Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0013/CFA del 1 Agosto 2025 (motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Sicilia, pubblicata con il Comunicato Ufficiale n. 595 TFT del 24/06/2025 e comunicata in pari data
Impugnazione – istanza: – PFI-Sig. G. G. A. -U.S.D. Tortorici
Massima: Come ha avuto modo di chiarire anche di recente questa Corte (CFA, Sez. I, n. 2/2025-2026; in precedenza, in senso conforme, CFA, SS.UU., n. 81/2024-2025; CFA, Sez. I, n. 99/2024-2025), infatti, “il referto arbitrale, pur facendo piena prova di quanto attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale”.
Decisione C.F.A. – Sezione I : Decisione pubblicata sul CU n. 0002/CFA del 7 Luglio 2025 (motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale della Toscana, pubblicata sul C.U. Comitato regionale Toscana n. 88 del 29/05/2025
Impugnazione – istanza: – A.S.D. Nuova Società Pol. Chiusi-PFI
Massima:….è principio non contestato, nemmeno tra le parti qui in giudizio, che “Il referto arbitrale, pur facendo piena prova di quanto attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale” (CFA, SS.UU., n. 81/2024-2025; id., Sez. I, decisione n. 99/CFA/2024-2025). Nel caso in esame, il citato principio è utilizzato dalla difesa reclamante a sostegno di una affermazione diversa, per cui, qualora i fatti evidenziati fossero tali da dover essere posti necessariamente a cognizione del direttore di gara e qualora questa cognizione non sia avvenuta, ciò significherebbe che tali fatti non siano avvenuti. Si tratta di una posizione non condivisibile. Va ricordato che nell’ordinamento sportivo, a fronte della regola generale di cui all’art. 57, comma 1, CGS (“Gli organi di giustizia sportiva possono liberamente valutare le prove fornite dalle parti e raccolte in altro giudizio, anche dell'ordinamento statale”), che è espressione di un principio generale di tutti gli ordinamenti processuali moderni, vige una regola eccezionale, di cui all’art. 61, comma 1 (“I rapporti degli ufficiali di gara o del Commissario di campo e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa i fatti accaduti e il comportamento di tesserati in occasione dello svolgimento delle gare”) dove si attribuisce unicamente a determinati atti il valore di piena prova. Il rapporto tra le due disposizioni è quello tra regola ed eccezione e ne implica quindi un attento governo, proprio per evitare usi distorti incidenti sul principio probatorio. Nel caso in esame, proprio l’allargamento del campo di cognizione del direttore di gara, postulato dalla difesa in relazione ai fatti che il direttore di gara avrebbe dovuto conoscere, determina uno stravolgimento della regola. In tal modo, la disposizione eccezionale amplia l’area di sua applicazione a detrimento della regola generale del libero convincimento del giudice, per cui diventano oggetto di prova piena non solo fatti conosciuti ma anche fatti teoricamente conoscibili. La disposizione eccezionale, che ha un senso in relazione ad eventi direttamente conosciuti dal direttore di gara e giustifica così il suo regime probatorio pieno, diventerebbe evanescente, non agganciata ad una cognizione sensoriale ma ad una deontica, del tutto teorica. È una ricostruzione quindi da avversare con forza, per il suo inconciliabile contrasto con i principi che governano il diritto processuale moderno. La proposta ricostruzione può trovare invece un più limitato ambito applicativo qualora sia più propriamente limitata ad evidenziare come la mancata conoscenza di un fatto in capo al direttore di gara sia elemento valutabile nel più generale concetto del libero convincimento del giudice. In tal caso, però, non si aggiunge nulla al consolidato canone di valutazione della prova e del suo grado, tema esaminato compiutamente dalla giustizia sportiva, nel senso di affermare che “Se non c’è dubbio che il principio del giusto processo, di cui all’art. 111 della Costituzione, accomuna il processo sportivo al processo penale (v. art. 44 CGS), tuttavia v’è una differenza quanto al grado della prova che deve essere raggiunta per l’applicazione del provvedimento sanzionatorio. Le affinità tra il giudizio disciplinare sportivo e quello penale non possono spingersi fino a costruire un meccanismo probatorio così rigoroso, nel primo caso, da dover concludere, nel dubbio, in favore del reo, ovverosia del soggetto nei cui confronti è richiesta l’applicazione di misure di carattere disciplinare. (CFA, SS.UU., n. 34/2024-2025). La diversa connotazione dell’ordinamento sportivo consente margini più ampi alla valutazione dei mezzi di prova e al libero convincimento del giudice, nei limiti, per quest’ultimo, della coerenza e ragionevolezza argomentative e dell’adeguata aderenza ai fatti. Se ne desume che possono essere fatti valere, nel processo sportivo, elementi specifici a fini probatori, assimilabili alla logica – fatta propria dal processo civile e da quello amministrativo – del “più probabile che non”, rispetto a cui il giudizio può essere integrato da dati di comune esperienza. Il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare sportivo si attesta ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio o alla certezza assoluta della commissione dell’illecito. Tale grado di preponderante certezza (sia pure inferiore rispetto allo standard dell’ambito penale) deve essere pur sempre conseguito sulla base di indizi gravi precisi e concordanti, cioè tali da condurre ad un ragionevole affidamento in ordine alla sussistenza della violazione contestata, e cioè corrispondenti a dati di fatto certi e pertanto non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza” (CFA, Sez. I, decisione n. 99/CFA/2024-2025). Ciò premesso, occorre evidenziare come la Procura, nel suo atto di deferimento, si sia già data carico di portare a conoscenza del giudice unicamente fatti per i quali si era giunti ad un riscontro tra dichiarazioni di soggetti diversi. Infatti, gli elementi di maggior doglianza dell’atto di reclamo (quale il tema della “sospensione della gara per qualche minuto”) non sono ricompresi nell’atto di accusa dell’organo requirente. Per altro verso, negli stessi atti di indagine, appaiono quegli elementi di precisione (ad esempio, nella indicazione esplicita della frase razzista pronunciata, come anche dei soggetti che hanno riportato i fatti) la cui supposta mancanza è stata oggetto di censura, anche in sede di discussione orale, da parte del reclamante. Al contrario, emergono invece elementi di concordanza sui fatti oggetto di deferimento.