CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva- coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 1/2021 del 10/03/2021 – (SU RICHIESTA CONI)
Parere n. 1
Anno 2021
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
Composta da
Virginia Zambrano - Presidente e Relatrice
Barbara Agostinis
Giuseppe Albenzio
Amalia Falcone
Marcello Molè - Componenti
Ha pronunciato il seguente
PARERE N. 1/2021
Su richiesta di parere iscritta al R.G. pareri n. 1/2021, presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, prot. n. 0032304 del 22 febbraio 2021.
La Sezione
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
vista la richiesta di parere n. 1/2021, presentata dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, in data 22 febbraio 2021 (prot. n. 0032304 del 22 febbraio 2021), ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;
visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione Consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI;
visti gli articoli 2 e 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport;
visto, in particolare, l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo;
esaminati gli atti e udita la relatrice, prof.ssa Virginia Zambrano, ha rilasciato il seguente parere.
Sui fatti a fondamento del parere e sulla funzione dell'attività interpretative
Il Coni ha trasmesso alla Sezione Consultiva la richiesta di parere in oggetto.
La Sezione Consultiva, ritenendo le questioni sottoposte alla sua attenzione, di rilevanza generale e astratta e relative alla interpretazione di un profilo controverso, ne riconosce l’ammissibilità sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. Dal punto di vista oggettivo, la questione rientra nel perimetro di cui all’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport che delimita la competenza della Sezione Consultiva. Risulta, infatti evidente, ai fini del radicamento della competenza in capo a Codesta Sezione, che il quesito – per come formulato – consenta di esprimere un parere generale ed astratto. Il parere, ovviamente, non intende condizionare in alcun modo l’adozione di atti che rientrano nella valutazione discrezionale degli organi della Federazione e tanto meno vuole interferire con le attività gestorie e/o di controllo intestate ad altri organi. La latitudine delle competenze attribuite a Questa Sezione investe il dispiegarsi di un’attività interpretativa che è necessaria (come noto e Codesto Collegio ha avuto più volte modo di ribadire) ogni qual volta la norma presenti una qualche carenza sub specie di ambiguità della stessa, talvolta determinata dall’articolarsi di un quadro normativo che nel suo sovrapporsi sembri aprire a letture delle quali servirsi disinvoltamente, da innestare all’interno di un percorso argomentativo che prescinda da piattaforme di decantazione normativa che dovrebbero, invece, suggerire l’individuazione di vere e proprie linee di ricomposizione del sistema. In questo senso, l’attività euristica ha sempre ad oggetto una disposizione normativa che svolge funzione “ordinante”. Essa, l’attività interpretativa, non è mai meramente dichiarativa (di qui il rifiuto del principio “in claris non fit interpretatio”, che pure una affrettata lettura dell’art. 12 disp. prel. c.c. potrebbe sollecitare), ma esplicita i valori dell’ordinamento. L’interpretazione, in altri termini, pur partendo dalla norma, non si risolve in un fatto puramente linguistico ma, liberandosi dell’ancoraggio al mero dato letterale, si f onda sui valori e sulle scelte dell’ordinamento in una prospettiva di recupero del sistema, che non è un “ m ero postulato di logica giuridica o di teoria generale, ma fa parte di ogni comunità che nel diritto si riconosca”1. Il significato, il senso della proposizione normativa, deve allora essere trovato per il tramite di un’attività di collegamento tra la norma e i principi generali, tra una norma e l’altra, in una prospettiva attenta alla costruzione armonica di quel “sistema” di cui si discorre che, talvolta, può superare (ove in un’ottica di sistema se ne ravvisino le condizioni) anche lo stesso dato letterale. Tanto meno, così facendo, si rischia di cadere nell’arbitrio. L’attività dell’interprete incontra, infatti, il proprio limite nella logicità dell’argomentazione onde rendere manifesti gli sviluppi del ragionamento logico-giuridico seguito. In questo senso l’interpretazione non è mai espressione del mero ragionamento dell’interprete, ma mira a comprendere la logica e la struttura del sistema, evidenziando possibili collegamenti normativi in una prospettiva certo assiologicamente orientata, ma attenta alla gerarchia normativa e alla razionalità del sistema. Ciò porta a concludere che non esiste l’interpretazione vera, ma solo quella rigorosa. Laddove il rigore dell’argomentazione si r inviene nel rapporto di coerenza logica e scientifica in grado di evidenziare la conseguenzialità delle formulazioni linguistiche. Queste, dunque, le coordinate strutturali e funzionali dell’interpretazione e la chiave di lettura che (in armonia con i propri precedenti) metodologicamente Questo Collegio intende seguire, onde indicare un possibile percorso il quale, lungi dall’essere manifestazione di scelte predefinite, suggerisca, fra le tante, quella lettura del dato normativo che appaia più idonea a rivestire il concreto rapporto. Alla luce delle considerazioni che precedono, si comprende come la funzione consultiva si attivi in considerazione della rilevanza degli interessi coinvolti e del non univoco quadro normativo, fonte di letture contrapposte.
Nel caso di specie, l’intervento della Sez. Consultiva è stato sollecitato “con specifico riferimento ai requisiti di candidabilità/eleggibilità agli organi direttivi di una Federazione Sportiva Nazionale avente natura pubblicistica (in particolare, alla carica di Presidente Nazionale)”, ovverossia se “possa trovare applicazione il complesso di norme che regolano le elezioni delle Federazioni Sportive Nazionali, ovvero debbano ritenersi operative le disposizioni relative agli enti pubblici, ed in particolare l’art. 5, comma 9, della legge 135/2012 e ss.mm.ii., che vieta il conferimento di incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo a soggetti, già dipendenti privati o pubblici, collocati in quiescenza, salvo che si tratti di incarichi a titolo gratuito e che abbiano, per gli incarichi dirigenziali e direttivi, una durata inferiore ad un anno”. Il quesito, dunque, investe esclusivamente quelle Federazioni che sono pubbliche per legge, perché a) così risultante oltreché dalla loro esplicita qualificazione (cfr., art. 1, comma 3, Statuto ACI; art. 1, comma 1, Statuto AeCI; art. 1, comma 1, Statuto UITS), b) dalla circostanza che, in considerazione della particolare rilevanza per l’ordinamento statale degli interessi coinvolti, non solo la nomina del Presidente è contraddistinta da uno speciale procedimento (cfr., 19, comma 1, Statuto ACI, a norma del quale “Il Presidente dell’A.C.I. eletto dall’Assemblea – ai sensi dell’art. 8 – è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa col Ministro vigilante”; art. 26, comma 1, Statuto AeCI, che stabilisce “Il Presidente dell’Aero Club d’Italia è nominato, su designazione dell’Assemblea dell’Aero Club d’Italia, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro della Difesa, con il Ministro dell’Interno e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.”; art. 17, comma 3, Statuto UITS, a norma del quale il Presidente “è eletto dall’Assemblea nazionale ed è nominato, su proposta del ministro della Difesa, con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri”), ma c) anche (all’esito dell’articolato procedimento di nomina su menzionato) dalla natura dei poteri da questi esercitati. La riflessione investe, dunque, altresì, la definizione dei poteri che spettano al Presidente, se, cioè, i poteri che egli esercita, a norma di legge e delle disposizioni dello Statuto, siano da reputarsi di natura politica ovvero sottendano anche l’esercizio di attività più squisitamente amministrative. Va da sé che la definizione della natura giuridica di queste Federazioni non è priva di conseguenze sul piano giuridico, coinvolgendo l’applicabilità all’ente stesso degli elementi di disciplina dell’Ente pubblico. Sì che, natura giuridica delle stesse che – come si diceva - reca con sé la individuazione della disciplina applicabile, peculiarità del procedimento di nomina, definizione dei poteri esercitati dal Presidente appaiono a Questo Collegio i punti nodali attorno ai quali si spiega il presente parere.
Sulla natura giuridica di queste Federazioni – In ordine al primo profilo, se si mette da parte la questione più generale (non investita dal presente quesito e rispetto alla quale non v’è dat o dubitare, cfr. d.lgs. 242/1999) della natura giuridica delle Federazioni quali associazioni con personalità giuridica di diritto privato, di fondamentale rilievo appare, per quanto qui di interesse, la ricostruzione del dato normativo ed interpretativo che si delinea in tema di natura giuridica di quelle Federazioni le quali (ACI-AeCI-UITS) appaiono, attesa la loro specialità, attratte ad una diversa orbita. Ed in vero, per queste Federazioni, la rilevanza peculiare degli interessi coinvolti e il sovrapporsi degli interventi normativi che ne ha accompagnato la storia ha determinato un imbricarsi di profili pubblicistici e privatistici che restituiscono un quadro generale non sempre di piana lettura. E, tuttavia, che siffatte Federazioni siano da ritenersi Enti pubblici rientranti nel novero de g li Enti di cui all ’art . 1, comma 2, del T.U. Pubblico impiego e attratte, perciò stesso, alla relativa disciplina non pare, in vero, possa dubitarsi. Un primo elemento in suddetta direzione si ricava già – come sopra rilevato – dalla lettura degli Statuti di tali Federazioni: art. 1, comma 3, Statuto ACI; art. 1, comma 1, Statuto AeCI; art. 1, comma 1, Statuto UITS. L’art. 1, comma 3, Statuto ACI, nel riconoscerne la natura di Ente Pubblico non economico, all’art. 6, comma 3, stabilisce espressamente (con ciò confermando la qualificazione offerta) che per le nomine agli organi dell’Ente restano ferme “le vigenti disposizioni di legge in materia di inconferibilità degli incarichi negli Organi della pubblica amministrazione”. La ratio che presidia questa qualificazione è chiara e si rinviene nella esigenza di vigilare su Enti preposti a servizi di pubblico interesse (ad esempio, il ruolo di Ente pubblico dell’ACI viene definitivamente sancito con la L. 20 marzo 1975, n. 70 - c.d. legge del parastato) laddove è palese, appunto, il prevalere dell’interesse pubblico alla sicurezza dei cittadini sul contrapposto interesse ludico-sportivo.
Un discorso analogo vale – a maggior ragione - per l’UITS, in considerazione dell’interesse a tutelare la pubblica incolumità e del potenziale offensivo connesso al possesso di armi, come si desume anche dal rigore che accompagna la disciplina per il rilascio del porto d’armi, perfino a fini sportivi, di cui al d.lgs. 10 agosto 2018, n. 104 (in attuazione della Dir. UE 2017/853 del Parlamento europeo e del Consiglio). Vero è che nel caso dell’UITS lo Statuto, dopo averla qualificata Ente pubblico (art. 1, comma 1 Statuto), precisa come essa sia (art.1, comma 2, Statuto) altresì, “Federazione sportiva nazionale”. Del pari indubbio che siffatta “doppia” qualificazione non immuta il discorso né deve trarre in inganno. La sua natura di Ente pubblico si evince non solo dalla previsione dello Statuto approvato, il 21 febbraio 2018 (in proposito si rinvia, altresì, all’ art. 1 del decreto interministeriale 15 novembre 2011), che discorre di “ente pubblico nazionale sottoposto alla vigilanza del Ministero della difesa”, ma anche dal complesso quadro normativo che, nel tempo, ne ha accompagnato e ne accompagna il funzionamento. Pur senza ripercorrerne completamente le tappe, si può osservare come sin dalla sua istituzione l’UITS abbia svolto un ruolo fondamentale tanto nell’organizzazione e nella diffusione dell’attività sportiva del Tiro a Segno quanto nella sua veste di ente di formazione paramilitare. Il RD 2430/1935 stabiliva che l’unione avesse “personalità giuridica ed autonoma amministrativa”, mentre il suo Presidente era “nominato dal Presidente del CONI, di concerto con l’Ispettore capo della preparazione premilitare e postmilitare della Nazione (omissis)”. A significare, nel caso di specie, il particolare rilievo degli interessi in gioco è anche il fatto che il d.lgs. Lgt. 8 luglio 1944, n. 286, ponesse il tiro a segno alle “dipendenze” del Ministero della Guerra. Questo spiega perché - in considerazione degli interessi coinvolti – l’UITS sia solo “ altresì” Feder azione spor t iva”, informando piuttosto la propria attività a quei criteri di “efficacia, imparzialità ed efficienza” (cfr., art. 1, comma 3, dello Statuto che, a sua volta, riprende l’art. 1 del decreto interministeriale citato, come anche il richiamo al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, vale a significare) i quali, se è vero che si richiamano a quanto già espressamente affermato nello Statuto del CONI (art. 23, comma 1-bis, dello Statuto CONI), è anche vero che sono gli stessi cui, più in generale, si ispira l’attività della P.A. D’altra parte, già da un punto di vista meramente formale, il carattere “concreto” di Ente pubblico si ricava da un articolato quadro normativo sul quale – ogni qual volta ve ne è stato bisogno – si riflettono quelle esigenze di riordino della P.A. onde assicurarne efficienza e buon andamento. Un esempio in tal senso – come detto – è rappresentato dall’ACI e dalla L. 20 marzo 1975, n. 70. Né il discorso muta nel caso dell’UITS perché, anzi, esso ne esce convalidato dagli sviluppi normativi che ne hanno segnato la storia. Come noto, la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per l’anno 2008), aveva disposto l’abolizione dell’UITS, sancendo di fatto la sua trasformazione in semplice Federazione sportiva affiliata al CONI. Prima, però, che l’abolizione diventasse effettiva, il d.l. 25 giugno 2008, n. 112, poi convertito in legge, annullò quanto stabilito nella legge finanziaria, salvando di fatto lo status di Ente pubblico dell’UITS. La disciplina dell’ente è stata, poi, ridefinita dal D.P.R. 12 novembre 2009, n. 209 ("Regolamento di organizzazione dell'Unione italiana tiro a segno (UITS), emanato a norma dell’art. 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, il quale prevede espressamente che l’UITS è Ente di diritto pubblico “avente finalità di istruzione ed esercizio al tiro con arma da fuoco individuale o con arma o strumento ad aria compressa e di rilascio della relativa certificazione per gli usi di legge, nonché di diffusione e pratica sportiva del tiro a segno” (art. 1 del D.P.R. 12 novembre 2009, n. 209). Dal canto suo, il D.M. 14 aprile 1998, nell’approvare lo Statuto dell’UITS, rinvia alla legge 14/1978 in tema di norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici, indirettamente confermandone la natura giuridica. I l che, se ve ne fosse bisogno, conferma il fatto che l’UIT S è, dunque, in primis, Ente pubblico (cfr., art. 1, comma 2, TU Pubblico impiego) e solo altresì “ Feder azione Spor t iva” ( d.lg s. 23 luglio 1999, n. 242) riconosciuta dal CO NI e “ dotata di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione” , con definizione di organi (ex artt. 7 e ss. dello Statuto di cui al 2018) , tra cui figura il “ Presidente” in qualità di “organo centrale” dell’Ente. Della natura di Ente pubblico non pare, dunque, possa dubitarsi ed anzi essa è rafforzata dalla circostanza che l’Unione opera s otto la vigilanza del Ministero. Tanto senza considerare – pur trattandosi di fonte secondaria – che lo st esso Regolamento Amministrativo di Attuazione e Contabilità dell’UI TS (art. 1, comma 3) delinea una sorta di gerarchia delle fonti, laddove precisa che “ l ’attivit à della UITS recepisce quanto disposto dalla L. n.241/1990, si conforma ai principi generali del D.Lgs n.165/2001, alle leggi speciali, alle disposizioni statutarie, ai principi e disposizioni del Codice Civile”.
Né a conclusioni diverse si perviene sposando quell’indirizzo – anche giurisprudenziale – che, sconfessando i tentativi di offrire una nozione organica ed autonoma di Ente pubblico, osserva come le modifiche che si sono prodotte nell’ordinamento inducano piuttosto a privilegiare una nozione “funzionale e cangiante” di Ente pubblico così come essa si è andata costruendo sulla base di un processo di frantumazione e relativizzazione della figura (Consiglio di Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660), sì da dover portare in luce, piuttosto che il nomen iuris, gli interessi effettivi, sostanziali e funzionali, realmente sottesi all’attività svolta2. Ebbene, se è vero (qui ritorna il richiamo al claris non fit interpretatio) che le definizioni legislative non vincolano l’interprete, per il quale la qualificazione esplicita è irrilevante, laddove carente di concreti indici di pubblicità, è anche vero che nel caso dell’UITS (ma il discorso, mutato quel che v’è da mutare, vale anche per l’ACI e l’AeCI) questi indici non difettano. A tanto conduce non solo la circostanza che la “pubblicità” è inerente alla stessa natura degli Enti di cui si discorre, ma anche la peculiare organizzazione della persona giuridica, la sua costituzione, la natura dei finanziamenti, l’esistenza di precisi controlli sugli stessi, il fatto che la nomina del Presidente sia fatta, nel caso dell’ACI, “d’intesa con il Ministro vigilante”; nel caso dell’AeCI, su proposta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro della Difesa, con il Ministro dell’Interno e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze (art. 26 Statuto); nel caso dell’UITS, su proposta del Ministro della Difesa.
A questo proposito, il discorso che si sta svolgendo deve arricchirsi del fatto che, in misura più incisiva che altrove, lo Statuto dell’UITS radica in capo al Presidente la responsabilità circa la corretta gestione della stessa Unione, come si desume dal fatto che egli è responsabile del “funzionamento dell’Unione nei confronti del Ministero della Difesa”, cui deve riferire (art. 17, commi 2 e 3, Statuto)3.
Nel caso dell’UITS, se il sistema dei controlli può considerarsi fattore indicativo della pubblicità, occorre rilevare come l’art. 71 dello Statuto rinvii, in materia di contabilità, all’art. 2, commi 2-3, D.P.R. 97/2003; il bilancio deve essere trasmesso non solo alla Giunta del CONI, per quanto di sua competenza, ma anche al Ministero della Difesa (art. 72 Statuto), mentre ulteriore indice di pubblicità è nella previsione dell’art. 77, a norma del quale l’entrata in vigore dello Statuto è subordinata ad un decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Una pubblicità la quale, nel caso di specie, è altresì coerente con gli esiti di una ricerca ermeneutica che guarda al sistema e ha per oggetto norme legislative, regolamentarie e statutarie4. In tal senso, l’excursus compiuto dai giudici (Tar Lazio, Sez. I, 09/08/2019, n. 10475, in merito ad una vicenda che pure aveva interessato l’UITS e a cui si rinvia integralmente) offre un’accurata ricostruzione (anche storica) di quelle norme di cui si è detto, osservandosi che “l’Unione Italiana di Tiro a Segno – UITS è un “ente pubblico nazionale”, soggetto alla vigilanza del Ministero della Difesa, il cui Statuto risulta essere stato adottato già nel 1998 “ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 della legge 24 gennaio 1978, n. 14”, riportante “Norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici”. Di tanto si ha ulteriore conferma sia nel D.P.R. 12 novembre 2009, n. 209, che definisce la natura e la finalità dell’Ente5, sia nel D.P.R. 15 marzo 2010, n. 906, nonché nel D.M. 15 novembre 20117. Né la circostanza che l’UITS possegga una sorta di “doppia anima” (Ente pubblico e Federazione), come emerge dall’art. 1 dello Statuto, è in grado di incidere sulla sua qualificazione quale Ente pubblico non economico di natura associativa, dovendosi confermare la piena applicabilità delle norme sugli Enti pubblici. Qualifica, quest’ultima, che esce rafforzata, altresì, dalle previsioni di cui all’art. 12, comma 8, l. 145/2018. D’altro canto (in subordine e a mero completamento del discorso che si sta svolgendo), che quella della qualifica delle Federazioni quali organismi di diritto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, della direttiva 2014/24, sia questione che, in assenza di un espresso ed univoco riconoscimento della natura di Ente pubblico (come, invece, è il caso della UITS, Aci e AeCI), continui a sollevare dubbi e incertezze si ricava – impregiudicata la natura delle Federazioni quali associazioni con personalità giuridica di diritto privato – dalla questione se esse siano “tenute come tali ad applicare le norme sull’evidenza pubblica nell’affidamento a terzi di contratti di appalto di servizi” (cfr. Consiglio di Stato, ord. 12 febbraio 2019, n. 1006, relativa ad un servizio di facchinaggio per le selezioni calcistiche nazionali ritenuto in rapporto di strumentalità rispetto ai compiti di “valenza pubblicistica”). Sul punto, come noto, a) l’assenza di una espressa qualificazione formale dell’ente come pubblico (ovvero il difetto di altri elementi rilevanti) e, per contro, b) l’esistenza negli ordinamenti europei di soggetti che, pur non definibili come Enti pubblici, di fatto svolgono funzioni pubblicistiche, ha fatto emergere una giurisprudenza (da ultimo, cfr. M. Campos Sanchez - Bordona, 1/10/2020 n. C-155/19 e C-156/19) la quale ha operato, ampliandone la portata, sul principio di buon andamento della PA. I giudici europei hanno così sviluppato una serie di indicatori di controllo della “pubblicità”, demandando poi ai giudici nazionali il compito di verificare, alla luce appunto degli indicatori offerti, se questi siano sufficienti, da soli ovvero considerati nel loro combinarsi, a dimostrare che è l’amministrazione controllante a determinare in concreto (e in che misura) la politica generale o il programma dell’istituzione senza scopo di lucro (par. 43 e ss., M. Campos Sanchez - Bordona, 1/10/2020 n. C-155/19 e C-156/19). Per i giudici europei - nel caso da ultimo citato - i poteri del CONI (cfr., art. 22, comma 5, Statuto del CONI) sono da ritenersi indici rivelatori di una potestà di controllo particolarmente intesa, che evidenzia come le attività sportive non possano che svolgersi in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI. E sul punto, ancora, sono gli stessi giudici del Consiglio di Stato a sottolineare (Punto 5.3.6 dell’ordinanza di rinvio) che “[sembra difettare la libera disponibilità] del fine perseguito dall’ente collettivo”, in quanto esse rivestono un “carattere in realtà istituzionale ed eterodeterminato, per legge o atto dell’autorità (...), non solo dei profili strutturali essenziali, ma anche degli ambiti principali di azione e delle modalità con cui questa deve essere svolta: con simmetrica eliminazione o riduzione degli spazi e della libertà organizzativa che sono propri dell’autonomia privata”. Il che vale quanto dire se, quando manca un “formale atto istitutivo di una pubblica amministrazione”, si è avvertita la esigenza di andare alla ricerca di una serie di indicatori che esigono poi di essere verificati rispetto alla singola specifica fattispecie, onde far emergere “il grado di collegamento della sua attività contrattuale con tali funzioni pubbliche” (M. Campos Sanchez - Bordona, 1/10/2020 n. C-155/19 e C-156/19, par. 47), la questione è risolta a monte, allorché il legislatore discorre espressamente di Ente pubblico. Laddove difetti un “formale atto istitutivo di una pubblica amministrazione”, i giudici europei, insomma, tendono a sviluppare una serie di indicatori che esigono poi di essere verificati rispetto alla singola specifica fattispecie8. Per costoro la risposta (da ultimo, 1/10/2020, n. C-155/19 e C-156/19)9 muove nel senso di ritenere che la Federazione è organismo di diritto pubblico se, oltre ad essere dotata di personalità giuridica, soddisfa specificamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e la sua gestione è vigilata10.
Siffatta flessibilità qualificatoria sottende, come detto, in assenza di indici altrimenti rilevatori della reale natura dell’ente di cui si discorre, e in presenza di quel variegato panorama di soggetti giuridici operanti in Europa, la necessità di prediligere una nozione funzionale del concetto di P.A. Conclusione, questa dei giudici europei, non molto distante dalle posizioni di quella parte della dottrina nazionale che evidenzia come la nozione di ente pubblico, per la molteplicità intrinseca del proprio operare, presenti confini di difficile demarcazione11. Ma da queste premesse non è dato sostenere che il nostro ordinamento – soprattutto in presenza di Enti che operano sotto il controllo di soggetti diversi – strizzi l’occhio ad una nozione “poliedrica” di Ente Pubblico. Se così fosse, come osservano i giudici in Tar Lazio, Sez. I, 09/08/2019, n. 10475, si aprirebbe la porta all’attività discrezionale dell’interprete, cosa che si oppone ad esigenze di certezza del diritto. D’altro canto, sono ancora gli stessi giudici a riconoscere che, anche laddove l’Ente pubblico, in considerazione del suo essere sottoposto alla vigilanza del Ministero della Difesa e, altresì, del CONI, sembri presentare quella natura “poliedrica” di cui si diceva ciò non rinnega la circostanza che quest’ultimo sia pur sempre un “Ente pubblico”, sottoposto al controllo delle autorità di governo (Tar Lazio, Sez. I, 09/08/2019, n. 10475). A tanto i giudici approdano all’esito di un’attenta ed articolata ricostruzione delle vicende normative che disciplinano l’ UITS, dalla quale risulta con evidenza come sia proprio la presenza di interessi superiori, legati alla peculiarità di un’attività sportiva che comporta l’uso delle armi, ad aver prodotto non solo un complesso quadro normativo dove l’intreccio di profili pubblicistici e privatistici vede la prevalenza dei primi sui secondi, ma la stessa “incisione” di regole che, anche quando rinviano al ruolo della volontà assembleare (cfr. art. 16 del d.lgs. n. 242 del 1999), devono cedere a fronte della specificità della situazione12. In senso conforme è la stessa Avvocatura Generale dello Stato (chiamata dai giudici ad esprimersi sul punto) a ribadire che la legge può ben porre limiti alla autonoma determinazione dell’assemblea, laddove ciò trovi fondamento nella esigenza di tutela di interessi prevalenti (Tar Lazio, Sez. I, 09/08/2019, n. 10475 a p.18).
Né la conclusione muta ove, cambiando prospettiva, si privilegi il profilo teleologico-funzionale. La riconduzione alla categoria giuridica dell’Ente pubblico - di là dalla operata chiara e univoca qualificazione del legislatore - trova qui conferma in un’ottica di sistema che guarda, per un verso, all’interesse dello Stato ad attrarre al suo controllo tutte quelle attività (ad es., l’uso di armi da fuoco, ma il discorso potrebbe ripetersi per l’AeCI e per l’ACI) direttamente o indirettamente connesse alla pubblica sicurezza e, dall’altra, alla disciplina dell’attività sportiva. La peculiarità dell’Ente pubblico riposa, infatti, sul soddisfacimento di interessi che stanno particolarmente a cuore all’ordinamento generale. Di t al che è la particolare rilevanza pubblicistica dell ’interesse per seguito dall’ente ad essere espressione di quella “ pubblicità” di cui si discorre.
E che si tratti di ambiti per i quali l’interesse pubblico assume un rilievo preminente è, a tacer d’altro, testimoniato (nel caso dell’UITS) dalla disciplina rigorosa stabilita, ad esempio, in tema di accertamenti sanitari di idoneità per il rilascio del porto d’armi e, comunque, per lo svolgimento di questa attività a fini sportivi o ricreativi o alla disciplina di cui al dlgs.10 agosto 2018, n. 104, recante “Attuazione della direttiva UE 2017/853 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi”.
S ì da non potersi dubitare, alla luce del la ricostruzione compiuta, non solo dell ’esistenza di un vincolo funzionale al per seguimento dell’interesse pubblico, m a anche del fatto che la esistenza di una “ specifica istituzione” è direttamente e univocamente riconducibile ( formalmente e sostanzialmente) alla legge.
Laddove non v’è chi non veda che anche quando lo Statuto – quasi a conferma di quella poliedricità di cui si è detto - sembri recuperare una dimensione contrattuale dell’agire di questi Enti pubblici (si pensi all’art. 44 Statuto UITS) ci si trova in realtà in presenza di una regola che – a contrario - rafforza la natura pubblicistica dell’Ente. In quel caso, il riferimento alla stipula degli atti e contratti necessari ad assicurare il pacifico godimento dell’area da destinare a poligono (laddove questo non insista sul demanio) lungi, infatti, dall’essere manifestazione di autonomia privata, conferma di come il ricorso al consenso contrattuale solo in apparenza indebolisca il principio di autorità, accordando invece una maggiore salvaguardia dei principi costituzionali di buon andamento, efficienza e imparzialità della P.A.
Sulla inconferibilità di cariche a soggetti in quiescenza e sulla ratio del divieto
Ne consegue, alla luce dell’analisi condotta, che (i) dalla qualifica di Ente pubblico discende l’applicazione della normativa sugli Enti pubblici, fra cui la Riforma della Pubblica Amministrazione, con il conseguente divieto di attribuzione a soggetti collocati in quiescenza di incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle pubbliche amministrazioni; (ii) la scelta del Presidente Nazionale dell’UITS (ma il discorso vale anche più in generale per gli altri Enti pubblici) è un procedimento ibrido a formazione complessa, che implica una fase elettorale seguita da una nomina governativa; (iii) l’atto in virtù del quale al Presidente sono attribuite le sue funzioni è il decreto di nomina da parte del Presidente della Repubblica, su proposta, nel caso dell’UITS, del Ministero della Difesa; del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa col Ministro vigilante, nel caso dell’ACI; del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro della Difesa, con il Ministro dell’Interno e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, nel caso dell’AeCI. La qualificazione di un apparato organizzativo come Ente pubblico comporta, invero, che esso debba ritenersi destinatario dell’insieme di norme, espressione di principi costituzionali, che sovraintendono all’agire pubblico. Dalla qualifica di Ente pubblico ( anche dell’UI T S che è solo “ altresì” Feder azione ) discende – per coerenza con la premessa – l’applicazione ad esso delle norme stabilite in tema di “Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della PA”.
Sì che non solo è vietato – per espressa disposizione di legge - attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, ma anche conferire ai medesimi soggetti (art 17, comma 3, della l. n. 124 del 2015) “incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo in quelle amministrazioni che siano inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali (omissis)”. Tutto ciò, salvo poi prevedere, sempre ex art. 17, comma 3, della L. n. 124/2015, la possibilità di concedere siffatti incarichi solo, però, “a titolo gratuito”, ma con l’ulteriore precisazione che, pur nella gratuità dell’incarico, la sua durata non possa essere “superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione”13. Orbene non v’è dubbio che, in questo modo, il legislatore abbia individuato, nel divieto di cui si discorre, la regola generale e, nella possibilità di conferire l’incarico a titolo gratuito, la sua eccezione. E, tuttavia, che così disponendo, egli abbia inteso stabilire un impedimento generalizzato al conferimento di incarichi in quiescenza, è comprovato dal fatto che l’eccezione di cui si discorre è subordinata a due condizioni: a) la gratuità e b) il limite temporale di un anno14. Il legislatore, così facendo, si è mosso in linea con una policy volta (cfr. anche la l. 190/2012 per la prevenzione e repressione dell’illegalità nella P.A. e il d.lgs. 39/2013, in materia di inconferibilità e incompatibilità) non solo a creare condizioni effettive che assicurino trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A. secondo quanto si ricava dalla Costituzione (artt. 97 e 98), ma, altresì, ad affermare un principio di rotazione nelle cariche dirigenziali che, evitando il consolidarsi di situazioni di potere, sia funzionale ad un ricambio “generazionale” della dirigenza (in armonia con la previsione di cui all’art. 17, comma 3, l. 124/2015, che dispone, all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, il terzo periodo è sostituito dai seguenti: “Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedent sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione”; sulla ratio della gratuità si rinvia, altresì, a Corte costituzionale n. 124/2017 nonché, da ultimo, a Corte dei Conti – Sez. controllo per la Regione Sardegna 90/2020. Né, ad argomentare diversamente, avrebbe pregio sostenere che il divieto di attribuzione di incarichi dirigenziali o direttivi in organi di governo delle pubbliche amministrazioni non si applicherebbe ai Presidenti di questi Enti poiché costoro rientrerebbero tra “i componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’articolo 2, comma 2 bis, del decreto legge 31 agosto 2013, n.101, convertito con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n.125”. Da questo inciso non possono trarsi indicazioni generali, dovendo in concreto – seguendo quell’approccio funzionale che si è inteso privilegiare – verificare piuttosto la natura dei poteri effettivamente esercitati dal Presidente anche alla luce della struttura organizzativa dell’Ente. Orbene, se nel caso dell’AeCI (cfr., art. 31 dello Statuto) e dell’ACI (art. 19, comma 5, Statuto) la struttura organizzativa dell’Ente sembra distinguere fra poteri di rappresentanza e poteri gestori, non altrettanto è a dir si nel caso dell’UI T S . Una diversa interpretazione, nel caso da ultimo citato, avrebbe come conseguenza quello di ridimensionare il ruolo e le responsabilità del Presidente dell’UITS nonché traviserebbe, a fini elusivi, la natura dell’incarico a questi conferito, che trae la sua origine dalla nomina governativa e non dal risultato elettorale.
Lo Statuto dell’UITS è, infatti, chiaro nell’attribuire al Presidente non mere funzioni rappresentative dell’ente, ma funzioni dirigenziali e direttive cui fanno da contraltare responsabilità, in termini di operato e di funzionamento dell’ente, nei confronti del Ministero della Difesa. Non a caso le Circolari Ministeriali 6/2014 e 4/2015 sono intervenute proprio per scongiurare rischi elusivi in tema di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza. Più precisamente, si legge nella Circolare 6/2014, “Finalità della disciplina ”Le modifiche introdotte sono volte a evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle amministrazione pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza, o comunque, per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilità delle amministrazioni stesse, aggirando di fatto lo stesso istituto della quiescenza e impedendo che gli incarichi di vertice siano occupati da dipendenti più giovani“.
Orbene non vi è dubbio che se si attribuisse l’incarico di Presidente dell’UITS ad un soggetto in stato di quiescenza con più di 65 anni si violerebbero i principi sopracitati. È, infatti, chiaro che:
a) non solo il Presidente dell’UITS è titolare di rilevanti responsabilità nell’amministrazione, non riducibili soltanto a funzioni direttive, ma b) che egli svolge vere e proprie funzioni dirigenziali, in quanto trattasi dell’organo apicale dell’Ente chiamato, seppur assieme al Consiglio direttivo, ad assumere decisioni nell’esercizio delle funzioni attribuite dal Ministero della Difesa. Peraltro, anche a voler sposare la qualificazione del Presidente come titolare di un incarico direttivo, sussisterebbe comunque il vincolo della gratuità dello stesso e il limite di durata del mandato annuale, come da ultimo ribadito dal parere n. 81269 del 18 dicembre 2020 reso dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
Tanto meno quella del divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza è regola che, in qualche modo, presenta carattere discriminatorio. Vero è che la Corte Costituzionale ha ripetutamente stabilito che il diritto costituzionalmente garantito di accesso alle cariche elettive può essere solo eccezionalmente limitato e che le cause della limitazione hanno assoluto carattere tassativo (ex plurimis, C. Cost. n. 44/1997), sì da elaborare chiaramente un rapporto di regola a eccezione che vede la regola, nell’eleggibilità, e l’eccezione nell’ineleggibilità (C. Cost. n. 27/2009). Del pari vero – come la stessa Corte ricorda – che tale principio trova fondamento nel “bilanciamento tra il diritto individuale di elettorato passivo e la tutela delle cariche pubbliche” (C. Cost. n. 33/2013; n. 25/2008; n. 27/2009; n. 306/2003; n. 1073/2001; n. 489/2000).
Bilanciamento che vale a dimensionare la portata del divieto laddove – e qui sono i giudici della Corte di Cassazione a sostenerlo – “i limiti siano necessari al fine di realizzare altri interessi di rango costituzionale, parimenti fondamentali e generali.” (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. I, Sent. 22 dicembre 2011, n. 28504). Sì che, fermo il principio della tassatività delle ipotesi di incompatibilità che esclude ogni ipotesi di applicazione analogica del divieto, in tutti quei casi in cui il legislatore ha previsto delle incompatibilità, il diritto fondamentale del cittadino di elettorato passivo, espressione del principio di partecipazione alla vita democratica, cede a fronte di interessi superiori. Nel caso di specie, vuoi per ragioni che attengono al contenimento della spesa pubblica (cfr. art. 5, comma 9, dl n. 95/2012), e alla necessità di considerare “il limite delle risorse disponibili” che vincola il legislatore ad operare “scelte coerenti” con la tavola dei valori costituzionali, tra cui v’è il buon andamento della PA (art. 97, cfr., Corte Cost., 124/2017), vuoi per quelle ragioni di ricambio generazionale cui si accennava, il legislatore ha introdotto il divieto di attribuire incarichi di studio o di consulenza ai lavoratori pubblici o privati collocati in quiescenza, essendo possibile per costoro solo ricoprire incarichi dirigenziali o direttivi o in organi di governo delle amministrazioni e solo a titolo gratuito. Anche a prescindere dalla qualificazione formale dell’incarico, i soggetti in quiescenza, dunque, non possono assumere ruoli di vertice nelle amministrazioni e tanto meno “incarichi dirigenziali, direttivi, di studio o di consulenza nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici” (Circolare 6/2014)15; divieto, questo, che opera – come ancora si osserva nella citata Circolare - indipendentemente dalla circostanza “che la nomina sia preceduta dalla designazione da parte di un soggetto diverso dall’amministrazione nominante”. Si tratta di un divieto il quale, pertanto, deve intendersi applicabile a tutti quei soggetti a cui fa riferimento anche l’art. 33, comma 3, dl 223/2006, che conferma l’impossibilità di superare i limiti di collocamento a riposo per coloro che abbiano svolto incarichi dirigenziali. Tale divieto non investe, invece, la possibilità di ricorrere a personale in quiescenza allorché si tratti di aspirare ad incarichi che non si risolvano nell’esercizio di funzioni dirigenziali o direttive o nel conferimento di incarichi di studio e di consulenza. La esigenza di assicurare continuità e ricambio generazionale rimane, allora, affidata al conferimento di un incarico assolutamente gratuito e temporalmente circoscritto nel tempo (un anno). Il limite imposto – ma tanto rientra nella discrezionalità dell’Ente – apre semmai ad un altro tipo di valutazione, relativa alla adeguatezza e compatibilità di un incarico, conferibile per un solo anno, con la funzione e le attività dell’Ente; valutazione che, di conseguenza, implica un’attenta ponderazione degli interessi dell’Ente stesso (quale manifestazione, appunto, del principio di buon andamento della P.A.), nel senso di verificare se questi possano convenientemente essere tutelati in presenza di un incarico di così breve durata. Cosa che, nella specie, non pare potersi sostenere, considerato che, salvo situazioni patologiche di Commissariamento, comunque strettamente legate al superamento di eventuali criticità, è il quadriennio olimpico a scandir e fisiologicamente i tempi e la vita “ politica” e amministrativa del mondo sportivo, in un contesto nel quale continuità amministrativa e distinzione gestionale sono pur sempre chiamati ad innervare il governo dell’Ente16.
Della natura delle funzioni del Presidente della UITS – Orbene, che il Presidente di questo tipo di ente sia titolare di veri e propri poteri espressione di funzione dirigenziale è testimoniato, oltre che dal fatto che egli è chiamato a rispondere dell’operato della UITS direttamente dinanzi al Ministro della Difesa (art. 17 Statuto), anche dal tipo di procedimento seguito per la sua nomina, nonché dall’essere titolare di una funzione di amministrazione attiva, secondo quanto si ricava dalla tipologia dei compiti ad esso assegnati, sì da non potersi ritenere che la sua sia mera attività di indirizzo politico (C. Cost., n. 2010/304). E, in vero, già sotto il profilo della procedura di nomina, il complesso quadro normativo che la accompagna fa emergere come la nomina del Presidente della UITS sia la chiara risultante di regole di procedimento e di regole sul controllo delle nomine. Il controllo ministeriale delle nomine (non diversamente da quanto accade per il controllo parlamentare sulle nomine degli Enti pubblici) appare qui inteso a far risaltare l’elemento fiduciario del rapporto tra l’autorità politica e il management di un Ente. Tanto nel tentativo – perfezionato come noto nel TU Pubblico Impiego - di superare i limiti di quella piramide senza vertice di cui discorre Cassese17 in un clima di collaborazione e fiducia, che consenta l’individuazione di responsabilità diverse da quelle proprie dell’apparato burocratico e distinte da responsabilità civile, penale, disciplinare. Di qui lo spostamento degli equilibri verso il piano della relazione intersoggettiva personale fra soggetto politico e dirigenza amministrativa il quale – come noto - ha dato origine ad un dibattito dottrinale e giurisprudenziale molto interessante, che investe la questione della separazione fra poteri di indirizzo e controllo (politica-amministrazione) e poteri di gestione (dirigente). Dibattito, appunto, complesso perché chiama in causa, oltre al profilo di cui si diceva, la delicata questione dell’efficienza amministrativa18. Per quanto qui di interesse, vale la pena evidenziare il fatto che il D.P.R. n. 209 del 2009 e, ancora, il D.P.R. n. 90 del 2010 e lo Statuto dell’Ente del 2011, hanno instaurato una nuova procedura per la nomina del Presidente il quale, eletto dall’assemblea, è poi nominato “su proposta del Ministro della Difesa, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri” (cfr., art. 60 del D.P.R. n. 90 del 2010). Dal canto suo, la legge 400/1988, nel disciplinare la nomina alla presidenza di enti, istituti, etc., che rientrano nella competenza statale, ha delineato un procedimento articolato, che si apre con la proposta di nomina del Ministro indirizzata al Consiglio dei Ministri e si chiude, salvo facendo (ex comma 2) l’acquisizione del parere delle commissioni parlamentari, con la proposta di nomina da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e l’emanazione, a chiusura del procedimento, del D.P.R. di nomina. Si tratta, dunque, di un procedimento a formazione progressiva che prevede diverse fasi e diversi soggetti coinvolti. In una prima fase, il carattere associativo dell’ente, che deriva dallo svolgimento altresì di funzione di Federazione sportiva su scala nazionale e locale, è rappresentato dal momento elettorale in ossequio al principio di democraticità e di partecipazione degli iscritti alla vita della Federazione. Ma successivamente, tenuto conto che l’UITS è posto sotto la diretta vigilanza del Ministero della Difesa, visti anche i fini di formazione paramilitare che persegue, e che il presidente dell’UITS è responsabile del funzionamento dell’ente nei confronti del Ministero della Difesa, la norma prevede la necessaria partecipazione amministrativa del Ministero della Difesa nel processo di selezione del futuro Presidente dell’Ente.
Il parere delle commissioni “ motivato” è espresso anche in relazione ai fini e agli indirizzi di gestione in un contesto nel quale la richiesta di nomina (art. 4, l. 14/1978) deve esplicitare i motivi che la giustificano, gli incarichi svolti etc., tutte informazioni che acquistano rilievo in relazione ai fini e agli indirizzi di gestione che, dice la legge, “si intendono seguire”. Tanto – alla luce delle riforme sulla dirigenza che nel tempo si sono susseguite – deve, però, leggersi nell’ottica del superamento di quella separazione soggettiva e funzionale fra politica e amministrazione, a vantaggio di una lettura che privilegia, piuttosto, la dimensione del raccordo fra i due attori istituzionali. In quest’ottica, il Presidente dell’UITS (e il Consiglio Direttivo che lo affianca unitamente al Consiglio di Presidenza) deve ritenersi sia il “centro di responsabilità” di questo Ente pubblico, giacché contribuisce alla determinazione degli obiettivi e al loro raggiungimento, partecipando alla definizione del rapporto fra risorse da impiegare e realizzazione degli obiettivi da raggiungere. Il che null’altro significa che, in un Ente con struttura gestoria centrata sulla figura del Presidente (che del perseguimento del risultato – lo si ripete ancora - risponde al Ministro della Difesa), è su questi che grava, nell’ottica di un’amministrazione per risultato, il conseguimento degli stessi.
Se così è, si comprende come la sua nomina non si risolva in una mera ratifica della volontà assembleare, ma sia subordinata ad una vera e propria attività di valutazione. Il D.P.R. che chiude il procedimento è così presupposto per l’esercizio di quei poteri propri dell’ufficio di attribuzione, di cui al l’art . 2, comma 1, T.U. Pubblico Impiego. I l che vale ad escludere in nuce (proprio per le ragioni espresse e che si dir anno ancora) che il divieto di cui all’art . 5, comma 9, l. 55/ 2012 non investa anche “ i componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’articolo 2, comma 2 bis, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125”. Attesa la subordinazione funzionale del Presidente dell’UITS nei confronti del Ministero della Difesa, cui rendere conto del proprio operato, appare chiaro come la proposta e la successiva nomina del Presidente non possa, infatti, essere un atto passivo e formale di mera ratifica da parte dell’Amministrazione, che si limiterebbe a prendere atto del risultato elettorale; il potere di nomina si sostanzia, bensì, in una valutazione di merito, ed eventuale approvazione del candidato, che deve essere idoneo a perseguire gli importanti compiti demandati all’UITS dal Ministero della Difesa, nonché le finalità sportive che derivano dal suo essere “altresì” Federazione affidata anche alla vigilanza del CONI.
Evidente manifestazione di questo potere di controllo e di indirizzo è nel fatto che, ex art. 6, l. 24 gennaio 1978, n. 14, il Governo può anche procedere a “nomine proposte o designazioni diverse”.
In questo complesso procedimento la manifestazione della volontà assembleare dà solo avvio ad una precisa sequenza di atti e operazioni ed è, dunque, fase preparatoria, cui deve necessariamente seguire una fase, per dir così, costitutiva la quale si conclude, in un’ottica di integrazione dell’efficacia, con il decreto di nomina del Presidente della Repubblica. I vari momenti in cui si articola il procedimento, lungi dall’essere espressione di una mera, semplice, sequenza coordinata di atti (come si desume dal potere attribuito agli organi coinvolti), appaiono, a ben vedere, legati fra loro da specifici effetti giuridici. In questo senso il procedimento di nomina non è una mera successione di fasi. Esso, all’opposto, è costruito in rapporto alla funzione che deve svolgere e di cui è, appunto, espressione. Per cui si può dire che la funzione qui “vesta” il procedimento. Né questo è totalmente discrezionale. Le fasi in cui si articola dimostrano per contro che – ove ci si intenda discostare dalla volontà dell’assemblea – il procedimento assolve anche ad una funzione di garanzia che si calibra sui doveri di accertamento e di motivazione che ne accompagnano le varie fasi (Villata-Sala, Procedimento amministrativo, in Dig Disc pubbl., XI, 1996, p. 579 e Sandulli in Noviss. Dig. It., XIII, 1968, p. 1021). Certo, non v’è dubbio che l’UITS sia “altresì” Federazione sportiva e, dunque, retta “da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna” (art. 16, comma 1, d.lgs. 242/1999). Ma valga qui ricordare che siffatta previsione, per un verso, non ne cancella la dichiarata natura giuridica e, per l’altro, non sembra aver inciso (come si osserva in Tar Lazio, Sez. I, 09/08/2019, n. 10475) “sulla legge n. 14 del 1978, determinandone – in particolare – l’abrogazione in parte qua”. La conferma dell’importanza strategica che questo Ente rappresenta per il perseguimento dei suoi fini e che difende questa procedura è ricavabile, altresì, dall’essere intervenuto il legislatore a sottrarre l’UITS dalla scure del decreto taglia enti che ne avrebbe comportato la soppressione (art. 26, dl 112/2008, convertito, con modificazioni, nella legge 133/2008).
Questo procedimento che, come detto, si fa “forma” della funzione si rinviene ogni qual volta la vigilanza del Ministero si lega (come anche è il caso dell’ACI o dell’AeCI, cfr., Tar Sez. I, 72/2019) alla peculiarità dell’attività svolta e alla necessità di controllarne direttamente l’esercizio. Anche nel caso dell’ACI o dell’AeCI, così come per l’UITS, la nomina è il prodotto di quel procedimento che si attiva con la delibera assembleare, ma giunge a compimento solo con il D.P.R., vale a dire solo all’esito di un “controllo” che non è solo formale, ma si espande a verificare il possesso dei requisiti e l’idoneità del soggetto a conseguire quegli indirizzi di gestione di cui parla la legge (art. 4, l. 14/1978). Nella complessità che la connota e nella sua “deviazione” rispetto al sistema delineato dal d.lgs. 242/1999, la nomina del Presidente dell’UITS è, pertanto, espressione di un procedimento nel quale il legislatore ha provato a creare le condizioni di coesistenza fra integrazione e distinzione in un’ottica di coordinamento fra poteri che, nel principio di buon andamento della P.A., trova la sua fonte. Sicché, il fatto che l’atto di preposizione provenga dal Ministero e, dunque, sia manifestazione di una volontà politica non può indurre a ritenere che solo di essa sia espressione. Nel caso dell’UI T S ( per le r ag ioni esaminate), la connessione che si realizza fra organo politico e organo di vertice è piuttosto indicativa di un modello gestorio che alla funzione rappresentativa e di indirizzo del Presidente, affianca anche poteri gestori. E che di tanto non possa dubitarsi si ricava, altresì, dalla previsione di cui all’art. 3 Regolamento di Amministrazione e Contabilità della Unione Italiana Tiro (RACUITS), a norma del quale “L’assetto organizzativo dell’UITS è articolato in un unico centro di responsabilità amministrativa di gestione e competenza dei risultati derivanti dall’impiego delle risorse strumentali e finanziarie coincidenti con il bilancio previsionale dell’ente”. Né, in diverso senso, ha pregio sostenere che tali funzioni siano intestate al Segretario generale (ex art. 38 Statuto e art. 7 REACUITS). Per un verso – come si è tentato di dimostrare – di là dal nomen iuris è piuttosto al concreto esercizio dei poteri che occorre guardare; per l’altro, proprio dalle succitate disposizioni, emerge come (considerate le funzioni a questo attribuite) l’attività del Segretario, pur dotato di poteri di gestione economica, sia espressione di una funzione dirigenziale, per dir così, di secondo livello, certamente spoglio della responsabilità dell’attività amministrativa della g est ione e dei previsti risultati.
Che, d’altra parte, il Presidente sia chiamato a funzioni organizzative-gestionali si desume, oltre che (come più volte ricordato) dal suo rispondere al Ministro della Difesa, dal fatto che l’art. 17, comma 2, dello Statuto intesta al Presidente una responsabilità che non è meramente politica, ma chiara espressione sintetica di quei poteri, al tempo stesso, di indirizzo e gestione di cui si è discorso; dal potere di formulare l’Odg, ove lo ritenga opportuno, tenendo conto delle eventuali richieste dei consiglieri (lett. b); dalla possibilità di agire in esecuzione delle deleghe ricevute o di assumere tutti i provvedimenti straordinari che si rendessero necessari per il funzionamento dell’Ente, salva ovviamente la ratifica (comma 5, lett. d-e)19; dal potere di affidare singoli incarichi e chiedere lo svolgimento di indagini per presunti illeciti (lett. i e h), nonché dal potere di voto in Consiglio Direttivo ( art. 19 Statut o) che, a tace d’altro, rende innegabile il suo esprimere funzioni di direzione, gestione, programmazione, amministrazione e controllo.
PQM
Si rilascia il presente parere
Deciso nella camera di consiglio del 1 marzo 2020.
Il Presidente e Relatrice
F.to Virginia Zambrano
Depositato in Roma, in data 10 marzo 2021.
Il Segretario
F.to Alvio La Face
1. Wieacker, Das Bürgerliche Recht im Wandel, p. 53. C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, p. 5 ss.
2. Così, V. Cerulli Irelli, «Ente pubblico»: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in Cerulli Irelli, Morbidelli (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino 1994, 85-89, il quale (pag. 85, nota 2) rileva anche che “la nozione di “ente pubblico” come nozione unitaria (come quella che designa una serie di fattispecie accomunate da una disciplina generale) è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, pur supportata da una produzione dottrinale assai nota”.
3. A.M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989, 193-194.
4. V. Ottaviano, Ente pubblico, in Enc. dir., XIV, 1965, precisa che “poiché la pubblicità è relativa ad una certa regolamentazione, la dichiarazione della natura pubblica di un ente che sia in contrasto con la disciplina in effetti disposta, da sola non sarebbe sufficiente a farlo qualificare pubblico. Normalmente, però, con il dichiarare che un ente è pubblico il legislatore intende indicare la regolamentazione pubblica che vuole applicare all'ente, sicché tale dichiarazione vale come espressione riassuntiva di siffatta normativa”.
5. Art. 1 “1. L'Unione italiana tiro a segno, di seguito denominata «UITS», di cui al regio decreto-legge 16 dicembre 1935, n. 2430, convertito con modificazioni dalla legge 4 giugno 1936, n. 1143, e successive modificazioni, è riordinata quale ente di diritto pubblico, avente finalità di istruzione ed esercizio al tiro con arma da fuoco individuale o con arma o strumento ad aria compressa e di rilascio della relativa certificazione per gli usi di legge, nonché di diffusione e pratica sportiva del tiro a segno. 2. L'UITS è sottoposta alla vigilanza del Ministero della difesa e realizza i fini istituzionali di istruzione, di addestramento e di certificazione per il tramite delle sezioni di tiro a segno nazionale, d'ora in poi «TSN»”.
6. “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare” che, nel riorganizzare la material militare, definisce così natura e finalità dell’Unione Italiana tiro a Segno, all’art. 59: “L’unione italiana tiro a segno è ente di diritto pubblico, avente finalità di istruzione ed esercizio al tiro con arma da fuoco individuale o con arma o strumento ad aria compressa e di rilascio della relativa certificazione per gli usi di legge, nonché di diffusione e pratica sportiva del tiro a segno. 2. L’unione italiana tiro a segno è sottoposta alla vigilanza del Ministero della difesa e realizza i fini istituzionali di istruzione, di addestramento e di certificazione per il tramite delle sezioni di tiro a segno nazionale di cui all’articolo 61. Essa è altresì federazione sportiva di tiro a segno riconosciuta dal Comitato olimpico nazionale italiano, sotto la cui vigilanza è posta ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 23 luglio 199 n.242 e successive modificazioni”
7. “Approvazione dello Statuto dell’Unione italiana tiro a segno”, a norma del quale “1. L’Unione italiana tiro a segno, di seguito <<UITS>> o <<Unione>>, è ente pubblico nazionale sottoposto alla vigilanza del Ministero della difesa, ai sensi dell’art. 20 del Codice dell’ordinamento militare, emanato con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 e dell’articolo 59 Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, di seguito <<Regolamento>>”.
8. Ex multis, G. Morbidelli, Gli enti dell’ordinamento sportivo, in V. Cerulli Irelli, G. Morbidelli (a cura di), Ente pubblico ed Enti pubblici, Torino, 1994, p. 331; D. Galli, I settori speciali, in Giorn. dir. amm., 2016, p. 470.
9. Corte di Giustizia, nella causa C-249/71; Corte di Giustizia, 10 aprile 2008, causa C-393/06, Sez. Quarta, pres. K. Lenaerts, Avv. gen. D. Ruiz-Jarabo Colomer, parti Ing. Aigner/Fernwarme Wien GmbH.
10. Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del comitato olimpico nazionale italiano 2018 – Sez. Controllo sugli Enti - Determinazione del 16 dicembre 2019, n. 138, p. 20. Sul punto, altresì, cfr., CGCE, Sez. II, 11 settembre 2019.
11. Cerulli Irelli – “Ente pubblico”: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in Cerulli Irelli e Morbidelli (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino, 1994, 89 – ribadisce che “non basta una mera disposizione del legislatore per dire che un ente è pubblico. Ovvero, la disposizione del legislatore che attribuisce o che nega la pubblicità di un ente può essere ritenuta a sua volta illegittima, sotto il profilo costituzionale ovvero comunitario”.
12. Nel caso di specie i giudici, relativamente alla possibilità di far valere la regola di cui all’art. 16, comma 4, d.lgs. 1999/242), osservano che “rilevanza alcuna – ai fini del decidere la controversia in esame – può essere attribuita al già menzionato art. 16 del d.lgs. 242 del 1999.
13. Cfr., già, in tal senso, gli artt. 5, comma 9, e 7 d.lgs. n. 95/2012, poi convertito nella l. L. 135/2012 (in tema di revisione della spesa pubblica), poi ancora modificato successivamente dall’art. 6, comma 1, del dl n. 90/2014 (norme in materia di semplificazione e trasparenza amministrativa), convertito nella L. n. 114/2014 e, di seguito, riformulato dall’art. 17, comma 3, della L. n. 124/2015 nei termini riportati.
14. In tal senso muovono le considerazioni sviluppate dalla SCCLEG nn. 35/2014 e 7/2015.
15. Interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90.
16. S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica? in www.irpa.eu, 2019,
17. S. Casese, L’alta dirigenza italiana in un mondo cristallizzato, Pd, 1998, 1, p. 160.
18. B. Cimino, Profili funzionali: l’indirizzo e la gestione, in L. CASINI (a cura di), Venti anni di politica e amministrazione in Italia, 2014, p. 27 - Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione, www.irpa.eu IRPA Working Papers.
19. Osserva, dal canto suo, l’ANAC (Atto di segnalazione n.1 del 18 gennaio 2017) in tema di proposte di modifica del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1 commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190», che la configurazione di un soggetto quale amministratore non dovrebbe legarsi all’esistenza di deleghe, atteso che “anche il presidente e gli amministratori senza deleghe possono, di fatto, ingerirsi nella gestione dovendo di conseguenza essere inclusi nella più ampia definizione di amministratore”.