CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – 2002-2003 – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 12/5/2003 TRA Eraldo Bocci e Federazione Italiana Pallacanestro

CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – 2002-2003 - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 12/5/2003 TRA Eraldo Bocci e Federazione Italiana Pallacanestro L’Arbitro Unico, dott. Giovanni ARIOLLI Riunito in conferenza personale in Roma, ha deliberato il seguente LODO nella controversia promossa da sig. Eraldo Bocci, residente in Riano (RM), viale Parigi, n. 112, rappresentato e difeso dall’avv. Emanuele Ricci, con studio in Roma, via Cavour, n. 211 int. 12 parte attrice nei confronti di Federazione Italiana Pallacanestro, con sede in Roma, via Vitorchiano, n. 113, in persona del legale rappresentante pro-tempore presidente federale prof. Fausto Maifredi, domiciliato per la carica ove sopra ed elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie, n. 106 presso lo studio degli avvocati Guido Valori e Paola M.A. Vaccaro parte convenuta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con istanza depositata presso la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I. in data 2 gennaio 2003, Eraldo Bocci, premesso di essere tesserato quale presidente della società “Eur Colorado” (cod. F.I.P. 2714) con sede in Morlupo - Roma - via Cesare Battisti, n. 133, esponeva che, nel corso della stagione sportiva 2001/2002, al termine della gara n. 5929 del 22 maggio 2002, disputatasi a Morlupo nell’ambito del campionato di serie C girone M, al quale la società “Eur Colorado” partecipava, si verificavano incidenti che, a detta dell’esponente, “trovavano la loro origine causale nel comportamento del secondo arbitro Giumarra il quale, durante la gara, provocava gravemente gli atleti sino a minacciarli di percosse e ciò senza connessione alcuna con le azioni di gioco”; che, sulla base del referto arbitrale il Giudice Sportivo Nazionale della F.I.P. comminava ai tesserati della predetta società sanzioni di rilevante gravità e, in particolare, all’istante veniva irrogata l’inibizione da ogni attività federale sino al 31 maggio 2007 “per avere aggredito insieme agli altri il secondo arbitro, colpendolo con pugni, calci e schiaffi e minacciandolo di ulteriori ritorsioni”; che, a seguito del ricorso della società alla Commissione Giudicante Nazionale della F.I.P., veniva disposta istruttoria sui fatti, demandata alla Procura Federale, in esito alla quale la Commissione, dopo discussione dibattimentale, con decisione n. 86 del 9.8.2002, riduceva “drasticamente” le squalifiche a tutti gli atleti condannati in primo grado, comminando loro non più di tre giornate di squalifica e manteneva invece all’esponente la sanzione dell’inibizione, riducendola a tre anni e cioè sino al 22.5.2005; che, con la stessa decisione, la C.G.N. rimetteva gli atti al Comitato Italiano Arbitri della F.I.P. affinché sottoponesse a giudizio l’arbitro Giumarra per le lesioni inferte e le minacce rivolte al figlio dell’istante Giampaolo Bocci; che tale decisione della C.G.N. era ingiusta, in quanto caratterizzata da un’evidente disparità di trattamento, relativamente alla quantificazione della sanzione, rispetto al metro di giudizio adottato nei confronti degli altri tesserati: questi, pur assuntivamente coinvolti nei fatti accaduti al termine della gara, erano stati prosciolti dall’accusa più grave (aggressione all’arbitro) sul presupposto che “non fosse stata acquisita la prova certa delle conseguenze dei comportamenti dei singoli tesserati”; all’esponente, invece, pur permanendo anche nei suoi confronti il dubbio in ordine al rapporto di causalità tra le lesioni riportate dall’arbitro Giumarra e l’aggressione, era stata comminata la pesante sanzione di anni tre di inibizione, con la motivazione “di essere rimasto in tribuna malgrado l’espulsione, di avere inveito contro gli arbitri durante tutta la gara, di aver posto in essere un mero tentativo di violenza”; il Bocci censurava altresì la decisione della C.G.N. sotto il profilo della non corretta applicazione delle normativa sanzionatoria, sostenendo che, al caso di specie, non fosse applicabile l’art. 163.24b del regolamento esecutivo “che punisce gli atti di violenza nei confronti degli arbitri dai quali siano conseguiti danni anche lievi o impedimento alla prosecuzione dell’incontro”, comportamento non ascrivibile all’istante; dovevano, invece, applicarsi soltanto quelle sanzioni relative ai comportamenti effettivamente posti in essere dal Bocci Eraldo e cioè gli artt. 163.23a (comportamento irriguardoso), 163.23b (offensivo), 163.23c (minaccioso), 163.23d (intimidatorio), 163.23e (violento a livello di tentativo o tentativo di aggressione), 163.23f (palesemente tendente a fomentare contro gli arbitri i propri sostenitori), 164bis (inottemperanza all’espulsione), condotte aggravate dalla qualità di dirigente addetto all’arbitro (art. 147.5d); che, la sommatoria delle sanzioni previste dalle norme sopra richiamate “porterebbe a circa 8 giornate di squalifica e quindi circa due mesi + aggravante”; tutto ciò premesso, chiedeva alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport di ridurre a più equa misura la sanzione comminata dalla C.G.N., rimettendone la determinazione alla Camera ovvero indicandola con un numero di giornate di squalifica corrispondenti a quelle intercorse tra la data del 22.5.2002 e quella di pronuncia dell’emanando lodo, con onorari e spese di lite a carico della F.I.P. In data 24.1.2003 veniva nominato, dal Presidente della Camera, ai sensi dell’art. 12 del Regolamento, quale arbitro unico, il dott. Giovanni Ariolli che il 3.2.2003 accettava la nomina, tenendo la prima riunione, nel corso della quale nominava segretario dell’organo arbitrale il dott. Arpino, stabiliva la sede dell’arbitrato presso la Camera e fissava, quale prima udienza, il giorno 17.2.2003, concedendo alle parti, in un’ottica di maggiore speditezza del procedimento arbitrale, termine sino all’8.2.2003 per il deposito di memorie difensive e sino al 15.2.2003 per il deposito di repliche. Con atto depositato in data 4.2.2003 si costituiva la Federazione Italiana Pallacanestro, sostenendo che la prospettazione dei fatti fornita dal Bocci “era frutto di una personale elaborazione riguardo la gravità dell’infrazione”; che dinanzi alla C.G.N. costui non aveva mostrato alcun segno di ravvedimento, “manifestando anzi rammarico per non avere perpetrato ben più gravi atti”; che la normativa regolamentare era stata correttamente applicata dalla C.G.N. sia riguardo alla misura della sanzione che in relazione alla gravità del fatto, considerato il comportamento dal Bocci Eraldo tenuto anche successivamente all’espulsione dal campo di gioco e la particolare carica rivestita (presidente della società e dirigente addetto all’arbitro); chiedeva pertanto il rigetto dell’istanza nonché la condanna dell’esponente al pagamento delle spese ed onorari di causa. Con memoria dell’8.2.2003, il Bocci, ribadiva di non avere mai aggredito alcuno degli arbitri, contestava l’adeguatezza della sanzione comminata soprattutto in relazione alla mancanza di prova del nesso causale tra la sua condotta e le lesioni patite dall’arbitro (neppure ad esso ascrivibili a titolo di concorso morale in assenza di qualsiasi previsione regolamentare, non mutuabile dal diritto penale) e insisteva nelle conclusioni del ricorso introduttivo. La F.I.P., con memoria di replica depositata in data 13.2.2003, evidenziava la correttezza della sanzione applicata, in quanto la pena era stata calcolata sulla scorta di tutte le violazioni commesse, comprese le circostanze aggravanti e potendo il giudice anche determinare la sanzione oltre il minimo edittale e non compiere una mera somma algebrica delle pene : “argomentando diversamente si svuoterebbe di contenuto il compito del giudice sportivo .. nel caso di specie la C.G.N., nell’irrogare la sanzione complessiva ha comunque inflitto una sanzione più bassa del minimo edittale previsto per la violazione immediatamente più grave (ossia le lesioni all’arbitro, anche di lieve entità, punite con squalifica per almeno tre anni) che era stata invece applicata dal Giudice Sportivo Nazionale”. All’udienza del 17.2.2003, verificata la rituale costituzione delle parti, l’arbitro, al fine di verificare la legittimità della decisione adottata dalla C.G.N. (sia in diritto che in fatto, con particolare riferimento anche all’adeguatezza della misura della sanzione), disponeva, su istanza della parte attrice, l’acquisizione degli atti della C.G.N.; procedeva all’interrogatorio libero del Bocci Eraldo, comparso personalmente; esperiva il tentativo di conciliazione, rinviando all’udienza del 10.3.2003, per la precisazione delle conclusioni, in difetto di conciliazione. A tale udienza, la parte istante, tenendo anche conto delle osservazioni formulate dall’Arbitro e del contenuto dei precedenti accordi conciliativi relativi a fattispecie similari, formulava una proposta conciliativa di massima. La F.I.P. si riservava di valutarla. Veniva, pertanto, rinviato il giudizio all’udienza del 26.3.2003 per gli stessi incombenti, nel corso della quale l’Arbitro, prendendo atto che non si era pervenuti alla conciliazione (a tale riguardo, l’istante depositava copia della corrispondenza intercorsa), invitava le parti alla precisazione del conclusioni. L’attore insisteva nell’accoglimento della domanda riportandosi integralmente al contenuto dell’istanza di arbitrato, chiedendo termine di giorni dieci per il deposito di una memoria. La parte convenuta insisteva per il rigetto della domanda, riportandosi integralmente alla comparsa. L’Arbitro Unico, su accordo delle parti, stabiliva che entro il 7 aprile 2003 venisse depositata copia dell’intero fascicolo della C.N.G. necessario ai fini del decidere (adempimento osservato dalla F.I.P.) e che entro il 17 aprile 2003 le parti potessero presentare una memoria. Queste rinunziavano alle repliche e si stabiliva dal 17.4.2003 la decorrenza del termine per il deposito del lodo. In data 17.4.2003 la F.I.P. depositava note conclusive con cui ribadiva la legittimità della decisione adottata dalla C.G.N., spiegava le ragioni che avevano determinato la mancata conciliazione tra le parti e insisteva per il rigetto integrale della domanda, con vittoria di spese, competenze ed onorari. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve darsi atto della ritualità dell’istanza di arbitrato presentata dal Bocci Eraldo: la procedura di arbitrato dinanzi a questa Camera è espressamente prevista dallo statuto della F.I.P.; risultano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione sportiva nazionale; all’istante è stata comminata una sanzione disciplinare non inferiore a 120 giorni per violazioni estranee alla normativa antidoping; è stato infruttuosamente esperito il tentativo di conciliazione di cui all’art. 3 del regolamento della Camera. Ciò premesso e venendo al merito, l’oggetto della controversia riguarda la corretta applicazione al caso di specie, da parte della C.G.N., delle norme del regolamento esecutivo della F.I.P. e, conseguentemente, della misura della sanzione comminata. Dalla lettura della motivazione della decisione del 9 agosto 2002, n. 86 della C.G.N. risulta chiaramente che al Bocci Eraldo è stata comminata la sanzione della inibizione (“applica a Bocci Eraldo la sanzione dell’inibizione..”) per la durata di anni tre (sino al 22.5.2005), ritenendosi il tesserato responsabile della violazione di cui all’art. 163/24a che punisce gli “atti di violenza contro gli arbitri, qualora non siano derivate conseguenze di alcun genere (neppure ai fini della regolare prosecuzione dell’incontro)”. La sanzione prevista per tale illecito comportamento è quella della squalifica o inibizione per almeno tre gare. La misura indicata si riferisce al minimo edittale, come si desume dall’espresso inciso “per almeno” che precede l’indicazione della sanzione, con ciò differenziandola dalle altre già predeterminate nella misura da comminarsi (ad esempio vedi l’art. 163/23b, laddove, in caso di comportamento offensivo posto in essere da tesserati nei confronti degli arbitri, è stabilita la sanzione della squalifica “per una gara”, con ciò vincolandosi il giudice sportivo nella determinazione della pena base, salva la ricorrenza di circostanze attenuanti o aggravanti o della recidiva). Il Giudice sportivo, pertanto, nei casi in cui la sanzione sia determinata soltanto nel minimo edittale ha la facoltà di aumentare la pena tenendo conto del limite massimo stabilito, dallo stesso regolamento, per tale tipo di sanzione. E’ un dato della comune esperienza giuridica che, laddove venga indicato soltanto il minimo della pena, per stabilire il massimo deve necessariamente farsi riferimento alle stesse norme regolamentari che disciplinano, a mò di “catalogo”, le sanzioni, così vincolandosi la discrezionalità del giudice nell’applicazione della pena a parametri edittali ben precisi. Ebbene, al riguardo, il regolamento esecutivo della F.I.P. disciplina specificamente il “tipo” di sanzioni che il giudice sportivo può comminare nel titolo II della Parte Terza, dedicato, appunto, alle “sanzioni”. Tra queste, all’art. 158 del R.E., viene disciplinata proprio “l’inibizione” che consiste nel divieto rivolto ai dirigenti di società (tra cui, ai sensi dell’art. 47 del R.E., è compreso anche il presidente) di svolgere qualsiasi attività o ricoprire qualsiasi incarico sia a livello federale che nell’ambito di una società affiliata per un tempo determinato, comunque non superiore a cinque anni. La misura della sanzione comminata dalla C.G.N. risulta quindi legittima in relazione alla ritenuta violazione regolamentare (nel prosieguo della motivazione ci si soffermerà poi sull’adeguatezza della misura). Quanto alla applicabilità di tale sanzione al caso di specie, dagli atti dell’istruttoria svoltasi dinanzi alla C.G.N. e compiuta anche dalla Procura Federale, risulta che il Bocci Eraldo non si limitò a porre in essere un mero tentativo di violenza (oltre i comportamenti minacciosi e offensivi sopra menzionati) ma partecipò all’aggressione subita dall’arbitro Giumarra. In tal senso rilevano, innanzitutto, le precise e circostanziate dichiarazioni riportate nel referto arbitrale, sottoscritto da entrambi gli arbitri, Luca Cristina e Giumarra Emanuele, laddove si da atto che il Bocci Eraldo, all’esito della gara e nel corridoio che porta agli spogliatoi, “si scagliava contro l’arbitro colpendolo con violenti pugni in testa, schiaffi in faccia e calci addosso”. La circostanza è stata poi concordemente confermata dagli arbitri, anche riguardo all’esatta successione temporale degli eventi così come indicati in precedenza nel referto, in sede di istruttoria svolta dalla Procura Federale. Del resto, quanto riportato nel referto dal Giumarra (e, quindi, la precisa accusa da questi rivolta al Bocci Eraldo) risulta altresì avvalorato: a) dal contenuto della certificazione medica del pronto soccorso acquisita agli atti che attesta, a carico dell’arbitro, “contusioni multiple, escoriate al capo, al collo e alla regione anteriore del torace”, lesioni pienamente compatibili con un’aggressione svoltasi nei modi riferiti dalla parte offesa. La sussistenza delle lesioni, al di là della questione relativa all’esatta individuazione del tesserato che le abbia provocate, rende credibile la ricostruzione effettuata dall’arbitro, avvalorandone, nel complesso, l’attendibilità (a diverse conclusioni si sarebbe invece giunti qualora, nonostante l’affermazione del Giumarra di essere stato aggredito con calci e pugni, non fosse stato possibile, dal punto di vista medico-legale, riscontrare alcuna lesione); b) dalla presenza del Bocci Eraldo al momento in cui l’arbitro Giumarra venne colpito (circostanza ammessa dallo stesso tesserato “anche se esclude di avere compiuto nei confronti dell’arbitro una violenza consumata, asserendo “di avere posto in essere un mero tentativo di violenza”); da quanto riferito dal teste La Torre Sergio, ufficiale di campo, il quale ha dichiarato di avere visto l’arbitro, una volta tornata la luce all’interno del corridoio “attorniato da molte persone non identificate che veniva colpito ripetutamente. Ho cercato di bloccare il Bocci Eraldo”, con tale espressione logicamente riferendosi alla fattiva partecipazione di costui all’aggressione. Tali elementi confermano pienamente l’accusa mossa dal Giumarra al Bocci Eraldo ed il contenuto del referto. Per completezza, va anche osservato che la versione riportata nel referto arbitrale riguardo la partecipazione all’aggressione del Bocci Eraldo nei confronti del Giumarra, è ulteriormente avvalorata da un elemento di carattere logico. Si è già detto che il Bocci Eraldo era presente nel corridoio antistante gli spogliatoi dell’arbitro al momento dell’aggressione. Si tratta di una presenza non giustificata e logicamente volta a ledere l’integrità fisica dell’arbitro. Il Bocci Eraldo, infatti, malgrado l’espulsione subita nel corso della gara, decise di rimanere in tribuna; inveì contro gli arbitri per tutta la partita, fomentando i giocatori ed il pubblico contro i direttori di gara. Se a ciò si aggiunge che la squadra di cui il Bocci è presidente perse l’incontro, risulta logico come questi fosse portatore di un forte rancore contro l’arbitro Giumarra, ritenuto, a torto o a ragione, “responsabile” dell’andamento negativo della gara per l’Eur Colorado. Se questo era dunque lo stato d’animo con cui il Bocci si portò all’interno del corridoio, è assai verosimile che abbia colpito l’arbitro, tenuto conto che, salvo lo sporadico tentativo dei due proprietari della palestra di difendere il Giumarra, questi non venne affatto protetto (tanto che lo stesso La Torre cercò di bloccare il Bocci). Anzi, dalla successione temporale degli eventi così come ricostruita dinanzi alla C.G.N. risulta chiaramente che tutti coloro che si trovarono all’interno del corridoio antistante gli spogliatoi ebbero il tempo necessario e la concreta possibilità di colpire l’arbitro: alcuni giocatori dell’Eur Colorado si erano, infatti, posizionati all’ingresso del corridoio, impedendone l’accesso agli ufficiali di campo proprio allo scopo di consentire agli altri tesserati presenti o sopraggiunti di “punire” il direttore di gara (vedi dichiarazioni degli ufficiali di campo Longo, La Torre e Papa, quest’ultima colpita a sua volta da alcuni calci e ginocchiate, proprio allorché cercò di entrare nel corridoio). Deve pertanto ritenersi provato che il Bocci Eraldo compì atti di violenza consumata nei confronti dell’arbitro, partecipando alla sua aggressione. In assenza di una prova certa che l’atto posto in essere dal Bocci Eraldo abbia cagionato proprio le lesioni di cui alla certificazione medica ed escludendosi, a livello regolamentare, che possa affermarsi una sua responsabilità a titolo di concorso morale o materiale (certamente ravvisabile, ad esempio, in campo penale, nei confronti di chi, con altri, partecipa ad una aggressione o istiga a farlo), deve ritenersi corretto il ragionamento logico-giuridico seguito dalla C.G.N. che ha ricondotto il comportamento del Bocci Eraldo alla previsione illecita di cui all’art. 163/24a (atti di violenza consumati nei confronti degli arbitri dai quali non siano derivate conseguenze) e non all’art. 163/23b. Ed invero, per applicarsi quest’ultima fattispecie sanzionatoria (c.d. ipotesi aggravata) occorre che sia accertato il verificarsi di un danno all’integrità fisica dell’arbitro (lesioni) e che si dia prova che questo sia causalmente ascrivibile al comportamento del singolo tesserato che ha partecipato all’aggressione. In difetto di tale prova, l’aver comunque aggredito l’arbitro o compiuto atti di violenza, anche a livello di spinte o percosse (azioni comunque violente produttive soltanto di sensazioni fisiche dolorose, senza conseguenze morbose di alcun genere) senza che ne siano derivate lesioni, è correttamente riconducibile alla previsione regolamentare di cui all’art. 163/24a (atti di violenza consumata nei confronti degli arbitri da cui non siano derivate conseguenze ovvero per i quali manca la prova della certa ascrivibilità al tesserato). Resta, infine, da valutarsi l’adeguatezza della misura della sanzione comminata al caso di specie dalla C.G.N., soprattutto in considerazione del fatto che ad altri tesserati (vedi ad es. lo Scuotto a cui è stata applicata la sanzione della squalifica per tre gare), seppur riconosciuti responsabili della stessa fattispecie (partecipazione all’aggressione), sono state comminate ben altre sanzioni. Ebbene, anche sotto tale profilo va confermata la decisione impugnata. Il comportamento tenuto dal Bocci Eraldo, per la particolare qualità rivestita all’interno della società (presidente e nell’occasione dirigente addetto agli arbitri), è contrario al rispetto dei principi di probità, lealtà e correttezza sportiva contenuti sia nel regolamento esecutivo della F.I.P. che nello stesso statuto di quella Federazione, principi, del resto, propri e fondamentali allo stesso ordinamento sportivo. Lo sport, del resto, va inteso non solo come momento essenziale della formazione fisica dell’individuo, ma anche morale e parte integrante dell’educazione e della cultura nazionale. Pertanto, il presidente della società, a differenza dell’atleta, assurge, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, a garante del rispetto di tali principi. E’ lui, infatti, che deve rappresentare, all’interno della società sportiva, i valori di cui ciascuna federazione è portatrice, assicurando anche la correttezza del comportamento dei singoli tesserati. Non può sottacersi che proprio l’atteggiamento del Bocci Eraldo ha reso possibile l’aggressione e la turbativa che è seguita alla fine dell’incontro. Di conseguenza, questi non poteva essere sanzionato alla stregua degli altri partecipanti. La particolare carica rivestita gli imponeva, al contrario, di attivarsi al fine di evitare il verificarsi di episodi quale quello accaduto che rischiano anche di mettere in discussione la stessa credibilità del movimento sportivo e di tutti coloro che, per passione, ne fanno parte e vi partecipano a vario titolo (classe arbitrale, ufficiali di campo, atleti, dirigenti ecc.). Nulla preclude, del resto, a chi ritiene di avere subito una designazione o una direzione di gara “prevenute” di manifestare, anche con fermezza, all’interno dell’ordinamento federale, il proprio disappunto facendosi anche portatore di iniziative di cambiamento. Ma mai può essere consentito, soprattutto a chi riveste una posizione di responsabilità, violare così gravemente quelle regole che, con il proprio tesseramento, ha accettato di osservare. Pertanto, il fatto risulta particolarmente grave. E lo è di più se si tiene conto anche del comportamento che il Bocci Eraldo, a differenza degli altri tesserati, ha tenuto dinanzi agli organi “terzi” di giustizia sportiva, essendosi rammaricato, dinanzi alla C.G.N. (vedi pag. 3 della decisione) “per non aver potuto sfogare a suo piacimento la propria carica aggressiva nei confronti dell’arbitro Giumarra”. Avvalorano ulteriormente la gravità del fatto commesso dal Bocci Eraldo anche altri elementi: la partecipazione all’aggressione si inserisce in un contesto illecito più ampio, avendo questi dapprima assunto un comportamento irriguardoso, offensivo, minaccioso ed intimidatorio, palesemente tendente a fomentare contro gli arbitri i propri sostenitori (condotte che di per sé integrano altre fattispecie di illecito sportivo ritenute verosimilmente assorbite dalla C.G.N. nella sanzione più grave comminata); la gravità del pericolo cagionato alla persona offesa, tanto che entrambi i direttori di gara dovettero lasciare il campo di gioco scortati dai Carabinieri, non potendo contare sull’aiuto dei dirigenti; l’aver tenuto un comportamento che ha indubbiamente contribuito al verificarsi degli ulteriori episodi di violenza rivolti sia contro i direttori di gara che un ufficiale di campo (c.d. condotta istigatrice ed agevolatrice); l’intensità del dolo, considerato che l’intento aggressivo sarebbe stato manifestato addirittura prima dell’inizio della gara (cfr. referto arbitrale); la futilità dei motivi che hanno scatenato l’aggressione, non risultando compiutamente dimostrata agli atti dell’inchiesta federale la sussistenza dell’attenuante della provocazione invocata dal ricorrente (da escludersi per il Bocci Eraldo, tenuto conto che la C.G.N. ha disposto l’inoltro degli atti alla C.I.A. per le determinazioni di competenza esclusivamente al comportamento lesivo e minaccioso che il Giumarra avrebbe tenuto nei confronti del solo Bocci Giampaolo; inoltre, non può ravvisarsi la provocazione in un arbitraggio asseritamente ingiusto). Sussistono, infine, le aggravanti di cui all’art. 147/5b e d (“l’aver la propria azione causato turbativa dell’ordine pubblico; per infrazioni relative a comportamenti tenuti durante lo svolgimento della gara costituirà sempre e comunque aggravante rivestire la carica di .. capitano”). Alla luce del complesso degli elementi sopra evidenziati, il fatto commesso risulta particolarmente grave e, distinguendosi rispetto a quello tenuto da altri tesserati, va sanzionato indubbiamente con una pena più grave. Va pertanto confermata la sanzione dell’inibizione di anni tre (sino al 22.5.2005) comminata dalla C.G.N. Non può, infatti, assumere rilievo, in questa sede, ai fini di una diminuzione della sanzione, il buon comportamento che il ricorrente ha tenuto dinanzi alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport, essendo successivo alla valutazione della C.G.N. Va dato atto, infatti, che il Bocci Eraldo, in sede arbitrale, non solo ha più volte manifestato il sentito rammarico per l’accaduto, ma ha dichiarato di essere disponibile a conciliare la controversia attraverso un impegno concreto nell’interesse dei valori sportivi di cui è portatrice la F.I.P. e la stessa società che egli rappresenta. In tal senso, ha anche prospettato, con l’ausilio dell’arbitro, un accordo conciliativo non solo a contenuto strettamente economico ma anche volto a realizzare, mediante una forma di impegno diretto, proprio quegli scopi istituzionali perseguiti dalla F.I.P., impegnandosi a partecipare ad una serie di incontri presso la Sezione C.I.A. territorialmente più vicina, al fine di favorire sia la corretta conoscenza dell’attività arbitrale sia la prevenzione di episodi di violenza in occasione di manifestazione sportive. Si è impegnato, altresì, anche a collaborare ad attività federali anche a carattere strumentale. Ciò pare dimostrare come il Bocci Eraldo, a seguito del tempo ormai trascorso dal fatto e dell’effetto in parte svolto dalla sanzione, abbia intrapreso un percorso di serio reinserimento all’interno dei canoni della lealtà e del rispetto dell’ordinamento sportivo. Competerà, pertanto, alla F.I.P. valutare se tali elementi di novità rilevino ai fini dell’eventuale concessione di quei provvedimenti di clemenza (indulto) che possono ridurre la durata delle sanzioni definitive comminate. Al rigetto dell’istanza segue la condanna alle spese di arbitrato e alla rifusione degli onorari di lite e dei diritti amministrativi versati dalla F.I.P. Quanto alla misura degli onorari da corrispondere all’organo arbitrale secondo la tabella allegata al regolamento, in applicazione dell’art. 23 del regolamento, tenendo conto del tempo occorso e della capacità finanziaria delle parti, pur avendo l’impegno profuso superato ampiamente le 30 ore (udienze svolte, studio degli atti e delle memorie, delle note di replica, della normativa generale e particolare della F.I.P. e stesura della motivazione), si ritiene equo comunque commisurarli nei limiti del contributo spese già interamente versato dalle parti. Riguardo, invece, i diritti, gli onorari e le spese di difesa, da corrispondersi unitariamente ai procuratori di parte convenuta, ritiene l’Arbitro, in considerazione dell’attività concretamente svolta, della natura delle questioni affrontate, dell’esito del processo, delle tariffe orientative di cui al D.M. Giustizia 5.10.1994 n. 585, di liquidarle in complessive euro 2.600,00 oltre IVA e CAP, di legge. P.Q.M. L’Arbitro, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore eccezione e deduzione disattesa, così statuisce: 1) respinge la domanda di arbitrato proposta da Eraldo Bocci, confermando, relativamente a detto tesserato, la decisione n. 86 del 9 agosto 2002 della Commissione Giudicante Nazionale della Federazione Italiana Pallacanestro; 2) condanna l’istante al pagamento degli onorari di arbitrato che determina nella misura di euro 3.000,00 (tremila), con obbligo dell’istante di versare alla F.I.P. l’importo di euro 1.500,00 già versato dalla Federazione, nonché degli onorari, diritti e spese di lite e difesa sostenute dagli avvocati della F.I.P. (Avv.ti Guido Valori e Paola Vaccaro) che liquida in complessive euro 2.600,00 oltre 10% rimborso forfettario, IVA e CAP di legge; 3) dispone che Eraldo Bocci rimborsi alla F.I.P. i diritti amministrativi versati; Roma, lì 12 maggio 2003. L’Arbitro Unico dott. Giovanni ARIOLLI
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