F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE– 2019/2020 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE PUBBLICATA SUL C.U. N.22/CFA del 30/08/2019 motivi con riferimento al C.U. n° 17/CFA del 06/08/2019 RECLAMO DELLA SOCIETÀ JUVENTUS FC SPA AVVERSO LA REIEZIONE DELL’ISTANZA DI SOSPENSIONE E LA DECLARATORIA DELL’INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PROMOSSO DALLA RECLAMANTE EX ARTT. 43 BIS C.G.S. E 31 C.G.S. CONI (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 5/TFN del 16.7.2019)
RECLAMO DELLA SOCIETÀ JUVENTUS FC SPA AVVERSO LA REIEZIONE DELL’ISTANZA DI SOSPENSIONE E LA DECLARATORIA DELL’INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PROMOSSO DALLA RECLAMANTE EX ARTT. 43 BIS C.G.S. E 31 C.G.S. CONI (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 5/TFN del 16.7.2019)
1. Con reclamo inviato in data 18 luglio 2019 la società Juventus Football Club Spa ha adito la Corte Federale di Appello per la riforma della decisione del Tribunale Nazionale Federale – Sezione Disciplinare (Comunicati Ufficiali n. 2/TFN del dì 11 luglio 2019 e n. 5 del 16 luglio 2019), che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato in data 11/01/2019, tendente a ottenere l’annullamento della delibera del Consiglio Federale della FIGC del 18/07/2011 n. 219/CF, pubblicata il 19/07/2011, che aveva rigettato l'istanza di revoca in autotutela, avanzata dalla stessa società ed avente ad oggetto il provvedimento del Commissario Straordinario della FIGC, Avv. Guido Rossi, di assegnazione al FC Internazionale Milano SPA del titolo di Campione d’Italia per la stagione 2005/2006.
2. La vicenda processuale, oggi all'esame della Corte, affonda le sue origini in quello che fu denominato “scandalo calciopoli”, dal quale scaturirono i procedimenti disciplinari, nei confronti delle squadre classificate prima e seconda nel Campionato di calcio professionistico di Serie A della Stagione 2005/2006, all'esito dei quali la società Juventus Football Club veniva condannata alla retrocessione in Serie B e la società A.C. Milan subiva la penalizzazione di punti in classifica.
3. Dopo aver acquisito il parere consultivo di una Commissione all'uopo nominata, il Commissario Straordinario della FIGC avv. prof. Guido Rossi, con provvedimento del 26 luglio 2006, decideva di aderire alle conclusioni cui era pervenuta detta Commissione, per la quale “in casi di revoca del titolo di Campione d’Italia, senza modificazione di classifica, il titolo rimane necessariamente vacante”, mentre nei casi di “sanzioni che comportino modificazioni di classifica (come penalizzazioni di punti o retrocessione all’ultimo posto, l’art. 49 delle N.O.I.F. prevede l’automatica acquisizione del titolo di Campione d’Italia per la squadra che risulta prima classificata, tenuto conto delle sanzioni” e, conseguentemente, assegnava il titolo di Campione d'Italia 2005/2006 alla società F.C. Internazionale Milano.
4. In data 10 maggio 2011, l'odierna reclamante, sulla base delle risultanze processuali emerse nell’ambito del processo penale, allora in corso, dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli, presentava alla F.I.G.C, un esposto, diretto ad ottenere la revoca in autotutela amministrativa del provvedimento di assegnazione del titolo di Campione d’Italia, s.s. 2005/2006, alla F.C. Internazionale, adottato dal Commissario Straordinario con il sopra citato provvedimento del 26 luglio 2006.
5.Il Consiglio Federale della F.I.G.C., in pendenza dei procedimenti disciplinari iniziati dalla Procura Federale, si riservava di esaminare l'istanza avanzata dalla società Juventus Football Club Spa e, successivamente all'esito degli stessi definiti con l'archiviazione da parte della Procura Federale per intervenuta prescrizione, con delibera del 18 luglio 2011 (n. 219/CF) rigettava l'istanza stessa ritenendo che non ricorressero i presupposti per un intervento in autotutela.
In particolare il Consiglio Federale rilevava: a) che l'assegnazione del titolo di Campione d'Italia alla società F.C. Internazionale venne disposta non in via amministrativa, bensì quale “ conseguenza automatica” delle sanzioni inflitte in sede disciplinare a carico delle società che la precedevano in classifica (Juventus e Milan), con il naturale ed ineludibile scorrimento di graduatoria; b) il carattere meramente ricognitivo del provvedimento emesso dal Commissario Straordinario e l'assenza di uno specifico provvedimento attributivo del titolo; c) il contrasto della eventuale revoca con il principio di tipicità dei poteri amministrativi e della regola di separazione dei poteri, in quanto invasiva di attribuzioni riservate agli organi di giustizia sportiva; d) l'inesistenza di un potere discrezionale degli Organi Amministrativi della Federazione Italiana Gioco Calcio; e) il difetto di legittimazione dell'istante, in quanto soggetto privo di una posizione individuale qualificata.
6. Per la riforma di tale provvedimento la Juventus FC proponeva istanza di arbitrato dinanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport , che, con Lodo reso in data 15 novembre 2011, si dichiarava incompetente a decidere la controversia, ritenendo non sussistenti i presupposti per l'arbitrato.
7. Avverso tale Lodo la Juventus Football Club Spa proponeva impugnazione innanzi alla Corte d’Appello di Roma, competente a decidere sulle impugnazioni, ai sensi dell’art. 28 del “Codice dei giudizi innanzi al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e Disciplina degli arbitri” - chiedendo che venisse dichiarata la nullità del Lodo impugnato e che venissero accolte le domande formulate innanzi al TNAS.
8. La Corte d'Appello di Roma, all'esito del giudizio, con sentenza n. 7023/2016 del 1 ottobre 2016, si dichiarava priva di giurisdizione sulla controversia, il cui esame, per la stessa Corte, era devoluto al giudice sportivo.
9. In particolare, la Corte d’Appello rilevava, , che, nonostante l'art. 12 ter dello Statuto del CONI, applicabile ratione temporis, prevedesse il ricorso per nullità, ai sensi dell’art. 828 c.p.c.,avverso il Lodo del TNAS, la competenza della Corte d’Appello era tuttavia limitata alle sole questioni afferenti a diritti patrimoniali, con la conseguenza che la sua potestas decidendi era limitata a lodi che avevano “ad oggetto diritti patrimoniali, pena l’indebita ingerenza della sua pronuncia nella costituzionalmente consacrata indipendenza dell’ordinamento sportivo”.
10. La sentenza della Corte di Appello, veniva impugnata dalla società Juventus Football Club Spa con ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, con richiesta che sulla controversia venisse statuita la giurisdizione ordinaria e/o amministrativa esclusiva, con conseguente determinazione della competenza della Corte d’Appello di Roma e/o del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ovvero, in mancanza, che fosse sollevata dinanzi alla Corte Costituzionale la questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, del D.L. n. 280/2003 e 12 ter dello Statuto del CONI, per violazione dell’art. 24 della Costituzione.
11. La Corte di Cassazione, SS.UU., con sentenza n. 32358/2018, rigettava il ricorso, affermando il difetto assoluto di giurisdizione statale sulla controversia, in quanto avente ad oggetto l’applicazione di regole tecniche e di disposizioni disciplinari non rilevanti per l’ordinamento statale, questioni che, in base al principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, sono riservate esclusivamente a quest’ultimo.
12. All'esito del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, la Juventus Football Club S.p.a., ritenendo che la sentenza della Suprema Corte costituisse dies a quo per il termine decadenziale previsto per l'impugnazione innanzi al Tribunale Federale Nazionale, ha presentato un nuovo ricorso ex art. 43 bis CGS FIGC e 31 CGS CONI, tendente a ottenere l'annullamento della delibera del Consiglio Federale della FIGC del 18/07/2011 n. 219/CF, pubblicata il 19/07/2011 e del provvedimento del Commissario Straordinario della FIGC Avv. Guido Rossi del 26/07/2006, di assegnazione al FC Internazionale Milano SPA del titolo di Campione d’Italia per il Campionato di calcio degli anni 2005/2006.
13. Inoltre, la società Juventus Football Club Spa depositava altro ricorso dinanzi al Collegio di Garanzia del CONI, per l’impugnazione e la riforma, del “Lodo definitivo pronunciato dal Collegio Arbitrale del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport del CONI, nel procedimento R.G. n. 1930/2011 TNAS/CONI, tra la Juventus Football Club S.p.A., la Federazione Italiana Giuoco Calcio(FIGC) e il Football Club Internazionale Milano S.p.A., sottoscritto e depositato in data 15 novembre 2011, prot. n. 2621 e per il conseguente accoglimento dell’originaria istanza di arbitrato presentata in data 10 agosto 2011 ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 bis dello Statuto del CONI e 54 ss. del Codice di Giustizia Sportiva del CONI”.
14. Il Tribunale Federale Nazionale –Sezione Disciplinare, preso atto del procedimento incardinato innanzi al Collegio di Garanzia CONI, disponeva il rinvio della trattazione del procedimento di sua pertinenza, in attesa della pronuncia di quest'ultimo, ponendo a carico della società ricorrente di presentare istanza per la fissazione di nuova udienza entro 30 giorni dalla pronuncia resa dal Collegio di Garanzia.
15. Con decisione del 6 maggio 2019 depositata in data 27 maggio 2019, il Collegio di Garanzia del CONI dichiarava inammissibile il ricorso per le seguenti motivazioni: a) l’ncompetenza assoluta del Collegio di Garanzia in merito alla richiesta formulata dalla società Juventus FC Spa, in quanto gli artt. 54 del Codice della Giustizia Sportiva e 12-bis dello Statuto del CONI non sono applicabili nel caso di specie, giacché demandano al Collegio di Garanzia “la cognizione delle controversie decise in via definitiva in ambito federale” dagli “organi di giustizia federale”, non potendo, pertanto il Collegio di garanzia certamente porsi quale Giudice dinnanzi al quale impugnare un lodo arbitrale; b) le norme invocate dalla Juventus sono inapplicabili in quanto entrate in vigore il 1° luglio 2014 e prive di efficacia retroattiva; c) L’ordinamento sportivo non attribuisce ai relativi organi di giustizia il potere di annullare un lodo arbitrale; tale potere può essere attribuito soltanto ai giudici dell’ordinamento statale, a condizione che la controversia fosse “rilevante” per quest’ultimo per tale ordinamento; d) esaurimento dei mezzi di impugnazione astrattamente esperibili avverso il lodo TNAS ed inesistenza di una norma che attribuisca il potere di impugnarlo nuovamente dinanzi al Collegio di Garanzia (o ad altri organi della Giustizia Sportiva); e) la recente sentenza della Cassazione non può essere considerata alla stregua di una pronuncia che devolve la giurisdizione ad un diverso giudice. Tale pronuncia è, semplicemente, la reiezione del ricorso proposto dalla Juventus in virtù di una questione di “merito” meramente processuale, già posta antecedentemente al vaglio della Corte d’Appello, senza alcuna riapertura del giudizio, né rimessione della questione alla Giustizia Sportiva; f) l' erroneità di quanto sostenuto, come fatto dalla ricorrente, che il lodo TNAS non abbia “indicato il Giudice sportivo dotato di specifica competenza e, in specie, l’Alta Corte”. Il Collegio Arbitrale ha infatti, dedicato quasi metà del lodo TNAS a “talune necessarie considerazioni in merito alla distinzione tra diritti disponibili (e, perciò, compromettibili e suscettibili di essere sottoposti alla cognizione del TNAS) e indisponibili, come tali rientranti, se inerenti all’ambito dell’ordinamento sportivo, nella competenza dell’Alta Corte”. L’indicazione dell’organo competente non avrebbe potuto essere più chiara: la attuale ricorrente ha ritenuto di procedere in altra direzione e non può ora tentare un recupero della corretta linea difensiva;g) la decisione arbitrale (consistente - come si è visto - nella declinatoria di competenza del TNAS, attesa la indisponibilità della res litigiosa) non è sindacabile dal Collegio di Garanzia e, men che mai, suscettibile di una pronuncia caducatoria, in quanto quest'ultimo organo (neppure esistente nel momento in cui è stato introdotto il giudizio arbitrale) non dispone di alcun potere di cognizione in materia; h) la società istante, a fronte della declaratoria di incompetenza del TNAS, avrebbe dovuto adire l’organo ratione temporis competente in materia di diritti indisponibili (l’Alta Corte di Giustizia), avvalendosi dell’istituto della translatio iudicii; i) il sistema giustiziale sportivo ha medio tempore subito una radicale riforma, per effetto della quale il TNAS e l’Alta Corte sono stati entrambi soppressi; l) tardività dell'impugnazione rivolta contro il lodo del TNAS, in quanto la pubblicazione del responso arbitrale risale al mese di novembre 2011,con la precisazione che, anche qualora si ritenesse che la materia del contendere oggetto della declinatoria di incompetenza pronunciata dal TNAS dovesse essere delibata comunque in ambito sportivo, una tale richiesta avrebbe dovuto essere formulata nel rispetto del termine di decadenza stabilito dalla normativa di riferimento per adire l’organo cui (in tesi) spetterebbe il compito di definire la controversia nel merito; m) la ricorrente risulta priva di una posizione giuridica qualificata, poichè la pretesa declaratoria di nullità del lodo TNAS non procurerebbe alcun vantaggio alla Juventus, atteso che la delibera del 2011 del Consiglio Federale non ha natura di provvedimento autonomamente lesivo; n) non può configurasi un interesse giuridicamente tutelabile con riguardo alla rivalutazione, sotto il profilo etico, di fatti che sarebbero sfuggiti ai vari giudici che si sono pronunciati sulla vicenda, poichè la questione sulle nuove emergenze documentali riguardanti la
F.C. Internazionale Milano riguarda aspetti prettamente disciplinari, all’epoca correttamente ritenuti prescritti in ambito sportivo, con conseguente impossibilità per qualsivoglia giudice sportivo di “riaprire” la questione e valutarla, men che meno adottando quale criterio di valutazione un “profilo etico”.
16. A seguito della pronuncia di inammissibilità del l Collegio di Garanzia la Juventus FC Spa depositava istanza di prelievo ed il TFN fissava al 11/07/2019 la nuova udienza di comparizione.
17. In data 10/07/2019, la Juventus FC Spa depositava una richiesta di sospensiva sulla base di una supposta pregiudizialità processuale derivante dalla pendenza di un nuovo ricorso presentato al TAR per il Lazio (introdotto il 10/07/2019, n. 8897/2019), tendente a ottenere l’annullamento della menzionata decisione del Collegio di Garanzia del CONI del (06-27/05/2019.
18. Innanzi al Tribunale Federale Nazionale si sono costituiti nei termini tutti i controinteressati presentando corpose memorie difensive.
Il Tribunale Federale Nazionale-Sezione disciplinare, dopo aver ritenuto che il procedimento instaurato innanzi a sé risultava identico a quello già pendente innanzi al Collegio di Garanzia del CONI, conclusosi con dichiarazione di inammissibilità, giungeva ad una sostanziale condivisione di tale pronuncia, richiamandone espressamente le motivazioni ed argomentazioni, rigettava la istanza di sospensione promossa dalla Società Juventus FC Spa e dichiarava inammissibile il ricorso promosso dalla medesima Società.
18. Avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale-Sezione disciplinare, la Juventus FC Spa ha proposto reclamo innanzi alla Corte Federale di Appello, lamentando:
a) ERROR JURIS DELLA TESI DEL NE BIS IN IDEM. Su tale punto la società reclamante lamenta un'errata valutazione da parte dell'organo giudicante sulla sostanziale identità del procedimento innanzi allo stesso instaurato con quello svoltosi e conclusosi innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, affermando la diversità dei petita processuali, in quanto aventi ad oggetto provvedimenti diversi, pur riconoscendo, sul piano del diritto sostanziale, l'unicità della fattispecie giuridica dedotta in giudizio;
b) ERROR JURIS DELLA DELIBAZIONE DI INAMMISSIBILITA' DEL RICORSO. Sotto tale aspetto la Juventus FC Spa censura la decisione impugnata per difetto assoluto di motivazione in ordine al difetto assoluto di giurisdizione della Giustizia Sportiva, affermato dal collegio di Garanzia dello Sport;
c) ILLEGITTIMITA' DELLA MOTIVAZIONE PER RELATIONEM. Afferma la società reclamante che il rinvio per relationem alle motivazioni della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport, sarebbe illegittimo, anche in considerazione della dichiarata contestazione del difetto di giurisdizione di cui al punto 2, che avrebbe dato luogo all'obbligo per l'organo giudicante di adozione di una motivazione formale ed esaustiva;
d) ILLEGITTIMITA' DEL RIGETTO DELL'ISTANZA DI SOSPENSIONE. Sul punto si contesta la violazione dell'art. 295 c.p.c., in quanto erano presenti i presupposti oggettivi che avrebbero reso legittima ed opportuna la sospensione del procedimento.
Nel merito sono state riproposte le istanze formulate nel giudizio conclusosi con la decisione impugnata, con richiesta, in subordine, di sospensione del procedimento a fronte del procedimento pendente innanzi al TAR del Lazio.
19. Si sono costituiti in giudizio tutti i controinteressati, i quali, con argomentate e dettagliate difese, hanno eccepito la tardività del ricorso introduttivo e l'inammissibilità del reclamo presentato dalla Juventus FC Spa, per: a) contrasto con la decisione n. 39/2019 del Collegio di Garanzia dello Sport; b) contraddittorietà ed illogicità derivante dalla richiesta di giudizio, da un lato, e di sospensione dello stesso, dall'altro; c) manifesta infondatezza di tutti i motivi del reclamo.
20. All'udienza di discussione le parti illustravano le rispettive posizioni e concludevano riportandosi ai rispettivi atti di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente va esaminata l’eccezione, sollevata dalla difesa della società reclamante e fatta verbalizzare in atti, circa la mancata legittimazione del collegio nella sua odierna composizione, in quanto, essendo formato da componenti nominati con il vecchio regime, con l’entrata in vigore del nuovo codice di giustizia sportiva e la conseguente nomina dei nuovi componenti della corte federale d’appello, essi sarebbero decaduti.
L’eccezione non è fondata.
Il nuovo codice di giustizia sportiva, approvato in via definitiva dal Coni l’11 giugno 2019 con il comunicato ufficiale n. 139 ed entrato in vigore il giorno successivo, stabilisce, all’art. 142, commi 4 e 5, che: << 4.Con l’entrata in vigore del presente codice e i componenti degli organi del sistema della giustizia sportiva permangono nello stesso ruolo e con le medesime cariche. 5. In deroga a quanto previsto al comma 4, in relazione alla specifica riorganizzazione della composizione e delle funzioni della Corte federale di appello di cui all’art. 99 del codice, il presidente, i presidenti di sezione, i componenti delle sezioni giudicanti nonché i componenti della sezione consultiva della Corte federale decadono dall’incarico all’atto dell’approvazione del codice e permangono nelle funzioni sino alle nuove nomine adottate dal Consiglio Federale>>.
Il consiglio federale, in base al potere conferitogli dalla norma indicata, ha proceduto, con il comunicato ufficiale n. 42/A, alla nomina del presidente, dei presidenti e dei vicepresidenti delle sezioni nonché dei componenti della Corte federale d’appello, stabilendo che le nomine avranno decorrenza dal 1 settembre 2019.
Va da sé che prima di tale data si applica il comma 4 dell’articolo in esame, anche perché il sistema non potrebbe tollerare un vuoto dell’attività giustiziale, in base al principio della continuità dell’azione amministrativa, valevole a maggior ragione per i procedimenti giustiziali.
Peraltro, qualora si fosse ritenuta l’illegittimità dell’apposizione di un termine di decorrenza diverso da quello della nomina dei componenti della nuova compagine della Corte d’appello –il che è comunque da escludere, rientrando nel potere discrezionale del Consiglio Federale calibrare l’organizzazione del nuovo ufficio secondo criteri temporali di ragionevolezza, come nel caso di specie- l’atto andava impugnato; cosa che non risulta sia stata fatta.
2. Parimenti non è da accogliere la richiesta di sospensione del presente procedimento basata sul fatto che pende giudizio innanzi al Tar per il Lazio sulla medesima controversia, in quanto, in disparte l’assenza di pregiudizialità dato che la controversia viene proposta sotto profili divergenti, si tratta di ‘giudizi’ aventi natura diversa, trattandosi nel caso che ci occupa di un procedimento giustiziale amministrativo e nell’altro di un giudizio giurisdizionale in senso proprio. Quindi sono destinati a svolgersi autonomamente e le eventuali interferenze potranno trovare soluzioni mediante l’azionamento da parte degli interessati degli strumenti processuali all’uopo previsti. Peraltro in quel giudizio si chiede l’annullamento della pronuncia del collegio di garanzia, in questo che ci occupa la mancata attivazione del procedimento di autotutela.
3. Venendo al merito, che in questo caso impinge anche nella materia processuale, il reclamo non è fondato.
3.1. L’oggetto della presente controversia va ridotto ai suoi termini essenziali e di sostanza, pretermettendo le eccezioni processuali sollevate dalle parti resistenti e derivanti dalla sequenza delle numerose vicende processuali e giustiziali esaurite o in corso (e peraltro desumibili dalla parte in fatto), dato che riuscirebbero solo a inutilmente complicare una controversia già complicata in sé e data l’infondatezza nel merito del reclamo.
Esso è costituito dalla mancata revoca della delibera n. 219/CF in data 18 luglio 2011, assunta dal Consiglio federale della Figci, emessa a seguito di un esposto della società reclamante presentato alla Procura federale, con il quale, oltre a chiedersi il perseguimento della società sportiva Internazionale per fatti disciplinarmente rilevanti analoghi a quelli che avevano portato alla sanzione della perdita dello scudetto della medesima società oggi reclamante, si chiedeva un intervento in autotutela, non per vedersi riassegnare il titolo di campione d’Italia relativo al campionato 2005/2006, bensì che venisse tolto alla società assegnataria del titolo, subentrata per effetto del semplice scorrimento della classifica.
3.2 Anzitutto appare di lampante evidenza l’incongruità di una richiesta in questa sede di annullamento di un atto in autotutela a distanza di ben 8 anni dalla sua adozione, anche se va rilevato come nel frattempo la società reclamante ha proposto azioni sia in sede di giustizia sportiva sia nelle sedi della giustizia dell’ordinamento generale, tutte risoltesi con pronunce non di merito; cosa di cui si lamenta la società reclamante, anzi è la doglianza principale, ossia appunto quella di non aver potuto ottenere una pronuncia che prendesse in esame i motivi sostanziali della sua richiesta.
In generale il collegio ricorda che è onere della parte individuare il giusto giudice, ossia quello che ha giurisdizione e competenza sulla domanda proposta. Quindi, ove l’individuazione sia stata errata, l’errore va a questa imputato e non ad altri. Anche la mancata indicazione nelle decisioni nel frattempo intervenute del giudice competente non costituisce ragione sufficiente per una remissione in termini per la proposizione del presente gravame; tanto più che il giudice ordinario nella sua massima espressione ha radicato la giurisdizione presso il giudice sportivo. Poi spetta alla parte individuare il giudice competente in base all’ordinamento sportivo.
Sul punto il collegio condivide quanto affermato dal Collegio di garanzia, laddove ha ritenuto la tardività della pretesa di investire il Collegio medesimo, dopo avere inutilmente percorso nel periodo di otto anni l’intera filiera dei rimedi offerti dalla giurisdizione ordinaria (impugnazione del lodo dinanzi alla Corte d’Appello e ricorso in Cassazione). Per le ragioni spiegate non è accoglibile la tesi che soltanto con il passaggio in giudicato della declaratoria del difetto assoluto di giurisdizione del giudice statale si sarebbero realizzate le condizioni per l’esercizio delle facoltà impugnatorie ammesse dall’ordinamento sportivo, perché l'insindacabilità degli atti di cui si discute davanti a qualsiasi giudice statale non costituisce una sopravvenienza (fattuale e/o giuridica) maturata all’esito dei giudizi di impugnazione promossi dinanzi alla Corte d’Appello ed alla Cassazione, ma un dato del quale i suddetti contenziosi si sono limitati ad accertare con effetti meramente dichiarativi.
Per le stesse ragioni non è ammissibile nemmeno innanzi a questa Corte federale d’appello.
3.3. Il reclamo è inammissibile sotto vari altri profili, alcuni di carattere generale e altri più specifici.
Anzitutto, il collegio non ravvisa la presenza di un interesse attuale e diretto rispetto alla domanda proposta, proprio perché l’espressa rinuncia a vedersi riassegnato il titolo, non consente di intravvedere il vantaggio che la società reclamante riceverebbe dall’accoglimento del gravame. I vantaggi, pure prospettati nel reclamo come quelli di natura economica, vengono in rilievo solo di riflesso e quindi sono non sufficienti a radicare la legittimazione.
In secondo luogo, l’oggetto del giudizio è dato dalla mancata attivazione da parte dell’autorità sportiva del procedimento di secondo grado, ossia del riesame dell’assegnazione dello scudetto a favore della società resistente. Va premesso che in questo tipo di procedimenti l’istante non ha nessuna situazione soggettiva tutelata, né di diritto né di interesse legittimo, e l’amministrazione (in questo caso quella sportiva) non ha nessuno obbligo ad aprire il procedimento. Qualora l’interessato si senta leso deve impugnare l’atto di cui si chiede il riesame e non la mancata riapertura del procedimento, che non costituisce silenzio in senso tecnico né provvedimento implicito. Costituisce principio cardine del sistema che i procedimenti di riesame e di revisione dei propri atti è una prerogativa esclusiva dell’autorità che ha emanato il primo atto, che può da essa essere annullato o revocato solo in presenza di un interesse pubblico o comunque di un interesse sportivo generale.
3.4. Tuttavia nel caso in esame l’autorità sportiva si è pronunciata.
Pertanto sorge il problema se tale pronuncia sia l’atto conclusivo di un procedimento di riesame conclusosi con un atto confermativo dopo una rivalutazione delle circostanze sopravvenute oppure sia la mera dichiarazione di non voler riaprire il procedimento richiesto e quindi senza alcuna rivalutazione delle circostanze originarie o di quelle sopravvenute.
In effetti dalla lettura dell’atto indicato emerge che si è al limite delle due alternative testè indicate, in quanto, pur non esaminando in concreto le circostanze dedotte nell’esposto sufficienti a giustificare l’apertura del procedimento di secondo grado, l’autorità ha declinato la propria competenza a revocare l’assegnazione del titolo, essendo avvenuta non per effetto di una sua scelta volontaria, ma per effetto dell’automatico scorrimento della graduatoria.
In proposito la società reclamante deduce che l’assegnazione vi sarebbe comunque stata da parte dell’amministrazione sportiva resistente dato che il titolo poteva non essere assegnato a nessuna società di calcio per il campionato 2005/2006.
La tesi prova troppo.
L’interessante profilo prospettato è incompatibile con la sostanza della domanda proposta, poiché si può chiedere la revoca di un atto così come esso si presenta nel mondo giuridico e non così come si sarebbe voluto che fosse, ossia quello che poteva derivare da un potere che l’autorità sportiva non ritenne di esercitare. Né si può ritenere che l’amministrazione che si limita ad accettare la produzione di effetti giuridici derivanti da un procedimento di cui non era nella circostanza titolare compia un atto implicito per non averlo arrestato, dovendo questo comunque trarre origine da un potere esercitato magari ad altri fini.
3.5. Sorge il problema sostanziale della rilevanza delle circostanze denunciate con la presentazione dell’esposto da parte dell’odierna reclamante.
E’ pacifico che all’epoca in cui vi è stata l’assegnazione dello scudetto non erano emersi quei fatti che ora (2011) invece giustificherebbero la richiesta di revoca dell’assegnazione dello scudetto. Orbene i fatti denunciati nell’esposto sono stati ritenuti dalla Procura federale non degni di approfondimento e comunque, quali che siano le ragioni poste a giustificazione, hanno portato alla loro archiviazione. Quindi non hanno ricevuto nessuna qualificata conferma, né possono essere posti a base di un provvedimento di revoca da parte di un’autorità che non ha nessuna competenza attuale in materia di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, né tantomeno possono essere direttamente valutati dal collegio in questa sede, dove l’oggetto del giudizio non è costituito da un’azione disciplinare, bensì dalla legittimità o meno del mancato esercizio del potere di autotutela dell’autorità sportiva che si fondava sulla semplice allegazione di quei fatti in un esposto dell’attuale reclamante. In quella sede l’autorità amministrativa poteva porre a base del provvedimento di revoca solo fatti ritualmente accertati e non basate su notizie giornalistiche, che persino la Procura federale ritenne non necessario approfondire. Valutare in questa sede giustiziale le circostanze denunciate significherebbe spingersi nel merito amministrativo sportivo. Il giudice sportivo dirime le liti insorte e non altro.
Peraltro, quand’anche quei fatti fossero stati fondati sarebbero stati recessivi rispetto all’interesse sportivo generale a conservare un assetto che si era consolidato sin dal 2005.
4. In conclusione, disattese tutte le eccezioni sollevate, il reclamo va rigettato e la decisione di primo grado va confermata, con l’integrazione della motivazione nei sensi suesposti. Va da sé che l’effetto devolutivo del reclamo consente di superare gli eventuali vizi motivazionali della prima decisione, dovendo il secondo giudice esaminare la controversia nella sua interezza.
Per questi motivi la C.F.A., definitivamente pronunciando, respinge il ricorso come sopra proposto dalla società Juventus FC SPA di Torino.
Dispone addebitarsi il contributo.
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