CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Quarta- coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 18 del 06/04/2018 –Paolo Pomponi/Federazione Italiana Sport Equestri
Decisione n. 18
Anno 2018
IL COLLEGIO DI GARANZIA QUARTA SEZIONE
composta da
Dante D’Alessio - Presidente
Stefano Bastianon - Relatore
Giovanni Iannini
Cristina Mazzamauro
Laura Santoro - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 10/2018, presentato, in data 18 gennaio 2018, dal sig. Paolo Pomponi, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vincenzo Giardino e Fabrizio Cacace;
contro
la Federazione Italiana Sport Equestri (F.I.S.E.), rappresentata e difesa dall’avv. prof. Giovanni Aricò;
e nei confronti
della Procura Generale dello Sport presso il CONI, in persona del Procuratore Generale, Gen. Enrico Cataldi e del Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Livia Rossi,
nonché della Procura Federale della Federazione Italiana Sport Equestri, in persona del Procuratore Federale, avv. Anselmo Carlevaro, e del Sostituto Procuratore Federale, avv. Giorgia Pellerano;
per l’annullamento
della decisione della Corte Federale d'Appello della Federazione Italiana Sport Equestri, (F.I.S.E.), emessa il 18 dicembre 2017, pubblicata il successivo 19 dicembre e resa nel procedimento disciplinare iscritto al R.G. n. 16/17 FISE, con la quale, in riforma della decisione di primo grado endofederale (che aveva irrogato allo stesso sig. Pomponi la sanzione della sospensione di 30 giorni da ogni carica o incarico sociale o federale inclusa la qualifica di istruttore, tecnico, operatore tecnico, ufficiale di gara, nonché la sanzione del pagamento dell’ammenda pari ad € 1.000,00, per essere stato ritenuto responsabile di non aver prestato la dovuta attenzione circa l’identità ed il valore del cavallo nel rapporto obbligatorio sottostante alla compravendita), è stata irrogata, in capo all’odierno ricorrente, anche la sospensione dell’autorizzazione a montare per 5 mesi.
Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell’udienza del 26 marzo 2018, l’avv. Fabrizio Cacace, per il ricorrente sig. Paolo Pomponi; l’avv. prof. Giovanni Aricò, per la resistente FISE; il Procuratore Generale dello Sport, gen. Enrico Cataldi, ed il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Livia Rossi, per la Procura Generale dello Sport; nonché il Procuratore Federale FISE, avv. Anselmo Carlevaro, per la Procura Federale FISE;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il Relatore, avv. prof. Stefano Bastianon.
Ritenuto in fatto
- Il sig. Paolo Pomponi veniva deferito per violazione dell’art. 1 del Regolamento di Giustizia, dell’art. 10 dello Statuto Federale e degli artt. 1 e 2 del Codice di comportamento sportivo del CONI per aver fornito informazioni non veritiere circa l’identità, la provenienza, le caratteristiche, le prestazioni agonistiche ed il valore di mercato del cavallo Antonov 3, del quale alterava il documento identificativo con l’indicazione del nominativo Certagen e l’eliminazione/abrasione delle parti ove appariva il nome Antonov 3 nonché quello dei precedenti proprietari, traendo così in inganno gli acquirenti del cavallo che si determinavano ad acquistarlo nonostante lo stesso non avesse alcuno dei requisiti indicati e ad un prezzo manifestamente sproporzionato.
- Con sentenza 9-30 ottobre 2017, il Tribunale Federale, in parziale accoglimento del deferimento della Procura Federale, riconosceva in capo al sig. Paolo Pomponi una responsabilità per colpa grave in relazione alla violazione dell’art. 1 del Regolamento di Giustizia per non aver posto in essere tutti i necessari accertamenti sul cavallo Antonov 3, non verificandone l’effettiva identità e, pertanto, proponendone e curandone le trattative di acquisto senza porre le fondamentali verifiche sia sull’identità dell’animale, sia, conseguentemente, sulla corrispondenza effettiva delle caratteristiche tecniche dello stesso rispetto a quanto proposto. Con riguardo, invece, al capo di incolpazione relativo al fatto di aver manomesso e falsificato il passaporto del cavallo Antonov 3, il Tribunale Federale riteneva che non fosse stata raggiunta la prova della responsabilità del sig. Paolo Pomponi. Secondo il Tribunale Federale, infatti, sulla scorta del materiale probatorio acquisito, non era possibile considerare il sig. Pomponi come il soggetto che materialmente aveva posto in essere la falsificazione del documento non rilevando il ruolo di quest’ultimo in relazione ad una acclarata, diretta e non meramente probabile responsabilità per la falsificazione del documento che avrebbe potuto essere stata posta in essere anche da terzi soggetti non identificati. Conseguentemente, il Tribunale Federale infliggeva al sig. Paolo Pomponi la sanzione della sospensione di giorni trenta da ogni carica o incarico sociale o federale, inclusa la squalifica di istruttore, tecnico, operatore tecnico, ufficiale di gara, nonché la sanzione del pagamento di un’ammenda di € 1.000,00.
- Avverso la sentenza del Tribunale Federale proponeva reclamo la Procura Federale, deducendo un unico motivo articolato nell’omessa motivazione, nel travisamento degli elementi probatori, nell’illogicità ed erroneità della sentenza di primo grado, per non aver ravvisato in capo al sig. Paolo Pomponi anche la responsabilità per la manomissione e falsificazione del passaporto del cavallo Antonov 3.
Resisteva il sig. Paolo Pomponi, il quale insisteva per il rigetto del reclamo proposto dalla Procura Federale.
- Con sentenza 18 dicembre 2017, la Corte di Appello Federale accoglieva il reclamo proposto dalla Procura Federale e, conseguentemente, in parziale riforma della sentenza di primo grado, applicava al sig. Paolo Pomponi, oltre alla sanzione comminata dal Tribunale Federale (sospensione di trenta giorni da ogni carica o incarico sociale o federale e ammenda di € 1.000,00), la sanzione della sospensione per cinque mesi dell’autorizzazione a montare. Secondo la Corte di Appello Federale il Giudice di primo grado non aveva correttamente applicato i principi in materia di valutazione della prova in quanto i plurimi elementi indiziari emersi nel corso del procedimento di primo grado erano stati valutati in maniera atomizzata e non globale, precludendone, in tal modo, una valutazione sinergica, con conseguente violazione dell’art. 116 c.p.c.
In particolare, la Corte di Appello Federale giungeva alla conclusione secondo cui, dagli elementi probatori riscontrati acquisiti nel giudizio di primo grado e dal completamento dell’attività istruttoria effettuata dalla stessa Corte di Appello Federale, era emerso che:
- il microchip n. 276098102205744 e il passaporto con codice identificativo n. DE 418181434307 e n. 011003006677 di registro dell’anagrafe degli equidi corrispondevano al cavallo denominato Antonov 3;
- all’atto del trasferimento della proprietà di detto cavallo, avvenuta in data 26 luglio 2016, dal sig. Accardo alla J&J Horses Srl il cavallo era ancora denominato Antonov 3, come risultava dalla Scheda Anagrafica trasmessa dall’AIA;
- dalla visura dell’anagrafe degli equidi risultava in modo inequivoco che il cavallo con il numero di microchip e di passaporto sopra indicati era denominato Antonov 3, con la conseguenza per cui l’oggetto della compravendita in data 26 luglio 2016 tra il sig. Accardo e la J&J Horses Srl non poteva essere che il cavallo Antonov 3;
- per contro, all’atto della iscrizione presso la FISE, avvenuta il giorno successivo (27 luglio 2016), il cavallo con i numeri di microchip e di passaporto riferibili ad Antonov 3 era stato registrato a cura dell’acquirente J&J Horses Srl con il nome Certagen.
Per quanto riguarda, invece, la sanzione inflitta al sig. Pomponi in primo grado, la Corte Federale di Appello riteneva che la stessa, per la sua irragionevole mitezza, finiva con il vanificarne la finalità retributiva e rieducativa. Infatti, la sanzione della sospensione di trenta giorni da ogni carica o incarico sociale o federale (oltre all’ammenda di € 1.000,00) era stata irrogata senza verificare se realmente il sig. Pomponi rivestisse le cariche a cui si riferiva la sospensione, ma, soprattutto, senza tenere in considerazione che lo stesso sig. Pomponi svolgeva come attività principale quella di atleta e, quindi, che solo una sanzione che gli avesse precluso l’esercizio di tale attività avrebbe avuto una reale efficacia afflittiva.
- Avverso la sentenza della Corte di Appello Federale ha proposto ricorso il sig. Paolo Pomponi, con ricorso in data 16 gennaio 2018, deducendo cinque motivi e chiedendo al Collegio di Garanzia, in via preliminare, di dichiarare la nullità della sentenza impugnata e, in subordine, la riforma integrale della stessa.
La Procura Generale dello Sport presso il CONI e la Procura Federale della FISE si sono costituite, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e, comunque, infondato.
Anche la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) si è costituita, facendo valere l’inammissibilità del ricorso e, comunque, chiedendone il rigetto.
Il sig. Pomponi ha depositato memoria ex art. 60, comma quarto, del Codice della Giustizia Sportiva.
All’udienza del 26 marzo 2018 sono stati sentiti l’avv. Frabrizo Cacace per il ricorrente, il prof. avv. Giovanni Aricò per la FISE, il gen. Enrico Cataldi e l’avv. Livia Rossi per la Procura Generale dello Sport presso il CONI, il Procuratore Federale FISE, avv. Anselmo Carlevaro.
Il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha assegnato la causa in decisione.
Considerato in diritto
- Con il primo motivo, il sig. Paolo Pomponi eccepisce la nullità e/o l’inesistenza della sentenza emessa dalla Corte di Appello Federale, in quanto il suo Presidente, nella specie l’avv. Alessandra Bruni, non avrebbe potuto assumere alcun incarico negli Organi di giustizia sportiva in ragione della sua qualifica di tesserata FISE presso la ASD Open Range, affiliata alla Federazione, e della carica di proprietaria di cavalli dalla stessa rivestita all’interno di tale associazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione dell’intero panorama probatorio. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte Federale di Appello avrebbe travisato completamente la lettura delle risultanze istruttorie di entrambi i gradi del giudizio, giungendo ad una errata valutazione delle stesse, con conseguente violazione degli artt. 113, 115, 116 e 118 c.p.c..
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia l’omesso completamento di un atto istruttorio dalla stessa disposto (nella specie, la richiesta di esibizione del registro ASL ex Legge 1/8/2003, n. 200, da parte del Centro Ippico La Zebra). Ad avviso del ricorrente la Corte di Appello Federale, una volta preso atto che il Centro Ippico La Zebra non aveva provveduto ad esibire il documento richiesto, avrebbe dovuto insistere nella propria richiesta di esibizione oppure avrebbe dovuto disporre l’audizione del legale rappresentante del Centro Ippico La Zebra, al fine di appurare i motivi che lo avevano indotto a non ottemperare all’ordine di esibizione disposto dalla Corte di Appello Federale.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia l’omessa e/o errata interpretazione del dato normativo relativo all’efficacia, sotto il profilo probatorio, dei documenti provenienti dall’anagrafe equidi AIA e MIPAAF (ex UNIRE). Secondo il ricorrente, infatti, la Corte Federale di Appello avrebbe attribuito a tali documenti l’efficacia probatoria privilegiata riconosciuta dal Codice civile agli atti pubblici, laddove, per contro, le finalità della Legge n. 200/2003 consistono unicamente nella tutela della salute pubblica e del patrimonio zootecnico, nel fornire il supporto per trasmettere informazioni al consumatore di carni di equidi e consentire un’etichettatura adeguata e chiara del prodotto, nell’assicurare la regolarità nelle corse dei cavalli, nonché garantire efficienza ed efficacia nella gestione dei controlli sulle corse stesse e nel prevenire e controllare il fenomeno dell’abigeato.
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia il carattere sproporzionato della sanzione inflitta dalla Corte di Appello Federale, la reformatio in pejus ultra petitum commessa dal Giudice di secondo grado, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 7 del Regolamento Generale FISE.
- Il primo motivo è infondato. Con riferimento al fatto che il Presidente della Corte di Appello Federale è un tesserato FISE si deve evidenziare che, ai sensi dell’art. 61, comma 3, dello Statuto Federale, il tesseramento presso la FISE non è richiesto per i componenti degli Organi di Giustizia Federale ma nemmeno è espressamente vietato ad un tesserato FISE di poter far parte degli Organi di Giustizia Federale.
Considerazioni analoghe possono essere svolte anche in relazione alla denunciata qualità di proprietario di cavalli del Presidente della Corte di Appello Federale, posto che tale semplice circostanza non può essere di ostacolo per la nomina a componente degli Organi di Giustizia Federale.
Anche il richiamo, operato dal ricorrente, all’art. 22 del Regolamento Giustizia FISE (in base al quale “ciascun componente degli Organi di Giustizia presso la Federazione, all’atto dell’accettazione dell’incarico, sottoscrive una dichiarazione in cui attesta di non avere rapporti di lavoro subordinato o continuativi di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettano l’indipendenza con la Federazione o con i Tesserati, gli Affiliati e gli altri soggetti sottoposti alla sua giurisdizione”) non appare rilevante nella fattispecie in esame. Infatti, la norma in questione si limita a porre in capo ai componenti degli Organi di Giustizia presso la Federazione, all’atto dell’accettazione dell’incarico, l’obbligo di comunicazione di situazioni, non tipizzate, di natura patrimoniale o associativa, in grado di compromettere l’indipendenza dell’organo giudicante, prevedendo, altresì, che eventuali informazioni reticenti o non veritiere siano segnalate alla Commissione Federale di Garanzia per l’adozione delle misure di competenza. Ne consegue, pertanto, che tale dichiarazione, intervenendo solo al momento dell’accettazione dell’incarico e, quindi, dopo che la nomina è stata disposta, non può in alcun modo incidere sulla legittimità della nomina stessa.
Peraltro è proprio l’art. 22 del Regolamento di Giustizia F.I.S.E. a chiarire che eventuali dichiarazioni mendaci o reticenti da parte dei componenti degli Organi di Giustizia possono formare oggetto di provvedimenti disciplinari.
Essendo, quindi, l’Organo di Giustizia regolarmente nominato e costituito, la sentenza dallo stesso reso non può qualificarsi come inesistente.
Con riferimento, invece, alla dedotta nullità della sentenza, è noto che, con specifico riferimento all’incompatibilità del Giudice, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che, se la parte non chiede la ricusazione, la sentenza pronunciata dal giudice incompatibile deve considerarsi pienamente valida, con la sola eccezione del caso in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte nel giudizio (cfr. Cass. civ., n. 22854 del 28.10.2014). Circostanza, questa, mai dedotta dal ricorrente.
- Il secondo motivo è inammissibile. Con esso (sebbene sia stato articolato come “omessa ed insufficiente motivazione della sentenza in punto di valutazione dell’intero panorama probatorio”), infatti, il ricorrente chiede, in sostanza, un riesame dei fatti attraverso una descrizione degli stessi alternativa a quella accertata nei precedenti gradi del giudizio. In tale contesto, in considerazione della norma di cui all’art. 54 del Codice della Giustizia del CONI, in base alla quale il ricorso al Collegio di Garanzia “è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”, il motivo dedotto dal ricorrente deve ritenersi inammissibile in quanto volto a sindacare gli elementi istruttori acquisiti nella fase di merito e perché articolato su doglianze dirette esclusivamente a contrapporre una possibile soluzione diversa da quella cui la decisione impugnata è pervenuta.
In base alla consolidata giurisprudenza di questo Collegio di Garanzia, non sono ammissibili in questa sede tutte le doglianze in ordine alla valutazione dei fatti che hanno originato il presente contenzioso e le critiche che si sono appuntate sulle valutazioni della Corte di Appello Federale in merito agli elementi istruttori acquisiti al giudizio (decisione n. 53/2016; decisione n. 14/2016; decisione n. 58/2015). D’altra parte, proprio il riferimento fatto dal ricorrente nella rubrica del motivo di ricorso “all’intero panorama probatorio” dimostra che lo stesso ha inteso riprodurre in questa sede di legittimità un nuovo apprezzamento sull’intero materiale probatorio e sulla sua idoneità a costituire il fondamento della decisione impugnata.
- Il terzo motivo è anch’esso inammissibile, in quanto il ricorrente chiede al Collegio di Garanzia di sindacare il fatto che la Corte di Appello Federale non abbia ritenuto di dover insistere nella propria richiesta di esibizione del registro aziendale ASL di carico e scarico equidi da parte del Centro Ippico La Zebra.
Sennonché, dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che la Corte di Appello Federale ha fondato il proprio convincimento sulla scorta di una valutazione complessiva e sinergica delle varie risultanze istruttorie acquisite nei precedenti gradi del giudizio: documenti versati in atti dalle parti, deposizioni testimoniali, documenti esibiti da terzi su richiesta della stessa Corte di Appello Federale o acquisiti da quest’ultima d’ufficio.
Inoltre, il Giudice di secondo grado ha chiaramente evidenziato che, in relazione alla contestata falsificazione del passaporto, assume rilevanza assorbente il fatto che il ricorrente abbia fatto uso del passaporto contraffatto, anche a prescindere dall’autore materiale della falsificazione. A tale riguardo si osserva che questo Collegio di Garanzia ha “escluso che [davanti ad esso] ci si possa dolere dello scarso peso attribuito a talune dichiarazioni rispetto all’apprezzamento di convincimento di altri elementi reputati più preziosi giacché tali profili valutativi sfuggono al sindacato di legittimità” (decisione n. 14/2017). Nello stesso senso, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui “la valutazione delle risultanze delle prove (…) come la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito (…)” (Cass. n. 42/2009; n. 9662/2001; n. 2404/2000).
In tale contesto risulta evidente che con il motivo di ricorso in esame il ricorrente mira ad ottenere dal Collegio di Garanzia un giudizio sulla decisione della Corte di Appello Federale di non insistere nella richiesta di esibizione di un documento e di basare il proprio convincimento sulla base di una valutazione complessiva di tutto il restante apparato probatorio acquisito in sede di giudizi di merito, con ciò travalicando i limiti posti dall’art. 54 del Codice della Giustizia Sportiva al sindacato di questo Collegio.
- Il quarto motivo è infondato. Nella propria sentenza la Corte di Appello Federale ha stabilito che “all’atto del trasferimento della proprietà [del cavallo], avvenuta il 26.7.2016, dal Sig. Accardo alla J&J Horses Srl, il cavallo era ancora denominato Antonov 3”. Rispetto a tale dato di fatto, non oggetto di gravame da parte del sig. Pomponi e, pertanto, coperto da giudicato, la ritenuta efficacia probatoria privilegiata, attribuita dalla Corte di Appello Federale alla scheda anagrafica trasmessa dall’AIA, non è in grado di scalfire la coerenza della motivazione della decisione impugnata e la rilevanza degli altri plurimi riscontri probatori vagliati dal Giudice di secondo grado; tanto più ove si consideri che, come già evidenziato, la Corte di Appello Federale ha ritenuto che il concreto utilizzo da parte del ricorrente del passaporto falsificato (rispetto al quale il grado di efficacia probatoria di un documento è del tutto irrilevante) costituisce una circostanza che assorbe l’aspetto della stessa individuazione dell’autore materiale della falsificazione.
Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione ha chiarito che “non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione nel loro ambito di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’ invece necessario che gli atti del processo richiamati per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione” (Cass., n. 41738/2011).
- Il quinto motivo è inammissibile. In proposito, si ricorda che “Il Collegio di Garanzia può valutare la legittimità della misura di una sanzione solo se la stessa è stata irrogata in palese violazione dei presupposti di fatto o di diritto o per la sua manifesta irragionevolezza” (Coll. Gar. CONI, Sez. Un., n. 35/2015; Sez. Un., n. 19/2017).
Nella fattispecie, tuttavia, non si ravvisa l’esistenza di alcuno dei presupposti sopra indicati. La sanzione irrogata dalla Corte di Appello Federale non risulta, infatti, erronea per la valutazione degli elementi di fatto o di diritto esaminati né può ritenersi manifestamente incongrua o sproporzionata nella misura.
Atteso che la sanzione irrogata rientra nell’ambito di quelle astrattamente applicabili in relazione alla fattispecie contestata, la sua determinazione non può formare oggetto di censura, perché ciò significherebbe riconoscere a questo Collegio il potere di sostituirsi al Giudice Federale nella determinazione della sanzione ritenuta più congrua (cfr. Coll. Gar. CONI, Sez. II, n. 13/2017, ove si ribadisce che la “concreta determinazione [della sanzione] è rimessa alla valutazione del Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove si collochi nell’ambito stabilito dalla norma sanzionatoria e sia assistita da una congrua motivazione”; nello stesso senso, cfr. pure Coll. Gar. CONI, n. 14/2015).
Dunque, sulla base delle considerazioni che precedono, anche tale censura deve essere dichiarata inammissibile.
- Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del presente procedimento, da versare in favore della FISE, devono essere poste a carico del ricorrente risultato soccombente e sono liquidate nella misura di cui in dispositivo.
PQM
Il Collegio di Garanzia dello Sport Quarta Sezione
Respinge il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate nella misura di € 1.000,00, oltre accessori di legge, in favore della resistente FISE.
Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 26 marzo 2018.
Il Presidente Il Relatore
F.to Dante D’Alessio F.to Stefano Bastianon
Depositato in Roma, in data 6 aprile 2018.
Il Segretario
F.to Alvio La Face