CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 06 dicembre 2011 promosso da: Ascoli Calcio 1898 SpA / Federazione Italiana Giuoco Calcio
CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 06 dicembre 2011 promosso da: Ascoli Calcio 1898 SpA / Federazione Italiana Giuoco Calcio
IL COLLEGIO ARBITRALE
Avv.Guido Cecinelli – Presidente
Prof.Avv.Filippo Lubrano – Arbitro
Pres.Armando Pozzi - Arbitro
nominato ai sensi del Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e Disciplina per gli Arbitri (“Codice”), nel procedimento Prot. n.2163 del 16 Settembre 2011 promosso da:
Ascoli Calcio 1989 S.P.A. (p.iva: 00230850448) con sede in Ascoli Piceno, in persona dell’Amministratore Unico dr.Roberto Benigni nonché della delegata dr.ssa Silvia Benigni, rappresentata e difesa dall’Avv.Enzo Proietti del Foro di Roma presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via Catone n.21 giusta procura in atti - istante -
Contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio, P.IVA 01357871001-cod.fisc.: 05114040586, con sede in Roma alla Via Gregorio Allegri n.14, in persona del Presidente Dott.Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Panama n.58 - convenuta -
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
La vicenda de qua trae origine dal provvedimento prot.n.603/1615 PF 10 – 11/SP/BLP del 25.7.2011 con il quale il Procuratore Federale deferiva alla Commissione Disciplinare Nazionale l’Ascoli Calcio 18989 s.p.a., per responsabilità oggettiva nella violazione ascritta ai suoi tesserati Micolucci Vittorio e Sommese Vincenzo.
La Commissione Disciplinare Nazionale, con decisione del 9.8.2011 (Com.Uff.13/CDD)irrogava a carico della Ascoli Calcio s.p.a. una penalizzazione di sei punti in classifica da scontare nel campionato 2011/12, ed un’ammenda di € 50.000,00.
Contro tale decisione ricorreva l’Ascoli Calcio 1898 s.p.a., con atto del 19.4.2011 avanti la Corte di Giustizia Federale.
I Giudici Federali, con dispositivo di cui al C.U. n.30/CGF del 19.8.2011 respingevano l’impugnativa e confermavano la decisione di Prime Cure.
Con atto depositato in data 16.9.2011 prot. n.2163 l’Ascoli Calcio 1898 s.p.a. proponeva istanza di arbitrato, ex artt.9 e ss. del Codice, dinanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport; l’Avv. Guido Cecinelli veniva nominato quale terzo Arbitro con funzioni di Presidente, il Prof.Filippo Lubrano veniva nominato quale Arbitro della parte istante e il Presidente Armando Pozzi veniva nominato Arbitro dalla F.I.G.C.
La s.p.a. Ascoli Calcio 1898 contestava l’applicabilità, della responsabilità oggettiva, delineata in base agli illeciti enucleati a carico dei suoi tesserati Micolucci Vittorio e Sommese Vincenzo coinvolti nel procedimento penale avanti il Tribunale di Cremona, sostenendo che le condotte dei due tesserati erano da considerarsi extra-sportive e riguardavano la loro esclusiva responsabilità penale.
L’istante lamentava, altresì, l’errata applicazione della responsabilità oggettiva, l’omessa valutazione della posizione dell’Ascoli Calcio 1898 s.p.a. quale Soggetto passivo degli illeciti commessi dai suoi due calciatori, nonché l’incongruità della sanzione, con riguardo ad un difetto di graduazione della sanzione.
L’istante chiedeva la sospensione della sanzione economica.
A seguito del deposito delle motivazioni da parte della Corte di Giustizia Federale, l’Ascoli Calcio 1898 depositava memoria autorizzata con la quale rassegnava le seguenti
CONCLUSIONI
a) - annullare, revocare e/o riformare la decisione della Corte di Giustizia Federale - F.I.G.C. di cui al C.U./n.30/CGF del 19.8.2011 e al C.U. n.47/CGF del 22.9.2011 perché viziata, errata, destituita dei presupposti in fatto ed in diritto e, comunque, sproporzionata e ingiusta, secondo tutti i profili sopra specificati;
b) – dichiarare, per l'effetto, non applicabile il principio della "responsabilità oggettiva" a carico dell'Ascoli Calcio 1898 S.p.a. perché nella specie in violazione dei principi dell'ordinamento statuale e della giurisprudenza in materia, nonché in contrasto con la coordinata e corretta interpretazione delle norme federali, trattandosi di condotte di rilevanza penale esterne all'ambito sportivo e senza nesso di causalità con il rapporto con la Società, di cui deve risponde personalmente solo il reo e, comunque, in quanto l'Ascoli Calcio è soggetto danneggiato di dette azioni illecite;
c) – in via del tutto subordinata, in ossequio ai principi di proporzionalità ed equità della sanzione, come espressi e riconosciuti da varie decisioni sportive ed anche dalla stesso Tnas - valutando e valorizzando, in via di giustizia e secondo la discrezionalità del Giudicante, tutte le esimenti ed attenuanti oggettive e soggettive a favore dell'Ascoli Calcio, derivanti anche dalla chiusura del procedimento nei confronti di Micolucci per patteggiamento, nonché dalla mancata partecipazione di Sommese alle partite in questione (Livorno-Ascoli del 25.2.2011; Ascoli-Atalanta del 12.3.2011; Novara-Ascoli dell’1.4.2011) - applicare la sanzione "graduata" dell'ammenda o altra sanzione minima che si riterrà di giustizia in base a tutti i criteri richiamati;
d) – ancora in via subordinata, applicare una sanzione minima simbolica tenuto conto che la condotta dei responsabili è stata frazionata e sommata come tanti illeciti che, invece, riguardano una medesima condotta realizzata dalla "associazione per delinquere", valutabile secondo i principi dell'unitarietà del reato continuato. Si costituiva in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
All'udienza di comparizione delle parti veniva espletato il rituale tentativo di conciliazione che dava esito negativo.
Il Collegio concedeva termine alle parti per il deposito di note autorizzate e all’udienza del 2.12.2011, dopo la discussione, si riservava la decisione.
MOTIVI 1 –
Il ricorso dell’ASCOLI CALCIO 1898 S.p.A. è tutto rivolto a contestare l’esistenza, nella specie, dei presupposti per potersi configurare un’ipotesi di responsabilità oggettiva per fatti ascrivibili ai suoi due tesserati MICOLUCCI Vittorio e SOMMESE Vincenzo.
In particolare, la ricorrente assume la mancanza di un nesso di causalità tra mansioni del tesserato (i due giocatori legati da rapporto professionale con l’ASCOLI) ed illecito sportivo. Nella specie – assume la ricorrente – le condotte addebitate ai due giocatori avrebbero carattere extra sportivo e rileverebbero soltanto in ambito penale (cfr. pag.11 atto introduttivo).
A ciò si aggiunga – sempre secondo la Società istante – che l’ASCOLI ha subito, e non provocato, il danno ascrivibile alla condotta dei propri giocatori, i quali scommisero sulla sconfitta della propria squadra, la quale, pertanto, come pure emerso in sede penale innanzi al Tribunale di Cremona, è parte lesa della condotta illecita individuale.
Ulteriore profilo di illegittimità della pronuncia dell’organo disciplinare sarebbe la violazione del principio di proporzionalità e gradualità della pena, che, peraltro, è stato applicato nei confronti del giocatore MICOLUCCI Vittorio.
2 – Gli assunti della ricorrente società sulla configurabilità e sulla applicabilità della responsabilità non sono da condividere.
Preliminarmente vale ricordare, ai fini del decidere, che i rapporti tra ordinamento sportivo nazionale ed ordinamento statale sono improntati ai principi di specialità ed autonomia del primo, quale “articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”; principi mitigati da quello di connessione, in base al quale sono fatti “salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”: art. 1, D.L. 19.8.2003 n.220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003 n.280.
Il ricordato principio di specialità ed autonomia, oltre ad essere esplicitato in numerose disposizioni dell’ordinamento statale, come, ad esempio, quelle sul rapporto di lavoro tra società ed atleti, di cui all’articolo 3 delle norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti emanate con la legge 23.3.1981, n.91, trova esplicita conferma nel C.G.S., ed anche all’interno dell’ordinamento sportivo.
L’articolo 1 del Codice della Giustizia Sportiva, infatti, dispone che tutti i soggetti svolgenti attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali, nel rispetto dei principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. La necessità dell’osservanza delle norme dello stesso Codice e di quelle statutarie e federali viene estesa anche ai soci e non soci cui sia riconducibile, direttamente od indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché a coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale.
3 - Il problema dei rapporti tra ordinamento sportivo e quello statale si è posto all’attenzione della Giustizia arbitrale con specifico riferimento alle norme penali.
Sul punto questo Tribunale ha, in più occasioni, chiarito che il principio di reciproca autonomia degli ordinamenti statale e sportivo – già affermata, seppure con specifico riferimento al reato speciale di frode in competizione sportiva, dalla legge 13.12.1989, n.401 – comporta la non vincolatività, per gli organi della Giustizia sportiva, delle regole di garanzia tipiche del processo penale e, quindi, ad esempio, la non applicabilità della disposizione di cui all’art.526 c.p.p., in materia di formazione ed uso delle prove, a tenore del quale “il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento” (cfr. lodo A. Moggi del 3.2.2010 prot.0865 del 5.5.2009).
Come più volte affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, le regole della formazione e della rilevanza dei mezzi di prova tipiche del processo penale, ove entrano in gioco gli interessi fondamentali di rango costituzionale connessi alla persona umana, non trovano immediata e diretta applicazione ai procedimenti amministrativi in genere e sportivi in specie.
A tale ultimo riguardo deve convenirsi con l’affermazione, di origine giurisprudenziale, secondo cui le decisioni degli organi di giustizia sportiva sono l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì che non possono ritenersi presidiati dalle medesime rigide garanzie del processo (T.A.R. Lazio - Roma, sez. III, 21 giugno 2007, n.5645; id., 8 giugno 2007, n. 5280).
In particolare, alla "giustizia sportiva", oltre che le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, si applicano, per analogia, quelle dell'istruttoria procedimentale amministrativa, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi, con conseguente inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova, esclusive e tipiche specialmente del processo penale.
4 - Ancor più in dettaglio – e per quel che qui interessa - le intercettazioni telefoniche (come quelle che hanno riguardato i due giocatori incriminati) raccolte nel processo penale sono utilizzabili in sede di procedimento disciplinare a carico di soggetti appartenenti all'ordinamento sportivo: l'eventuale inutilizzabilità di dette intercettazioni nell’ambito processuale penale non può spiegare effetti oltre tale ambito, in conformità al principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che opera in assenza di un principio di tipicità dei mezzi di prova (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 19 marzo 2008, n.2472, che a sua volta richiama T.A.R. Lazio, n. 5645/2007, cit., e T.A.R. Bari, sez. I, 19 aprile 2001 n.1199).
Né, con ciò, possono ritenersi violati i principi di civiltà giuridica attinenti al diritto di difesa, tra i quali, anzitutto, quello del contraddittorio, per come configurato dall’ordinamento processuale.
Al riguardo, vale ricordare che, pur valorizzando sempre più, sul piano teleologico ed applicativo, la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo n.241/1990, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell'effettivo avvio del procedimento, nonché del contenuto degli atti dello stesso e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logicoargomentativa, senza necessità di assicurare quel contraddittorio continuo ed integrale tipico del processo penale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 gennaio 2006, n. 220; id., 30/6/2003, n. 3925).
Nella specie deve essere, quindi, condivisa l’autorevole opinione secondo cui i principi e le regole di formazione della prova penale sono volti a soddisfare finalità tutte interne all'attività di indagine sui comportamenti criminosi; finalità non comparabili con interessi esterni che possano in qualsiasi modo essere avvantaggiati o pregiudicati dalla inapplicabilità di quelle regole specifiche che non si prestino ad essere estese ad ipotesi del tutto estranee alla loro "ratio" (Corte cost., 29 maggio 2002, n.223, con riguardo alla inapplicabilità dell’art. 117 c.p.p. al processo amministrativo).
5 - D’altra parte ed ancor più in generale, deve essere rammentato, che nel nostro ordinamento non vige un principio di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo, sicché i diversi sistemi processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione all'epoca della disciplina ed alle tradizioni storiche di ciascun procedimento (fra le tante, Corte Cost., 21 gennaio 2000, n. 18).
Le ipotesi di inutilizzabilità delle intercettazioni, a norma dell'art. 271 c.p.p., comma 1, in quanto correlate a regole poste a garanzia della segretezza e della libertà delle
comunicazioni, costituzionalmente presidiata (v. Corte Costituzionale 19.7.2000, n. 304;
Cass. Pen. n. 29688/2007), sono dunque di strettissima interpretazione e non rilevano nel procedimento innanzi agli organi della giustizia sportiva, i quali non posseggono i mezzi materiali e giuridici per approfonditi accertamenti istruttori di efficacia pari a quelli compiuti dagli organi di polizia giudiziaria e dalla giurisdizione requirente.
6 – Appare altresì necessario ricordare che il principio di autonomia è stato chiaramente affermato anche tra processi penali cautelari e processo di cognizione.
La stessa Corte di Cassazione penale ribadisce, infatti, che “costituisce principio consolidato e pacifico quello per cui la prova nel procedimento di prevenzione è autonoma e non deve rispecchiare i principi e le regole probatorie propri del processo penale di cognizione, potendo trattarsi, stante la peculiarità di tale tipo di procedimento, sia sul piano sostanziale che su quello processuale (v. sentenza della Corte Costituzionale n. 321 del 2004), anche di elementi meramente investigativi. Il giudice della prevenzione può quindi ritenere fondata la prova anche sulla base degli elementi emersi nell'ambito di un procedimento penale poi definito, in ipotesi, con il proscioglimento dell'imputato, poichè la diversità della struttura dei due procedimenti, in punto di prova, può comportare una diversa valutazione degli stessi elementi in sede di giudizio di prevenzione, essendo in particolare il giudice della prevenzione autorizzato a servirsi di elementi di prova tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti”. Conseguentemente, ad esempio, le intercettazioni disposte in altro procedimento penale in corso possono essere acquisite da altro giudice in distinto processo, salvo il caso – qui non sollevato e perciò inesistente – della inutilizzabilità delle intercettazioni, a norma dell’art.271 c.p.p. (Cassazione penale, sez.I, 15 giugno 2007, n.29688).
Quindi, a maggior ragione la regola per i procedimenti e processi appartenenti ad ordinamenti separati ed autonomi, come quello sportivo.
7 - Il principio di autonomia è funzionale, per converso, a dare rilievo, a fini repressivi e sanzionatori, a fatti e comportamenti che, considerati nell’ambito dell’ordinamento generale, non solo non suscitano allarme sociale, ma addirittura sono espressamente consentiti e regolamentati.
E’ questo il caso - qui all’esame - delle scommesse, che l’articolo 6 CGS vieta tassativamente a tutti gli appartenenti all’ordinamento sportivo in ogni possibile forma: diretta, indiretta, singola, associata, attiva, passiva. Ciò, all’evidente fine di assicurare la bontà, genuinità e veridicità dei risultati agonistici e, in definitiva, per garantire quei valori, tipici dell’ordinamento sportivo, quali la lealtà e la correttezza, ovvero ad esso addirittura esclusivamente peculiari, quale la probità, i quali, a loro volta, sono espressione di un’idea fondante dell’ordinamento sportivo, temporalmente e geograficamente universale, che è quella dell’onore, in cui si condensano i corollari del valore oggettivo e del rispetto reciproco, della fratellanza oltre ogni confine, in cui si ritrovano i cittadini dello sport.
8 – In questo quadro di assoluta peculiarità debbono leggersi le norme del Codice di Giustizia Sportiva sulla responsabilità oggettiva, con precipuo riguardo per l’art. 4, comma 2 (in termini generali) e per l’art. 7, comma 4 (in materia di illecito sportivo).
Vale la pena qui riportare il contenuto, essenziale ma inequivocabile, delle citate disposizioni: “Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5 [i soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale, ndr]” (art. 4, comma 2 del C.G.S.); “Se viene accertata la responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell’art. 4, comma 5, il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui alle lettere g) [penalizzazione di uno o più punti in classifica, ndr], h) [retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, ndr], i) [esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore, ndr], l) [non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale, ndr], m) [non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni, ndr] dell’art. 18, comma 1” (art. 7, comma 4 del C.G.S.).
Trattasi di un sistema normativo consolidato e collaudatissimo che, ad eccezione di marginali e sporadici aggiustamenti (vedasi, ad esempio, l’introduzione di alcune specifiche circostanze esimenti ed attenuanti per comportamenti e/o per fatti violenti dei propri sostenitori ex artt. 13 e 14 del C.G.S.), ha subìto ben poche varianti rispetto al profilo, fermo e rigoroso, che lo ha da sempre contraddistinto.
Ciò è ancor più evidente ed inconfutabile in materia di illecito sportivo, in cui spicca la tassativa e perentoria distinzione della responsabilità delle Società in tre tipologie: quella diretta, quando la condotta vietata sia commessa da persona che abbia la legale rappresentanza del club coinvolto; quella oggettiva, quando il comportamento sia ascrivibile ad un dirigente privo di legale rappresentanza, ad un tesserato ovvero ad uno dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5 del C.G.S. (vedi supra); quella presunta, quando l’illecito sia posto in essere, a vantaggio della Società, da un estraneo alla stessa.
Nella vicenda oggi in discussione, in cui le contestate violazioni attengono a due calciatori (Vittorio MICOLUCCI e Vincenzo SOMMESE) entrambi tesserati, all’epoca degli eventi in parola, con l’ASCOLI CALCIO 1898 S.p.A., non può non sussistere, a carico del Sodalizio marchigiano, il secondo genere di responsabilità, quella, appunto, oggettiva.
In tale prospettiva, non convincono i pur articolati ed apprezzabili sforzi di parte istante, tendenti a sottrarre la ricorrente all’egida di detta responsabilità.
Quali che siano, invero, la natura intrinseca dell’istituto (riparatoria, secondo la F.I.G.C., o risarcitoria, ad avviso della ricorrente) e gli scopi dallo stesso perseguiti (preventivi, dissuasivi ovvero repressivi), è fuor di dubbio che, sulla base del costrutto giuridico sostanziale elaborato dal legislatore sportivo, il rapporto di tesseramento esistente tra i due nominati calciatori e la rispettiva compagine non consenta a quest’ultima di eludere la configurabilità, nei suoi confronti, di una responsabilità di tipo oggettivo.
E questo al di là ed a prescindere dal carattere agonistico (in senso stretto) dell’attività svolta dai due giocatori ed, a maggior ragione, dalla partecipazione diretta degli stessi all’evento agonistico sul quale essi avevano scommesso.
Non si dimentichi, infatti, come l’illecito sportivo, ai sensi dell’art. 7, comma 1 del C.G.S., rappresenti una violazione a consumazione anticipata, per la quale è sufficiente che l’agente tenti di alterare il risultato o lo svolgimento di una gara, anche (come nel caso del SOMMESE) senza che lo stesso scenda effettivamente in campo, ben potendosi egli adoperare a tal fine (come in concreto accaduto) quale istigatore e/o, comunque, intermediario verso propri compagni di squadra e/od altri tesserati in genere.
9 - Né appare fondata la tesi della ricorrente, allorquando (specialmente nel primo motivo di gravame) cerchi di delineare la responsabilità oggettiva secondo parametri propri di istituti estranei all’ordinamento sportivo (in particolare, quello di cui all’art. 2049 c.c.), dimostrando, in tal modo, di trascurare completamente, da un lato, l’assoluta tipicità e singolarità della fattispecie ex art. 4, comma 2 del C.G.S., e, dall’altro, la non meno acclarata ed inattaccabile autonomia dell’ordinamento sportivo medesimo: convinzione, questa, che la sporadica e, comunque, superata pronuncia del T.A.R. Catania, richiamata dal Sodalizio istante nei propri scritti difensivi, non appare in grado di scalfire.
Nello specifico, l’istituto della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2049 c.c., che ricollega l’obbligo risarcitorio al fatto illecito del soggetto comunque inserito nella struttura di cui sia titolare il preponente, presuppone che vi sia almeno un nesso di occasionalità necessaria (meno forte rispetto ad un rapporto di lavoro dipendente) del fatto illecito con l'esercizio delle incombenze facenti capo al commesso (cfr. Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 2011, n. 1741; Cass. n. 20588 del 2004 e n. 10580 del 2002).
Nell’ordinamento sportivo, invece, i predetti presupposti non rilevano, perché si tratta non di illecito civile ma disciplinare, rivolto, con le sue previsioni, a tutelare valori ed interessi di carattere generale-settoriale e non meramente individuale: l’ordinamento disciplinare, si è osservato da illustre dottrina, è assimilabile a quello penale, da cui pure si discosta per la diversità delle regole processuali e sostanziali, tra le quali, in particolare, quelle, rispettivamente, della personalità della pena (responsabilità diretta) e della imputazione oggettiva del fatto e dell’evento illecito.
Si tratta di una speciale forma di responsabilità, non limitata, come visto, agli atti commessi da propri dirigenti o tesserati, ma estesa, addirittura, alle condotte poste in essere da chiunque svolga qualsiasi attività “comunque rilevante per l’ordinamento federale” (art.1, comma 5 del C.G.S., espressamente richiamato dall’art. 4, comma 2).
Risulta, in tal modo, smentita in punto di diritto la tesi limitativa addotta dalla parte ricorrente, secondo cui la responsabilità oggettiva delle società sussisterebbe nelle sole ipotesi di illecito sportivo. Siffatta limitazione non è dato rinvenire nell’art.4 C.G.S. citato, il quale indica essenzialmente i presupposti “soggettivi” della responsabilità oggettiva, rinviando, per il resto, alle singole norme disciplinari sostanziali, ad eccezione delle previsioni sostanziali dei commi 4 e 6 (ordine e sicurezza, sostanze proibite nei “locali” latamente intesi e non solo pertinenziali ai campi di gara).
10 - Ancor meno condivisibile è la tesi, propugnata dalla procedente nel secondo motivo di ricorso, in base alla quale comportamenti (quali quelli del MICOLUCCI e del SOMMESE) presuntamente rilevanti sul piano penale sarebbero inidonei, in ambito sportivo, a coinvolgere, in via oggettiva, la rispettiva Società di appartenenza.
Sul punto, nel richiamare quanto già dedotto al precedente par. 3), deve essere osservato che le argomentazioni formulate dalla Corte di Giustizia Federale nell’impugnata delibera appaiano obiettivamente immuni da censure: non solo una condotta integrante un’ipotesi di reato (nella specie, la frode sportiva o, addirittura, l’associazione a delinquere) ben può tradursi in una violazione perseguibile dall’ordinamento calcistico (rispettivamente sotto forma di illecito sportivo ex art. 7, comma 1 del C.G.S. e di associazione finalizzata alla commissione di illeciti di cui all’art. 9 del C.G.S.), ma è, anzi, molto probabile che ciò accada, assai più spesso di quanto non si verifichi in senso contrario (non sempre, cioè, un atto sportivamente antigiuridico riesce ad assurgere al rango di reato).
11 - Parimenti infondati appaiono il terzo ed il quarto motivo addotti dalla Società ascolana a supporto della propria domanda: nell’un caso (in sintonia con la Corte di Giustizia Federale), non si intravede alcuna “illogica duplicazione dell’illecito”, se è vero (come è vero) che la responsabilità (diretta) degli agenti (i calciatori) sia cosa ben diversa, giuridicamente ed ontologicamente, da quella (oggettiva) della Società (ed in proposito, del tutto irrilevante è il riferimento, più o meno felice, della Corte medesima ad una sorta di “responsabilità solidale”, paragone che non vale certamente ad inficiare la generale solidità dell’impianto argomentativo elaborato dall’Organo giudicante nella gravata decisione); nell’altro, l’essersi adoperati (il MICOLUCCI ed il SOMMESE) a svantaggio e non in favore del club di appartenenza (sulla cui sconfitta le scommesse puntavano) costituisce una circostanza che, lungi dal recidere il “cordone ombelicale”, in termini di responsabilità oggettiva, tra tesserato e Società, può semmai essere oggetto di valutazione (come si vedrà meglio infra) ai soli fini della graduazione della sanzione.
12 - Alla luce di quanto sopra, è giocoforza concludere per l’ineliminabile configurabilità, in senso assoluto, dell’istituto della responsabilità oggettiva in ambito sportivo e per la sua inevitabile applicabilità al caso concreto, ricorrendone tutti i requisiti previsti dal C.G.S.
Sotto tale profilo, dunque, le pretese della compagine istante non possono trovare condivisione né accoglimento.
13 - Diverso discorso, invece, può e deve farsi per quel che concerne la valutazione circa la congruità delle sanzioni comminate in sede endofederale all’ASCOLI CALCIO 1898 S.p.A., le cui doglianze, esposte nel quinto motivo di reclamo, sono meritevoli di adeguato approfondimento e di parziale riscontro favorevole.
Fermo restando, infatti, quanto dianzi esposto circa l’indiscussa irrinunciabilità per l’ordinamento sportivo, rebus sic stantibus, alla responsabilità oggettiva a carico delle Società, è, però, altrettanto ineludibile la necessità di una applicazione della stessa non in maniera acritica e meccanica, bensì all’insegna di criteri di equità e di gradualità, tali da evitare risultati e conseguenze abnormi e non conformi a giustizia.
In tal senso, pur apprezzando i principi e le riflessioni sviluppate sul punto dai Giudici endofederali (con precipuo riguardo per il contenuto del par. 6 della delibera di primo grado della Commissione Disciplinare Nazionale), il Collegio non si trova d’accordo con i Giudici medesimi sul quantum della sanzione principale (penalizzazione di sei punti) inflitta al club marchigiano, considerando la determinazione della stessa sproporzionatamente e, pertanto, eccessivamente severa ed afflittiva.
E ciò non già, come pure sostenuto dalla compagine istante, per la mancata partecipazione del SOMMESE alle gare in questione (circostanza – si ribadisce – del tutto irrilevante ai fini del contendere) né per la presunta non estendibilità alla Società degli effetti negativi della condotta del MICOLUCCI, avendo questi “patteggiato” la propria squalifica ex art. 23 del C.G.S. (basti dire, a contrario, che, al di là del totale silenzio del legislatore sportivo circa siffatti ipotetici poteri preclusivi in caso di applicazione della sanzione su richiesta delle parti, il menzionato calciatore – non lo si dimentichi – ha usufruito di un doppio sconto di pena, avendo ottenuto anche i benefici di cui all’art. 24 del C.G.S., previa completa ammissione delle proprie responsabilità ed incondizionata collaborazione con la Procura Federale in fase di indagine).
Quelli che rilevano, invece, sono ben altri presupposti, materiali e giuridici, i quali, sommati tra loro, possono e devono indurre il Collegio a giudicare come manifestamente sproporzionata la punizione patita dalla ricorrente (almeno con riguardo alla penalizzazione di sei punti).
Più precisamente, è d’uopo sottolineare, anzitutto, l’assoluta peculiarità della condotta dei due calciatori (come di molti altri protagonisti dei complessi accadimenti in esame), il cui intento principale è quello di predeterminare il risultato di alcune gare al fine di consentire al sodalizio criminale di riferimento di ricavarne ingiusti profitti ed il cui interesse, strettamente personale, sovente si sovrappone e prevale (senza mai, però, soppiantarlo definitivamente) sull’aspetto più propriamente agonistico.
Si consideri, altresì, il carattere prettamente unitario (riconducibile ad un medesimo disegno criminoso) dei comportamenti in oggetto, valutabili, quindi, sotto un profilo di continuazione, che prescinda dal numero delle gare interessate e dei tesserati coinvolti (da questo punto di vista, non ci sentiamo di aderire al criterio sanzionatorio sviluppato in proposito dalla F.I.G.C. nelle proprie memorie).
Ma quel che maggiormente deve essere evidenziato (in un’ottica, peraltro, meramente attenuativa e non già a mo’ di esimente) è la mancanza di qualunque vantaggio, in termini di risultati e di classifica, per l’ASCOLI CALCIO 1898 S.p.A. a seguito delle azioni illecite realizzate dai suoi due tesserati, i quali, in entrambe le gare “incriminate” (LIVORNO – ASCOLI del 27 Febbraio 2011 e ASCOLI – ATALANTA del 12 Marzo 2011; per NOVARA – ASCOLI, invece, il MICOLUCCI è chiamato a rispondere solo di violazione dell’obbligo di denuncia ex art. 7, comma 7 del C.G.S.), agiscono per far perdere la propria squadra.
14 - Le spiegate osservazioni, dunque, devono inevitabilmente indurre ad un significativo ridimensionamento della sanzione a carico della compagine ricorrente, sanzione che, tuttavia, a differenza di quanto dalla stessa auspicato, non può qualitativamente discostarsi dalla penalizzazione.
A ciò, invero, ostano, in maniera preponderante e decisiva, tanto la vigente normativa in materia che, all’art.7, comma 4 del C.G.S., prevede quale sanzione minima quella di cui all’art. 18, comma 1, lettera g) del C.G.S. (e cioè, appunto, la penalizzazione in classifica) quanto la comunque innegabile gravità dei comportamenti commessi dai due giocatori dell’Ascoli.
Né la richiesta di parte attrice di limitazione della punizione medesima alla sola ammenda può essere validamente supportata dai precedenti giurisprudenziali dalla stessa richiamati, sia perché attinenti (alcuni di essi) a fattispecie profondamente differenti rispetto a quella dell’illecito sportivo (come, ad esempio, la violazione del vincolo di giustizia) sia perchè, come per il deferimento della F.C. NEAPOLIS MUGNANO, afferenti a situazioni relative a gare cui non era minimamente interessata la Società di appartenenza del tesserato agente, situazioni per le quali la Corte di Giustizia Federale, nella stessa pronuncia oggi impugnata, ha espressamente escluso la configurabilità della responsabilità oggettiva in illecito sportivo a carico della compagine medesima.
15 - In considerazione, dunque, delle descritte attenuanti, che non appaiono sufficientemente apprezzate dai Giudici endofederali nelle proprie decisioni, si reputa congrua una penalizzazione, nei confronti dell’ASCOLI CALCIO 1898 S.p.A., di tre punti, da scontarsi nella classifica del Campionato di competenza della corrente stagione 2011/2012, in luogo dei sei punti precedentemente irrogati. Appare, altresì, congruo limitare la penalizzazione ai tre punti in classifica, cancellando l’ammenda di € 50.000,00 (cinquantamila/00) comminata dai giudici endofederali.
Per le spese del giudizio, alla luce della complessità della materia trattata e del solo parziale accoglimento della spiegata domanda, appare equo compensare integralmente le stesse tra le parti; quanto alle spese di funzionamento ed agli onorari del Collegio Arbitrale, le stesse vengono poste a carico delle parti nella misura del 50% ciascuna e vengono liquidate in complessivi € 6.000,00 (seiemila/00) oltre IVA e CAP, con il vincolo della solidarietà.
P.Q.M.
Il Collegio Arbitrale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni altra istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:
a) in accoglimento parziale della domanda dell’Ascoli Calcio 1989 s.p.a., riduce i punti di penalizzazione inflitti, da sei a tre, ed annulla integralmente la sanzione dell’ammenda di € 50.000,00 (cinquantamila/00).
b) Conferma, nel resto, la decisione impugnata.
c) Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
d) Pone a carico delle parti, nella misura del 50% ciascuna, il pagamento degli onorari del Collegio Arbitrale, liquidati come in parte motiva, col vincolo della solidarietà.
e) Pone a carico delle parti il pagamento dei diritti amministrativi per il T.N.A.S.
f) Dichiara incamerati dal T.N.A.S. i diritti amministrativi versati dalle parti.
Così deliberato all’unanimità in data 6.12.2011 e sottoscritto in numero di tre originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati.
F.to Guido Cecinelli – Presidente
F.to Filippo Lubrano – Arbitro
F.to Armando Pozzi - Arbitro