F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE – 2019/2020 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 097 CFA del 29 luglio 2020 (Avv. Gianluca Ciotti/AIA) N. 145/2019-2020 REGISTRO RECLAMI N. 097/2019-2020 REGISTRO DECISIONI

N. 145/2019-2020 REGISTRO RECLAMI

N. 097/2019-2020 REGISTRO DECISIONI

 

LA CORTE FEDERALE D'APPELLO SEZIONI UNITE

 

composta dai Sigg.ri:

 

Mario Luigi Torsello                   Presidente

G. Paolo Cirillo                          Componente

Mauro Mazzoni                         Componente

Carlo Sica                                  Componente

 

Francesco Cardarelli                   Componente (relatore) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 

Sul reclamo n. 145CFA/2019-2020, proposto dall’ Avv. Ciotti Gianluca, rappresentato e difeso da se stesso e dall’Avv. Leonardo Guidi, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Latina, viale dello Statuto, 19;

 

contro

 

A.I.A. Associazione Italiana Arbitri, in persona del suo Presidente legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Valerio Di Stasio e dall’Avv. Giovanni Perriniello, elettivamente domiciliata presso la sua sede legale in Roma, via Campania n.47;

e nei confronti di

 

Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del suo legale rappresentante p.t., non costituita

per la riforma

 

della Decisione n. 140/TFN – SD 2019/2020 del Tribunale Federale Nazionale FIGC del 22 giugno 2020;

Visto il reclamo e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 20 luglio 2020, tenutasi in videoconferenza, il prof. Francesco Cardarelli e uditi l’avv. Ciotti Gianluca per sè medesimo (reclamante), e l’avv. Valerio De Stasio per l’A.I.A.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue RITENUTO IN FATTO

Oggetto del reclamo è la decisione con la quale il Tribunale Federale Nazionale ha respinto il ricorso dell’Avv. Ciotti avverso il diniego espresso dall’Associazione Italiana Arbitri (d’ora in avanti AIA) sulla istanza di accesso formulata dal primo, ai sensi della legge 241/90, di visionare, in pendenza di un procedimento disciplinare a suo carico, tutte le delibere adottate dalla Commissione nazionale di disciplina e dalla Commissione di disciplina di appello dell’AIA relative all’ultimo quinquiennio aventi ad oggetto violazioni contemplate dall’art. 40 del regolamento AIA e dall’art. 6 del Cod. Etico AIA.

In base alla documentazione acquisita nel procedimento giustiziale l’istanza di accesso, espressamente riferita all’art. 22 della legge 241/90, era fondata sulla necessità di procedere ad un rapporto/confronto analogico con altre decisioni a contenuto disciplinare, riferibili a fattispecie diverse da quella interessata dal procedimento disciplinare esitato nei confronti dell’istante, ma qualificabili come casi di maggior oggettivo disvalore: in sostanza, sia pure in modo ellittico, il richiedente qualificava le ragioni della propria richiesta in relazione ad esigenze di carattere difensivo non altrimenti satisfattibili.

Alla istanza l’associazione intimata rispondeva negativamente, deducendo l’inapplicabilità della legge 241/90 al proprio operato stante la natura endoassociativa delle decisioni adottate sul piano disciplinare, la genericità della richiesta e la sproporzione tra le finalità perseguite e lo sforzo richiesto all’Associazione, nonché la presenza sul sito istituzionale dell’AIA di un massimario delle decisioni disciplinari che avrebbe comunque soddisfatto l’interesse dedotto.

Il Tribunale Federale nazionale ha ritenuto il ricorso palesemente infondato, prescindendo dall’esame della questione della natura pubblicistica o meno dell’attività svolta dall’AIA. In particolare ha ritenuto che il ricorso (rectius, l’istanza) avesse finalità meramente ed esclusivamente esplorative, giacchè volte a richiedere una indistinta categoria di provvedimenti il cui specifico soddisfacimento si sarebbe tradotto in un controllo generalizzato sull’attività dell’associazione; inoltre l’accoglimento dell’istanza sarebbe stata di dubbia utilità per gli interessi dello stesso ricorrente non avendo i precedenti giurisprudenziali alcuna valenza nomofilattica; in ultimo la lamentata mancata pubblicazione delle decisioni da parte dell’AIA pur “essendo potenzialmente lesiva” di specifici obblighi regolamentari oltre che di indubbi principi generali di trasparenza,  non sarebbe risolutiva perché l’istanza è stata formulata ai sensi della legge 241/90 e sarebbe estremamente generica, non rispondente ad alcun interesse specifico e concreto del ricorrente.

L’impugnazione del reclamante si fonda in primo luogo sulla violazione degli obblighi di pubblicità che deriverebbero dall’art. 2, n.4 del Codice di Giustizia CONI e dall’art. 2, n.4 del Principi di Giustizia di cui alla Deliberazione 1616/2018 del Consiglio Nazionale CONI, nonché dall’art. 44 del Codice di giustizia sportiva della FIGC e da norme regolamentari interne all’AIA: in particolare viene dedotta la violazione del generale canone della trasparenza delle istituzioni sportive, donde l’illegittimità della mancata ostensione dei documenti richiesti. In secondo luogo viene denunciata l’erronea valutazione di un fatto decisivo della controversia, la natura apparente e/o contraddittoria della motivazione: con una singolare interversione delle ragioni declinate nella rubrica del motivo la contraddizione della decisione viene rinvenuta nello iato tra il riconoscimento dell’obbligo di pubblicazione delle decisioni da parte dell’AIA ed il sindacato sulla insussistenza di un interesse specifico e concreto idoneo a legittimare la richiesta ostensione; la motivazione viene aggredita non tanto per la sua inesistenza quanto per la sua infondatezza, in particolare per ciò che riguarda la supposta natura generalizzata dell’accesso, diretto alla sola ostensione di decisioni di carattere disciplinare e non a tutta l’attività associativa.

Replica l’AIA argomentando sulla inammissibilità del gravame per l’avvenuta proposizione di una domanda negletta nel giudizio di primo grado. In particolare si deduce che il reclamo sarebbe diretto pressochè esclusivamente sull’asserita violazione dell’obbligo di pubblicazione delle decisioni a contenuto disciplinare, mentre il ricorso di primo grado era

diretto all’annullamento di un diniego opposto avverso una istanza di accesso alla documentazione amministrativa: in relazione a questa seconda prospettiva sarebbe valorizzabile il nesso di strumentalità tra la documentazione richiesta e la situazione giuridica soggettiva dedotta, che non riguarderebbe la generalità degli associati. Più chiaramente la mutatio libelli sarebbe intervenuta, con evocazione sul punto di giurisprudenza del Consiglio di Stato, per la trasfigurazione, operata tra il primo e secondo grado di giudizio, dell’opzione originaria (accesso documentale) in un modello alternativo ascrivibile all’accesso civico o generalizzato. In secondo luogo la difesa associativa deduce l’infondatezza del gravame e del ricorso originario per inapplicabilità alle federazioni sportive della legge 241/90 ed in particolare dell’art. 22 sull’accesso ai documenti amministrativi: la tesi di fondo è che in nessun caso l’AIA avrebbe natura, per le finalità proprie dell’attivazione del diritto di accesso, di pubblica amministrazione. In terzo luogo viene eccepita l’inammissibilità e l’infondatezza del secondo motivo dell’impugnazione proposta: ciò in quanto l’inadempimento all’obbligo di pubblicazione delle deliberazioni degli organi di disciplina non può essere fatto valere con l’istanza ostensiva dei documenti (ma nulla viene detto sulla astratta sussistenza dell’obbligo in base alle norme endofederali). Inoltre l’istanza originaria sarebbe affetta da genericità ed indeterminatezza in quanto la documentazione di cui si chiedeva l’ostensione non sarebbe stata individuata, rendendo di conseguenza gravosa e spropositata l’attività di ricerca, esame e selezione da parte dell’AIA (con ampio suffragio offerto da copiosa giurisprudenza amministrativa in materia di diritto di accesso); in ultimo difetterebbe un interesse diretto e concreto alla ostensione della documentazione richiesta (tra l’altro riferibile a decisioni adottate da organo disciplinare diverso rispetto a quello investito della decisione afferente il reclamante), stante l’inesistenza di vincoli nei confronti degli organi titolari del potere disciplinare derivanti da precedenti decisioni adottate in casi analoghi.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il collegio che sia necessario affrontare in via preliminare l’esatto inquadramento della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio. Sebbene evocata dal reclamante per corroborare la tesi della prevalenza del principio di trasparenza sulla dedotta opacità dell’operato dell’AIA, senza che tuttavia se ne siano ricavate le inferenze più suggestive ai fini

della soluzione della presente controversia, la decisione del Collegio di Garanzia n. 74 del

2017 costituisce un sicuro riferimento per configurare l’esistenza (e la conseguente giustiziabilità) del diritto di accesso nell’ambito dell’ordinamento sportivo. In base al principio pluralistico, ammessa la coesistenza tra ordinamenti a fini generali e ordinamenti a fini settoriali, si deve ritenere l’asimmetria del rapporto tra i sistemi ordinamentali (i primi riconoscono i secondi) tale che il carattere dell’autonomia non assorbe anche quello dell’autosufficienza, con la conseguenza che l’ordinamento sportivo (settoriale) si debba trovare necessariamente in rapporto di collegamento con il corrispondente ordinamento giuridico esprimente interessi generali.

2 Ne deriva che gli interessi e le situazioni giuridiche dei soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo devono essere valutati anche in correlazione alle norme dell’ordinamento statale: in particolare qualora le norme dell’ordinamento statale stabiliscono dei principi che possono essere in un certo modo espressione anche dei principi che permeano l’ordinamento settoriale “quest’ultimo è chiamato a recepirli e ad adattarli al proprio diritto positivo, attesa anche la propria non autosufficienza e il suddetto rapporto di collegamento con l’ordinamento statale esprimente interessi generali” (Collegio di garanzia 74/2017).

  1. Secondo questa matrice relazionale è inquadrabile la progressiva rilevanza del diritto di accesso nell’ordinamento a fini generali (cui corrisponde l’elevazione del concetto di trasparenza quale condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, che integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino) rispetto all’ordinamento sportivo: poiché il ribaltamento di prospettiva sull’esercizio del diritto di accesso (prima confinato ai soli documenti amministrativi, poi limitato a quelli oggetto di pubblicazione, ed oggi esteso a tutte le informazioni detenute da un pubblico potere) impone di considerare la trasparenza come regola generale “mentre la riservatezza e il segreto solo delle eccezioni, e ciò in coerenza ed in analogia con gli ordinamenti in cui vige il c.d. Freedom of Information Act (FOIA)”, tanto che l’ordinamento italiano riconosce e tutela la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni quale “diritto fondamentale”, il principio di trasparenza “ben può e deve essere trasferibile… agli organi amministrativi dello sport”. Nella prospettiva della richiamata decisione la trasparenza dovrebbe “essere enucleata e posta accanto ai principi generali attinenti alle modalità di svolgimento del rapporto tra CONI, Federazioni e Leghe nei confronti dei tesserati ed affiliati, insieme ai principi di lealtà,

probità e correttezza”; il binomio pubblicità-trasparenza deve “permeare l’attività delle istituzioni sportive al fine di comprenderne l’azione da parte degli associati e in modo da consentire la conoscenza reale della loro attività e di effettuare il controllo sulla stessa. L’azione delle Federazioni e delle Leghe deve, pertanto, consentire agli interessati di accedere alle informazioni relative ai “procedimenti” in corso, con il dovere, altresì, di comunicare agli stessi tutte le informazioni richieste”; inoltre “un accesso funzionale all’attività sportiva consentirebbe all’associato che abbia un interesse diretto, concreto e attuale di interloquire con gli apparati di governo dello sport, a tutela del proprio interesse, prima che sia adottata la decisione finale”.

  1. Sebbene le coordinate ermeneutiche della richiamata decisione arrivino a configurare l’esistenza di un principio generale proprio dell’ordinamento nazionale (trasparenza nell’esercizio dei pubblici poteri) necessariamente trasferibile nell’ordinamento settoriale, con conseguente riconoscimento di una situazione giuridica soggettiva (diritto di accesso) assurta alla dignità di diritto fondamentale, tuttavia l’effetto concreto di quella ricostruzione si arresta alla natura monitoria e sollecitatoria del provvedimento giustiziale sportivo, sia sul versante (sostanziale) dell’adeguamento delle regole settoriali ai “principi generali di libertà e diritto di accesso di ciascun soggetto alle informazioni possedute dagli organismi che del sistema sportivo sono componenti, nell’ambito in cui essi esprimono funzioni non meramente negozial-privatistiche”, sia su quello (processuale) della (auspicata revisione della) disciplina giustiziale sportiva.
  2. Ritiene il collegio che una simile condivisibile prospettiva debba essere ampliata fino a spingersi al riconoscimento di una situazione giuridica sostanziale rilevante nell’ambito dell’ordinamento sportivo (diritto di accesso) correlata ad un obbligo generale di trasparenza dell’esercizio del potere sia sotto il profilo morfologico che in termini funzionali: e come situazione giuridica soggettiva cui l’ordinamento settoriale deve protezione in omaggio al principio (questo declamato espressamente nei principi di giustizia sportiva, art. 2, comma 1, nel CGS CONI, art.2, comma 1, nel CGS FIGC art. 47, comma 1) di piena tutelabilità dei diritti e degli interessi dei soggetti dell’ordinamento settoriale.
  3. Sovviene in primo luogo la necessità di precisare che l’evoluzione normativa del diritto di accesso nell’ordinamento generale non riguarda solamente la tripartizione accesso documentale, accesso civico alle informazioni oggetto di pubblicazione e accesso civico

generalizzato, ma si articola in molteplici riconoscimenti settoriali, legati ad esigenze conoscitive strettamente correlate ad interessi sensibili (come l’accesso alle informazioni ambientali, o quello definito dall’art 10 del d. lgs. n. 267 del 2000), e non è estraneo alla dinamica delle relazioni squisitamente privatistiche (si pensi all’art. 2476 cc sull’accesso del socio non amministratore ai libri sociali).

E una simile evoluzione normativa non si concentra solo (o non più solo) sulla proiezione morfologica della pubblica amministrazione o delle articolazioni dello Stato apparato, astrette dai vincoli di buon andamento e imparzialità, e come tali sottoposte a forme di controllo diffuso (quale portato della legittimazione democratica dei pubblici poteri): prova ne è che, sia pure attraverso un progressivo affinamento della natura del diritto di accesso (e della correlata conformazione dell’amministrazione pubblica al principio di trasparenza, ancorchè non costituzionalizzato), la Corte Cost. ha ammesso (accanto all’inevitabile pedaggio al buon funzionamento dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost.) che i principi di pubblicità e trasparenza sono riferiti quale corollario del principio democratico (art. 1 Cost.) a tutti gli aspetti rilevanti della vita pubblica e istituzionale; e più significativamente il Consiglio di Stato

(A.P. 19 febbraio 2020, n.10) ha affermato che, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti sanciti dall’art. 2 della Costituzione, il diritto di accesso civico è precondizione per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento “perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà” (Cons. Stato A.P. 10/2020 punto 23.2).

  1. Una simile prospettiva consente di affrancare il riconoscimento della situazione giuridica soggettiva dalla necessità di una puntuale alfabetizzazione del diritto di accesso in riferimento agli apparati dotati della necessaria attribuzione legislativa di connotazioni pubbliche o dell’esercizio di poteri pubblici: questa visuale è propria solo dell’ordinamento generale (in cui la nozione di pubblico potere si innesta nella definizione di un apparato organizzativo qualificabile come amministrazione pubblica, non senza rammentare la tendenza ad allargarne le dimensioni in base alla funzionalizzazione dell’attività piuttosto che al mero riconoscimento della personalità giuridica).

In altri termini nell’ordinamento sportivo ed al suo interno, la connotazione pubblica o meno dell’apparato verso il quale è diretta la pretesa, appare irrilevante ai fini della conformazione

del diritto, proprio perché le categorie pubblico/privato appartengono ad una sfera di articolazione della sovranità che attribuisce il potere “naturalmente” pubblico ad un apparato servente lo Stato.

Ciò che emerge dalle concezioni più moderne del diritto di accesso è la sua natura, diretta a colmare le asimmetrie informative tutte le volte che le relazioni istituzionali si fondano su un rapporto autorità/soggezione tra apparati (titolari del relativo potere) e destinatari (cioè i soggetti su cui si fonda la plurisoggettività dell’ordinamento settoriale): il diritto di accesso in sé considerato si configura come situazione giuridica soggettiva attivabile autonomamente perché strettamente legato, nelle organizzazioni complesse, alla connotazione democratica e trasparente del funzionamento delle istituzioni (sia pubbliche che private), contribuisce al dibattito pubblico, opera in funzione di garanzia dei diritti costituzionalmente garantiti, è strumentale al controllo diffuso dell’operato di organi a base rappresentativa.

  1. In secondo luogo occorre rammentare che il diritto di accesso è condizione per l’esercizio di altri diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto all’informazione (secondo la prospettiva CEDU, Grande Camera, 8 novembre 2016, Magyar Helsinki Bizottsàg v. Hungary, in ric. n. 18030/11), o l’esercizio del diritto di difesa (v. art. 41, comma 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), o semplicemente correlato allo status del richiedente ai fini dell’esercizio di diritti politici (art. 42 della medesima Carta).

Questa natura servente e strumentale rende il diritto di accesso come situazione giuridica di nuova generazione legata alla clausola generale della tutela dei diritti fondamentali e della dignità della persona riconosciuta nelle formazioni sociali in cui si espleta la personalità dell’individuo (ai sensi dell’art. 2 Cost.), che è matrice irrinunciabile del riconoscimento operato dall’ordinamento generale dell’ordinamento di settore.

Il diritto di accesso serve ad arginare l’articolazione del potere (non importa se si tratta di un potere pubblico o privato), che si conforma, in una società democratica, in base al valore della trasparenza sia sotto il profilo dell’organizzazione che in quello del suo concreto esercizio, tutte le volte che la sua espressione sia in grado di incidere su situazioni giuridiche soggettive. In questa prospettiva non appare finanche necessaria (ancorchè certamente opportuna ed utile, come rammentato dalla richiamata decisione del Collegio di Garanzia) una puntuale ricognizione dell’esistenza di un simile diritto, proprio perché la penetrazione dei diritti fondamentali, garantiti dall’assetto costituzionale, negli ordinamenti settoriali, è nella natura stessa del riconoscimento dell’autonomia dei secondi, sia pure nella prospettiva asimmetrica della relazione tra i due sistemi: il cui riequilibrio, almeno sul piano delle garanzie primarie, è garantito dalla pervasività dei diritti attribuiti dalla Costituzione, o comunque riconosciuti in base a tradizioni costituzionali comuni, se non da norme convenzionali di matrice internazionale la cui applicazione non può che essere osservata in tutte le formazioni sociali in cui l’individuo sviluppa la sua personalità, ed in ultimo dall’espresso richiamo al principio di democrazia interna nelle organizzazioni sportive federali.

Parafrasando il Consiglio di Stato (Ad. Plen n. 10/2020 citata, punto 23.4) il valore della trasparenza e il conseguente diritto di accesso alle informazioni concorre al soddisfacimento dei diritti fondamentali della persona, se è vero che l’organizzazione del potere e diritti fondamentali sono strettamente interrelati, sulla scorta dell’insegnamento secondo cui «non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione» (Corte cost., 27 novembre 1998, n. 383).

  1. In terzo luogo il diritto di accesso è correlato, in una delle sue possibili manifestazioni, ad obblighi di pubblicità. Anche in questo caso l’asimmetria tra l’ordinamento generale (che quegli obblighi definisce in base a fonti primarie o regolamentari non sempre perspicui) e l’ordinamento sportivo (che quegli obblighi di “amministrazione trasparente” soddisfa in base alle medesime fonti, ovvero attraverso una ricognizione convenzionale in sé bastevole per determinare l’affidamento degli associati) appare colmabile attraverso l’indicazione delle disposizioni conferenti su cui si articola l’obbligo (anche in questo caso non rileva la dimensione imperativa della norma di interesse pubblico, quanto l’efficacia della disposizione di autovincolo in funzione di garanzia degli associati).

Si tratta della modalità più semplice nella quale il diritto di accesso può essere esercitato, proprio perché il suo riconoscimento è specularmente garantito dalla ostensione indifferenziata dell’informazione, sicchè l’accesso diviene solo (per mera inversione dei medesimi fattori) la pretesa diretta a consentire che l’obbligo (in qualche modo formalizzato) sia effettivamente rispettato.

Sotto questo profilo appare addirittura recessivo un possibile sindacato sulle ragioni sottese alla istanza, proprio perché la naturale vocazione dell’informazione ad essere pubblica (cioè, al di là dei mezzi utilizzati, a disposizione della generalità dei consociati) implica una

preliminare valutazione, operata generalmente per tipologia di dati aggregati, della necessità della loro conoscenza quale presupposto delle modalità di autodeterminazione (a maggior ragione se simile pubblicità attiene ai giudizi sulla censurabilità di condotte degli associati, o di una loro specifica categoria, astretti ad un contegno conformato da norme spesso affette da un alto grado di indeterminatezza).

  1. Sarebbe in ultimo paradossale se si ammettesse che il diritto di accesso sia riconosciuto (in astratto) solo nell’ordinamento generale, secondo le modalità stabilite da fonti primarie sull’accesso documentale e sull’accesso civico verso le pubbliche amministrazioni, e non abbia diritto di cittadinanza nell’ambito dell’ordinamento sportivo, quando sia funzionale alla tutela di diritti ed interessi la cui tutela (anche alla luce del noto orientamento della Consulta sul sindacato giurisdizionale sulle sanzioni disciplinari) appare pienamente satisfattiva solo attraverso l’attivazione di sistemi giustiziali endofederali o comunque confinati all’interno dell’ordinamento sportivo.

La conclusione opposta implicherebbe che l’armamentario a disposizione dell’istante lo costringerebbe ad una impropria digressione verso i mezzi di tutela esperibili solo di fronte al giudice amministrativo (titolare di giurisdizione esclusiva in materia), per poi tornare di fronte agli organi di giustizia sportiva una volta accolta la doglianza, senza che tra le due questioni (l’accesso per un verso e la vicenda disciplinare per l’altro) vi sia un nesso di pregiudizialità necessaria.

  1. In conclusione il collegio ritiene che il diritto di accesso alla informazione detenuta dagli apparati di governo o di decisione delle organizzazioni sportive in ambito federale - tutte le volte che esse non attivino facoltà prettamente negoziali o squisitamente privatistiche che implichino la definizione di un assetto di interessi basato sul consenso o sull’accordo di volontà, ma agiscano in virtù di competenze statutariamente attribuite dirette all’esercizio di poteri autoritativi in grado di incidere unilateralmente su situazioni giuridicamente rilevanti per gli associati - costituisca una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento sportivo perché legata e strumentale all’esercizio di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati anche nell’ordinamento di settore.

E ciò indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto destinatario della pretesa (che rileverebbe solo nel diverso prisma dell’ordinamento a fini generali) e, nei casi in cui l’ordinamento sportivo preveda espressi obblighi di pubblicità, indipendentemente dalla qualificazione dell’interesse sotteso alla richiesta, con i limiti naturali della manifesta infondatezza della pretesa, del superamento del test di proporzionalità (come principio generale di adeguatezza e non eccedenza), del rispetto delle norme imperative sul trattamento dei dati personali.

Come situazione giuridica soggettiva che appartiene al decalogo di diritti la cui mera enunciazione, se si conviene sulla sua matrice di derivazione da fonte superprimaria, costituirebbe una inutile superfetazione declaratoria, essa appare tutelabile di fronte agli organi di giustizia sportiva, in base alla piena giustiziabilità di pretese la cui cognizione non può essere sottratta all’esercizio dell’autodichia.

  1. Ciò non sottrae agli organi deputati alla adozione di norme endogene il compito di definire le articolazioni del diritto (e una preliminare enunciazione di sistema del principio di trasparenza nella funzionalizzazione delle attività in cui si esercita il potere decisionale verso gli associati), la definizione delle possibili eccezioni al suo esercizio, le modalità per garantire il bilanciamento con altri diritti tutelati dall’ordinamento generale, le forme di giustiziabilità della pretesa a fronte dell’inerzia del ricevente o delle sue possibili negazioni.
  2. La necessaria prolusione sulla quale il Collegio ha ritenuto di dover indugiare consente di illustrare le ragioni per le quali si ritiene fondato il reclamo.

In primo luogo sulla eccezione della proposizione di una domanda nuova nel secondo grado di giudizio si deve rammentare che l’azione proposta in primo grado contemplava anche ragioni fondate sul mancato assolvimento dell’obbligo di pubblicità delle deliberazioni dell’AIA (come dimostra tra l’altro l’avvertita necessità di replicare sul punto nella memoria dell’associazione resa in primo grado, punto II. e pag. 11). In ogni caso la sussistenza dell’obbligo di pubblicità (che l’AIA riterrebbe assolto mediante la pubblicazione sul sito istituzionale di un massimario delle decisioni), che effettivamente è previsto dall’art. 2, n.4, del Codice di Giustizia CONI, dall’art. 2, n.4, del Principi di Giustizia di cui alla Deliberazione 1616/2018 del Consiglio Nazionale CONI, nonché dall’art. 44 del Codice di giustizia sportiva della FIGC, e da norme regolamentari interne all’AIA (regolamento dell’associazione art. 53

n.7 e Norme sul funzionamento degli organi di disciplina art.1, n.5), rende recessiva la finalizzazione della richiesta conoscenza per ragioni che non appartengono alla generalità degli associati (neanche l’accesso civico dell’ordinamento generale impone una simile forma di legittimazione): va inoltre rammentato che anche secondo la più recente giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato, Ad. Plen n.10/2020, citata) il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato “non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline”.

  1. Un simile assunto serve inoltre a smentire la fondatezza dell’argomentazione (obiettivamente contraddittoria) della decisione impugnata, nella parte in cui, pur ammettendo che la mancata pubblicazione delle decisioni dell’AIA fosse potenzialmente lesiva di obblighi regolamentari, non sarebbe stata censurabile per effetto della qualificazione originaria dell’istanza ai sensi della legge 241/90.

Per un verso si può affermare che dove vi sono obblighi di pubblicità (obbligo di trasparenza) non vi è accesso, ma diritto alla conoscenza, assolto ellitticamente dalla preliminare imposizione del vincolo verso l’istituzione: in questo senso il diritto di accesso è solo lo strumento con il quale si denuncia l’obliterazione del dovere statutario o regolamentare incombente nei confronti dell’associazione.

Per altro verso, secondo la prospettiva sopra delineata, la declinazione del diritto di accesso nell’ordinamento sportivo è obiettivamente refrattaria, in assenza di una sua puntuale articolazione normativa, ai paradigmi dell’accesso nell’ordinamento generale, ma vive di propria autoconsistenza, perché legata alla sua natura di diritto fondamentale, strumentale all’esercizio di diritti almeno di pari rango (nel caso di specie quelli di difesa): in altri termini la qualificazione formale, pur presente nella istanza originaria, che ascrive al modello di accesso documentale la richiesta di informazioni, se ha un significato nell’ordinamento generale data la diversa articolazione normativa delle fattispecie (salva la visione sincretica che ne ha recentemente fornito il Consiglio di Stato), non ha alcun rilievo nell’ordinamento sportivo, che quelle distinzioni non conosce.

Ne deriva che la enunciazione delle esigenze difensive che si fondano sulla conoscenza dei precedenti disciplinari non altrimenti apprensibili da parte dell’istante, la individuazione delle connotazioni informative della documentazione richiesta (l’ignoranza dei precedenti non

avrebbe potuto consentire una diversa – e tanto meno analitica - elencazione dei provvedimenti, sicchè la dedotta genericità della richiesta appare un paralogismo), sono elementi sufficienti a radicare la pretesa dell’istante, degradando la qualificazione giuridica (si ripete, funzionale ad un plesso normativo diverso, ancorchè condizionante, rispetto a quello dell’ordinamento di settore) a puro stilema.

  1. Le stesse ragioni presiedono il rigetto della eccezione, reiterata in secondo grado dall’AIA, ma elisa dalla decisione del Tribunale Federale Nazionale che ha ritenuto di dover prescindere dal suo esame, della inapplicabilità delle disposizioni in materia di accesso per difetto della qualificazione di amministrazione pubblica in capo all’AIA.

Come si ricava dalla impostazione sin qui seguita, il discrimine pubblico/privato è funzionale al prisma dell’ordinamento generale, che su quella distinzione (che altro non è che la icastica rappresentazione della distinzione tra chi agisce per potere e chi opera per consenso) fonda l’ambito di applicazione del diritto di accesso nelle sue diverse forme (sempre di amministrazione pubblica si tratta): nell’ordinamento sportivo deve viceversa porsi in rilievo non tanto la natura giuridica del soggetto operante, quanto l’idoneità del potere esercitato ad incidere significativamente ed unilateralmente sugli interessi e sui diritti degli associati (e tale è l’organo titolare della decisione disciplinare).

  1. Similmente non è accoglibile la qualificazione esplorativa e difettosa di concretezza dell’interesse dell’istante: sia perché, come illustrato in precedenza, l’obbligo di pubblicità delle deliberazioni AIA (sulla cui concreta portata non viene formulata alcuna eccezione da parte dell’associazione convenuta) esenta da una puntuale illustrazione delle ragioni sottostanti la richiesta; sia perché, a riprova della natura strumentale del diritto esercitato in relazione a situazioni giuridiche protette (il diritto di difesa nell’ambito del procedimento disciplinare che non appare sfumato rispetto ad altri consolidati principi, quali il contraddittorio e parità delle armi), è proprio l’esigenza difensiva (che richiede la conoscenza dei precedenti disciplinari, non altrimenti satisfattibile se non con l’accesso, e che non può essere delibata negativamente sulla scorta della non vincolatività del precedente) che viene rappresentata dal reclamante sin dall’origine, e che consente una obiettiva circoscrivibilità (procedimenti disciplinari che si sono fondati sull’applicazione di disposizioni chiaramente individuate nell’istanza) della dimensione conoscitiva senza assumere connotazioni esplorative (comunque non configurabili neanche in astratto in presenza di un obbligo di pubblicità).
  2. In ultimo, sulla dedotta sproporzione dell’acquisizione conoscitiva rispetto alle risorse da impiegare da parte dell’AIA, la previsione di obblighi di pubblicità, la perimetrazione di uno spazio informativo dedicato sul sito, la redazione di massime (che costituiscono un sottoprodotto della decisione nel suo insieme, e che ha richiesto comunque uno sforzo intellettuale da parte dell’associazione), costituiscono elementi tali da fugare dubbi sulla insostenibilità in termini di costi dell’attività richiesta all’AIA.
  3. Ne consegue che il reclamo proposto avverso la decisione 140/TFN-SD 2019/2020 del Tribunale Federale debba essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento giustiziale, ed obbligo dell’AIA di provvedere alla ostensione dei documenti e delle informazioni richieste con l’istanza di accesso del 5 marzo 2020 proposta a mezzo PEC dall’Avv. G.Ciotti entro 20 giorni dalla data di pubblicazione della decisione per esteso, ferme restando, ove applicabili, le disposizioni di cui all’art. 52 del d.lgs. 163/2006 e ss.mm.ii.

P.Q.M.

 

La Corte Federale d’Appello (Sezioni Unite), definitivamente pronunciando sul reclamo proposto dall’Avv. Ciotti Gianluca, lo accoglie.

 

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

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