CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 4/2015 del 20/03/2015 – (richiesta CONI su ipotesi decadenza Giunta C.R. CONI)
Parere n. 4
Anno 2015
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
Composta da
Virginia Zambrano – Presidente e Relatore
Barbara Agostinis
Giovanni Bruno
Pierpaolo Bagnasco
Amalia Falcone Componenti
ha pronunciato il seguente
PARERE 4/2015
Su richiesta di parere presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del Coni, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, dal Segretario Generale del Coni, prot. n. 002498/15 del 10 marzo 2015.
LA SEZIONE
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
Vista la richiesta di parere prot. 0002498/15, presentata dal Segretario Generale del CONI, dott. Roberto Fabbricini, in data 10 marzo u.s., ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;
Visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI;
Visto l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo;
Visto gli articoli 2 e 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport;
Visto il decreto di costituzione del Collegio prot. 0083/15
Esaminati gli atti e udito il relatore, rende il seguente
PARERE
1. Con atto del 10 marzo 2014 il Segretario Generale del C.O.N.I., dott. Roberto Fabbricini, ha richiesto parere alla Sezione Consultiva Collegio di Garanzia dello Sport sulla seguente questione:
“Dica Codesto Ecc.mo Collegio – Sez. Consultiva – se, alla base del vigente Regolamento delle Strutture Territoriali del C.O.N.I., possa considerarsi decaduto l’Organo di Giunta del Comitato Regionale nell’ipotesi in cui 4 componenti eletti in rappresentanza FSN - DSA – EPS - Atleti – Tecnici, presentino contemporaneamente le proprie dimissioni ed il rappresentante del Comitato Regionale Paralimpico, componente di diritto dell’organo stesso, si autosospenda, non permettendo, di fatto, il raggiungimento del quorum per la validità delle riunioni”
L’art. 2, comma 3, d.lgs. 242/1999 recita: “L’organizzazione periferica del C.O.N.I. è disciplinata dallo Statuto dell’ente”. Il legislatore, in questo modo, ha inteso attribuire al CONI il compito di prevedere e organizzare le strutture territoriali di cui avvalersi nello svolgimento delle proprie finalità istituzionali. L’art. 14 dello Statuto, quindi, delinea la struttura periferica dell’Ente, specificandola in una serie di organi, tra cui il Comitato Regionale, di cui definisce le funzioni che sono, appunto, quelle di cooperare con l’amministrazione pubblica – lato sensu considerata - nella attività di programmazione sportiva e nella esplicitazione degli indirizzi da seguire. La specificità della funzione svolta da siffatti organismi si completa, poi, al comma 5, con la previsione secondo cui “in ipotesi di gravi irregolarità o ripetute violazioni dell’ordinamento, ovvero in caso di constata impossibilità di funzionamento, la Giunta Nazionale delibera il Commissariamento”.
Siffatta, ramificata, configurazione, facendo propria la strategia del decentramento amministrativo, mira ad assicurare la più ampia diffusione della pratica sportiva. L’obiettivo è quello di dar vita ad un sistema di governance democratico, che favorisce i processi decisionali e la partecipazione a livello locale e, dunque, proprio per questo, si adatta particolarmente alla diffusione della pratica sportiva, cooperando alla realizzazione più adeguata ed efficace dei compiti dell’ente. L’organo decentrato è, infatti, in maggior misura in grado di offrire risposte concrete, in quanto si avvicina al problema con una conoscenza più profonda e puntuale dei fattori che connotano il contesto divisato. Né l’esito di questo percorso è scontato, dipendendo, in larga misura, dalla combinazione di molteplici fattori quali il contesto amministrativo e politico nonché il background sociale e culturale. Profilo questo, non marginale, nell’economia del discorso che si sta svolgendo giacché spiega (come si avrà modo di dire in seguito) il carattere essenziale della partecipazione – a tutto tondo – dei componenti la Giunta, così come individuati dall’art. 8 del Regolamento delle Strutture Territoriali.
2. La questione oggetto del presente parere riguarda la fattispecie della eventuale decadenza dell’organo collegiale per effetto delle dimissioni contestuali della metà più uno dei componenti. Preliminare alla individuazione della soluzione più coerente con l’impianto normativo vigente, nonché con l’autonomia riconosciuta alle articolazioni territoriali, è la individuazione della loro natura giuridica.
Come premesso, ogni singola struttura territoriale (Comitato Regionale – Delegati provinciali – Fiduciari locali), ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 14 Statuto C.O.N.I. - Comitato Olimpico Nazionale – rappresenta il C.O.N.I. e coopera con gli organi centrali per la definizione delle azioni svolte sul territorio. Ne discende, che dubbio alcuno può nutrirsi sulla natura pubblicistica delle articolazioni territoriali. A tanto conduce, a tacer d’altro, sia il requisito te leologico, ovvero la natura di ente istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale della diffusione della pratica sportiva, a carattere non industriale o commerciale; sia la circostanza che, ex art. 18 dello Statuto, il finanziamento dell’ente è assicurato dai contributi ad esso assegnati dal C.O.N.I. cui, certo, si aggiunge la possibilità di gestione dei proventi derivanti da eventuali contratti di sponsorizzazione nonché dalla gestione dei beni siti nel territorio. Tale aspetto – vale a dire la circostanza che la gestione economica dell’ente possa trarre vantaggio da attività privatistiche – non è in grado di incidere sulla natura dell’ente territoriale. Il fatto che il soggetto sia istituito al fine di soddisfare un bisogno di interesse generale1, e che il bisogno da soddisfare non abbia natura industriale - commerciale (non sia, cioè, suscettivo di soddisfacimento mediante lo svolgimento di attività avente natura commerciale o industriale, vale a dire mediante attività di produzione o scambio di beni e servizi a favore di un’indifferenziata platea d’operatori economici, consumatori o utenti) ne definisce inequivocabilmente la natura, a nulla rilevando la circostanza che il reddito possa derivare altresì dallo svolgimento di attività spiccatamente di diritto privato. Vieppiù ove si consideri che, nella specie, i Comitati Regionali sono sottoposti al controllo dei Revisori dei Conti nominati dalla Giunta Nazionale C.O.N.I. (art. 16, Regolamento sul funzionamento delle strutture territoriali del Coni n. 1465 del 22 maggio 2012) e devono trasmettere la loro relazione al Collegio dei Revisori del C.O.N.I. nonché alla Direzione Generale. Emerge quindi con tutta evidenza (più in generale, sulla natura dell’attività del CONI, cfr., Corte dei Conti, sez. giurisd. reg. Lazio, 23 gennaio 2008, n. 120) che, per la valenza pubblicistica dell'attività svolta, per la natura dei finanziamenti, per la somma dei poteri di ingerenza della parte pubblica, che possono arrivare al commissariamento, e che si esplicano normalmente attraverso atti di riconoscimento, di indirizzo, di controllo dei conti, della gestione, dell'attività sportiva, le articolazioni territoriali, nello svolgimento di attività a valenza pubblicistica, si configurino quali articolazioni interne del C.O.N.I., il quale esercita sulle stesse una doverosa attività di indirizzo e di controllo.
Ed è proprio in ragione della rilevanza degli interessi perseguiti che siffatto controllo, ove si rinvenga una grave violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento sportivo, ovvero in caso di cattivo funzionamento degli organi o impossibilità di funzionamento, può spingersi fino a determinare il commissariamento, allo scopo di ripristinare il corretto andamento della gestione in ambito territoriale.
Alla richiesta di commissariamento è, dunque, sempre sottesa l’esigenza di assicurare il regolare perseguimento dei fini istituzionali del C.O.N.I., a tutela del superiore interesse pubblico all’ordinato svolgersi della attività sportiva. Non ogni condotta, comunque, determina il commissariamento, ma solo quelle che siano in grado di arrecare pregiudizio agli obiettivi istituzionali di cui si è detto. In tal senso, una corretta decisione di commissariamento non può prescindere dalla valutazione della dannosità di determinati eventi i cui effetti irreversibili siano ritenuti potenzialmente pregiudizievoli dell’interesse pubblico. Il commissariamento – quale estrema ratio – risponde, pertanto, ad una esigenza di prevenzione, ed è scelta che riflette l’interesse al sano e corretto dispiegamento dell’attività. La finalità cautelare e preventiva della procedura è, cioè, espressione di una valutazione tecnico-discrezionale complessa; una valutazione che mira al recupero del corretto svolgersi della gestione nel rispetto di rigorose regole procedurali. Proprio in ragione della compressione delle posizioni soggettive che il commissariamento determina si spiega, per un verso, la natura eccezionale del provvedimento – nel senso che esso deve essere assunto solo laddove si riscontri l’oggettiva impossibilità di funzionamento dell’organo, per le cause già dette – e, per l’altro, la sua temporaneità. Il commissariamento, lungi dallo sfociare in arbitrio o incontrollata discrezionalità, è, infatti, procedura pensata per permettere di sostituire e supplire all’assenza degli organi ordinari, o alla loro impossibilità di funzionare, in attesa di addivenire ad una futura nomina o ricostituzione dell’organo stesso, originandosi una decisa soluzione di continuità rispetto al passato, proprio in considerazione della necessità di ricostituire l’ordinarietà della gestione mediante l’apporto di organi di nuova costituzione. Sì che, ravvisato un rapporto di vigilanza tra il C.O.N.I. e l'organismo regionale, in ossequio ad "un principio generale di continuità dell'azione amministrativa", gli organi collegiali amministrativi, che per la qualsiasi ragione siano impossibilitati a funzionare, possono essere temporaneamente sostituiti, a cura dell'amministrazione vigilante, da un organo straordinario cui viene demandato di assicurare l'espletamento della indefettibile attività amministrativa nelle more della ricostituzione del collegio (così, Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1981, n. 133).
A tali esigenze offre risposta – sebbene in rapporto alle Federazioni – la previsione di cui agli articoli 6, comma 4, lettera f1, e 7, comma 5, lett. f, Statuto C.O.N.I. (adottato, da ultimo, dal Consiglio Nazionale C.O.N.I. in data 11 giugno 2014), nell’ambito delle attribuzioni riservate, rispettivamente, al Consiglio Nazionale C.O.N.I. e alla Giunta Nazionale C.O.N.I. La previsione di cui sopra si completa con quella di cui all’art . 14, comma 5 , dello Statuto che espressamente recita: “ In caso di gravi irregolarità nella gestione o di ripetute violazioni dell ’ordinamento da parte delle strutture territoriali, ovvero in caso di constata impossibilità di funzionamento dei medesimi, la Giunta nazionale ne delibera il Commissariament o” . Ne esce delineato un sistema che, per un verso, attribuisce siffatto potere al Consiglio Nazionale, assegnando alla Giunta una mera funzione di proposta, e, per l’altro, investe la Giunta stessa di un diretto potere di Commissariamento, ogni qual volta siano ravvisate irregolarità o anomalie nel corretto funzionamento degli Organismi territoriali. L’intervento eccezionale, che si ispira ai principi di efficienza e buon andamento dell’amministrazione, trova fondamento nella necessità di assicurare tanto una razionale vigilanza sulla organizzazione delle strutture, quanto un loro corretto funzionamento, al fine del miglior perseguimento di quell’interesse pubblico sotteso all’attività sportiva. In quest’ottica – come noto – trova spazio lo stesso principio di leale collaborazione fra gli organi e gli enti (più in generale sul punto si rinvia a C.Cost. 25 febbraio 1988, n. 214), principio chiaramente permeato da quell’interesse di cui si è detto. Proprio la centralità che siffatto interesse assume spiega perché il legislatore abbia disciplinato procedure atte a superare eventuali situazioni di stallo, attraverso la previsione di forme di sostituzione nell’attività degli organi (recte di Commissariamento). Poteri e procedure atte a garantire l’effettivo e corretto esercizio della funzione ove ciò configuri una grave e concreta minaccia al buon andamento.
E se è vero che il principio in claris non fit interpretatio è costantemente sfidato dalla necessità di individuare l’esatto senso della proposizione normativa tramite un criterio di combinazione fra una norma e l’altra, fra la norma e il sistema, è anche vero che la univoca formulazione dell’art. 14, comma 5, dello Statuto non lascia adito a dubbi interpretativi. La “deviazione”, recte l’eccezione, rispetto alla regola generale trova agevole fondamento nelle funzioni – come si è detto – assegnate dallo Statuto alla Giunta. Funzioni tra cui rientra un generale potere di controllo amministrativo, oltre che, ex art. 5, comma 7, lett. z, “il potere di deliberare sulle materie non espressamente riservate al Consiglio Nazionale e al Presidente e svolge gli altri compiti previsti dalla legge e dal presente Statuto”. Attività, dunque, di controllo amministrativo e di indirizzo (art. 7, comma 1) che, proprio per questo, si esercitano nei confronti di altri Organi, quali i Comitati Regionali e che, pertanto, non sono in alcun modo sovrapponibili a quelle di controllo sulle Federazioni, per il quale il legislatore (attesa la diversa funzione) ha delineato, appunto, altra procedura.
3. La richiesta di parere si inserisce nell'ambito delle riflessioni che collegano lo scioglimento dell’organo alle dimissioni contestuali della metà più uno dei consiglieri.
Il fenomeno che ci si accinge ad esaminare deve tener conto della natura pubblica delle articolazioni territoriali del C.O.N.I. e, da un punto di vista normativo, del quadro normativo più generale esistente. Il riferimento che si intende operare, anche alla luce della previsione di cui all’art. 2, comma 10, del Regolamento sul Funzionamento delle Strutture Territoriali, è alle disposizioni del Testo Unico degli Enti Locali, ove la tematica delle dimissioni trova una specifica, analoga e compiuta disciplina che non ha mancato di dar vita ad un ampio e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Il dibattito sollevato dall'art. 141 del d.lgs. n. 267/2000 s.m.i. (TUEL), che proprio tra le cause di scioglimento degli organi consiliari degli enti locali annovera la circostanza delle dimissioni dei consiglieri, quale conseguenza del venire meno della necessaria coincidenza tra la maggioranza del consiglio e la volontà popolare che l'ha espressa in sede elettorale, si presenta infatti funzionale, pur con i dovuti adattamenti, alla individuazione della soluzione da offrire.
La norma appena citata, ai fini della ricostruzione della fattispecie esaminata, deve essere considerata in parallelo, o in combinato, con il disposto di cui all'art. 38 del TUEL stesso, con particolare riferimento al comma 8, il quale disciplina le modalità attraverso le quali possono essere validamente presentate le dimissioni da consigliere, nonché gli effetti che tale iniziativa produce.
La diversità della fattispecie di cui agli artt. 38 e 141 del TUEL impone di non confondere la fattispecie delle dimissioni individuali da quelle contestuali o collettive. Se è indiscusso che alle dimissioni individuali (Cons. St., sez. VI, 12 agosto 2009, n. 4936), non rese contestualmente dalla maggioranza dei suoi componenti, deve seguire, come espressamente e coerentemente previsto, la surroga dei dimissionari, è del pari vero che un discorso diverso è destinato a valere per le dimissioni rese al fine di provocare la crisi dell'organo, giacchè, in questo caso, la connessione delle volontà è proprio indirizzata allo scioglimento dell’organo. La gravità delle conseguenze derivanti dalle dimissioni della metà più uno dei consiglieri ha indotto, come noto, il legislatore a prevedere ed affermare talune regole di garanzia volte ad evitare eventuali distorsioni o abusi dell'istituto dello scioglimento.
Se, infatti, l’art. 39 della legge n. 142/1990 ricollegava lo scioglimento dell’organo alla decadenza o dimissione di almeno la metà dei consiglieri, senza precisare tempi e modalità delle stesse, le riforme che si sono succedute nel tempo hanno definito e precisato i contenuti di una norma troppo genericamente formulata e che si prestava a manipolazioni ovvero ad interventi di artificioso scioglimento degli organi collegiali. In tale direzione, dapprima la l. 15 ottobre 1993, n. 415, e, successivamente, la l. 15 maggio 1997, n. 127 (art. 31, comma 2 bis, c.d. legge « Bassanini »), hanno introdotto una distinzione importante fra dimissioni “individuali” e dimissioni “contestuali”. Alla immediata irrevocabilità ed esecutività delle prime fa da contrappunto un procedimento più rigoroso per le dimissioni “contestuali”, ovverossia per quelle dimissioni “della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia” che, pur rese con atti separati, sono poi contestualmente presentate al protocollo dell'ente. La disciplina delle dimissioni, da ultimo (d.l. 29 marzo 2004, n. 80, convertito nella l. 28 maggio 2004, n. 140), si completa con la previsione di particolari oneri formali (presentazione personale delle dimissioni, ovvero sottoscrizione autenticata, etc.) voluti al fine di garantire certezza e veridicità ad una volontà manifestata espressamente e diretta a provocare un effetto così grave quale lo scioglimento del consiglio.
La ragione della previsione della “contestualità” ovverossia della presentazione delle dimissioni con un unico atto sottoscritto da tutti gli interessati (ovvero con atti separati, ma depositati contemporaneamente) è da individuarsi nella necessità di evitare che altri componenti l’organo collegiale possano, a loro volta, approfittare del momento e dimettersi a loro volta, così determinando lo scioglimento dell’organo, pur in assenza di una vera e propria situazione di crisi.
La contestualità è pensata, in altre parole, per significare la valenza politica dell’atto, in quanto esclude dall'ambito della fattispecie dissolutoria l'azione di maggioranze « inopinate » (ex plurimis, Cons. St., Ad. Plen., 24 luglio 1997, n. 15, in Foro amm., 1997, 1928; Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2005, n. 29, in Foro amm., 2005, 109; Cons. St., sez. V, 17 luglio 2004, n. 5157, ivi, 2004, 2200; Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2708, ivi, 2004, 1416; Cons. St., sez. V, 30 maggio 2003, n. 2975, cit.; Cons. St., sez. V, 6 maggio 2003, n. 2382, ivi, 2003, 1610;Tar Puglia Lecce, sez. I, 3 dicembre 2009, n. 2986; Tar, 2009, 3604).
Proprio questo profilo, ovvero quello della contestualità o meno delle dimissioni presentate da una pluralità di soggetti, apre ad una riflessione più generale sulla natura collettiva, o meno, dei relativi atti, dovendosi verificare se l’effetto della decadenza si produca comunque, anche in casi di dimissioni non contestuali e se le stesse assumano efficacia nei confronti dei consiglieri firmatari qualora la maggioranza utile, ai sensi di legge, a provocare la conseguenza in parola non venga, in effetti, raggiunta.
In un primo senso, si è ritenuto che (ex art. 141 e 38 TUEL) l'atto di dimissioni non sarebbe in ogni caso configurabile come atto collettivo. In quanto atto giuridico in senso stretto, irrevocabile, non recettizio ed immediatamente efficace, gli effetti prescinderebbero dalla volontà dell’agente (Cons. St., sez. V, 17 novembre 2009, n. 7166, in Guida al diritto, 2010). Manifestazione di volontà, ritualmente esternata, le dimissioni produrrebbero l’effetto di determinare l'uscita del dichiarante dall'organo, né rilievo alcuno potrebbe riconoscersi allo scopo perseguito dai dimissionari di creare le condizioni per lo scioglimento dell’organo. In questo senso le dimissioni “contestuali” non presenterebbero alcun carattere di autonomia rispetto a quelle individuali, sì che, dissoltosi l’anello consociante dello scopo, verrebbe in risalto la loro idoneità a determinare lo scioglimento del rapporto collegiale limitatamente al singolo firmatario, con la conseguenza che lo scioglimento si verificherebbe a prescindere dalle ragioni che hanno indotto alle dimissioni.
In altro senso si è preferito (Tar Molise, sez. I, 9 novembre 2012, n. 611; Tar, 2012, 3571;Tar Veneto, sez. I, 29 luglio 2011, n. 1281; Tar Campania Napoli, sez. I, 27 maggio 2010, n. 9812), attribuire rilievo al collegamento che si instaura tra le volontà espresse dai singoli consiglieri e alla presenza dello scopo di determinare la decadenza dell’organo. La correlazione delle dimissioni all'elemento oggettivo della loro contestualità o contemporaneità determinerebbe una reciproca rilevanza ed interdipendenza delle volontà che confluirebbero verso uno scopo comune, consistente nella dissoluzione dell'organo consiliare, per cui l'impossibilità di realizzare la finalità prefigurata non permetterebbe di attribuire alla stessa gli effetti che sono previsti da una norma, quella di cui all'art. 38 del TUEL, che è volta a regolare la (diversa) fattispecie delle dimissioni individuali. Proprio in considerazione del rilevante effetto che produce, il legislatore, nel caso di cui all’art. 141 TUEL, ha circondato la presentazione delle dimissioni “contestuali” ultra dimidium di specifiche garanzie e requisiti, delineando un sistema particolarmente rigido e formale. L’eccezionalità della previsione è da mettere in relazione alla necessità di dare spazio alla unità di intenti espressa, sia materialmente che temporalmente, dalla maggioranza dei componenti l’organo, nel senso di volere provocare, per motivazioni politiche, lo scioglimento del consiglio e quindi la fine dell'amministrazione.
Nel caso di specie, così come sottoposto all’attenzione di questo Collegio, le dimissioni presentate dai 4 componenti la Giunta, oltre che dal Presidente Regionale del Comitato Paralimpico, appaiono espressione politica della volontà di far venire meno l’organo. L’effetto dissolutorio della Giunta è infatti conseguente proprio a) alla volizione di siffatta conseguenza; b) alla presentazione da parte della maggioranza e, appunto, alla contestualità. Ne consegue che solo l’inesistenza di uno di questi presupposti fa venir meno la fattispecie collegata alla decadenza e allo scioglimento dell’organo collegiale.
Ora, vero è che nel Regolamento sul funzionamento delle strutture territoriali del Coni, n. 1465 del 22 maggio 2012, l’art. 2, comma 13, espressamente prevede che “nel caso di dimissioni o decadenza dei componenti della Giunta Regionale, ai sensi del successivo art. 8 (componenti Giunta Regionale), saranno chiamati con delibera del Presidente del Consiglio Regionale a farne parte i primi non eletti del Consiglio Regionale elettivo”. Altrettanto vero che la previsione si richiama a dimissioni individuali; a dimissioni, cioè, non avvinte da quello scopo di cui si è detto.
Il rilievo attribuito alla volontà della maggioranza che si significa nella contestualità delle dimissioni assume importanza decisiva nel discorso che si sta svolgendo, al punto che la stessa giurisprudenza non ha mancato di osservare “che l'eventuale venir meno, per vizi procedurali, degli elementi necessari per configurare in modo legittimo la fattispecie ipotizzata dal citato art. 141, nel far venir meno la possibilità di realizzare la finalità prefigurata dalla norma, non permette peraltro che possa estrapolarsi l'eventuale frammento legittimo di questa procedura unitaria per attribuirle gli effetti previsti da una norma diversa (art. 38 cit.), volta a regolare altra fattispecie (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 agosto 2009, n. 4936, che riforma Tar Basilicata, Potenza, sez. I, n. 951 del 2008; Tar Basilicata, Potenza, sez. I, n. 952 del 2008). In altri termini, proprio per la significatività politica che possiede l’atto delle dimissioni contestuali, esse non possono esser e “ trasformate” in alcun m odo i n dimissioni individuali, dando luogo al ben diverso effetto della surroga dei non eletti.
4. Ma v’è più. A conclusioni non dissimili si giunge anche ove, per avventura, si obiettasse che l’auosospensione del Presidente del Comitato Regionale Paralimpico non sarebbe di fatto da considerare, per gli effetti divisati, e cioè non sarebbe computabile ai fini del raggiungimento di quel profilo extra dimidium sui cui si fondano le dimissioni contestuali. L’art. 8, comma 3, del Regolamento sul Funzionamento delle Strutture Territoriali prevede che tra i componenti la Giunta vi sia il rappresentante locale del Comitato Paralimpico, aggiungendo che egli è membro di diritto e partecipa alle riunioni con diritto al voto. Dal canto suo, l’art. 8, comma 5, prevede, per un verso, che per la validità delle riunioni occorra “la presenza della maggioranza degli aventi diritto” e stabilisce, per l’altro, che le proposte sono approvate con “la maggioranza degli aventi diritto al voto”. Dal dettato normativo appare chiara la volontà del legislatore.
La partecipazione del Presidente del Comitato Regionale Paralimpico è ritenuta funzionale all’emergere di problematiche legate alla conoscenza più profonda e puntuale dei fattori che connotano il contesto territoriale, sotto il profilo sociale e culturale. Significativa è la circostanza che questi non sia componente elettivo, ma di diritto, chiamato pleno iure a dare il suo contributo al funzionamento della Giunta. Il suo apporto è, in questo senso, sempre fondame ntale come chiaramente si ricava del dato normativo che ne ritiene essenziale la sua partecipazione alla formazione del quorum strutturale dell’organo. A ritenere diversamente, a ritenere, vale a dire, che egli sia chiamato solo limitatamente alle questioni “paralimpiche” si porrebbero le premesse per una condizione di stallo nel funzionamento della Giunta, giacchè, tranne delibere su questioni attinenti alla pratica dello sport per disabili, ben potrebbero verificarsi circostanze che renderebbero impossibile il raggiungimento di una maggioranza (ed è per questo che, di regola, la composizione degli organi collegiali è dispari), con buona pace della previsione di cui all’art. 8, comma 5, del Regolamento.
Né potrebbe ritenersi applicabile per analogia la previsione di cui all’art. 7, comma 3, Statuto.O.N.I. che limita la partecipazione del rappresentante del Comitato Paralimpico alle decisioni che investono la pratica sportiva da parte di disabili. Ora, a parte il riferimento al principio ubi lex voluit dixit (pur rimarchevole), v’è da sottolineare che lo strumentario normativo non deve porsi di ostacolo all’intelligenza del caso concreto, né contribuire a sacrificare le particolarità soggettive. La norma va, cioè, letta ed interpretata alla luce del sistema, e deve essere assiologicamente orientata, sì da far emergere lo scopo ad essa soggiacente. Scopo che, nella specie, è rappresentato dalla necessità di creare le condizioni affinchè si possa dare massima “voice” ai bisogni del territorio, nella consapevolezza dell’importanza di intercettarne le esigenze. Esigenza che, evidentemente, allontana la fattispecie de qua dalla previsione di cui all’art. 7, comma 3, dello Statuto, attesa la diversità dei livelli di partecipazione nonché il diverso significato della stessa.
Ne consegue, attesa la struttura della Giunta, che l’aut osospensione/dimissione del Presidente del Comitato Regionale Paralimpico, unita a quella degli altri membri, mette l’O r g ano nella oggettiva impossibilità di funzionare, rendendo impossibile i l ricorso alla procedura di sostituzione ordinaria. Piuttosto dovendosi, fare (qui si) applicazione analogica di quella regola di procedura di cui all’art. 7, comma 9, dello Statuto C.O.N.I. che prevede la necessità di procedere a nuovi rappresentanti dei componenti della Giunta laddove, per qualsiasi motivo, venga me no la maggioranza
D’altro canto, non esiste alcuna norma che vieti ai membri di un organo di farlo decadere attraverso la definitiva manifestazione di una volontà, correttamente espressa e, cioè, manifestata nel rispetto di determinate garanzie e formalità, di recedere dal collegio. E, in tal senso, osserva la giurisprudenza che quando le dimissioni, producendo una insanabile mancanza del quorum strutturale di un organo collegiale, determinino la definitiva impossibilità di funzionamento dell'organismo, questa, in omaggio ai principi generali in tema di funzionamento degli organi collegiali, è causa di scioglimento dello stesso con tutte le conseguenze che a ciò si devono ricondurre (Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2011,
n. 3820). Ciò che, nella specie è dato constatare.
PQM
Esprime il pare come in motivazione.
Deciso nella camera di consiglio del 17 marzo 2015.
Depositato in Roma, in data 20 marzo 2015.
Il Presidente e Relatore
F.to Virginia Zambrano
Il Segretario
F.to Alvio La Face
1 Cfr. Cass. civ, SU, n. 97/2004