F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2016/2017 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 128/CFA del 08 Maggio 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 116/CFA del 23 Marzo 2017 (dispositivo) – RICORSO DEL SIG. ANTONIO ROSATI (PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE SPORTIVA VARESE 1919 S.P.A. NELLE STAGIONI SPORTIVE 2010/11, 2011/12 E 2012/13) AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER MESI 24 E AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTE AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ ART. 1BIS COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 19 DELLO STATUTO FEDERALE, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 3667/705PF15-16 GT/SDS DELL’11.10.2016 (FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ AS VARESE 1910 SPA) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 44 del 21.12.2016)

RICORSO DEL SIG. ANTONIO ROSATI (PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE SPORTIVA VARESE 1919 S.P.A. NELLE STAGIONI SPORTIVE 2010/11, 2011/12 E 2012/13) AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER MESI 24 E AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTE AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ ART. 1BIS COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 19 DELLO STATUTO FEDERALE, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 3667/705PF15-16 GT/SDS DELL’11.10.2016 (FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ AS VARESE 1910 SPA) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 44 del 21.12.2016)

Il Procuratore Federale, visti gli atti del procedimento n. 705pf15-16, effettuate le attività di indagine di propria competenza deferiva al Tribunale Federale Nazionale, Sezione disciplinare, con nota prot. 36670/705pf15-16/GT/sds dell'11 ottobre 2016, tra gli altri, per quanto qui interessa il sig. Antonio Rosati (presidente dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa nelle stagioni sportive 2010/11, 2011/12 e 2012/13 e, in ambito civilistico, presidente del consiglio di amministrazione dal 5 agosto 2008 al 25 giugno 2013, nonché socio di riferimento per il tramite della Società Holding Del Conte Srl, che fino al 25 giugno 2013 ha detenuto l’87% del capitale sociale), per la violazione dell’art. 1 bis, comma 1, CGS in relazione all’art. 19 dello Statuto della F.I.G.C.:

a) per aver attuato la cattiva gestione della Società, improntata all’anti-economicità, e caratterizzata da una forte dipendenza dal capitale di terzi, sintomo dell’incapacità di autofinanziamento della Società, dovuta a una gestione caratteristica deficitaria e non idonea a generare i flussi di cassa necessari a far fronte alle esigenze finanziarie di breve periodo e a ripagare il debito contratto, che, peraltro, ha sempre registrato un costante e progressivo trend di crescita generando una situazione di grave crisi economica e finanziaria già in essere al momento della sua cessazione dalla carica e della cessione delle azioni tenuto conto che alla fine della stagione sportiva 2012/13, in particolare al 31.5.2013, l’esposizione debitoria era pari a euro 11.098.166,46 circa;

b) per  aver  sistematicamente  ritardato  ovvero  omesso  il  pagamento  degli  oneri  fiscali  e contributivi sorti a carico dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa, sistema che ha portato, nel triennio 2010-2012, ad una crescita costante delle esposizioni debitorie nei confronti dell’erario e degli Istituti previdenziali, nonché alla necessità di chiedere e ottenere numerose rateizzazioni di tali debiti con gravi ripercussioni di natura finanziaria negli esercizi successivi.

Alla seduta del 16 dicembre 2016 la Procura Federale ha chiesto infliggersi le seguenti sanzioni: inibizione mesi 24 (ventiquattro) e ammenda € 10.000,00 (Euro diecimila/00).

Il TFN ha ritenuto «che la corposa indagine effettuata dalla Procura Federale ha correttamente posto in evidenza che, nel periodo considerato la gestione dell'Associazione sportiva Varese Srl é avvenuta secondo criteri e condotte violative delle norme contestate nel deferimento.

Infatti ciò che rileva, dagli atti prodotti in giudizio é che sin dal 2010, durante la gestione della Società da parte del Rosati Antonio, sono state poste in essere condotte non improntate a criteri di economicità e sana gestione finanziaria, soprattutto senza alcuna programmazione di carattere economico idonea a ristabilire una situazione di equilibrio finanziario che avrebbe quantomeno potuto evitare il fallimento societario.

Sotto la gestione del Rosati e del Montemurro, che contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, aveva un ruolo esecutivo nella gestione societaria (non può attribuirsi una veste meramente formale alla carica di amministratore delegato ricoperta) emerge che la politica societaria ha portato un aumento sensibile della situazione debitoria provocando un forte squilibrio fra costi e ricavi.

Tale situazione, a prescindere dalla circostanza se il Laurenza fosse stato informato o meno della forte situazione debitoria della Società al momento in cui lo stesso è subentrato nella compagine sociale, ha indubbiamente contribuito causalmente al fallimento della Società; il sensibilissimo aumento della situazione debitoria negli anni 2010-2012, caratterizzato da un fortissimo aumento delle esposizioni verso i fornitori, le banche ed il mancato pagamento dei debiti tributari nei termini previsti, a prescindere dal loro eventuale rilievo civilistico o penale si pongono inevitabilmente in stretto rapporto causale con il fallimento della Società, tanto é vero che anche la CO.VI.SO.C. evidenziava tali aspetti nella relazione redatta a seguito dell'ispezione del 21 novembre 2013.

Tale situazione non é mutata durante la gestione Laurenza, laddove la situazione debitoria é aumentata e non sono stati posti in essere interventi adeguati, soprattutto in termini di razionalizzazione e riduzione dei costi per evitare il tracollo finanziario. Se, da un, lato va dato atto che il Laurenza si é personalmente esposto mediante l'immissione di ingenti capitali finanziari nelle casse societarie, di contro appare evidente che la gestione societaria non ha cambiato impostazione, essendo esponenzialmente aumentato anche il debito, con particolare riferimento anche ai debiti tributari passati da Euro 5.819.385 del dicembre 2013 ad Euro 7.013.212 del Giugno 2014».

Il Tribunale Federale Nazionale - sez. disciplinare ha, quindi, accolto il deferimento proposto dal Procuratore Federale nei confronti del sig. Rosati Antonio e, per l’effetto, ha inflitto allo stesso la sanzione della inibizione per mesi 24 (ventiquattro) e quella dell’ammenda di euro 10.000,00 (Euro diecimila/00).

Avverso la predetta decisione, pubblicata sul C.U. n. 44/TFN del 21 dicembre 2016, ha proposto ricorso, come difeso ed assistito, il sig. Antonio Rosati.

- Con un primo motivo di gravame il reclamante lamenta mancanza di motivazione.

«A fronte di un deferimento corposo e strutturato», si legge in reclamo, «la presunta colpevolezza di Antonio Rosati merita esclusivamente un paio di righe, peraltro, assolutamente acritiche e dal contenuto meramente autoreferenziale».

- Con un secondo motivo di appello il reclamante contesta la propria responsabilità disciplinare, ritenendo che «nella documentazione raccolta dalla Procura federale» non vi sia nulla «che comprovi un dissesto societario imputabile ad Antonio Rosati proprio perché la sua gestione è stata certificata fin da allora come regolare».

Sotto tale profilo, peraltro, aggiunge il reclamante, «sconcerta che si sia poi inflitta una sanzione così severa, ma anche ove fosse stata più mite si sarebbe reso necessario descrivere le risultanze di un indagine che, in realtà, ha portato documentalmente, a esiti compatibili solo con una dichiarazione di non colpevolezza».

Insomma, ritiene il reclamante che «con la sua presidenza e durante la piena proprietà della maggioranza del Varese 1910 s.p.a. non vi è stata alcuna gestione societaria in contrasto con alcuna norma federale. Il fallimento avvenuto ben due intere stagioni dopo, non è quindi legato da alcun vincolo di dipendenza diretta o indiretta con la condotta di Antonio Rosati».

- Queste le conclusioni scritte di cui al reclamo:

«in via principale, in totale e integrale riforma della decisione che qui si impugna, dichiarare la piena assoluzione nel merito di Antonio Rosati dalla contestazione a lui riferita;

in via subordinata dichiarare la nullità della decisione del Tribunale federale nazionale sez. disciplinare per inesistenza della motivazione e per l’effetto dichiarare nel merito l’assoluzione di Antonio Rosati;

in via ulteriormente subordinata dichiarare la nullità della decisione del Tribunale federale nazionale sez. disciplinare per inesistenza della motivazione e per l’effetto restituire il fascicolo ad altra sezione per la valutazione del merito;

in  via  residuale,  nel  non  creduto  caso  di  conferma  della  decisione  del  Tribunale  federale nazionale sez. disciplinare, rideterminare la sanzione contenendola nel minimo edittale».

L’udienza veniva fissata innanzi questa Corte federale di appello per il giorno 9 Febbraio 2017, ma poi aggiornata al 22 Febbraio 2017. Nelle more, in data 10 Febbraio 2017, l’avv. Stefano Amirante, nella sua qualità di difensore di fiducia di Antonio Rosati ha depositato dichiarazione di legittimo impedimento, essendo lo stesso «impegnato in udienza avanti la Corte d’Assise presso il Tribunale di Varese per il procedimento penale n. 1/16 R.G. Corte Assise dove difende l’imputato, attualmente in condizione di privazione della libertà per applicazione di misura cautelare sustodiale, per il reato di omicidio volontario pluriaggravato», chiedendo, pertanto, differimento ad altra data dell’udienza.

Alla seduta del 22 Febbraio 2017 la Corte ha adottato la seguente ordinanza:

LA CFA

- Letta l’istanza dd. 10.2.2017;

- Tenuto conto dei principi del giusto processo applicabili anche ai procedimenti disciplinari sportivi;

- Ritenute esistenti legittime esigenze difensive;

- Considerata la ricorrenza di ragioni di economia processuale;

- Visto l’art. 38, comma 5, lett. c) e d) del Codice di Giustizia Sportiva del C.O.N.I.;

- Sentito il rappresentante della Procura Federale, che non si è opposto al richiesto differimento;

DISPONE

il differimento del dibattimento alla udienza del 23 marzo 2017, h. 15.00;

SOSPENDE

la decorrenza dei termini di estinzione del presente procedimento disciplinare e, in particolare, di quelli di cui all’art. 34 bis, comma 2, C.G.S.-

Al dibattimento del 23 marzo 2017 la difesa del reclamante ha ribadito ed illustrato i motivi di motivi di gravame, eccependo, preliminarmente violazione dei termini e conseguente estinzione del giudizio o inammissibilità del deferimento. Il rappresentante della Procura Federale ha insistito per la reiezione del ricorso.

Dichiarato chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti motivi.

La Corte, letto l’atto di gravame, sentite le parti ed esaminati gli atti ufficiali, ritiene che il ricorso meriti parziale accoglimento, nei termini di seguito precisati.

Le eccezioni preliminari sollevate dal difensore del reclamante al dibattimento non sono fondate. L’eccezione deve essere disattesa per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, in diritto, il termine a comparire di giorni venti liberi per la comparizione in udienza, previsto dall’art. 41, comma 1, C.G.S., è applicabile solo ai procedimenti «per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica», mentre nel caso di specie, la Procura federale ha contestato la violazione della disposizione di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS, seppur in relazione all’art. 8 CGS.

In secondo luogo, in fatto, anche laddove si fosse trattato di un procedimento al quale fosse stato applicabile il termine a comparire di giorni venti, nel caso di specie, il predetto termine a difesa sarebbe stato comunque rispettato, atteso che il dibattimento, originariamente fissato per l’udienza del 9 Febbraio è stato, poi, aggiornato all’udienza del 22 Febbraio e, successivamente, su istanza motivata dello stesso reclamante, al 23 marzo (con sospensione dei termini). Pertanto, tenuto conto che l’avviso di convocazione delle parti è stato notificato il giorno 30 gennaio 2017, alla data dell’udienza del 22 Febbraio (e, ancor di più, a quella del 23 marzo) erano comunque complessivamente decorsi oltre venti giorni.

Né si è realizzata alcuna estinzione del giudizio. Il termine di sessanta giorni di cui all’art. 34 bis, comma 2, CGS, decorre, all’evidenza, dal deposito dei motivi del ricorso e non già, ovviamente, dal suo mero preannuncio.

Questa Corte ritiene, poi, non possano essere condivise le censure, di omessa o insufficiente motivazione della impugnata decisione, agitate dall’appellante.

In un contesto più generale di progressiva “dequotazione” delle forme e delle modalità della motivazione, anche in funzione del crescente rilievo attribuito dalla giurisprudenza amministrativa alle ragioni sostanziali dei provvedimenti ed alla obiettiva idoneità e giustificabilità degli stessi, anche le pronunce degli organi di giustizia sportiva devono mostrarsi in linea con le finalità teleologiche dell’istituto: pertanto, la motivazione, che deve essere correlata alle risultanze istruttorie acquisite al procedimento e che costituisce il momento formativo della decisione, deve essere articolata nei due momenti essenziali, rappresentati  dall’esposizione dei presupposti di fatto e di diritto e dall’indicazione delle ragioni sulle quali si basa la decisione stessa.

Orbene, ciò premesso ritiene, questa Corte, che il Tribunale di prime cure abbia adeguatamente motivato la decisione, qui impugnata dal sig. Rosati, esplicitando, seppur in modo sintetico, come, peraltro, previsto e richiesto dalle disposizioni federali e dalla norma di cui all’art. 2, comma 5, del codice di giustizia sportiva del Coni, le ragioni che hanno condotto all’accoglimento di parte del deferimento, con specificazione dei principali elementi probatori a supporto del proprio convincimento. Pertanto, le decisioni oggetto del presente giudizio d’appello potranno essere giudicate corrette o meno, come meglio sarà indicato più avanti, ma, di certo, le stesse non possono ritenersi affette dal vizio di omessa o insufficiente motivazione.

Passando, quindi, all’esame del merito ritiene questa Corte che il deferimento nei confronti del sig. Rosati sia fondato. Tanto in ragione di alcuni specifici fatti – come dettagliatamente descritti ed addebitati al ricorrente nella qualità di presidente dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa nelle stagioni sportive 2010/11, 2011/12 e 2012/13 e, in ambito civilistico, presidente del consiglio di amministrazione dal 5 agosto 2008 al 25 giugno 2013, nonché socio di riferimento per il tramite della Società Holding Del Conte Srl, che fino al 25 giugno 2013 ha detenuto l’87% del capitale sociale – ritenuti espressione di cattiva gestione e concausa del dissesto economico – patrimoniale della suddetta società, poi dichiarata fallita con sentenza n. 78 del 19 novembre 2015 del Tribunale di Varese.

L’affermazione della responsabilità, nella fattispecie, presuppone, tuttavia, come noto l’accertamento di profili di colpa dell’amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, accertamento con riferimento al quale non vi è motivo per derogare ai comuni criteri in materia di onere della prova. Deve, peraltro, precisarsi che la colpa in questione non necessariamente deve riguardarsi sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società, ma può più ampiamente concernere anche la scorrettezza di comportamenti (pure in particolare sotto il profilo sportivo) nella gestione della società.

Orbene, procedendo nel solco di siffatte coordinate giurisprudenziali, emerge, dal corposo materiale probatorio acquisito al procedimento, sufficiente prova di plurimi episodi di mala gestio analiticamente ricostruiti dalla Procura federale e che hanno, nel complesso, contribuito a condurre al dissesto economico-finanziario la società di cui trattasi.

Per quanto qui particolarmente rileva, muovendo dal rilevante ruolo svolto dal ricorrente nel periodo sopra ricordato all’interno della società Varese, in virtù sia degli incarichi svolti che del relativo assetto societario, vanno qui richiamate le gravi condotte distorsive registrate nel periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento e sulla cui valenza illecita, stante il rapporto di chiara distonia con la normativa endofederale, non residuano dubbi come di seguito, in rapida sintesi, si evidenzia.

Segnatamente, trovano anzitutto conferma – come già rilevato nel giudizio di primo grado – le reiterate condotte di cattiva gestione della società. È a tal fine sufficiente già una semplice analisi dei bilanci relativi agli esercizi 2010, 2011 e 2012, ad esempio, che mette in rilievo una situazione di evidente criticità economico-finanziaria, conseguenza, in primo luogo, di una sovrastante struttura dei costi, rispetto ai ricavi. Una gestione economica, dunque, che non riusciva a raggiungere l’equilibrio, con inevitabile ricaduta sulla gestione finanziaria, incapace di assicurare i necessari flussi di cassa.

La voce capitale investito risulta alimentata sostanzialmente dall’incremento della esposizione debitoria verso fornitori, erario, Istituti assicurativo-previdenziali, Istituti di credito. Il debito in costante crescita (3,4 milioni nel 2010, 9,4 milioni nel 2011, 11,4 milioni nel 2012).

L’ampio corredo probatorio su cui riposa l’atto di deferimento trova anche conferma nei rapporti Co.Vi.So.C. e, in particolare, in quello relativo alla ispezione del 21 novembre 2013, nel quale gli ispettori evidenziano, tra l’altro, che la significativa esposizione debitoria «non appare sanabile se non attraverso interventi straordinari dei soci ovvero ingenti risultati positivi generabili dalla campagna trasferimenti che a oggi non appaiono attuabili». Si legge, ad esempio, ancora  nel predetto rapporto: «la situazione contabile al 30.09.2013 evidenzia una perdita di periodo di € 2.304.334,84 che, unitamente alla perdita rinviata dell’esercizio chiuso al 31.12.2012, seppur in presenza di finanziamenti effettuati dai soci, richiede un immediato e non più procrastinabile intervento della compagine sociale essendo il capitale sociale ormai completamente azzerato».

Il suddetto approdo ermeneutico – quanto alla ritenuta sussistenza delle condotte distrattive in addebito – vale già di per se stesso a convalidare l’allarmante quadro di irregolarità indicato, pur in sintesi, nella decisione di prime cure.

Il diffuso ricorso ad operazioni di finanziamento “indebito” attuato, appunto, attraverso la continua esposizione debitoria verso enti, istituti e fornitori, il mancato intervento sull’aumento smisurato dei costi a fronte di un non correlato aumento dei ricavi, l’omesso ricorso a strumenti di gestione e/o di finanziamento adeguati e necessari al ripristino dell’equilibrio, l’incapacità di generare idonei flussi di cassa, sono già di per sé indice evidente di una cattiva gestione e delle relative ricadute sulla situazione economico – patrimoniale della società Varese, che già rendono di tutta evidenza la ritenuta, grave compromissione dei principi e dei valori su cui riposa l’ordinamento federale.

Ampia dimostrazione vi è, dunque, in atti in ordine alla responsabilità del reclamante per le contestazioni di cui ad entrambi i capi di incolpazione. Del resto, come già affermato da questa Corte, la responsabilità di una grave crisi economico-finanziaria che sfoci nel dissesto della società è da ascrivere anche alla cattiva gestione degli amministratori, quando, come nel caso di specie, risultino omesse condotte virtuose tali da porre rimedio agli squilibri dei conti e, comunque, idonee iniziative di rivitalizzazione del capitale sociale (cfr. C.U. n. 21/CGF del 7 agosto 2014 e C.U. n. 335/CGF del 19 giugno 2014).

Non può, in definitiva, essere revocata in dubbio la natura illecita delle condotte (quantomeno, omissive) siccome in plateale contrasto anche con il disposto di cui all’articolo 94 delle NOIF e delle altre disposizioni federali che si pongono a presidio della effettività del versamento degli oneri previdenziali e fiscali e sulla correttezza e trasparenza della situazione patrimoniale ed economico- finanziaria necessaria anche per la regolarità dell’iscrizione ai campionati delle società affiliate.

Ciò detto e affermata, dunque, la responsabilità del reclamante per tutte le violazioni allo stesso ascritte nell’atto di deferimento, quanto alla determinazione della misura sanzionatoria deve essere accolto il quarto motivo di gravame.

Occorre, anzitutto, tener conto della circostanza che le condotte ascritte al reclamante risalgono a quasi due anni prima dalla dichiarazione di fallimento. Inoltre, l’apporto causale, da parte del sig. Rosati, al dissesto della società non è di certo esclusivo e le ragioni del disequilibrio di bilancio hanno anche altre origini e responsabilità. Sotto tale profilo, dunque, la sanzione merita di essere ridotta e, per le ragioni prima indicate, appare congrua e giustamente remunerativa dell’effettivo disvalore sportivo che caratterizza le condotte illecite di cui trattasi, in considerazione della connotazione delle stesse, nonchè dell’effettivo “apporto” -causalmente collegato al fallimento- “fornito” dal sig. Rosati, la sanzione della inibizione per mesi dodici, oltre quella dell’ammenda di euro cinquemila.

Per questi motivi la C.F.A., in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal sig. Antonio Rosati, riduce le sanzioni dell’inibizione a mesi 12 e dell’ammenda a € 5.000,00.

Dispone restituirsi la tassa reclamo.

 

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