del diritto del lavoro (art. 4 Cost.) e di tutela del diritto al libero esercizio della professione di medico sportivo, tenuto conto che emerge all’evidenza, dalla piana lettura del contenuto delle missive, il ruolo della Procura Nazionale Antidoping, sostanzialmente improntato al dovere di svolgere una attività preventiva finalizzata ad impedire la commissione di altri illeciti, e certamente non ad impedire l’attività professionale del dott. -OMISSIS-.

Non è stato, invero, mai precluso all’appellante lo svolgimento dell’attività di medico, ma semplicemente, come messo in evidenza dal Giudice di prime cure, un ‘limitato segmento’ della più ampia attività di medico sportivo. Né può predicarsi che la comunicazione alle strutture sanitarie, ove svolgeva l’attività professionale il -OMISSIS-, abbia impedito ingiustamente allo stesso l’esercizio dell’attività medica, tenuto conto che il -OMISSIS- era, comunque, destinatario di una sanzione inibitoria (attualmente è stato condannato dal Tribunale Nazionale Antidoping con la sentenza n. 50 del 2022, per l’esercizio abusivo di attività medica avente una diretta incidenza nell’ordinamento sportivo in costanza di inibitoria). Oltre al fatto che è evidente che la scelta delle strutture sanitarie Serafini e Alliance di interrompere il rapporto di lavoro con il dott. -OMISSIS- non è stata in alcun modo imposta o suggerita dalla Procura Nazionale Antidoping, ma è stata la conseguenza di personali determinazioni delle predette strutture. Le missive, infatti, sono del seguente tenore: “Atteso che gli accertamenti condotti hanno evidenziato che numerosi tesserati risultano essersi serviti del -OMISSIS- accedendo al Centro Fisioterapico di Follonica, Le chiedo di controllare preventivamente i clienti che dovessero richiedere le prestazioni specialistiche del predetto sanitario, avvertendoli che essi non possono servirsi dello stesso per finalità sportive quali tesserati, in quanto ciò determinerebbe per loro una violazione della normativa antidoping”(v. email 27 ottobre da Procura Nazionale Antidoping inviata a Centro Serafini; analoga richiesta viene specificata nella email del 25 ottobre 2021 inviata al Centro Alliance).

Inoltre, va tenuto conto del fatto che, nel bilanciamento di interessi che il legislatore ha operato nella materia, ha chiaramente scelto di sacrificare la posizione del presunto danneggiato per dare più compiuta realizzazione ad un interesse di rango superiore, quale è il diritto alla salute (ex art. 32 Cost.), che potrebbe subire un grave pregiudizio dal reiterarsi di condotte sanzionate e soggette ad inibitoria.

22. In ragione dei rilievi espressi, la domanda di risarcimento va respinta stante la natura extracontrattuale dell’illecito denunciato (art. 20-OMISSIS- c.c.), sicchè, in difetto dell’antigiuridicità della condotta, nessun danno può essere risarcito. Secondo i principi generali che regolamentano la responsabilità civile, la condotta che si assume lesiva di un interesse giuridicamente tutelato non è suscettibile di cagionare un danno ingiusto, se essa costituisce esercizio di una facoltà o di un potere attribuito al soggetto dall’ordinamento.

23. In definitiva, l’appello deve essere rigettato, e la sentenza impugnata va confermata.

24. Le spese del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando:

1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

2. Condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese del grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad idoneo ad identificare le persone fisiche menzionate.

Così deciso, in Roma, nelle camere di consiglio del giorno 30 marzo 2023 e, a seguito di riconvocazione, del giorno 11 maggio 2023, con l'intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente

Giovanni Grasso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Gianluca Rovelli, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere, Estensore

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