TRIBUNALE DI TIVOLI – SEZIONE LAVORO – SENTENZA N. 858/2019 DEL 12/11/2019
IL TRIBUNALE DI TIVOLI
Sezione Lavoro
n. (...) R.Gen.
Il Giudice designato dr. Alessio DI PIETRO nella causa
TRA
(...), elettivamente domiciliato in Guidonia Montecelio (RM), Largo Cornelia 6 presso lo studio dell’avv. Augusto Colatei, rappresentato e difeso dagli avv.ti Paco D’Onofrio, Otello Pontini e Paolo Marini, in virtù di delega a margine del ricorso in riassunzione
ricorrente
E
S.S. (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Palombara Sabina (RM), via Garibaldi 130, presso lo studio dell’avv. Cristian Cerquatti che, unitamente all’avv. Gian Michele Gentile, la rappresenta e difende in virtù di procura in atti
convenuta
all’udienza del 12.11.2019 ha pronunciato sentenza mediante lettura del seguente
DISPOSITIVO
dichiara illegittimo il licenziamento irrogato dalla S.S. (...) s.p.a. nei confronti di (...) con lettera del 4.1.2014 e, per l’effetto,
condanna la predetta società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 460.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo;
dichiara che (...) ha diritto alla percezione dell’indennità sostituiva di ferie non godute nella misura di € 17.889,00 (già oggetto di eseguita ordinanza ex art. 423 che si conferma);
rigetta per il resto la domanda proposta da (...);
in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dalla S.S. (...) s.p.a., condanna (...) al pagamento, in favore della convenuta, della somma di € 434,82, oltre interessi legali dalla maturazione al saldo;
compensa per metà le spese legali tra le parti e condanna la S.S. (...) s.p.a. alla rifusione, in favore di (...), della restante metà che si liquida in € 11.000,00, oltre al rimborso spese generali del 15%, Iva e Cpa, nonché oltre contributo unificato (pari ad € 733,00).
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
I. (...) ha stipulato un contratto di prestazione sportiva con la S.S. (...) s.p.a., con il quale si è impegnato a svolgere l’attività di “responsabile prima squadra” per le stagioni sportive 2012/2013 e 2013/2014 (contratto avente decorrenza dall’1.7.2012 al 30.6.2014).
Con lettera del 28.12.2013 la S.S. (...) ha contestato al (...) quanto segue: “ci riferiamo alle notizie di stampa diffuse dalla Federazione Svizzera, secondo le quali voi avreste sottoscritto un contratto di lavoro sportivo per allenare e curare, nella prossima stagione calcistica, la squadra nazionale di calcio di quella nazione. Una tale notizia era stata propalata dalla stampa nel mese di dicembre scorso, ma il sig. (...), anche a nome dei collaboratori, l'aveva smentita affermandone la totale infondatezza. Analoga smentita il sig. (...) ha comunicato a me, quale Presidente della società, di fronte a precisa domanda in proposito, anche a nome dei suoi collaboratori in indirizzo, che con il loro comportamento ne hanno confermata la falsità. L’ avere negato, sia pubblicamente che privatamente, la sottoscrizione di un contratto già concluso costituisce grave inadempimento ai doveri di lealtà, probità e rettitudine sportiva che incombono sull'allenatore e sui tesserati in genere; il fatto è suscettibile di determinare la perdita di fiducia in costoro, oltre che da parte della società, da parte dei calciatori, come sembra ricavarsi da quante accaduto nel corso degli ultimi incontri dei campionato in corso”.
Con raccomandata del 2.1.2014, (...) ha contestato l’addebito, deducendo – sotto il profilo del merito – che il suo comportamento è sempre stato ispirato alla massima correttezza e trasparenza. Ciò in quanto, nei colloqui informali avuti, nelle settimane precedenti, con il Presidente della società (...) aveva rappresentato a quest’ultimo che vi erano stati contatti con la Federazione Svizzera, mentre l’accordo con tale Federazione era stato raggiunto soltanto in data 23.12.2013 e ne era stata data tempestiva notizia al Presidente della società, il quale – presone atto - gli avrebbe chiesto di dimettersi. Con tali giustificazioni, il (...) ha altresì sottolineato di non aver violato alcuna norma, atteso che gli sportivi professionisti sono liberi di intrattenere trattative in vista della scadenza contrattuale. Ha quindi affermato di aver intenzione di onorare il contratto con la S.S. (...) s.p.a. fino alla scadenza prevista, chiedendo l’archiviazione del procedimento disciplinare.
Dopo l’audizione personale del (...), la società, con la lettera del 4.1.2014, ha intimato allo stesso il licenziamento per giusta causa.
II. (...) ha impugnato giudizialmente il recesso davanti al Tribunale di Roma, riproponendo gli argomenti già espressi nella lettera di giustificazione e, quindi, sostenendo l’illegittimità del licenziamento, che sarebbe stato intimato dalla società solo per “sottrarsi” all’applicazione dell’istituto dell’esonero. In particolare, ha aggiunto che la contestazione sarebbe generica e che i fatti, posti alla base del licenziamento, sarebbero insussistenti; in ogni caso, non potrebbe ravvisarsi, nel suo comportamento, alcuna violazione degli obblighi di “lealtà, probità e rettitudine sportiva”, considerato che l’impegno assunto con la nazionale di calcio svizzera non porrebbe porsi in conflitto, per concorrenzialità, con quello che era in essere con la S.S. (...) s.p.a. Ha chiesto, quindi, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento, la condanna della società al pagamento delle retribuzioni che avrebbe percepito sino al termine contrattualmente stabilito (ossia dall’1.1.2014 al 30.6.2014), oltre il pagamento dell’indennità sostitutiva di ferie maturate e non godute (quantificate in euro 67.603,90) e del trattamento di fine rapporto ovvero, in subordine, dell’indennità di fine carriera (prevista dall’art. 32 dell’accordo collettivo tra allenatori professionisti e società sportive). (...) ha chiesto, inoltre, la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni patiti per la natura ingiuriosa del trattamento cui sarebbe stato sottoposto, in considerazione del fatto che in pendenza di procedimento disciplinare sarebbe stato già sostituito da altro allenatore. Ha anche chiesto il risarcimento dei danni arrecati alla sua immagine professionale e alla sua vita di relazione in conseguenza di tale vicenda, con ordine ex art. 120 c.p.c. di pubblicazione, a spese della convenuta, della presente sentenza su quotidiani sportivi e non di rilievo nazionale. Infatti, a seguito del suo licenziamento, avrebbe incontrato difficoltà nella vita giornaliera, consistenti in aggressioni verbali e insulti da parte dei tifosi in occasione di cene al ristorante e passeggiate in città.
La S.S. (...) si è costituita in giudizio, ribadendo la legittimità del proprio operato e formulando, con successiva comparsa integrativa tempestivamente depositata, domanda riconvenzionale, con la quale ha chiesto la restituzione della somme anticipate al ricorrente per l’acquisto di biglietti di viaggio, nonché di importi versati in eccedenza all’Erario quale sostituto d’imposta a titolo di addizionali Irpef.
Con memoria difensiva di replica alla domanda riconvenzionale, (...) ha contestato le deduzioni ivi svolte da controparte.
Con provvedimento del 20.3.2015, il Tribunale di Roma ha dichiarato la propria incompetenza territoriale a favore di questo Tribunale.
III. Riassunta tempestivamente la causa dinanzi a questo giudice, esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, istruito il giudizio mediante l’escussione di testimoni, all’odierna udienza, previa concessione di termine per note conclusive, la causa è stata discussa e viene decisa con la presente sentenza.
La domanda proposta da (...) è fondata nei limiti di seguito precisati.
SULLA ILLEGITTI MITA’ DEL LICENZIAMENTO
L’addebito mosso nei confronti del (...), ritenuto giustificativo dell’intimato recesso ante tempus dal contratto intercorso tra le parti, consiste nella condotta dell’allenatore di aver negato, sia pubblicamente sia in un colloquio privato con il Presidente della società, di aver “sottoscritto un contratto di lavoro sportivo per allenare e curare, nella prossima stagione calcistica, la squadra nazionale di calcio di quella nazione [Svizzera, ndr]”. In particolare, nella lettera di contestazione si evidenzia che tale notizia era stata già diffusa, nel mese di dicembre 2013, sulla stampa e il (...) ne aveva smentito la veridicità.
Tale comportamento si sarebbe sostanziato in un grave inadempimento agli obblighi di lealtà, probità e rettitudine sportiva da parte del (...), tale da determinare il venir meno della fiducia riposta nel lavoratore e, quindi, idoneo ad interrompere immediatamente il rapporto.
Nella presente sede giudiziale, la S.S. (...) s.p.a. ha precisato che tali doveri trovano referente normativo nell’art. 19 dell’Accordo Collettivo tra allenatori professionisti e società di calcio, evidenziando che il nucleo essenziale della contestazione attiene alla negazione, da parte del (...), delle negoziazioni e della successiva stipula del contratto con la Federazione Svizzera. Infatti, il ricorrente era libero di intraprendere trattative con altri soggetti per assumere nuovi incarichi successivamente alla scadenza del contratto stipulato con la S.S. (...) s.p.a., ma – in considerazione della posizione di vertice rivestita all’interno della società – non avrebbe dovuto smentire, specie pubblicamente, dette circostanze, così perdendo di credibilità nell’ambiente di lavoro, con ripercussioni negative sui risultati della squadra.
Ebbene, la società fa riferimento all’art. 19 dell’Accordo Collettivo tra allenatori professionisti e società di calcio, secondo il quale “l’allenatore è tenuto a mantenere una condotta conforme ai principi della lealtà, della probità e della rettitudine sportiva […] Egli si impegna altresì al rispetto delle istruzioni impartite dalla Società, a rispettare il dovere di fedeltà nei confronti della stessa Società”.
Trattasi di concetti generali, il cui apprezzamento va compiuto caso per caso.
Criteri orientativi per condurre l’indagine in ordine alla sussistenza in concreto della violazione di tali doveri possono rinvenirsi nelle diposizioni codicistiche e negli approdi dell’elaborazione giurisprudenziale in materia.
A tal riguardo, l’art. 2105 c.c. prevede che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Tale precetto va integrato con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo cui “Il dovere di fedeltà, la cui violazione può integrare una giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell'obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e va collegato con le regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Il lavoratore, pertanto, deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nella organizzazione dell'impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa stessa o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso” (v. Cass. n. 25759 del 2017; Cass. n. 2550 del 2015).
Inoltre, si è sottolineato che per i lavoratori che ricoprono un ruolo di primario rilievo all’interno dell’organizzazione di impresa i doveri di correttezza e buona fede assumono particolare pregnanza, poiché il vincolo fiduciario che lega il dipendente di vertice (quale il dirigente, cui ben può assimilarsi il responsabile di una prima squadra di serie A) ha una intensità maggiore e più qualificata.
La fiducia, infatti, è fattore che condiziona la permanenza del vincolo contrattuale e può avere un’intensità differenziata a seconda della funzione, della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che le stesse esigono.
Si è pure aggiunto che l’estensione dei doveri discendenti dall’obbligo di fedeltà trova comunque un limite nei valori tutelati costituzionalmente i quali non possono essere recessivi rispetto ai diritti-doveri connaturali al rapporto di lavoro (cfr. n. 3822 del 2011 con riferimento a comportamenti del dipendente che siano espressivi della libertà di pensiero).
Detto ciò, applicando i principi di diritto sopra illustrati al caso in esame, deve evidenziarsi che, nella specie, non ricorrono gli estremi per ritenere integrati i presupposti di licenziamento per giusta causa.
Anzitutto va evidenziato che nella lettera di contestazione si fa riferimento alla circostanza che il (...) avrebbe smentito di aver sottoscritto un contratto per la prossima stagione con la Federazione svizzera per allenare la relativa nazionale. In effetti, tale contratto è stato stipulato, ma è pacifico che la sottoscrizione dello stesso reca la data 23 dicembre 2013 (come del resto comunicato dall’allenatore nella lettera di giustificazione); tuttavia la i contestazione è datata 28.12.2013, ossia appena 5 giorni dopo la conclusione del contratto.
Ora, per quanto riguarda il fatto secondo cui il (...) ha negato in occasione di interviste e domande di giornalisti la presenza di trattative in corso tra lui e la Federazioni Svizzera, premesso che nella lettera di contestazione non vi è traccia di un addebito per le trattative ma si parla solo di “contratto già concluso”, si rileva che gli articoli di giornale prodotti dalla società riportano tutti una data antecedente a quella di conclusione del contratto in discussione (segnatamente gli articoli si collocano dal 19.11.2013 al 9.12.2013).
Chiarito ciò, va evidenziato che, in ogni caso, non costituisce una grave violazione del dovere di fedeltà il fatto che il (...) abbia deciso di mantenere riservata nei confronti dei mezzi di pubblica informazione la circostanza che egli stava intrattenendo delle trattative con la Federazioni svizzera per la prossima stagione calcistica.
Posto che ai sensi dell’art. 4 legge n. 91/1981 (disposizione recante “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” e richiamata nell’accordo collettivo tra allenatori professionisti e società sportive) “il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso ne' può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni”, deve rilevarsi che la descritta condotta non integra una condotta sleale e contraria alla buona fede nei confronti della società SS. (...) s.p.a., tale da determinare il venir meno il legame fiduciario tra le parti in causa.
Infatti, corrisponde ad un legittimo interesse del (...) l’aver voluto preferire di non divulgare pubblicamente che stava tenendo delle trattative riguardanti l’impegno di allenare una nazionale di calcio per la prossima stagione calcistica. Non si vede come tale condotta, inserita nell’ambito di una regolamentazione della materia che non reca divieti alla contrattazione di nuovi incarichi in costanza di rapporto con la società datrice di lavoro, possa aver recato pregiudizio alla S.S. (...) e comunque aver ingenerato in essa la convinzione circa il futuro inadempimento delle prestazioni da parte del suo allenatore. Tale condotta non ha creato situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della società, né tantomeno ha intaccato il vincolo fiduciario, anche tenuto conto che le trattative in questione erano state intavolate con soggetto – la Federazione di calcio Svizzera – che non poteva porsi in rapporto di concorrenza con la società convenuta. Del resto, al momento delle interviste televisive e conferenza stampa di cui si parla nella memoria difensiva, il (...) non aveva ancora stipulato alcun contratto con la Federazione Svizzera e costituiva un suo diritto tenere riservate le trattative, anche perché non aveva certezza che le stesse avrebbero avuto un esito positivo, cosicché la divulgazione di tale notizia, anche a prescindere dal profilo del diritto della riservatezza, non trovava – in quel frangente – alcun serio motivo sottostante.
Per quanto riguarda poi la circostanza che il (...) avrebbe negato la sussistenza delle trattative in discussione in un colloquio privato con il Presidentedella S.S. (...) s.p.a. (...) , trattasi di fatto che non trova riscontro probatorio.
Invero, nessuno dei testimoni ascoltati sul punto ha avuto conoscenza diretta di siffatto accadimento, in quanto i testi (...) (segretario generale della società) e (...) (direttore sportivo della stessa) hanno affermato che fu (...) a riferire loro che egli aveva chiesto spiegazioni al (...) e quest’ultimo aveva negato contatti con la Federazione Svizzera, ma detti testimoni non hanno assistito di persona a tale colloquio. Si rammenta che, in materia di licenziamento, l’onere della prova della sussistenza della giusta causa grava sul datore di lavoro, pertanto non è il lavoratore a dover provare l’illegittimità del licenziamento, ma, con una inversione dell’onere della prova, è il datore di lavoro a dover dimostrare la fondatezza dei motivi posti a giustificazione del licenziamento (art. 5 legge 15 luglio 1966, n. 604).
Alla luce delle considerazioni svolte, deve affermarsi l’illegittimità del licenziamento irrogato al (...) con lettera del 4.1.2014, con la conseguenza che la società convenuta deve essere condannata al pagamento, in favore di (...), della somma corrispondente alle retribuzioni che avrebbe percepito sino alla scadenza contrattualmente stabilita, ossia dal 1.1.2014 al 30.6.2014. Tali somme sono state quantificate in complessivi euro 460,000,00, importo corrispondente a metà del compenso annuo lordo pattuito nella misura di 920.000,00 e tale quantificazione non è stato oggetto di contestazione da parte della convenuta.
SULLE SPETTANZE DI FINE RAPPORTO
Il ricorrente ha lamentato che non gli sarebbero stati corrisposti gli emolumenti relativi all’indennità sostituiva di ferie non godute e al trattamento di fine rapporto.
Con riguardo alla prima voce retributiva, ha sostenuto di aver diritto, ai sensi dell’art. 29 del citato Accordo Collettivo, a 28 giorni di ferie l’anno e di aver usufruito di soli 5 giorni (dal 23 al 27 dicembre 2013). Al contrario, la società ha affermato che il (...) ha goduto di 7 giorni di ferie. Le parti concordano sul fatto per cui ogni giorno di ferie l’indennità deve essere calcolata nella misura di euro 2.555,57.
Ebbene, i giorni di ferie maturati dal lavoratore vanno calcolati sino alla data di cessazione del rapporto e, quindi, nella specie ammontano a giorni 14 (ossia la metà del numero annuo previsto, in quanto il recesso è intervenuto dopo sei mesi dall’inizio dell’anno).
Considerato che le posizioni delle parti divergono sul numero di giorni di ferie effettivamente goduti dal (...) e ricordato che è onere del lavoratore dimostrare la spettanza dell’emolumento preteso, in assenza di riscontro oggettivo, deve ritenersi che l’indennità deve essere parametrata con riferimento a 7 giorni (ossia 14 giorni maturati – 7 giorni goduti), pervenendo alla sua quantificazione nella misura di euro 17.889,00 (7 moltiplicato per 2.555,57). Tale importo è stato già oggetto di ordinanza ex art. 423 c.p.c. e il ricorrente ha dichiarato che la società ha versato detta somma, per cui deve confermarsi tale ingiunzione.
Con riferimento al trattamento di fine rapporto preteso dal ricorrente, si rileva che, ai sensi dell’art. 32 del contratto collettivo tra allenatori professionisti e società calcistiche, queste ultime versano “al Fondo di Accantonamento dell’Indennità di Fine Carriera acceso presso la F.I.G.C. un contributo annuo di a suo carico del 6,25% sul compenso annuo globale e sui premi percepiti dall’allenatore”.
In proposito, deve evidenziarsi che la disciplina codicistica prevede che, in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. Allo stesso tempo, è fatta salva, ai fini del calcolo del T.F.R., la possibilità di deroghe da parte delle previsioni dei contratti collettivi (art. 2120 c.c.). Pertanto il canone generale è il c.d. criterio dell’omnicomprensività della retribuzione, mentre eccezioni allo stesso possono essere contemplate dalla contrattazione collettiva che è autorizzata anche a prevedere una diversa nozione di retribuzione ai fini del calcolo del T.F.R., purché la deroga alla regola sia formulata in modo chiaro e univoco.
Nella specie, è chiaro che il trattamento di fine rapporto che in relazione al rapporto in esame prende il nome di “indennità di fine carriera”, doveva essere richiesto, alla stregua della diposizione collettiva sopramenzionata, al suddetto Fondo appositamente istituito. Tuttavia, il Fondo non è stato evocato in giudizio dal ricorrente e, pertanto, non può disporsi nulla sul punto, essendo un soggetto terzo estraneo al presente giudizio.
Tra l’altro, la S.S. (...) s.p.a. ha dimostrato di aver provveduto ad effettuare i versamenti prevista dalla citata normativa al Fondo in questione.
SULLE DOMANDE RISARCITORIE PROPOSTE DA PARTE RICORRENTE
In merito alla richiesta di risarcimento formulata dal ricorrente per danni all’immagine professionale e alla vita di relazione derivanti dall’illegittimo licenziamento, va osservato che le allegazioni sul punto sono generiche e, già in chiave di loro prospettazione, non consentono di ritenere fondate le pretese risarcitorie avanzate.
Ebbene, per quanto riguarda il dedotto danno alla reputazione e all’immagine, che è un danno-conseguenza, il ricorrente si è limitato ad affermare che “a causa della distorta immagine creata dal vicenda del licenziamento con correlative dichiarazioni del loquace presidente” avrebbe avuto “difficoltà nella vita giornaliera”.
Inoltre, ha affermato di essere stato vittima, nei mesi successivi al licenziamento, di aggressioni verbali.
Trattasi di argomentazioni estremamente generiche: infatti, non è stato adeguatamente descritto il comportamento illecito tenuto dalla controparte (che non può identificarsi tout court con il recesso illegittimo) e la correlazione causale tra la condotta e il danno subito. Né tantomeno quest’ultimo è stato adeguatamente allegato, in quanto non sono state dedotte le ripercussioni negative che il (...) avrebbe subito, sotto il profilo professionale, da tale vicenda. La quantificazione del danno, poi, non è ancorata a parametri precisi essendosi limitato il ricorrente a richiedere il pagamento di euro 200.000,00.
Ciò perché difetta, in radice, l’allegazione di specifici e concreti pregiudizi sul piano professionale, certo non identificabile in un’asserita, non circostanziata e astratta lesione dell’immagine professionale.
Analogo discorso deve essere effettuato per il risarcimento dei pretesi danni alla vita di relazione. Gli episodi di aggressione verbale descritti nei capitoli di prova articolati in ricorso, pur se provati, riguardano sporadici e isolati casi collocati in lasso temporale molto breve e circoscritto, con la conseguenza che - anche in ipotesi – non può configurarsi alcun serio e apprezzabile danno alla vita di relazione, tale da comportare effettivamente un cambiamento dello stile di vita del ricorrente. Del resto, nemmeno è ben esposto come tali episodi sarebbero riconducibili causalmente al comportamento tenuto dalla convenuta.
Dal rigetto delle domande risarcitorie consegue l’inapplicabilità di ogni connesso strumento di tutela invocato in relazione agli asseriti danni.
SULLA DOMANDA RICONVENZIONALE
Venendo, infine, alla domanda riconvenzionale formulata dalla convenuta, deve notarsi che essa è fondata solo in minima parte.
In merito alla richiesta avanzata dalla S.S. (...) s.p.a. nei confronti del (...) di restituzione di somme versate in eccesso, quale sostituto di imposta, a titolo di addizionali Irpef, si osserva che tale istanza, venendo in rilievo una imposta, doveva essere rivolta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e, quindi, questo giudice non è competente a conoscerla, dovendosi ravvisare la giurisdizione del giudice tributario. Ciò soprattutto se si tiene conto che tale dedotto pagamento indebito di imposte non è dipeso da un fatto addebitabile al lavoratore, ma da un errore del datore di lavoro-sostituto di imposta.
Quanto alla richiesta di restituzione di somme anticipate dalla convenuta al proprio dipendente per l’acquisto di titoli di viaggio, va evidenziato che la S.S. (...) ha prodotto documentazione attestante l’acquisto dei seguenti titoli di viaggio a nome del (...): biglietto ferroviario Roma Milano del 16 novembre 2013 (euro 64,39); biglietto ferroviario Chiasso Milano del 19 novembre 2013 (euro 95,90); biglietto aereo Malpensa Roma del 13 agosto 2013 (euro 148,23); biglietto
aereo Roma Malpensa del 26 agosto 2013 (euro 137,48); biglietto aereo Roma Ginevra del 4 settembre 2013 (euro 655,15).
Il teste Calvese, al quale è stata esibita detta documentazione, ha chiarito che i moduli di richiesta di acquisto di biglietti aerei e ferroviari vengono inoltrati su moduli che quando recano l’annotazione “ADD” significa che trattasi di un titolo di viaggio personale da addebitare al dipendente, mentre ove sia indicata la dicitura “RIFATTURARE UEFA” vuol dire si tratta di voli acquistati per la partecipazione ad un evento con spese di viaggio a carico della UEFA. In quest’ultimo caso, il teste ha spiegato che è verosimile che la società anticipasse il costo e poi rifatturasse alla UEFA. Il (...) ha anche precisato che le spese di viaggio a carico del dipendente vengono pagate dallo stesso mediante trattenuta sulla busta paga ovvero mediante pagamento del dipendente medesimo.
Ne consegue che l’importo di euro 655,15 per l’acquisto del biglietto aereo Roma Ginevra Roma non può essere preteso a restituzione, poiché esso reca l’indicazione “rifatturare Uefa”, che quindi ne ha sostenuto il costo.
Mentre, in assenza di prova dell’effettivo pagamento, le somme anticipate dalla S.S. (...) s.p.a. per l’acquisto per i restanti biglietti devono essere restituite dal (...) alla società per un importo complessivo di euro 434,82.
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- Visto l’esito del giudizio (la domanda del ricorrente è stata accolta per un valore maggiore alla metà di quanto richiesto nell’atto introduttivo, mentre la domanda riconvenzionale è stata accolta in minima parte e per un importo molto esiguo), le spese del giudizio devono essere compensate per metà e la S.S. (...)
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s.p.a. va condannata, in applicazione del principio della soccombenza, alla rifusione, in favore del ricorrente, della restante metà, liquidata come in dispositivo.
Tivoli, 12.11.2019.
Il giudice
Alessio Di Pietro