CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 2 del 07/02/2011 Santiago Monteagudo – tesserato F.I.R. – e Paolo Josè Pitavino – tesserato F.I.R. – contro la F.I.R. – Federazione Italiana Rugby e nei confronti del C.O.N.I.

CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 2 del 07/02/2011 Santiago Monteagudo – tesserato F.I.R. – e Paolo Josè Pitavino – tesserato F.I.R. – contro la F.I.R. – Federazione Italiana Rugby e nei confronti del C.O.N.I. L’Alta Corte di Giustizia Sportiva, composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente, dott. Alberto De Roberto, dott. Giovanni Francesco Lo Turco, prof. Massimo Luciani, Relatore, prof. Roberto Pardolesi, ha pronunciato la seguente DECISIONE nei giudizi introdotti dai ricorsi iscritti al R.G. Ric. nn. 24/2010 e 25/2010, proposti in data 10 dicembre 2010 dai sigg.ri Santiago Monteagudo – tesserato F.I.R. – e Paolo Josè Pitavino – tesserato F.I.R. – contro la F.I.R. – Federazione Italiana Rugby e nei confronti del C.O.N.I. – Comitato Olimpico Nazionale Italiano e del sig. Pablo Celoni. per l’annullamento della decisione della Corte d’appello federale F.I.R. del 5 ottobre 2010, n. 1 – s.s. 2010/2011, con la quale tale Corte ha rigettato i ricorsi dei sigg.ri Monteagudo e Pitavino avverso la decisione della Corte federale di prima istanza F.I.R. del 27 luglio 2010, n. 1 – s.s. 2010/2011, adita dai medesimi ricorrenti per l’annullamento del comunicato Federale F.I.R. n. 4 del 12 maggio 2010, delle deliberazioni del Consiglio Federale F.I.R. del 10 aprile 2010 e del 30 maggio 2010, nonché, in parte qua, della Circolare Informativa 2010/2011 approvata dal Consiglio Federale F.I.R. nella riunione del 9/10 aprile 2010, pubblicata in data 10 giugno 2010. Vista la costituzione in giudizio della parte resistente – Federazione Italiana Rugby (F.I.R.); Udito nella udienza del 20 gennaio 2011 il relatore, prof. Massimo Luciani; Uditi per i ricorrenti – sigg.ri Santiago Monteagudo e Paolo José Pitavino – l’avv. prof. Mariano Protto, e per la parte resistente costituita – Federazione Italiana Rugby – l’avv. prof. Guido Valori. Ritenuto in fatto 1.- Con distinti ricorsi, proposti a questa Alta Corte in data 10 dicembre 2010 e rubricati ai nn. 24/2010 e 25/2010 R. G. Ric., i sigg.ri Santiago Monteagudo e Paolo José Pitavino, entrambi cittadini italiani di origine argentina, tesserati F.I.R. e giocatori affiliati a società che militano in campionati nazionali di rugby, hanno impugnato la decisione della Corte d’appello federale F.I.R. del 5 ottobre 2010, n. 1 – s.s. 2010/2011, con cui sono stati rigettati i ricorsi degli stessi sigg.ri Monteagudo e Pitavino avverso la decisione della Corte federale di prima istanza F.I.R. del 27 luglio 2010, n. 1 – s.s. 2010/2011, che era stata adita dai medesimi ricorrenti per l’annullamento del comunicato Federale F.I.R. n. 4 del 12 maggio 2010, delle deliberazioni del Consiglio Federale F.I.R. del 10 aprile 2010 e del 30 maggio 2010, nonché, in parte qua, della Circolare Informativa 2010/2011 approvata dal Consiglio Federale F.I.R. nella riunione del 9/10 aprile 2010, pubblicata in data 10 giugno 2010. Le deliberazioni del Consiglio Federale F.I.R. sono state impugnate innanzi gli organi della giustizia federale nella parte in cui stabiliscono e rendono pubblici i c.d. «limiti di utilizzazione» dei giocatori di formazione non italiana nei campionati italiani organizzati dalla F.I.R. In particolare, per la stagione 2010-2011, gli atti impugnati prescrivono l’inserimento nel foglio-gara per il campionato di Eccellenza di almeno diciassette giocatori di formazione italiana su ventidue totali (diciotto in caso di foglio-gara esteso a ventitrè atleti), per il campionato di Serie A di almeno diciannove su ventidue (venti in caso di foglio-gara di ventitrè atleti), per la Serie B e la Serie C di almeno ventuno atleti di formazione italiana. Ai sensi della regolamentazione federale vigente (Comunicato Federale F.I.R. n. 4 del 12 maggio 2010, che rinvia al § 2.3 Circolare Informativa F.I.R. s.s. 2009-2010), sono «giocatori di formazione italiana» quei tesserati di cittadinanza italiana o straniera che non siano provenienti da una federazione straniera e che siano stati tesserati e che abbiano svolto l’attività sportiva in Italia, per almeno due stagioni sportive, nei settori propaganda e/o juniores (ovverosia fino alla stagione sportiva in cui si compie il diciannovesimo anno di età) di società italiane. Sono equiparati ai «giocatori di formazione italiana» i giocatori di cittadinanza italiana o straniera stabilmente residenti in Italia che non abbiano mai praticato il gioco del rugby in precedenza e che siano stati tesserati per la prima volta in Italia senza provenire da altra Federazione. Sono altresì equiparati ai «giocatori di formazione italiana», per meriti sportivi, i giocatori di cittadinanza italiana che, pur non formati nei vivai giovanili italiani, abbiano vestito la maglia della squadra nazionale assoluta collezionando la presenza in almeno dieci incontri ufficiali dello International Rugby Board, l’organizzazione che presiede alla pratica agonistica del gioco del rugby a livello internazionale. 2.- Nei rispettivi ricorsi, con identica motivazione, i sigg.ri Monteagudo e Pitavino, cittadini italiani e giocatori «di origine non italiana» ai sensi della normativa richiamata, hanno anzitutto illustrato quelle che a loro avviso sono le ragioni della competenza dell’Alta Corte, deducendo che 1) si sono esauriti i rimedi o ricorsi previsti dalla giustizia federale; 2) la questione proposta assume notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale, stante il fatto che essa coinvolge i c.d. «limiti di utilizzazione» delle categorie di sportivi in tutti i campionati federali; 3) la controversia attiene ad una situazione giuridica soggettiva indisponibile, ovverosia all’interesse legittimo dei ricorrenti, per come tutelato e garantito di fronte alle norme regolamentari che disciplinano l’organizzazione e lo svolgimento dei campionati e delle competizioni sportive, norme in cui si sostanzia l’esercizio dell’attività di valenza pubblicistica rimessa dall’art. 15 del d. lgs. 23 luglio 1999, n. 242, alle Federazioni sportive, quali organi indiretti del C.O.N.I. Nel merito, a sostegno dei rispettivi ricorsi, sono stati proposti quattro distinti motivi di gravame. Col primo motivo la decisione della Corte federale d’appello F.I.R. in epigrafe è stata censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3. del d. l. n. 220 del 2003, conv. in l. 17 ottobre 2003, n. 280; dell’art. 1 della l. 7 agosto 1990, n. 241; dei principi di eguaglianza, parità di trattamento, imparzialità e trasparenza. Ciò in ragione del fatto che l’attività normativa nel cui esercizio sono state adottate le deliberazioni in tema di «limiti di utilizzazione» dei giocati di formazione italiana non sarebbe espressione dell’autonomia tecnico-organizzativa della F.I.R., bensì avrebbe valenza pubblicistica ai sensi dell’art. 15 del d. lgs. 23 luglio 1999, n. 242, e pertanto sarebbe vincolata al rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza prescritti dall’art. 23, comma 1-bis, dello Statuto del C.O.N.I. Col secondo motivo di ricorso la decisione della Corte d’appello federale F.I.R. è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del Regolamento organico F.I.R., degli artt. 20, 23 e 24 dello Statuto del C.O.N.I., dell’art. 2 dello Statuto F.I.R., dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nonché per carenza di motivazione. In particolare, sostengono i ricorrenti che la deliberazione del Consiglio Federale di limitare a tre – per il campionato di Serie A – o a uno – per il campionato di Serie C – su un totale di ventidue il numero dei giocatori di formazione straniera che una squadra iscritta può indicare nel foglio-gara sarebbe esercizio di un’attività discrezionale esercitata dalla F.I.R. in violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità, imparzialità, trasparenza e ragionevolezza nonché in carenza di motivazione, stante il fatto che tali atti non fanno riferimento agli elementi di fatto e alle ragioni di diritto per le quali la percentuale di necessaria utilizzazione dei giocatori «di formazione italiana» è stata elevata rispetto alla soglia del 50% indicata nell’art. 42 del Regolamento organico federale F.I.R. Col terzo motivo di ricorso la decisione della Corte d’appello federale F.I.R. è censurata per omessa pronuncia e violazione e falsa applicazione degli artt. 45 e 81 TCE e dell’art. 1 l. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto i «limiti di utilizzazione» dei giocatori di formazione non italiana, risolvendosi in un ingiustificato e lesivo disincentivo al tesseramento di tali atleti, si porrebbero in insanabile contraddizione con la libertà di circolazione dei lavoratori sancita dal diritto comunitario, in considerazione del fatto che i limiti sopra citati inciderebbero direttamente sulla possibilità di ingaggio dei giocatori e dunque sulla libertà di esercitare un’attività economica in un paese membro dell’Unione Europea. Con il quarto motivo di ricorso, la decisione della Corte d’appello Federale F.I.R. è censurata per violazione del dovere di imparzialità del Giudice sportivo, in quanto la Corte si sarebbe indebitamente e illegittimamente sostituita alla F.I.R. nell’esercizio di funzioni di amministrazione attiva, aggiungendo una motivazione postuma agli atti deliberativi censurati. Alla luce dei motivi di gravame sopra citati, i ricorrenti concludono chiedendo l’annullamento della sentenza n. 1 – s.s. 2010/2011 della Corte d’Appello federale F.I.R. e, per l’effetto, l’annullamento delle deliberazioni federali indicate in epigrafe, le quali impedirebbero di fatto ai due ricorrenti, cittadini italiani di origine argentina, di proseguire la pratica agonistica del rugby quali affiliati a società che militano in campionati nazionali. Nell’interpretazione datane dai ricorrenti, infatti, le deliberazioni impugnate sarebbero state adottate in violazione, oltre che degli artt. 20 e 21-bis dello Statuto del C.O.N.I., dell’art. 42 del Regolamento organico F.I.R., degli artt. 20, 23 e 24 dello Statuto del C.O.N.I., dell’art. 2 dello Statuto F.I.R., dell’art. 3. del d. l. n. 220 del 2003, conv. in l. 17 ottobre 2003, n. 280, e dell’art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241, anche dei principi di eguaglianza, parità di trattamento, imparzialità e trasparenza. Tali deliberazioni sarebbero state altresì adottate in carenza assoluta di motivazione quanto alla necessità di discostarsi dalla misura del 50% di utilizzazione di giocatori di formazione italiana, fissata dall’art. 42 del Regolamento organico F.I.R., al fine di salvaguardare e promuovere i vivai sportivi nazionali. Inoltre, gli atti impugnati costituirebbero una violazione degli artt. 45 e 81 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (di seguito TCE). 3.- Con nota prot. n. 364 del 15 dicembre 2010, il Presidente dell’Alta Corte assegnava alla F.I.R. e alle altre parti termine per il deposito di ulteriori documenti istruttori e note a chiarimento sulla presenza numerica dei giocatori di formazione non italiana nelle società che militano nei campionati nazionali e sui rapporti economici intercorrenti tra costoro e le rispettive squadre di affiliazione, sulle conseguenze in cui incorre la società per la violazione dei cd «limiti di utilizzazione», sugli ulteriori progetti e proposte adottati al fine della salvaguardia dei vivai sportivi nazionali e infine sulla posizione del sig. Pablo Celoni, presunto controinteressato cui sono stati notificati entrambi i ricorsi. 4.- Con memoria presentata in data 22 dicembre 2010 si costituiva in giudizio la Federazione Italiana Rugby – F.I.R., in persona del Presidente Federale Giancarlo Dondi. La F.I.R. chiedeva che i ricorsi fossero dichiarati inammissibili e che fossero comunque respinti perché destituiti di fondamento in fatto e in diritto, con la conferma dei provvedimenti già adottati dai Giudici sportivi sulla controversia. In particolare, quanto all’inammissibilità dei ricorsi, la F.I.R. affermava che la presente controversia attiene a questioni di carattere strettamente sportivo, in ispecie alla determinazione dei criteri di formazione della lista degli iscrivibili al referto di gara, e non a diritti sportivi indisponibili. Nel merito, la F.I.R. deduceva che gli atti deliberativi del Consiglio Federale F.I.R. tendono tutti, legittimamente e senza violare alcuna posizione di diritto o di interesse protetto, a perseguire i fini di politica sportiva indicati dal C.O.N.I. a tutela e salvaguardia dei vivai sportivi nazionali, indicati con la deliberazione 15 luglio 2004, n. 1276. 5.- In data 23 dicembre 2010 e 14 gennaio 2011, la F.I.R. deposita documentazione. In data 5 gennaio 2011 i ricorrenti depositavano una nota a chiarimento della posizione di controinteressati del Sig. Pablo Celoni e del C.O.N.I.. 6.- I ricorsi sono stati ritualmente discussi alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011. Considerato in diritto 7.- Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, connessi quanto all’oggetto, alle motivazioni, alle questioni di diritto trattate e quanto all’identità soggettiva della parte convenuta. 8.- Sempre preliminarmente, devono essere esaminate, per la loro priorità logica, le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi formulate dalla F.I.R. 9.- La Federazione rileva che i ricorsi sono volti a sindacare scelte di politica sportiva della F.I.R., attuate mediante provvedimenti che incidono strettamente nel piano tecnico-sportivo, incapaci di ledere i diritti sportivi insindacabili degli odierni ricorrenti. Inoltre, le deliberazioni originariamente impugnate sarebbero dirette alle società che militano nei campionati nazionali e non agli atleti, i quali, con il tesseramento, accettano le regole che la F.I.R. impone alle squadre di club. Infine, la disciplina determinata da quegli atti non tratterebbe né del tesseramento, né del rapporto di ingaggio, né della possibilità generale di pratica del rugby, sicché mancherebbe ogni attinenza ai (e ogni lesione dei) diritti sportivi individuali dei due ricorrenti. 10.- Le eccezioni sono infondate. 11.- Sul primo e sul secondo aspetto di ritenuta inammissibilità, è sufficiente - ai fini della infondatezza della eccezione - rilevare che la tutela degli atleti in questa sede non può essere negata in ordine ad una censura su una scelta regolativa che, abbia o meno anche un contenuto tecnico-sportivo e abbia o meno come indirizzatarie dirette le società e non gli atleti, incide comunque nella sfera soggettiva della posizione di atleta e sull’utilizzabilità degli atleti nelle gare, sempre, peraltro, nei limiti propri del sindacato di questa Alta Corte di Giustizia sportiva per i diversi profili di legittimità e logico-giuridici di eccesso di potere e quindi anche di manifesta spoporzione dei mezzi rispetto al fine, come appresso precisati. Quanto al terzo, anche se è vero che le deliberazioni originariamente impugnate non dettano norme direttamente riguardanti il tesseramento alla Federazione o l’ingaggio (a titolo oneroso o gratuito) nelle società che militano nei campionati nazionali, né la possibilità in linea teorica per un giocatore di formazione non italiana di praticare il rugby nei campionati nazionali, è di immediata evidenza il fatto che le norme che impongono i cd «limiti di utilizzazione» possono essere idonee a generare effetti discriminatori indiretti, tali da poter impedire di fatto l’esercizio concreto della pratica sportiva agonistica. Pertanto, appare chiaro che la presente controversia riguarda il diritto dei ricorrenti a praticare il rugby nel campionato italiano organizzato dalla F.I.R. Tale diritto si riferisce alla stessa fase genetica del rapporto fra il singolo sportivo e il relativo ordinamento sezionale, non è arbitrabile e non è disponibile. 12.- Nel merito, i ricorsi sono parzialmente fondati. 13.- Col primo motivo la decisione della Corte federale d’appello F.I.R. in epigrafe è stata censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3. del d. l. n. 220 del 2003, conv. in l. 17 ottobre 2003, n. 280, dell’art. 1 della l. 7 agosto 1990, n. 241, dei principi di eguaglianza, parità di trattamento, imparzialità e trasparenza. In particolare, i ricorrenti deducono che l’attività normativa nel cui esercizio sono state adottate le deliberazioni censurate, le quali individuano i c.d. «limiti di utilizzazione» dei «giocatori di formazione non italiana», non sia, come affermato dalla Corte Federale d’Appello federale F.I.R., espressione dell’autonomia tecnico-organizzativa della F.I.R., bensì abbia valenza pubblicistica in virtù dell’art. 15 del d. lgs. 23 luglio 1999, n. 242. Pertanto tale attività normativa dovrebbe rispettare i principi di imparzialità e trasparenza prescritti, proprio per le attività di valenza pubblicistica, dall’art. 23, comma 1-bis dello Statuto del C.O.N.I. 14.- Col secondo motivo di ricorso la decisione della Corte d’appello federale F.I.R. è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del Regolamento organico F.I.R., degli artt. 20, 23 e 24 dello Statuto del C.O.N.I., dell’art. 2 dello Statuto F.I.R., dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nonché per carenza di motivazione. In particolare, sostengono i ricorrenti che la deliberazione del Consiglio Federale di limitare a tre – per il campionato di Serie A – o a uno – per il campionato di Serie C – su un totale di ventidue il numero dei giocatori di formazione straniera che una squadra iscritta può indicare nel foglio-gara non sia, come affermato dalla Corte d’appello federale F.I.R., meramente esecutiva e comunque rispettosa dell’art. 42 del Regolamento organico F.I.R., il quale prevede che “Nelle squadre che partecipano ai campionati di livello nazionale dovrà essere garantita una presenza di giocatori formati nei vivai giovanili non inferiore al 50% del totale dei giocatori compresi nel referto arbitrale”. Al contrario, tale deliberazione sarebbe esercizio di un’attività discrezionale della F.I.R. esercitata in violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e ragionevolezza nonché in carenza di motivazione, stante il fatto che tali atti non fanno riferimento agli elementi di fatto e alle ragioni di diritto per le quali la percentuale di necessaria utilizzazione dei giocatori «di formazione italiana» è stata elevata in tale maniera rispetto a quella indicata nell’art. 42 del Regolamento organico federale F.I.R. I ricorrenti, inoltre, sostengono che la misura introdotta con le deliberazioni impugnate sia sproporzionata rispetto alla finalità di salvaguardia dei vivai sportivi nazionali, finalità che sarebbe già garantita dalla misura del 50% dettata dall’art. 42 del cit. Regolamento F.I.R. Infine, le deliberazioni in questione, imponendo discriminazioni nella possibilità di partecipare alla pratica sportiva, violerebbero l’art. 20, comma 3, dello Statuto del C.O.N.I., che prescrive che l’attività delle Federazioni si ispira al principio della “partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di uguaglianza e di pari opportunità”. 15.- Col terzo motivo di ricorso la decisione della Corte d’appello federale F.I.R. è censurata per omessa pronuncia e violazione e falsa applicazione degli artt. 45 e 81 TCE e dell’art. 1 della l. 7 agosto 1990, n. 241. In particolare i ricorrenti deducono che l’apposizione dei c.d. «limiti di utilizzazione» dei giocatori di formazione non italiana, risolvendosi in un ingiustificato e lesivo disincentivo al tesseramento di tali atleti, si ponga in insanabile contraddizione con la libertà di circolazione dei lavoratori, dato che i limiti inciderebbero direttamente sulla possibilità di ingaggio dei giocatori e dunque sulla libertà di esercitare un’attività economica in un Paese membro dell’Unione Europea. A questo proposito, per i ricorrenti, risulterebbe inconferente il fatto che il rugby sia ancora uno sport non professionistico, in quanto la pratica agonistica di tale disciplina risulta essere attività economica rilevante ai sensi del Trattato dell’Unione Europea. 16.- Con il quarto motivo di ricorso, la decisione della Corte d’appello Federale F.I.R. è censurata per violazione del dovere di imparzialità del Giudice sportivo. In particolare, i ricorrenti deducono che le Corti federali si sarebbero indebitamente e illegittimamente sostituite alla F.I.R. nell’esercizio delle funzioni di amministrazione attiva, aggiungendo una motivazione postuma e venendo meno al rispetto del dovere di imparzialità immanente all’esercizio di funzioni decisorie. 17.- Deve essere dichiarato infondato, preliminarmente, quest’ultimo motivo di ricorso, come pure la censura di omessa pronuncia, formulata nel terzo motivo di entrambi gli atti introduttivi del presente giudizio. 18.- La Corte federale d’appello e la Corte federale di prima istanza F.I.R. hanno adempiuto ai propri doveri in perfetto ossequio alle norme vigenti, né si sono sostituite agli organi di amministrazione attiva della Federazione, ma hanno semplicemente giudicato sulle domande loro proposte, dichiarandole inammissibili e comunque rigettandole nel merito (epperciò pronunciandosi) con l’argomentare che deve essere proprio delle pronunce degli organi di giustizia sportiva. 19.- Infondata, altresì, deve essere dichiarata la censura di difetto di motivazione, articolata nel secondo motivo dei rispettivi ricorsi. Preliminarmente, può essere rilevata la contraddizione nella quale cadono i ricorrenti, i quali, nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, correttamente vedono negli atti federali impugnati la manifestazione del potere regolamentare della Federazione, con ciò solo smentendo l’esigenza della loro motivazione. Anche da ciò prescindendo, peraltro, la necessità di una fissazione dei limiti numerici risale alla delibera C.O.N.I. 15 luglio 2004, n. 1276, recante disposizioni per la “Promozione e tutela dei vivai giovanili – Direttiva alla Federazioni sportive nazionali e alle Discipline sportive associate” (alla quale gli atti impugnati fanno riferimento, ribadendo l’esigenza della tutela dei vivai) e all’art. 42, commi 1 e 3, del Regolamento organico F.I.R.. In special modo, l’art. 42, del Regolamento Organico F.I.R., rubricato “Limiti all’utilizzabilità dei giocatori e tutela dei vivai giovanili”, dispone che “1. I limiti all’utilizzabilità dei giocatori in ciascuna categoria sono stabiliti dal Consiglio Federale per ogni anno sportivo anche in conformità ad eventuali direttive del C.O.N.I. in relazione alla salvaguardia dei vivai nazionali. […] 3. Nelle squadre che partecipano ai campionati di livello nazionale dovrà essere garantita una presenza di giocatori formati nei vivai giovanili non inferiore al 50% del totale dei giocatori compresi nel referto arbitrale”. 20.- Gli ulteriori tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, poiché, in definitiva, pongono il medesimo problema, relativo alla legittimità della fissazione di limiti numerici alla presenza di giocatori di formazione non italiana nel foglio-gara e, in particolare, all’incremento di tali limiti stabilito per l’ultima stagione sportiva. Va precisato che, sebbene i ricorsi non siano formulati, sul punto, in modo perspicuo, si deve ritenere che le censure dei ricorrenti non riguardino solo (rispettivamente) i fogli-gara per la Serie A e i fogli-gara per la Serie C. È bensì vero che ad esse i ricorsi fanno specifico riferimento, ma non è meno vero che l’intera argomentazione svolta postula una censura generale all’istituto del limite e alla sua concreta applicazione da parte della Federazione. Né va trascurato il fatto che i ricorrenti, a seconda della loro abilità sportiva, potrebbero aspirare a giocare non solo nella Serie A o nella Serie C, ma anche nell’Eccellenza o nella Serie B. La valutazione della problematica posta dai ricorsi deve pertanto essere complessiva. 21.- Si deve premettere che la fissazione dei c.d. «limiti di utilizzazione» dei giocatori appartenenti a differenti categorie, proprio per la possibilità di produrre effetti discriminatori, seppure indiretti, tali da impedire di fatto la pratica agonistica del rugby nelle società che militano nei campionati italiani, non attiene semplicemente all’autonomia tecnico-organizzativa della F.I.R., ma ha immediata rilevanza pubblicistica ai sensi dell’art. 23, comma 1, dello Statuto del C.O.N.I. Questo perché gli effetti discriminatori si riverberano sull’ammissione e sull’affiliazione dei tesserati, ambito che lo Statuto del C.O.N.I. esplicitamente individua quale afferente, per l’appunto, alle attività di valenza pubblicistica delle Federazioni sportive. Alla luce di queste riflessioni appaiono destituite di fondamento le pur articolate argomentazioni svolte dalla resistente costituita F.I.R., secondo cui si ravviserebbe una differenza sostanziale tra il tesseramento e l’impiego in campo del singolo atleta. Appare invece evidente che i c.d. «limiti di utilizzazione» dei giocatori di formazione non italiana sono in grado di frustrare anche le scelte tecniche dell’allenatore circa il tesseramento (prima che il diretto schieramento in campo) dei giocatori affiliati alle società sportive. 22.- Alla presente controversia trovano applicazione i generali princìpi di non discriminazione e di libertà di esercizio dell’attività sportiva. Al di là delle apparenze, non ha molto senso, in questa sede, interrogarsi sull’applicazione delle norme comunitarie che tali princìpi esprimono. I ricorrenti, infatti, invocano sia tali norme – peraltro facendo riferimento al TCE e non al vigente Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito TFUE) –, sia quelle interne dalle quali i medesimi princìpi possono essere desunti. Pertanto, ancorché i ricorrenti non dimostrino in atti la natura semiprofessionistica del rapporto che li lega alle società di appartenenza (si ricordi che per la Corte di Giustizia CE “riveste carattere economico l’attività dei calciatori professionisti o semiprofessionisti, che svolgono un lavoro subordinato o effettuano prestazione di servizio retribuita”: sent. 14 luglio 1976, Donà c. Mantero, C-13/76, ma già nello stesso senso la sent. 15 dicembre 1995, Union Royale Belge des Sociétés de Football Association ASBL e altri c. J.-M. Bosman, C-415/93), la questione può comunque essere vagliata alla luce dei princìpi sopra indicati, fermo restando che l’interpretazione che ne è stata data in sede comunitaria vale da guida per l’interprete, ai sensi dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, per come interpretato dalla nostra Corte costituzionale (v. già le sentt. nn. 348 e 349 del 2007). Né le norme interne, né quelle comunitarie, comunque, pongono tali princìpi su di un piano tale da sottrarli al confronto. Occorre verificare, dunque, se vi siano altri princìpi, concorrenti, con i quali essi debbano essere contemperati. 23.- La già citata delibera C.O.N.I. 15 luglio 2004, n. 1276, ha imposto alle Federazioni sportive nazionali e alle Discipline sportive associate, entro il termine della stagione agonistica 2004/2005, la presentazione, con riferimento alla specificità delle varie discipline sportive e dei relativi campionati, “proposte e progetti dettagliati relativi alla promozione e tutela dei vivai giovanili al fine di pervenire, con inizio a decorrere dalla stagione agonistica 2006/2007, al perseguimento del seguente obiettivo: nelle squadre che partecipano ai campionati di livello nazionale dovrà essere garantita una presenza di giocatori formati nei vivai giovanili nazionali non inferiore al 50 per cento del totale dei giocatori compresi nel referto arbitrale”. Tale prescrizione (cfr. i considerando nn. 6, 7, 9, 10, 11 e 12 della cit. delibera) è stata adottata richiamando a) l’art. 2, comma 4-bis dello Statuto del C.O.N.I., in base al quale l’attività del Comitato è finalizzata, tra l’altro, a salvaguardare il patrimonio sportivo nazionale e a tutelare i vivai giovanili; b) l’art. 22 l. 30 luglio 2002, n. 189, il quale ha attributo al C.O.N.I. anche il compito di “assicurare la tutela dei vivai giovanili”; c) il fatto che “la formazione e la tutela dei vivai costituisce presupposto indispensabile […] per salvaguardare la scuola tecnico-sportiva nazionale”; d) la circostanza per cui “in questi ultimi anni si è assistito, in particolare negli sport di squadra, ad un progressivo depauperamento dei vivai giovanili, con conseguente venir meno della funzione formativa ed educativa delle società sportive e relativa dispersione dello specifico patrimonio culturale della scuola tecnico-sportiva”. 24.- Il principio di valorizzazione dei giovani e di tutela dei vivai ha dunque uno specifico riconoscimento nel nostro ordinamento sportivo. Né, tale constatazione viene meno ove si considerino gli indirizzi comunitari. Si deve ricordare, infatti, che la finalità di protezione dei vivai giovanili e di cura della formazione dei giovani atleti è pacificamente ritenuta meritevole dallo stesso ordinamento comunitario. Già la Corte di Giustizia CE, nella cit sent. Bosman, invocata dagli stessi ricorrenti, peraltro argomentando in tema di compatibilità con il Trattato CE delle norme sui trasferimenti dei giocatori e non delle norme sulla cittadinanza, invero, ammetteva che “la prospettiva di percepire indennità di trasferimento, di promozione o di formazione è effettivamente idonea ad incoraggiare le società a cercare calciatori di talento e ad assicurare la formazione dei giovani calciatori” (§ 108). Più di recente, analoghi concetti si rinvengono nella Comunicazione della Commissione Europea 11 luglio 2007, COM(2007) 391, recante il Libro Bianco sullo Sport, nel quale si afferma che “Gli investimenti e la promozione della formazione dei giovani sportivi di talento nelle condizioni adeguate rappresentano un elemento fondamentale per uno sviluppo sostenibile dello sport a tutti i livelli. […] Le regole che impongono alle squadre una quota di giocatori formati sul posto possono ritenersi compatibili con le disposizioni del trattato sulla libera circolazione delle persone se non causano una discriminazione diretta basata sulla nazionalità e se gli eventuali effetti discriminatori indiretti possono essere giustificati come proporzionati a un obiettivo legittimo perseguito, ad esempio potenziare e tutelare la formazione e lo sviluppo dei giovani giocatori di talento” (§ 8). Ancor più di recente, nella Comunicazione della Commissione Europea 18 gennaio 2011, COM(2011) 12, si afferma che “rules which are indirectly discriminatory (such as quotas for locally trained players), or which hinder free movement of workers (compensation for recruitment and training of young players), may be considered compatible if they pursue a legitimate objective and insofar as they are necessary and proportionate to the achievement of such an objective”. È qui particolarmente sottolineato il principio di proporzionalità, che peraltro costituisce un principio generale anche dell’ordinamento giuridico italiano, per esplicito richiamo legislativo (v., ad es., l’art. 1 l. 241 del 1990, a tenor del quale “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta […] dai princìpi dell’ordinamento comunitario”) e per costante giurisprudenza costituzionale (qui, nella veste di principio di ragionevolezza, cfr. Corte cost. sentt. nn. 1130 del 1988 e 214 del 2006) e amministrativa (ex plurimis, Cons. St., sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087). 25.- Da quanto precede, risulta dunque che: a) le discriminazioni indirette sono legittime, anche dal punto di vista dell’ordinamento comunitario, se sono funzionali al perseguimento di un fine meritevole e sono idonee e proporzionate allo scopo; b) il fine di valorizzare i giovani e i relativi vivai appartiene al novero dei fini astrattamente meritevoli. 26.- A questo punto, la controversia, pur se complessa e articolata, finisce per risolversi nella questione della proporzionalità o meno dei limiti contestati dai ricorrenti, intendendo la proporzionalità come idoneità o necessità di un atto che imponga un obbligo o una sanzione rispetto ai risultati che si vogliono conseguire e all’interesse pubblico che si intende tutelare, (Corte di Giustizia CE, sent. 12 novembre 1996, Regno Unito c. Consiglio, C-84/94; Id., sent. 3 dicembre 1974, Van Binsbergen c. Van de Bedrijfsvereniging, C-33/74, ma nel medesimo senso è anche la giurisprudenza italiana). 27.- Ora, così impostata la questione, si deve notare che la fattispecie sottoposta al giudizio di questa Alta Corte presenta una evidente peculiarità. È noto che il principio di proporzionalità deve essere applicato anche dall’Autorità amministrativa. Nondimeno, in via generale, tale compito spetta alle Amministrazioni operative, chiamate alla diretta gestione dell’interesse pubblico loro confidato, che agiscono sotto l’eventuale controllo dell’Autorità giudiziaria. Questa, a sua volta, di fronte all’eccezione di violazione del principio comunitario di proporzionalità, può, in caso di dubbio, proporre la questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE (ex art. 234 del TCE). Tale facoltà è preclusa a questa Alta Corte: le sue funzioni, infatti, pur essendo giustiziali, non la connotano come organo propriamente giurisdizionale (se così fosse, infatti, sarebbe stato violato, con la sua istituzione, il divieto costituzionale di istituire giudici speciali). Essa resta, pertanto, un organo di amministrazione (le sue decisioni sono ricorribili innanzi il Giudice amministrativo), seppure – si ripete – in funzione giustiziale e in posizione di particolare indipendenza e assoluta imparzialità. Ora, pur essendo organo appartenente all’Amministrazione, all’Alta Corte non è affidata la cura diretta dell’interesse pubblico, che spetta – invece – ai soggetti operativi dell’ordinamento sportivo. Ciò rende particolarmente delicata la valutazione del rispetto o meno del principio di proporzionalità, sia nella sua veste comunitaria che in quella nazionale, e del connesso principio di ragionevolezza (sotteso a quello di eguaglianza, esso pure invocato dai ricorrenti) perché solo le Amministrazioni direttamente operative hanno la piena conoscenza delle esigenze connesse al pubblico interesse loro confidato e possono compiutamente valutare la corrispondenza tra i mezzi utilizzati e i fini (di pubblico interesse) perseguiti. Per questo, il controllo dell’Alta Corte deve rimanere esterno e, nel rispetto della discrezionalità dei soggetti operativi dell’ordinamento sportivo, altamente specializzata, può appuntarsi soltanto sulla manifesta sproporzione dei mezzi rispetto al fine. 28.- Tanto precisato, si deve ribadire, anzitutto, che la F.I.R. ha perseguito uno scopo che lo stesso ordinamento comunitario ritiene meritevole. In secondo luogo, la misura adottata, in astratto, appare idonea allo scopo. È vero che l’ordinamento sportivo prevede mezzi e strumenti alternativi, sia di natura premiale e promozionale (quali quelli descritti nel Piano Strategico F.I.R. per il 2010, depositato in atti dalla resistente con prot. n. 0014 del 14 gennaio 2011), sia di natura sanzionatoria (quale, ad. es., l’obbligo per le Società che partecipano al campionato di Eccellenza di iscrivere proprie selezioni anche ai campionati giovanili a partire dalla categoria c.d. Propaganda – under 14, ai sensi della norma di cui alla pag. 98 della Circolare informativa F.I.R. 2009/2010), essi pure idonei a perseguire il medesimo risultato. Nondimeno, anche il limite oggetto del presente giudizio appare funzionale al rafforzamento dei vivai e alla valorizzazione dei giovani, in forza dell’aumento delle loro opportunità di essere tesserati ed impiegati da squadre militanti nei campionati nazionali. Né l’astratta idoneità del contestato limite è inficiata dalla norma derogatoria prevista per i giocatori di formazione non italiana che abbiano collezionato la convocazione in dieci incontri ufficiali della squadra nazionale assoluta, in quanto tale norma ha una funzione premiale che, per la sua eccezionalità e in ragione del fatto che si applica solo ai giocatori migliori, non contraddice la logica del principio del limite. 29.- Se il principio del limite è, in astratto, idoneo allo scopo, occorre ora verificare se sia proporzionata e ragionevole, in concreto, la sua quantificazione. I c.d. «limiti di utilizzazione» dei giocatori di formazione non italiana sono stati rettificati anno per anno a partire dalla s.s. 2006-2007, come testimoniato dalle relative Circolari informative depositate dai ricorrenti. Questo continuo innalzamento della soglia non è intervenuto in modo omogeneo. Balza agli occhi, invero, la rilevante accelerazione subìta dal limite minimo di utilizzazione dei giocatori di formazione italiana in particolare per la categoria “Eccellenza”. Come risulta dalla produzione dei ricorrenti, non contestata dalla Federazione resistente, si è passati dal numero minimo di 12 giocatori di formazione italiana ai 17 previsti per la stagione 2010/2011. Per il campionato di Serie A si è passati dal numero minimo di quindici giocatori di formazione italiana da inserire nella c.d. «lista-gara» ai diciannove previsti per la stagione 2010/2011. Per i campionati di Serie B e C si è passati dal numero minimo di diciannove giocatori di formazione italiana ai ventuno imposti per la stagione 2010/2011. Ciò significa che: a) nella stagione 2006/2007 la differenza tra Eccellenza (allora “Super 10”) e Serie B e C era di ben 7 giocatori (8 in quella successiva, ancora 7 in quella 2009-2010), mentre nella stagione 2010/2011 la differenza è di soli 4 giocatori; b) per la serie A, la differenza rispetto alle serie minori è passata dai 4 giocatori della stagione 2006/2007 a 2 giocatori della stagione 2010/2011; c) per le serie B e C l’aumento percentuale del limite rispetto al numero totale dei giocatori da inserire nel foglio-gara, dalla stagione 2006/2007 alla stagione 2010/2011, è stato inferiore al 10% circa, mentre per l’Eccellenza è stato superiore al 40% e per la serie A di poco superiore al 25%. Invero, l’esigenza di tutelare i vivai e favorire i giovani talenti appare particolarmente intensa soprattutto per quanto riguarda le serie minori, che paiono essere il primo, naturale sbocco dei giocatori all’inizio della loro carriera. Lo è meno per le serie superiori, sicché il minor rigore mostrato dalla Federazione in riferimento a queste appare pienamente giustificato. Il progressivo avvicinamento del trattamento tra le serie maggiori e quelle minori, a sua volta, non appare viziato, perché rientra nella discrezionalità della Federazione, non sindacabile in questa sede che per manifesta arbitrarietà, l’apprezzamento dell’esigenza di un rafforzamento della tutela anche per quanto riguarda la Serie A e l’Eccellenza. Mentre, però, per la Serie A questo rafforzamento, pur assai vistoso, è stato più progressivo, per l’Eccellenza ha mostrato un’accelerazione proporzionalmente molto più rilevante, della quale non è dato rinvenire la ragione, in comparazione con le altre Serie. Un’altra quantificazione del limite, anche intermedia, eventualmente, fra quella oggi prescelta e quella a suo tempo determinata per la Stagione 2009-2010, sarebbe stata, dunque, più corretta. Quanto alle Serie B e C, il più graduale aumento del limite e la segnalata, specifica, maggior forza dell’esigenza di tutela dei giovani pongono le scelte della Federazione al riparo dal vizio di manifesta arbitrarietà. Nondimeno, valuterà la Federazione, nell’ambito della sua discrezionalità, se anche per le Serie B e C non sia più opportuna una quantificazione diversa da quella prescelta e più favorevole per gli atleti di formazione non italiana. Quanto alla Serie A, l’aumento, si è detto, è stato vistoso, ma si è contenuto in misura proporzionalmente meno rilevante di quanto non sia accaduto per l’Eccellenza. In ragione dei segnalati limiti dello scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza che può essere compiuto da questa Alta Corte, pertanto, anche in questo caso le scelte della Federazione appaiono al riparo dal vizio di manifesta arbitrarietà. Nondimeno, anche qui, valuterà la Federazione, nell’ambito della sua discrezionalità, se anche per la Serie A non sia più opportuna una quantificazione diversa da quella prescelta e più favorevole per gli atleti di formazione non italiana. 30.- Si deve ritenere, pertanto, che la pronuncia gravata sia viziata nella parte in cui non considera attività a valenza pubblicistica l’imposizione dei c.d. «limiti di utilizzazione» dei giocatori di formazione non italiana, e che la delibera del Consiglio Federale F.I.R. del 10 aprile 2010, resa nota mediante Comunicato Federale F.I.R. del 12 maggio 2010, n. 4, sia illegittima nella parte in cui stabilisce in 17 (18 in caso di foglio-gara di 23 giocatori) il numero minimo dei giocatori di formazione italiana da inserire nel foglio-gara per gli incontri dei campionati nazionali di Eccellenza, anziché in una misura inferiore, anche intermedia, eventualmente, fra quella oggi prescelta e quella a suo tempo determinata per la Stagione 2009-2010.31.- Sussistono giusti motivi, in considerazione della particolarità delle questioni sollevate, per dichiarare interamente compensate le spese di lite. P.Q.M. L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA NEI GIUDIZI iscritti al R.G. ai nn. 24/2010 e 25/2010, proposti rispettivamente dal sig. Santiago Monteagudo e dal sig. Paolo Josè Patavino contro la Federazione Italiana Rugby e nei confronti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.) e del sig. Pablo Celoni per l’annullamento e la riforma della decisione della Corte d’Appello della F.I.R. del 5 novembre 2010, nonché degli atti ad essa antecedenti, in relazione alla delibera del Consiglio Federale F.I.R. del 10 aprile 2010, resa nota mediante comunicato Federale del 12 maggio 2010, n. 4, recante le nuove norme afferenti all’utilizzo degli atleti «di formazione italiana» inseribili nel foglio – gara delle varie categorie Seniores, con riferimento , in particolare, al Campionato di Serie A (§ 2.04 – Utilizzo atleti di formazione italiana campionati nazionali S.S. – 2010-2011), RIUNITI i ricorsi; ACCOGLIE parzialmente i ricorsi e per l’effetto annulla in parte, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza della Corte d’appello federale F.I.R. del 5 ottobre 2010, n. 1 – s.s. 2010/2011. Dichiara altresì illegittima e per l’effetto annulla la delibera del Consiglio Federale F.I.R. del 10 aprile 2010, resa nota mediante Comunicato Federale F.I.R. del 12 maggio 2010, n. 4, nella parte in cui stabilisce in 17 (18 in caso di foglio-gara di 23 giocatori) il numero minimo dei giocatori di formazione italiana da inserire nel foglio-gara per gli incontri dei campionati nazionali di Eccellenza, anziché in una misura inferiore, anche intermedia, eventualmente, fra quella oggi prescelta e quella a suo tempo determinata per la Stagione 2009-2010. SPESE interamente compensate; DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica; Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio telematica del 7 febbraio 2011. Il Relatore F.to Massimo Luciani Il Presidente F.to Riccardo Chieppa Il Segretario F.to Alvio La Face
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