CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 1 del 09/06/09  Juventus F.C. s.p.a. contro della Federazione Italiana Giuoco Calcio L’Alta Corte di Giustizia, composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente, dott. Alberto de Roberto, Relator

CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 1 del 09/06/09  Juventus F.C. s.p.a. contro della Federazione Italiana Giuoco Calcio

L’Alta Corte di Giustizia,

composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente, dott. Alberto de Roberto, Relatore dott. Giovanni Francesco Lo Turco prof. Massimo Lucani prof. Roberto Pardolesi, ha pronunciato la seguente

DECISIONE

nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 1/2009 proposto da Juventus F.C. s.p.a. nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) avverso la decisione della Corte di Giustizia Federale, sezioni unite, della F.I.G.C., 28 aprile – 8 maggio 2009, relativa a reclamo avverso la delibera del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Professionisti, com. uff. n. 261 del 20 aprile 2009, recante sanzione di disputare una gara a porte chiuse inflitta alla Juventus F.C. s.p.a., a seguito dell’incontro Juventus/Internazionale del 18 aprile 2009; visti gli scritti difensivi delle parti, uditi nella udienza del 14 maggio 2009 il relatore, dott. Alberto de Roberto, uditi i difensori della parte ricorrente – Juventus F.C. s.p.a. – avv. ti Luigi Chiappero, Michele Briamonte, Maria Turco ed i difensori della parte resistente – Federazione Italiana Giuoco Calcio – avv. ti Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli, Federico Freni, Ritenuto in fatto 1. Il giorno 18 aprile 2009 si svolgeva a Torino l’incontro tra le squadre del Juventus F.C. e del F.C. Internazionale Milano (Inter), valevole per la 13^ giornata di ritorno del campionato italiano di calcio Serie A. In riferimento a tale gara il giudice sportivo della Lega Calcio disponeva, in data 20 aprile 2009, di sanzionare la società Juventus con l’obbligo di disputare un incontro a porte chiuse: ciò in considerazione dei cori intonati a più riprese da sostenitori della società ospitante con obiettivi di discriminazione razziale. Nel provvedimento sanzionatorio il giudice sportivo aggiungeva, a dimostrazione della inapplicabilità delle esimenti ed attenuanti di cui al Codice di Giustizia Sportiva (d’ora innanzi CGS) della Federazione Italiana Giuoco Calcio (d’ora innanzi FIGC), che, durante l’esecuzione dei cori, non si erano registrate palesi manifestazioni di dissenso da parte della tifoseria juventina ed erano pure mancati interventi dissuasivi dei responsabili del Club. 2. Avverso tale decisione del giudice sportivo la società Juventus proponeva, in data 21 aprile 2009, ricorso alla Corte di giustizia federale della FIGC. Queste le censure dedotte: a) il giudice sportivo ha erroneamente irrogato la sanzione dello svolgimento della partita a porte chiuse prevista solo per il caso di recidiva, insussistente nella specie. La sanzione da infliggere alla società era, invece, semmai quella minore dell’ammenda; b) contro ogni evidenza il giudice sportivo ha erroneamente ritenuto insussistenti le esimenti ed attenuanti che pur si lasciavano ravvisare nei confronti della società ricorrente. 3. La Corte di giustizia federale, nella seduta del 28 aprile 2009, respingeva il reclamo pubblicando lo stesso giorno il dispositivo della decisione. 4. In data 29 aprile 2009 - disponendo del solo dispositivo di reiezione – la società Juventus proponeva ricorso innanzi a questa Alta Corte di Giustizia Sportiva (d’ora innanzi Alta Corte) chiedendo, nel contempo, l’immediata sospensione del provvedimento irrogatorio della sanzione. Venivano dedotte le seguenti le censure: a) Violazione del doppio grado di tutela, sancito dal protocollo 7° della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 111 della Costituzione, risultando il processo federale, in virtù delle recenti modifiche apportate al CGS della FIGC, articolato su di un unico grado di giudizio (ricorso alla Corte di giustizia federale). b) Violazione delle norme in materia di pubblicazione della sentenza, giacché il dispositivo della decisione è stato conosciuto dalle parti, tramite dispaccio ANSA, “più di un’ora prima” della comunicazione ufficiale della pronuncia. c) Violazione dell’art. 11, comma 3, del citato Codice della FIGC in relazione all’art. 18, comma 1, lett. d), del CGS per essere stata applicata una sanzione (la disputa di una gara a porte chiuse) in carenza di recidiva. d) Mancato riconoscimento delle esimenti ed attenuanti sebbene la loro sussistenza risultasse al di fuori di ogni dubbio. 5. In relazione alla richiesta di provvedimento cautelare questa Alta Corte - all’esito della camera di consiglio appositamente convocata – provvedeva, con ordinanza del 30 aprile 2009, ad accordare la sospensione dell’esecuzione della sanzione fino al 15 maggio 2009, in vista della necessità di acquisire la motivazione della decisione. 6. In data 8 maggio 2009 veniva pubblicata nei termini la pronuncia della Corte di giustizia federale della FIGC nel suo testo integrale, comprensivo della motivazione. Detta Corte evidenziava che, nella specie, doveva trovare autonoma applicazione quella parte dell’art. 13 del CGS che contempla come fattispecie a se stante - distinta dalla figura di base e da quella aggravata dalla recidiva – l’illecito sportivo concretantesi nella realizzazione di fatti della stessa natura della fattispecie di base ma di rilevante numero e gravità. Veniva, inoltre, rilevato – in relazione alle esimenti ed attenuanti invocate dalla società ricorrente – che non risultava in alcun modo dimostrata la presenza di fatti riconducibili al novero delle esimenti e delle attenuanti di cui all’art. 13 del citato Codice. La società Juventus - concludeva la decisione – meritava dunque la sanzione che le era stata inflitta (disputa di una partita a porte chiuse): si era, d’altra parte, in presenza dell’irrogazione di una sanzione particolarmente mite, a confronto dell’ampia gamma di sanzioni utilizzabili per reprimere l’illecito qui in esame. 7. In data 11 maggio 2009 la ricorrente ha depositato un ulteriore scritto difensivo nel quale - oltre a ribadire quanto già in precedenza dedotto nel ricorso originario - sviluppa ulteriormente le proprie difese anche alla luce della motivazione della sentenza nel frattempo pubblicata. Sostiene la società Juventus - argomentando con riferimento a detta motivazione - che la configurazione come autonoma fattispecie dell’illecito ad essa addebitato (più violazioni della stessa natura di particolare gravità, poste in essere in un unico contesto) aveva finito per condurre, in palese contrasto con ogni principio, all’assoggettamento della stessa Juventus ad una misura più grave di quella che sarebbe stata sopportata in caso di recidiva. 8. Con memoria dell’11 maggio 2009, corredata da documenti, la FIGC ha contestato la proponibilità in rito, sotto vari riflessi, del presente ricorso rivolto all’Alta Corte, deducendo nel merito l’infondatezza della impugnativa proposta: a) sotto il profilo dell’improponibilità del ricorso si rileva che, ai sensi del testuale tenore dell’art. 30, comma 3, dello Statuto FIGC, non sono consentite ulteriori impugnazioni avverso sanzioni che abbiano comportato, come nella specie, la disputa dell’incontro a porte chiuse. Deve perciò ritenersi interdetto il ricorso presentato a questa Alta Corte; b) rende improponibile il ricorso anche la circostanza che la normativa (art. 12 bis e 12 ter dello Statuto CONI) non consente all’Alta Corte di conoscere delle sanzioni patrimoniali fino a € 10.000 e delle sospensioni fino a 120 giorni continuativi. Ora – si afferma - anche la disputa di una partita a porte chiuse si lascia ricondurre (nel più è compreso il meno) tra le misure sanzionatorie “leggere” di cui la sospensione con durata fino a 120 giorni rappresenta il limite invalicabile; c) sotto un ulteriore profilo si fa rilevare che l’Alta Corte è tenuta a declinare la propria cognizione tutte le volte nelle quali la lite non rivesta particolare rilevanza sia in punto di fatto che di diritto (art. 12 ter Statuto CONI e art. 1 del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva). La presente controversia non mette capo, infatti, ad una misura sanzionatoria direttamente prevista tra le sanzioni sottratte alla cognizione di questa Alta Corte, ma è assimilabile, nei suoi contenuti, alle sanzioni tenui avverso le quali non è ammesso ricorso alla stessa Alta Corte; d) in relazione ad altro profilo si rappresenta che, ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del CONI (norma ispirata all’obiettivo della salvaguardia delle autonomie federali), le nuove disposizioni che danno vita, nell’ordinamento sportivo, all’Alta Corte e ai Collegi arbitrali espressi dal Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale) possono operare, nei riguardi delle decisioni federali, solo in quanto le singole Federazioni, con proprie norme statutarie e regolamentari, abbiano ritenuto di recepirle e farle proprie; e) da un’ulteriore e diversa angolazione, si rappresenta che la lite – nel nostro caso solo sportiva (e, perciò, senza ricadute nell’ordinamento generale) - non potrebbe ritenersi relativa a diritti indisponibili e si sottrarrebbe, perciò, al sindacato dell’Alta Corte postulante, invece, la necessaria presenza di controversie relative a diritti indisponibili. 9. Anche nel merito le censure della Juventus vengono contestate. Si rileva, anzitutto, quanto alla violazione del doppio grado, che detta regola vale nell’ordinamento penale o, a tutto concedere, nel contenzioso giurisdizionale. Nel nostro caso si è in presenza, invece, di misure di carattere disciplinare anche se irrogate con il rispetto di particolari guarentigie. In ogni caso è mancata l’impugnazione della citata norma del CGS della FIGC che contempla – secondo la prospettazione del ricorrente - l’espletamento della procedura in unico grado dinanzi alla sola Corte di giustizia federale. Va posto, inoltre, in rilievo che la sanzione irrogata, conseguente a comportamenti ripetuti e di particolare gravità, è stata correttamente sussunta sotto la previsione di un’ulteriore e più grave fattispecie la quale prevede, in relazione alla ipotesi or ora ricordata, una punizione più severa di quella contemplata nell’ipotesi di recidiva. Deve farsi, infatti, riferimento in questo caso non già alla recidiva prevista per l’illecito di base, ma alla norma generale sulla recidiva (art. 21 CGS) che prevede, appunto, un aggravamento delle pene quando qualunque fattispecie sia posta in essere in presenza di un fatto illecito della medesima natura. La società ricorrente ha presentato note di udienza. Entrambe le parti, all’udienza pubblica del 14 maggio, hanno oralmente sviluppato le loro difese. Considerato in diritto 1. Va per prima esaminata la eccezione (collocata come seconda nel quadro delle difese della FIGC) rivolta a sostenere che l’adita Alta Corte non avrebbe titolo a conoscere della presente controversia in considerazione dei caratteri della sanzione irrogata (chiusura al pubblico dello stadio durante lo svolgimento di una partita). Si sostiene che la detta sanzione, non implicante la radicale interdizione di attività sportiva, ma tesa a consentire lo svolgimento della competizione senza pubblico, rientrerebbe, anche per il limite della sua durata (una sola giornata), tra le sanzioni sottratte a questa Alta Corte (sanzioni di carattere pecuniario fino a € 10.000; sospensione dell’attività sportiva per un periodo non superiore a 120 giorni). L’eccezione deve essere disattesa. Non è dubbio che i due nuovi organismi di giustizia sportiva, introdotti a livello esofederale dallo Statuto del CONI, modificato con delibera del Consiglio Nazionale del CONI n. 1369 del 26 febbraio 2008 ed approvato con D.M. 7 aprile 2008 (Alta Corte: art. 12 bis; Tribunale: art. 12 ter), sono chiamati a conoscere, nell’ulteriore grado al quale il CONI ha dato vita, delle sole controversie relative a sanzioni di significativa rilevanza. Non è agevole, però, per l’interprete, identificare la precisa linea di confine che divide le controversie in tema di sanzioni di minore rilievo (sottratte al nuovo contenzioso) e quelle, invece, di spettanza dei nuovi organi di giustizia sportiva (al di fuori, naturalmente, delle figure sanzionatorie - pecuniarie e interdittive - espressamente sottratte dalla norma statutaria CONI alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva). Sembra assolutamente inaccettabile, anche per la sua palese disarmonia con il sistema, una interpretazione che riservi ai due nuovi organi di giustizia sportiva la possibilità di conoscere di ogni controversia relativa a sanzioni sportive, diverse da quelle espressamente menzionate nella norma statutaria (sanzioni di carattere pecuniario fino a 10.000 euro; sospensione dell’attività sportiva fino a 120 giorni). E’ da ammettere, all’opposto, che sanzioni anche diverse da quelle di carattere pecuniario e interdittivo espressamente sottratte al nuovo contenzioso debbano ottenere definizione in ambito solo federale, senza pervenire all’Alta Corte (o al Tribunale), se la lite si manifesti sprovvista di quella rilevanza che ha ottenuto esplicita enunciazione solo con riferimento alle sanzioni pecuniarie e interdittive. E’ proprio con riferimento ad un riparto di confine, che trae le sue radici dalla norma espressamente formulata a proposito delle controversie pecuniarie e interdittive, che deve rintracciarsi il discrimine tra le sanzioni sottoposte al contenzioso dell’Alta Corte (e del Tribunale) e quelle di minore rilievo assoggettate ad un contenzioso che non può superare i limiti della sede federale. E’ evidente, anzitutto, la collocazione al di sotto della linea che consente l’accesso ai nuovi organi di giustizia espressi dal CONI di sanzioni di carattere non pecuniario né interdittivo di modesto effetto afflittivo come, ad esempio, le diffide, le ammonizioni e misure similari. Più difficile prendere posizione, invece, per quanto concerne la misura che è stata irrogata nella specie (la sola sulla quale si concentrerà l’attenzione in questa sede). Ritiene il Collegio che la sanzione ora ricordata (svolgimento della partita a porte chiuse) vada senz’altro ricondotta tra quelle che, in via di principio, consentono l’accesso all’ Alta Corte (o al Tribunale). Le pesanti incidenze economiche (pur se riflesse) che si riconnettono allo svolgimento di una competizione senza presenza di pubblico (e vendita dei biglietti); la particolare ostensibilità della sanzione per le modalità della sua esecuzione (con conseguente caduta d’immagine della società, della squadra e della sua tifoseria); ancora, l’effetto incisivamente afflittivo dello svolgimento della partita nel silenzio degli spalti, privando così la squadra dei suoi tifosi e questi ultimi della possibilità di sostenere la squadra, sono dati che, tutti insieme, concorrono a far ritenere che la sanzione oggetto della presente controversia non sia, in via di principio, sottratta alla cognizione dei due nuovi organi di giustizia sportiva. Alla luce di tali considerazioni (e fermo quanto più oltre si osserverà in ordine agli ulteriori profili rilevanti della problematica) non sembrano sussistere ostacoli, sotto questo aspetto, in ordine alla cognizione di questa Alta Corte. 2. Con una ulteriore eccezione - in qualche misura collegata a quella or ora definita – si fa rilevare che la riconduzione della sanzione irrogata (disputa di una partita a porte chiuse) tra quelle sulle quali hanno titolo per pronunciare l’Alta Corte ed il Tribunale, non rende immancabile l’esercizio della potestas decidendi di questa Alta Corte, adita con il presente ricorso. Ed invero l’art. 12 bis dello Statuto del CONI e le norme del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, con le quali si è data attuazione alla detta disciplina, consentono al nuovo organo di negare la propria cognizione quando la concreta vicenda sottoposta al suo esame non rivesta, in fatto o diritto, interesse ai fini della esplicazione delle sue funzioni. Anche tale eccezione va disattesa. Effettivamente la normativa in precedenza ricordata consente a questa Alta Corte di declinare l’esercizio delle proprie attribuzioni quando la fattispecie – in punto di fatto e di diritto – risulti non meritevole di conseguire una sua decisione. Si ritiene, però, che, nella specie, non sussistano le condizioni che consentono alla Corte di disporre del diniego di ogni pronuncia. Le questioni dedotte – anche perché la presente controversia è la prima portata all’Alta Corte – rivestono grande rilievo sia a livello sostanziale che processuale per l’ordinamento nazionale sportivo. Per quel che attiene ai profili sostantivi, va rilevato che si discute, in questa sede, di cori discriminatori sul piano razziale (una problematica particolarmente avvertita in questi ultimi tempi). Per quel che attiene agli aspetti processuali, basti solo rilevare le complesse problematiche – sollevate proprio dall’impegnata difesa della FIGC – che vengono prospettate in questa sede. Va, perciò, definita negativamente la istanza con cui si chiede all’Alta Corte di rifiutare qualunque pronuncia nella presente controversia. 3. Con una ulteriore eccezione (invero di non solare chiarezza) sembra sostenersi dalla FIGC che il nuovo sistema contenzioso, fondato sugli ulteriori gravami proponibili all’Alta Corte e al Tribunale, non è, allo stato, in condizione di operare almeno nei confronti della FIGC. Le norme statutarie del CONI, istitutive dei nuovi organi (in particolare l’art. 12 dello Statuto), - si afferma - nella consapevolezza di intervenire in aree, come quelle della giustizia sportiva, estranee alla competenza normativa del CONI, avrebbero dovuto essere recepite negli ordinamenti federali dagli statuti e dai regolamenti delle singole Federazioni sportive nazionali. L’eccezione – frutto di un fraintendimento del sistema – deve essere disattesa. Non è dubbio che il CONI – istituzione inserita, ad un tempo, (come ente pubblico) nell’ordinamento della Repubblica Italiana e nell’ordinamento sportivo internazionale avente il suo vertice nel CIO – ha titolo, al pari delle Federazioni, a dar vita, avvalendosi dell’autonomia al CONI espressamente riconosciuta anche dalla legislazione statale, ad organismi di giustizia sportiva chiamati ad esercitare la propria iurisdictio a sviluppo e completamento della precedente fase di giustizia federale, in quelle ipotesi nelle quali il CONI ritenga di introdurre un’ulteriore fase di contenzioso esofederale. Confermano la spettanza al CONI degli anzidetti poteri regolatori univoci sintomi desunti dalla normativa vigente. L’art. 1 del D.L. n. 220/03 (convertito nella L. 280/03), dopo aver conclamato che “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale…”, stabilisce, all’art. 2 lett. a (con evidente riferimento a competenze anche contenziose distribuite a più livelli dell’ordinamento sportivo: CONI, Federazioni), che l’ordinamento sportivo nazionale si scompone, a sua volta, in “interne articolazioni” (l’ordinamento facente capo al CONI e gli ordinamenti che hanno come loro punto di riferimento le Federazioni sportive nazionali). Un testuale riconoscimento del potere normativo del CONI in tema di organizzazione e funzionamento della giustizia sportiva si ricava, infine, dalla disposizione che accorda l’accesso alla giurisdizione statale, per controversie sportive rilevanti anche in quest’ultimo ordinamento, previo esperimento del contenzioso sportivo interno “secondo le previsioni degli statuti” del CONI e delle Federazioni sportive: una formula che si risolve nell’esplicito riconoscimento sia della giustizia sportiva in sede CONI che di quella di rango federale. Non contrasta con tali conclusioni l’art. 12 (nuova versione) dello Statuto del CONI (la norma sulla quale la FIGC costruisce il suo assunto in ordine alla carenza in capo al CONI di poteri normativi in tema di giustizia sportiva). A parte quanto or ora si è detto in ordine alla disciplina primaria statale, va qui ricordato che al citato art. 12 (da leggere in connessione con i successivi articoli 12 ter e 22) va conferito un significato del tutto diverso da quello postulato dalla FIGC. La norma in questione, infatti, mira solo a disporre che gli statuti e i regolamenti federali possano inserire, nella loro trama, clausole compromissorie attributive di poteri cognitori alla giustizia arbitrale gestita dal Tribunale, curando di acquisire, da parte dei propri affiliati, iscritti, ecc. (i soggetti con i quali potranno insorgere le future controversie), l’esplicita adesione alla clausola stessa. E’ fuori discussione, in un quadro siffatto, la piena riconducibilità alla normativa di paternità del CONI dei nuovi organi di giustizia e delle norme concernenti competenze e procedure contenziose destinate ad ottenere svolgimento dinanzi ai predetti organismi. 4. Nel presupposto che le singole Federazioni abbiano titolo a decidere del regime da attribuire alle pronunce adottate in sede contenziosa, si ricorda che - ai sensi dell’art. 30 dello statuto federale, adottato dall’Assemblea Straordinaria il 22 gennaio 2007 e successivamente emendato con deliberazione del Commissario straordinario n. 80/CS del 6 marzo 2007 - restano sottratte al contenzioso della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport le pronunce contenziose federali della FIGC aventi ad oggetto sanzioni pecuniarie di importo inferiore a 50.000 euro, perdita a tavolino della gara, sottrazione di punteggi, squalifiche di campo e disputa della partita a porte chiuse. Ora – afferma la resistente FIGC – la presente controversia (rivolta contro una sanzione che impone lo svolgimento a porte chiuse di una gara) non può ottenere definizione in questa sede trattandosi di misura sanzionatorio sottratta al sindacato di questa Alta Corte. Anche tale eccezione non può essere condivisa. E’, in primo luogo, tutta da dimostrare la perdurante operatività del citato art. 30 dello Statuto federale, incidente in campo di azione riservato ai poteri regolatori del CONI che ha provveduto ad esercitare le sue competenze disponendo, con gli artt. 12, 12 bis e 12 ter del suo Statuto, che le sole decisioni federali relative a sanzioni sportive non suscettibili di reclamo innanzi ai nuovi organi di giustizia sportiva (Alta Corte e Tribunale) sono - come avanti si è ricordato – le sanzioni pecuniarie inferiori a € 10.000; le sanzioni interdittive di durata minore di 120 giorni e, secondo la linea interpretativa alla quale si è ritenuto di prestare adesione (vedi par. 1 della presente motivazione in diritto), le altre sanzioni non patrimoniali né interdittive irrogate per violazioni di modesta rilevanza. Ma, a parte questi rilievi – che pur sono decisivi ed assorbenti – resta l’osservazione che il citato art. 30 dello Statuto FIGC assume, a proprio obiettivo, quello di sottrarre ad ogni impugnazione le decisioni federali (facenti capo alla FIGC) per le quali risultava previsto il ricorso innanzi alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport. L’espresso riferimento della norma a tale organo (non più in vita), diversamente composto e con attribuzioni ben differenti da quelle dei nuovi organi di giustizia sportiva, rendono infondato l’assunto, propugnato in questa sede, secondo cui la norma sarebbe rivolta ad impedire, “al buio”, non soltanto alla soppressa Camera, ma anche a qualunque altro organismo futuro di conoscere delle decisioni un tempo sottratte al sindacato della Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport. 5. Con un’ultima eccezione la FIGC - nel presupposto che questa Alta Corte possa solo conoscere di controversie relative ai diritti indisponibili e interessi legittimi – afferma che le sanzioni sportive (compresa la sanzione che contempla la disputa della partita a porte chiuse) si inscrivono – come risulta anche dalla attitudine delle stesse a formare oggetto di transazione in sede conciliativa – tra le controversie relative a diritti disponibili, non conoscibili da questa Alta Corte. Anche tale eccezione va disattesa. Va, infatti, chiarito che la cognizione delle liti in tema di sanzioni sportive da parte di questa Alta Corte risulta testualmente riconosciuta dalle norme che definiscono le attribuzioni di detta istituzione: l’articolo 1, comma 4, del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva – proprio nel presupposto di una competenza in area sanzionatoria dell’Alta Corte anche in materia di sanzioni sportive – sottrae a quest’ultima solo le sanzioni sportive minori di cui in precedenza si è detto (sanzioni inferiori a 10.000 euro; sospensione di attività per non più di 120 giorni; ulteriori liti di modesto rilievo, liti che la stessa Alta Corte decide di non definire). A parte ciò va osservato – facendo perno sul chiaro tenore degli articoli 12 ter e 22 dello Statuto del CONI e sulle norme codicistiche di attuazione, dettate sia per l’Alta Corte che per il Tribunale – che il riferimento alla cognizione da parte dell’Alta Corte delle liti relative a diritti indisponibili (e interessi legittimi), in contrapposizione alle controversie concernenti diritti disponibili o solo rilevanti per l’ordinamento sportivo, non introduce in alcun modo limiti all’intervento dell’Alta Corte – come vorrebbe la FIGC – ma si propone solo di circoscrivere l’intervento di quest’ultima al solo campo delle liti relative a diritti indisponibili (ed interessi legittimi). La distinzione tra le due categorie di controversie (di cui pure è traccia nella normativa) serve solo ad identificare, nell’amplissimo campo delle liti di spettanza dell’Alta Corte, quelle che – su accordo delle parti (clausola compromissoria inserita nei regolamenti e condivisa dagli affiliati; compromesso, altri accordi di analogo tenore) - sono suscettibili di venire devoluti alla competenza arbitrale. Solo, infatti, liti relative a diritti disponibili o destinate ad esaurire i propri effetti nell’ordinamento sportivo, possono venire sottratte all’Alta Corte per essere trasferite alla cognizione alternativa del contenzioso arbitrale, innanzi al Tribunale. 6. Può passarsi, ora, all’esame del merito. Per quanto attiene al primo motivo va rilevato che è inutile stabilire in questa sede se anche nell’ordinamento della giustizia sportiva trovino applicazione i principi del doppio grado di giurisdizione garantito dal 7° protocollo aggiuntivo alla Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Va osservato, a questo riguardo, in primo luogo, che, nella specie, è operante un contenzioso nel quale è garantito il doppio grado di giustizia sportiva (anzi, forse una tutela che si spinge fino a tre successivi livelli). Non soltanto ha titolo ad interloquire la Corte di giustizia federale e, in ulteriore grado, l’Alta Corte (e il Tribunale), ma lo stesso provvedimento irrogatorio della sanzione – come avveniva un tempo nel nostro ordinamento per le sanzioni disciplinari prima dell’avvento della disposizione VI^ transitoria della Costituzione - risulta adottato da un’autorità indipendente a conclusione di una procedura aperta al contraddittorio. 7. Per quel che riguarda la seconda censura va rilevato che non sono stati acquisiti elementi che consentano di affermare – come sostiene la società Juventus – che l’esito della lite innanzi alla Corte di giustizia federale è stato reso noto prima della pubblicazione, nelle forme di rito, del dispositivo. In ogni caso, quando pure questa (non commendevole) “fuga” di notizia fosse avvenuta, risulterebbe del tutto inidonea ad operare con effetti invalidanti sulla rituale pubblicazione del dispositivo e, successivamente, dell’integrale testo della sentenza. 8. Per quanto attiene alla terza e quarta censura (rivolte entrambe a contestare la sanzione irrogata alla società Juventus) deve darsi atto, anzitutto, che l’acquisizione della motivazione della decisione della Corte di giustizia federale è valsa a dimostrare la non aderenza ai contenuti del provvedimento sanzionatorio e della decisione della Corte di giustizia federale delle doglianze che erano state mosse contro il dispositivo (la sola parte della sentenza cognita nel momento dell’impugnativa). E’ rimasto così smentito, anzitutto, l’assunto secondo cui si sarebbe proceduto nella specie ad irrogare una sanzione non prevista. Ed invero si ricava chiaramente dalla decisione impugnata che i fatti per i quali si è applicata alla società Juventus la sanzione della disputa della partita a porte chiuse non sono costituiti dalla recidiva, ma da circostanze che valgono a integrare la più grave e autonoma fattispecie di cui al terzo comma dell’art. 11 del CGS. La norma ora ricordata – dopo aver affermato la responsabilità anche delle società sportive per cori, grida e ogni altra manifestazione espressiva di discriminazioni – prevede, infatti, una figura base di illecito per la quale è consentita l’irrogazione di una sanzione solo pecuniaria. Nel caso di recidiva – con riguardo sempre a figure riconducibili all’illecito della figura base – le sanzioni vengono elevate ad un maggior livello, contemplandosi, oltre alla sanzione patrimoniale, l’adozione “congiuntamente o disgiuntamente” della disputa di una o più partite a porte chiuse o con limitata presenza di spettatori (chiusura di taluni settori dello stadio). Nello stesso articolo si prevede, inoltre, anche una ulteriore fattispecie concernente comportamenti – specie se realizzati con una pluralità di condotte - di “particolare gravità” implicanti la comminatoria della sanzione relativa all’ipotesi di recidiva, di cui si è detto, nonché altre sanzioni fortemente afflittive come la retrocessione, la sottrazione di punteggio, il passaggio alla categoria inferiore ecc. Ed è evidente che tra le violazioni di questa particolare gravità vanno collocati i cori di discriminazione razziale che a più riprese sono stati espressi nello stadio torinese (arg. ex art. 3, comma 1, Cost.; d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, in l. 25 giugno 1993, n. 205; art. 8 l. 22 aprile 2005, n. 69; art. 14 Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre 1950; Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, New York 7 marzo 1966, ratificata con l. 13 ottobre 1975, n. 654; Patto internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali, New York 16 – 19 dicembre 1966, ratificato con l. 25 ottobre 1977, n. 881; Convenzione Generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro, 6 – 22 giugno 1962, ratificata con l. 13 luglio 1966, n. 657; artt. 2, comma 1, quarto periodo, e 29 del Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione Europea, ratificato con l. 3 novembre 2002, n. 454; direttiva 2000/43/CE, relativa alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; art. 2, comma 4, dello Statuto del CONI; art. 2, comma 5, dello Statuto della F.I.G.C.). La decisione impugnata, attribuendo - al pari del provvedimento irrogatorio della sanzione adottato dal giudice sportivo – giusto risalto al carattere discriminatorio dei cori intonati ripetutamente dalla tifoseria juventina (dieci volte nei due tempi della partita), ha inflitto la sanzione della disputa di una partita a porte chiuse, sanzione quest’ultima che, per effetto del richiamo delle sanzioni previste per le precedenti fattispecie, compresa la recidiva, risultava pienamente suscettibile di venire adottata come sanzione del comportamento tenuto dai sostenitori della Juventus nel caso in esame. 9. Non può condividersi, nemmeno, la censura (avanzata dopo la conoscenza della motivazione) con la quale si sostiene che, in contrasto con i generali principi, la disciplina di cui si è fatta applicazione condurrebbe all’illegittimo risultato di reprimere, in maniera meno severa, l’ipotesi di recidiva rispetto ad un illecito che – pur se grave e caratterizzato da più violazioni –risulta posto in essere in un unitario contesto di tempo e di azione. Anche tale doglianza va disattesa. La lata previsione normativa (non censurata – si noti – sotto questo riguardo dalla società ricorrente) pone a disposizione, ai fini dell’esercizio dello ius puniendi, un’ampia gamma di misure sanzionatorie da infliggere, naturalmente in ordine gradato, a seconda della gravità della fattispecie accertata. Né è esatto che le sanzioni concernenti la recidiva (richiamate al solo fine di individuare altre sanzioni suscettibili di utilizzazione nel caso di manifestazioni discriminatorie a contenuto razzista di particolare gravità poste in essere con più comportamenti) conducano all’applicazione di sanzioni meno severe nel caso di recidiva (ad esempio lo svolgimento della partita a porte chiuse). La fattispecie concernente gravi violazioni più volte ripetute, che integri l’ipotesi di recidiva, non ricade, infatti, sotto la recidiva prevista per la figura dell’illecito - base, ma sotto il trattamento della recidiva regolata dall’articolo 21 CGS che contempla per tale ipotesi un aggravamento delle sanzioni. Il ricorso va, pertanto respinto e tenuta ferma la sanzione irrogata. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA RIGETTA il ricorso SPESE interamente compensate DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 14 maggio 2009

Il Presidente Il Relatore F.to Riccardo Chieppa F.to Alberto de Roberto Il Segretario F.to Alvio La Face

Dispositivo pubblicato il 14 maggio 2009

Decisione pubblicata il 9 giugno 2009

IL Segretario F.to Alvio La Face

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