F.I.G.C. – COMMISSIONE D’APPELLO FEDERALE – 1998/1999 Comunicato ufficiale 31/C Riunione del 20 Maggio 1999 – pubbl. su www.figc.it APPELLO DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DI PROPRIO DEFERIMENTO A CARICO DEL SIG. FILIPPINI DANILO E DELL’A.C. PRO PATRIA ET LIBERTATE PER VIOLAZIONE RISPETTIVAMENTE DEGLI ARTT. 1 COMMA 1 E 6 COMMA 2 C.G.S. (Delibera della Commissione Disciplinare presso il Comitato Regionale Lombardia – Com. Uff. n. 30 del 18.2.1999)

F.I.G.C. – COMMISSIONE D’APPELLO FEDERALE – 1998/1999 Comunicato ufficiale 31/C Riunione del 20 Maggio 1999 – pubbl. su www.figc.it APPELLO DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DI PROPRIO DEFERIMENTO A CARICO DEL SIG. FILIPPINI DANILO E DELL'A.C. PRO PATRIA ET LIBERTATE PER VIOLAZIONE RISPETTIVAMENTE DEGLI ARTT. 1 COMMA 1 E 6 COMMA 2 C.G.S. (Delibera della Commissione Disciplinare presso il Comitato Regionale Lombardia - Com. Uff. n. 30 del 18.2.1999) Con atto del 24.8.1998, il Procuratore Federale deferiva alla Commissione Disciplinare presso il Comitato Regionale Lombardia il Vice-Presidente dall'A.C. Pro Patria et Libertate - Danilo Filippini - e la società stessa, perché rispondessero: il primo, di violazione dall'art. 1 comma 1 C.G.S., per avere, con distinte note del 23 e 27 luglio 1998, inviate per conto del sodalizio, espresso giudizi gravemente offensivi delle istituzioni federali e di soggetti appartenenti allo stesso ordinamento; la seconda, ai sensi dall'art. 6 comma 2 C.G.S., per responsabilità oggettiva. Con delibera pubblicata nel C.U. n. 30 del 18 febbraio 1999, la Commissione Disciplinare riteneva fondati gli addebiti, ma, preso atto delle dimissioni presentate nelle more dal Filippini - quindi non più tesserato né tesserabile - si asteneva dall'infliggergli qualunque sanzione disciplinare, applicando invece alla società l'ammenda di L. 1 .000.000. Avverso tale decisione si appella il Procuratore Federale, il quale, premesso che il comportamento per cui il Filippini era stato deferito era stato tenuto in costanza di tesseramento federale - con la conseguenza che le vicende successive non avevano alcuna rilevanza ai fini valutati dalla Commissione Disciplinare - chiede che al medesimo sia inflitta l'inibizione per la durata di un anno, così come richiesto dal rappresentante della Procura Federale nel corso del procedimento di prima istanza. L'appello è infondato, avendo la Commissione Disciplinare fatto corretta applicazione dall'art. 36 comma 7 N.O.I.F, secondo il quale non possono essere nuovamente tesserati coloro che abbiano rinunziato ad un precedente tesseramento, in pendenza di procedimento disciplinare a loro carico (come avvenuto nella specie). Con tale norma si è voluto impedire il compimento di manovre elusive dell'assoggettamento disciplinare dei tesserati, mediante dimissioni seguite da nuova assunzione di status di tesserato federale: chi si dimette nel corso del procedimento disciplinare perde non solo la qualità di tesserato, ma anche quella di tesserabile, rinunciando per sempre a rientrare nell'organizzazione calcistica con qualsivoglia veste. E' questa la vera sanzione che il Legislatore federale ha voluto applicare a persone uscite dalla sua giurisdizione; con la logica conseguenza che qualunque altro provvedimento disciplinare sarebbe inutiliter dato. II Procuratore Federale a sostegno del suo appello, ha prodotto due decisioni della Corte Federale: l'una, pubblicata sul C.U. n. 9/Cf del 20.6.1997, non è conferente alla fattispecie, in quanto si limita ad affermare la giurisdizione sportiva nei confronti di soggetto che abbia perduto la qualità di dirigente federale, senza peraltro specificare che ciò sia avvenuto a seguito di dimissioni date in pendenza di procedimento disciplinare; l'altra, pubblicata nel C.U. n. 12/Cf del 24.2.1999, la quale afferma la irrilevanza della semplice "notizia" di dimissioni date da altro dirigente federale, aggiungendo che non vi è stata alcuna ricusazione della giurisdizione sportiva e che comunque è nell'interesse del deferito essere giudicato, proprio per evitare le conseguenze dell'applicazione dall'art. 36 comma 7 N.O.I.F,. Quindi, neppure questa seconda deliberazione giova alla causa dell'appellante. II gravame va conseguentemente rigettato. Per i suesposti motivi la C.A.F. respinge l'appello come innanzi proposto dal Procuratore Federale.
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