F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2009/2010 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 200/CGF del 19 Marzo 2010 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 247/CGF del 03 Maggio 2010 1) RICORSO DEL SIG. PAPARESTA GIANLUCA, TENDENTE AD OTTENERE: A) DECLARATORIA DI INC
	
                F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2009/2010 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 200/CGF del 19 Marzo  2010  e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 247/CGF del 03 Maggio  2010  
1) RICORSO DEL SIG. PAPARESTA GIANLUCA, TENDENTE AD OTTENERE: 
A) DECLARATORIA DI INCOMPETENZA DELLA COMMISSIONE DI  DISCIPLINA NAZIONALE A.I.A NEL PROCEDIMENTO AVVIATO CON ATTO DI  CONTESTAZIONE PROT. 06/PDA/IS RUOLO 06/2009-2010 DATATO 18.9.2009 E  SPEDITO IL 25.9.2009; 
 B) INTERPRETAZIONE DELL’ART. 52, COMMA 4 DEL REGOLAMENTO A.I.A. 
 Con ricorso proposto in data  23.11.2009 ed inviato alla Corte  di Giustizia Federale il  successivo 25.11.2009, a mezzo fax, il dott. Gianluca Paparesta, rappresentato e difeso dagli  Avvocati Giovanni e Gianluigi Pellegrino, proponeva  alla Corte adita istanza di regolamento di  competenza/giurisdizione, relativamente al procedimento iniziato dalla Commissione di disciplina  nazionale dell’AIA, in base all’atto di contestazione redatto il 18.9.2009 ed inviato all’attuale  istante il successivo 25.9.2009. Nel corso del medesimo atto, definito ricorso dalla difesa del  Paparesta, lo stesso arbitro chiedeva alla Corte di Giustizia Federale, in sede contenziosa, la corretta  interpretazione, ovvero la declaratoria di illegittimità dell’art. 52, comma 4, del Regolamento  dell’AIA.  In tale articolo, al quarto comma, si legge che “le norme di disciplina assicurano che  l’associato deferito abbia la possibilità di essere ascoltato, di indicare mezzi di prova a discarico e di  depositare memorie già nella fase delle indagini;  possa acquisire copia di tutti gli atti, dopo il  deferimento, e disporre di un tempo congruo per preparar la propria difesa; abbia la facoltà di essere  sentito presso le Commissioni di Disciplina eventualmente con l’assistenza di un altro associato non  rivestente cariche associative”.  A seguito della proposizione del ricorso si è instaurato il contraddittorio relativamente alle due  domande proposte dal Paparesta ed all’udienza del 21.12.2009 il procedimento, così radicato, è  stato portato all’attenzione della Corte di Giustizia Federale, in quella circostanza, poiché nelle  more del giudizio proposto era  stata depositata dalla Commissione disciplinare dell’A.I.A. la  decisione di primo grado del procedimento disciplinare istaurato nel settembre 2009, la difesa del  Paparesta ha chiesto il rinvio della audizione per  poter articolare ulteriormente, alla luce del  provvedimento sopravvenuto, la propria difesa  La vertenza è stata nuovamente chiamata, innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Giustizia  Federale all’adunanza del 9 febbraio 2010, nel corso  della quale è stata svolta la discussione, in  difesa del Paparesta, dall’Avv. Gianluigi Pellegrino.  Le su esposte ragioni vanno valutate ponendo in essere le seguenti considerazioni in diritto:   
1 - Al fine di tentare di dare una soluzione alla problematica proposta dal dott. Gianluca  Paparesta, con il ricorso portato all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Giustizia Federale,  occorre muovere dalla analisi della normativa che regolamenta i diritti e  i doveri degli iscritti  all’Associazione italiana Arbitri, nonché del regolamento di disciplina, che gli aderenti all’A.I.A.  hanno sottoscritto.  Invero, il quesito posto alla base del ricorso del Paparesta è relativo alla verifica del rapporto  sussistente tra la giurisdizione  domestica, propria dell’Associazione degli arbitri e quella della  Federazione Giuoco Calcio, che ha competenza su tutti i tesserati ad essa afferenti, compresi gli  arbitri.  Occorre muovere dal rilievo che la posizione del Paparesta è certamente quella di un associato  all’A.I.A., al quale dal deferimento operato nei suoi confronti dalla Procura dell’A.I.A. può derivare  una sanzione disciplinare di segno negativo. Il Paparesta, dunque, in quanto arbitro risulta a tutti gli  effetti assoggettato alla normativa di Giustizia Sportiva propria della Federcalcio ed, inoltre, è  vincolato, nei limiti della giurisdizione domestica,  alle regole proprie dettate, per gli arbitri dal  regolamento di disciplina loro proprio.  Il tema che discende da questo stato di cose è quello di comprendere quali siano, in concreto, i  comportamenti asseritamene “illeciti” posti in essere dal Paparesta e verificare se gli stessi siano  assoggettati alla giustizia domestica dell’A.I.A. o a quella, estesa a tutti i tesserati, della  Federazione.  Va, preliminarmente, verificato se la Corte di Giustizia ha tale potere.  Appare evidente che, anche nella non chiarissima formulazione della normativa, contenuta nel  Codice di Giustizia Sportiva della Federcalcio, il  compito di effettuare la verificazione della  giurisdizione spetta alle Sezioni Unite della Corte di Giustizia Federale, che costituiscono l’organo  di vertice della Giustizia sportiva endo-federale ed in quanto tale sono investite della  regolamentazione della giurisdizione all’interno della Federcalcio; tuttavia l’art. 34 dello Statuto  della F.I.G.C., garantisce la regolamentazione interna della “giurisdizione” solo a seguito di un atto  di impulso del Presidente Federale, che nel caso in esame non è stato posto in essere.  Pertanto, pur palesandosi l’inammissibilità del ricorso appare opportuno, per ragioni  sistematiche, procedere all’analisi della normativa interna all’A.I.A che, con l’art. 3, comma 1, del  Regolamento, chiarisce che “gli arbitri sono sottoposti alla potestà disciplinare degli Organi della  Giustizia Sportiva della F.I.G.C. per la violazione delle norme federali”.  Il successivo comma, dello stesso art. 3, integra la prima affermazione e puntualizza che gli  arbitri “sono sottoposti alla giurisdizione domestica dell’A.I.A. per le violazioni degli obblighi  associativi specificamente disciplinati dall’art. 40, commi terzo e quarto del presente regolamento e  per la violazione delle norme secondarie interne, purchè le questioni non riguardino, in alcun modo,  altri tesserati o società”.  Dalla analisi di queste prime norme, che regolano i rapporti tra la giurisdizione domestica  dell’A.I.A. e la restante giurisdizione della  Federazione, emerge che esclusivamente per la  violazione degli obblighi previsti dai commi terzo e quarto, dell’art. 40 del Regolamento dell’A.I.A,  gli arbitri possono essere sottratti alla più ampia competenza giurisdizionale della F.I.G.C ed essere  giudicati dagli organi di giustizia interni all’A.I.A., tale eccezione, peraltro, non opera nell’ipotesi  in cui il comportamento del arbitro, pur lesivo dell’art. 40 del Regolamento A.I.A. o delle norme  interne di carattere secondario, coinvolga anche altri tesserati o società.  Fatta questa premessa è necessario verificare quali siano gli obblighi associativi previsti dal  terzo e dal quarto comma dell’art. 40 (doveri degli arbitri), la cui violazione legittima la competenza  propria degli organi di giustizia interna all’A.I.A.  Invero, i due commi dell’art. 40, richiamati dall’art. 3 del regolamento A.I.A., contengono: il  primo (terzo comma) un lungo elenco di prescrizioni cui gli arbitri “in ragione della pubblicità del  loro ruolo” sono obbligati ad attenersi; il secondo (comma quarto) integra  la descrizione puntuale  (non a titolo meramente esemplificativo) dei divieti a cui gli arbitri devono assoggettarsi.  Dall’analisi generale di detti rilievi (prescrizioni ed obblighi) emerge, chiaramente, che non ci  si trova in presenza di divieti relativi ad attività di carattere squisitamente tecnico, attinenti alla  funzione arbitrale, ma si è anche in presenza di violazioni comportamentali che impongono, però, il   giudizio di organismi di Giustizia domestica altamente specializzati, come lo sono quelli previsti  dall’art. 28 del Regolamento A.I.A., composti appunto da arbitri benemeriti o da arbitri fuori quadro  (art. 29, comma 3) e, pertanto, particolarmente adatti a giudicare “mancanze” di ordine tecnico e/o  comportamentale.  Alla luce di quanto sopra occorre ora vedere, in dettaglio, quali siano state le doglianze mosse  nei confronti del Paparesta.  Come emerge dal deferimento formulato nei confronti dell’arbitro allo stesso viene contestata  la violazione dell’art. 40, comma 3, lett. a), nonchè dell’art. 40,  comma 4, lett. d) ed e), del  Regolamento A.I.A. “per avere rilasciato interviste senza le prescritte autorizzazioni del Presidente  dell’A.I.A., pubblicate da organi di stampa e trasmesse da programmi televisivi”. Inoltre, al dott.  Paparesta viene contestata la violazione dell’art. 40, comma 3, lett. a)  e comma 4, lett. d), “per aver  aperto senza la prescritta autorizzazione del Presidente A.I.A. il sito internet (www.paparesta.com)  contenente dichiarazioni e commenti sulle attività  da lui svolte e sulla sua posizione arbitrale,  all’interno del quale sito erano anche riportate interamente le interviste di cui alla contestazione  precedente”.  Allo stesso Paparesta si contesta la violazione dell’art 40, comma 1 e comma 3, lett. a), b) e c),  per aver espresso e riportato nelle varie interviste, rese disponibili sul sito e negli articoli (di cui alle  contestazioni precedenti) dichiarazioni e valutazioni lesive della credibilità e della immagine  dell’A.I.A. e di alcuni suoi dirigenti ed associati.  Infine, all’incolpato viene contestata la violazione dell’art. 40, comma 3, lett. a ) ed e) per non  aver accettato la decisione del Comitato nazionale dell’A.I.A. del 4 luglio 2008 ed aver presentato,  nel dicembre 2008, un ricorso al TAR del Lazio, recando, in tal modo, “danno all’immagine della  Associazione per la notorietà dei fatti”.  In sostanza al dott. Paparesta vengono, nelle  diverse contestazioni a lui mosse, con il  deferimento del 18 settembre 2009, imputate violazioni dell’art. 40, comma 3, lett. a) cioè l’obbligo  di “osservare il presente regolamento, le norme  secondarie ed ogni altra  direttiva o disposizione  emanata dai competenti organi associativi,  nonché a rispettare il codice di etica e di  comportamento”; dell’art. 40, comma 1, che prescrive che: “gli arbitri sono tenuti a svolgere le  proprie funzioni con lealtà sportiva, in osservanza dei principi di terzietà, imparzialità ed  indipendenza di giudizio, nonché a comportarsi in ogni rapporto, comunque riferibile alle attività  sportive, con trasparenza, correttezza e probità”.  Inoltre, al Paparesta viene imputata la  violazione del terzo comma dell’art. 40 del  Regolamento alle lett. b), c), d) ed e) che, per comodità di analisi, di seguito di trascrivono:  b) a mantenere tra loro rapporti verbali ed epistolari secondo i principi di colleganza e di  rispetto dei ruoli istituzionali ricoperti;  c) ad improntare il loro comportamento, anche  estraneo allo svolgimento della attività  sportiva nei rapporti con colleghi e terzi, rispettoso dei principio di lealtà, trasparenza, rettitudine,  della comune morale a difesa della credibilità ed immagine dell’A.I.A. e del loro ruolo arbitrale;  d) a non adire qualsiasi via legale nei confronti di altri tesserati F.I.G.C. e associati per fatti  inerenti e comunque connessi con l’attività tecnica sportiva e la vita associativa, senza averne fatto  preventiva richiesta scritta al Presidente dell’A.I.A. e senza aver poi ottenuto dal Presidente  F.I.G.C. la relativa autorizzazione scritta a procedervi nei confronti di altri tesserati e direttamente  dal Presidente dell’AIA nei confronti di altri associati, salvo dopo il decorso di 60 giorni dalla  richiesta in assenza di riposta;  e) ad accettare, in ragione della loro appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo e dei  vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo, rinunciando ad adire qualsiasi Autorità  Giudiziaria, la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C. o  dall’AIA, dai suoi Organi o soggetti delegati nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento  dell’attività federale, nonché nelle relative vertenza di carattere tecnico, disciplinare ed economico.  Viene, inoltre, contestata al Paparesta la violazione delle lett. d) ed e) del quarto comma dell’art. 40  che, sempre per comodità di indagine, di seguito di trascrivono:  d) di fare dichiarazioni in luogo pubblico anche a mezzo e-mail o propri siti internet, di  partecipare a gruppi di discussione, mailing list, forum, blog o simili, di fare dichiarazioni in   qualsiasi forma e di rilasciare interviste, a qualsiasi mezzo di informazione, che attengano le gare  dirette e gli incarichi espletati, salvo espressa autorizzazione del Presidente dell’A.I.A.. Gli arbitri  possono liberamente rilasciare dichiarazioni ed interviste sulle prestazioni espletate, solo dopo che  il Giudice Sportivo ha deliberato in merito alle  gare, purchè consistano in meri chiarimenti o  precisazioni e non comportino alcun riferimento alla valutazione del comportamento tecnico e  disciplinare dei singoli tesserati;  e) di intrattenere rapporti professionali e  di collaborazione in qualsiasi forma anche  occasionale e non continuativa con i mezzi di informazione su argomenti inerenti il giuoco del  calcio. Gli arbitri, previa autorizzazione del Presidente dell’A.I.A. possono rilasciare dichiarazioni  ed interviste si argomenti di carattere generale oppure riguardati l’attività dell’A.I.A. e della  F.I.G.C. nel rispetto del Codice di Giustizia Sportiva.  Pertanto, tutte le considerazioni mosse al Paparesta ed in precedenza esaminate rientrano tra  quelle di competenza della giurisdizione domestica dell’A.I.A., anche se è necessario rilevare, che,  in virtù di quanto ricordato, la giurisdizione dell’A.I.A. è limitata esclusivamente a quanto disposto  dai commi terzo e quarto dell’art. 40 del regolamento, e non può, in alcun caso, conoscere delle  violazioni al primo comma dello stesso art. 40, ovvero può farlo solo se le stesse sono  attuativamente coordinate a quelle dei commi  terzo e quarto, gli  unici – come detto - che  legittimano la competenza delle Commissioni di disciplina dell’A.I.A.  Tuttavia, non ci si può esimere, nel caso in esame, che implica la valutazione della  competenza giurisdizionale, da una analisi puntuale delle contestazioni mosse all’arbitro al fine di  verificare se ci si trova in presenza di contestazioni di natura tecnica e comportamentale, che  presupppongono la competenza degli organi di Giustizia interni all’A.I.A, oppure di contestazioni  di carattere “deontologico”, che integrando le violazioni all’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva  della Federcalcio non possono essere sottratte alla competenza della Giustizia Federale, che opera  nei confronti di tutti i tesserati, senza alcuna possibile eccezione.  Nel caso in esame, dunque, si è in presenza di contestazioni mosse  al dott. Paparesta  squisitamente di natura disciplinare, in quanto allo stesso vengono addebitate “esternazioni”, quali il  rilascio di interviste o  la pubblicazione delle stesse interviste su  di un sito, aperto dello stesso  arbitro senza la prescritta autorizzazione, che implicano – come si è detto – possibili violazioni  idonee ad intaccare la credibilità della funzione arbitrale. Invero, le incolpazioni mosse all’arbitro,  rilevabili della Procura arbitrale, integrando fattispecie di carattere squisitamente tecnico e  comportamentale danno luogo alla attenzione di un Giudice domestico, particolarmente qualificato,  in quanto formato da ex arbitri, a valutare questo tipo di mancanze. Nel caso in esame, dunque, 
sussiste la competenza giurisdizionale interna dell’A.I.A., anche se il ricorso in esame non essendo  stato proposto dal Presidente Federale, come prescrive l’art. 34 dello Statuto Federale, deve essere  dichiarato inammibile.  Il secondo quesito, proposto con il ricorso introduttivo della presente fase della vertenza, è  relativo alla interpretazione dell’art. 52, comma 4, del Regolamento dell’A.I.A. del quale si lamenta  la preclusone, per l’arbitro incolpato, ad essere assistito da un difensore di fiducia.  Il motivo di doglianza deve essere dichiarato irricevibile in quanto la competenza ad  interpretare le norme non spetta alla Corte Federale, investita dei poteri giurisdizionali, ma tale  competenza è attribuita, dall’art. 34, comma 12, dello Statuto, alla stessa Corte Federale, ma con  funzioni consultive, ed è, pertanto, ad essa, con le modalità previste dalla normativa, che deve  essere proposto il quesito, non esistendo il potere di trasmettere d’ufficio la questione all’attenzione  della sezione consultiva di questa stessa Corte Federale.  Per questi motivi la C.G.F., dichiara inammissibile il ricorso come sopra proposto dal signor  Paparesta Gianluca.   Dispone incamerarsi la tassa reclamo 
                 
                
                
                
                
                
                
                
                
                
                
                                
				
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