CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 28 gennaio 2010 promosso da: Sig. Pasquale Gallo contro Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 28 gennaio 2010 promosso da: Sig. Pasquale Gallo contro Federazione Italiana Giuoco Calcio IL COLLEGIO ARBITRALE Avv. Gabriella Calmieri (Presidente) Prof. Avv. Massimo Zaccheo (Arbitro) Cons. Armando Pozzi (Arbitro) riunito in Roma, presso la sede del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in data 28 gennaio 2010 ha deliberato il seguente LODO nel procedimento di arbitrato (prot. n. 0866 del 5 maggio 2009) promosso da: Sig. Pasquale Gallo, con gli Avv.ti Paolo Rodella e Maurilio Prioreschi parte istante contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, con gli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli parte intimata FATTO Con istanza di arbitrato proposta ai sensi dell’art. 9 e seg. del Codice del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (di seguito, per brevità, “Codice”), il sig. Pasquale Gallo (di seguito, per brevità, anche “istante”, “ricorrente” o la “parte istante”) ha presentato istanza di arbitrato nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito, per brevità, anche “l’intimata”, “la parte intimata”, “la Federazione” o “la FIGC”), impugnando impugnando la decisione della Corte di Giustizia Federale (di seguito, per brevità, anche “CGF”) emessa con Comunicato Ufficiale n. 163/CGF del 7 aprile 2009, con la quale gli è stata inflitta la sanzione della sospensione dall’Albo degli Agenti di calciatori nella misura di mesi dodici e la sanzione pecuniaria di € 50.000,00 (euro cinquantamila). Nell’istanza di arbitrato il sig. Pasquale Gallo presentava, ex art. 23 del Codice, istanza cautelare chiedendo la sospensione dell’ “(…) efficacia coattiva del provvedimento (de quo), tanto con riferimento ai suoi contenuti di natura inibitoria (dodici mesi di sospensione) quanto a quelli di carattere più propriamente economico (sanzione di € 50.000)”. In via subordinata l’istante chiedeva “(…) quanto meno la sospensione dell’efficacia esecutiva della abnorme sanzione economica di € 50.000.” Il ricorrente nominava quale proprio arbitro, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. g) del Codice, il Prof. Avv. assimo Zaccheo. In data 6 maggio 2009, il Presidente del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (di seguito, per brevità, “Presidente del Tribunale” o “il Presidente del Tribunale”) assumeva un provvedimento (n. 0881) con il quale sospendeva il provvedimento, impugnato dal ricorrente nel solo dispositivo, fino all’adozione di altra determinazione presidenziale che verrà assunta nei cinque giorni successivi alla ricezione del testo integrale della pronuncia della Corte di Giustizia Federale da parte della Segreteria del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport. Il Presidente del Tribunale motivava l’assunzione di suddetto provvedimento rilevando che la mancata acquisizione della decisione nel suo testo integrale, nonostante il decorso dei quindici giorni di cui all’art. 34, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, impediva – per fatto non addebitabile al ricorrente – una precisa valutazione del fumus boni iuris delle pretese da quest’ultimo accampate. Il Presidente del Tribunale, inoltre, rilevava l’evidenza, nella specie, il danno grave e irreparabile lamentato, soprattutto per quanto concerneva l’interdizione all’ulteriore svolgimento dell’attività professionale; In data 22 maggio 2009 (prot. n. 1003) il sig. Pasquale Gallo presentava un’ulteriore istanza al Presidente del Tribunale con la quale, argomentando, chiedeva il mantenimento dell’efficacia del provvedimento cautelare concesso e la remissione all’organo arbitrale per le ulteriori relative decisioni. Con memoria depositata in data 25 maggio 2009, prot. n. 1011, si costituiva la FIGC, che concludeva chiedendo «… che l’istanza avversaria venga respinta, anche con riferimento alla domanda cautelare, perché infondata nel merito. Con condanna della parte istante alle spese del [presente] procedimento, inclusi i diritti amministrativi versati ai sensi dell’art. 26, comma 3, del Codice dei giudizi innanzi al TNAS». La FIGC nominava quale proprio arbitro di parte il Cons. Armando Pozzi. Il Prof. Avv. Massimo Zaccheo e il Cons. Armando Pozzi accettavano l’incarico e, ex art. 6, comma 3, del Codice individuavano nell’Avv. Gabriella Palmieri il terzo arbitro con funzioni di Presidente del Collegio arbitrale, la quale accettava l’incarico. Il Collegio Arbitrale fissava la prima udienza per il 16 giugno 2009. Nel corso dell’udienza le parti dichiaravano di accettare l’adesione alla procedura arbitrale disciplinata dal Codice e la composizione del Collegio arbitrale, dichiarando, inoltre, di non avere alcun motivo di ricusazione nei confronti dei componenti del Collegio. Il Collegio arbitrale esperiva senza esito il tentativo di conciliazione previsto dall’art. 20, commi 1 e 2, del Codice. Il Collegio arbitrale onerava la parte più diligente a depositare presso la Segreteria del Tribunale il testo integrale della pronuncia della pronuncia della Corte di giustizia federale entro il termine del 22 giugno 2009. Il Collegio arbitrale, concedeva alla parte istante termine per il deposito di motivi aggiunti sulla motivazione della Corte di giustizia federale e il deposito di istante istruttorie; alle parti per memorie; alle parti per ulteriori memorie e conclusioni. Le parti – il sig. Pasquale Gallo con atto scritto depositato in data 17 giugno 2009 (prot. n. 1190) e la FIGC con la sottoscrizione del verbale di udienza - autorizzavano, di comune intesa, il Collegio arbitrale, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del Codice, a prorogare il termine di pronuncia del lodo di ulteriori sessanta giorni a far data dalla scadenza di cui all’art. 25, comma 1, del Codice. Il Collegio arbitrale fissava l’udienza discussione per il 29 settembre 2009. Con ordinanza n. 1183 del 16 giugno 2009, il Collegio arbitrale accoglieva l’istanza cautelare presentata dal sig. Pasquale Gallo: 1. rilevato che ancora non erano state acquisite le motivazioni del provvedimento del 7 aprile 2009 della Corte di giustizia federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio, pubblicato con C.U. n. 163/CGF; 2. ritenuto, pertanto, che, allo stato, permanevano le ragioni poste a fondamento del predetto provvedimento cautelare assunto dal Presidente del Tribunale; 3. e visto il termine del 22 giugno 2009 concesso alla parte istante per il deposito di motivi aggiunti sulla motivazione del provvedimento della Corte di giustizia federale In data 16 giugno 2009 la FIGC depositava il Comunicato Ufficiale n. 189/CGF del 20 maggio 2009, contenente le motivazioni della decisione impugnata dal sig. Pasquale Gallo. In data 22 giugno 2009 la parte istante depositava motivi aggiunti, argomentando sull’istanza cautelare. Il Collegio arbitrale, in data 24 giugno 2009, emetteva un’ordinanza (n. 1265) con la quale accoglieva la domanda cautelare presentata dalla parte istante privata e, per l’effetto, sospendeva il provvedimento di interdizione temporanea della stessa parte dall’attività professionale di Agente di calciatori e la sanzione pecuniaria irrogategli. Il Collegio arbitrale motivava la propria decisione considerando che, nella valutazione dei contrapposti interessi - quello pubblico alla corretta e trasparente gestione dei rapporti negoziali tra Agenti e calciatori e quello privato all’esercizio dell’attività professionale – allo stato e tenuto conto delle risultanze del processo penale che aveva visto l’istante assolto dalle imputazioni ascrittegli, appariva prevalente l’interesse dell’Agente a proseguire la propria attività professionale. Il Collegio, inoltre, riteneva meritevole di accoglimento l’istanza cautelare presentata dal sig. Pasquale Gallo, ritenendo che la preclusione, seppure temporanea, all’esercizio della professione di Agente di calciatori avrebbe determinato al sig. Gallo un danno grave ed irreparabile, sia per l’aspetto funzionale, sia per l’immagine, danno che, da un esame degli atti allo stato in possesso del Collegio e all’esito della sommaria delibazione di questa fase del giudizio, sarebbero potuti andare ad incidere sugli interessi della Federazione Italiana Giuoco Calcio. In data 13 luglio 2009 la parte intimata depositava una memoria autorizzata (prot. n. 1312), nella quale concludeva insistendo “…che l’istanza avversaria venga respinta, perché infondata nel merito. Con condanna della parte istante alle spese del [presente] procedimento, inclusi i diritti amministrativi versati ai sensi dell’art. 26, comma 3, del Codice dei giudizi dinanzi al TNAS”. Nella medesima data del 13 luglio 2009 anche la parte istante depositava una memoria autorizzata, nella quale insisteva nelle conclusioni rassegnate nell’interesse del sig. Pasquale Gallo e confidava nell’accoglimento. In data 29 luglio 2009, sia la parte istante, sia la parte intimata depositavano memorie autorizzate di replica: la parte istante concludeva insistendo nelle conclusioni già rassegnate nell’interesse del sig. Gallo e confidava nell’accoglimento (prot. n. 1449); la parte intimata concludeva insistendo “(…) affinché l’istanza avversaria venga respinta, in quanto infondata nel merito (…)” (prot. n. 1452). Il Collegio arbitrale, in data 12 ottobre 2009, emetteva un’ordinanza con la quale prorogava il termine di pronuncia del lodo di ulteriori novanta giorni. Il Collegio arbitrale, infatti, ravvisava una connessione della controversia con quelle instaurate dal sig. Francesco Zavaglia (prot. n. 0853 del 5 maggio 2009) e dal sig. Alessandro Moggi (prot. n. 0865 del 5 maggio 2009) nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio e, pertanto, riteneva opportuno procedere a una trattazione unitaria delle tre controversie arbitrali. Il Collegio arbitrale, in data 23 novembre 2009, emetteva una quarta ordinanza con la quale fissava un termine per entrambe le parti per il deposito di memorie conclusionali e, fatta salva la facoltà delle parti di rinunciarvi, fissava l’udienza di discussione. In data 11 dicembre 2009, entrambe le parti depositavano le proprie memorie conclusionali e, visto che le parti, congiuntamente, rinunciavano all’udienza di discussione, tratteneva la causa in decisione. DIRITTO Si riassumono brevemente i profili di censura sollevati dall’istante. 1 - IMPROCEDIBILITA’ ED IRREGOLARITA’ DEL GIUDIZIO DISCIPLINARE. Le indagini, iniziate nel corso della stagione sportiva 2005-2006, avendo la Commissione Agenti calciatori deciso in data 30 maggio 2006 di avviare procedimento disciplinare nei confronti dei sigg.ri Alessandro Moggi, Francesco Zavaglia, Riccardo Calleri e Pasquale Gallo, avrebbero dovuto concludersi prima dell’inizio della stagione successiva 2006 - 2007, così come disposto dall’art. 27, comma 6, del Codice di Giustizia Sportiva (di seguito CGS). Non essendosi ciò verificato e non essendo stata richiesta alcuna proroga, il procedimento dovrebbe essere dichiarato improcedibile perché perento al 30 giugno 2006. Né, peraltro, una proroga delle indagini è mai stata richiesta (e conseguentemente ottenuta) nel passaggio dalla stagione sportiva 2005 - 2006 alla stagione sportiva 2006 - 2007. La prova di ciò sarebbe fornita dalla stessa Procura Federale, la quale si preoccupa di documentare richiesta e concessione della proroga relativamente, però, all’anno successivo, cioè, quella ottenuta con provvedimento della Corte di Giustizia Federale in data 25 luglio 2007, ma relativa al passaggio dalla stagione sportiva 2006 - 2007 alla stagione sportiva 2007 - 2008. Assume l’istante che, con specifico riguardo al doc. n. 19 allegato all’Atto di Deferimento e, più in particolare, quello che ivi viene definito “l’accluso elenco” delle indagini (per le quali, in data 28 giugno 2007, l’allora Capo dell’Ufficio Indagini dr. Francesco Saverio Borrelli avanzava richiesta di proroga) ci si può rendere agevolmente conto che l’indagine in esame viene contrassegnata con la “data di apertura 03.10.2006” (cioè stagione sportiva 2006/2007), quando, invece, i fatti sottesi a tale indagine, la denuncia degli stessi e la formale apertura del relativo procedimento disciplinare da parte della Commissione Agenti di Calciatori, risalgono, come detto, alla stagione sportiva precedente 2005 - 2006. Né, secondo l’interessato, potrebbe condividersi la tesi “incertamente” prospettata dalla Procura Federale nel corso dell’udienza del 7 aprile 2009, secondo la quale – a giustificazione della mancata richiesta della proroga - si è sostenuto che l’allora Ufficio indagini non avrebbe potuto, in concreto, avanzare tale richiesta essendo, all’epoca, il potere di indagine attribuito in via esclusiva alla Commissione Agenti di Calciatori. Una siffatta motivazione sarebbe assolutamente banale e rispetto ad essa è facile replicare che quale che fosse all’epoca l’organo titolare del potere di indagine (Commissione Agenti ovvero Ufficio Indagine) non v’è dubbio che la proroga dell’indagine avrebbe dovuto essere comunque richiesta, in conformità alla norma del CGS citata e a pena di improcedibilità del giudizio. 2 - INUTILIZZABILITA’ DEGLI ATTI DEL PROCESSO PENALE E/O SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE SINO ALLA DEFINIZIONE DEL PROCESSO STESSO. Sempre in via preliminare, si osserva, da parte dell’istante, che il procedimento disciplinare qui in contestazione (meglio, l’Atto di deferimento che ne costituisce il presupposto) si fonda, sostanzialmente, sul contenuto degli atti di indagine della Procura della Repubblica di Roma resi nell’ambito del procedimento penale n. 29606/2005 RGNR. Tali atti sarebbero stati acquisiti ex art. 2, comma 3, L. n. 401/1989 ed ai sensi degli artt. 114 e 116 del c.p.c.. Tuttavia, il citato art. 2, comma 3, della L.n. 401/1989 disciplina il rapporto tra procedimento penale per frode sportiva e procedimento disciplinare per illecito sportivo, ponendo una norma eccezionale, insuscettibile di applicazione estensiva o analogica. Solo nei casi tassativi previsti dalla norma speciale è consentito – secondo la difesa dell’istante - agli organi di disciplina sportiva di richiedere copie degli atti del procedimento penale ex art. 116 c.p.p nel rispetto dell’obbligo di riservatezza ex art. 114 stesso codice. Infatti, l’art. 2 L. n. 401/1989, ai primi due commi disciplina proprio l’autonomia tra i due ordinamenti con riferimento espresso ed esclusivo alla pendenza del procedimento penale per il reato ex art. 1 L. n. 401/89 che non impedisce il procedimento disciplinare, ovviamente per illecito sportivo. Peraltro, a conferma di tale impostazione, solo in tale caso, con l’art. 2, comma 1, L. n. 401/1989 cit., si è introdotta una eccezione ad un principio fondamentale del nostro ordinamento: quello della validità del giudicato penale. Ora, poiché il presente procedimento riguarda una contestazione che non è di illecito sportivo, gli atti del procedimento penale del Tribunale di Roma (che non aveva ad oggetto ipotesi di frode sportiva) non potevano essere richiesti dalla Procura Federale né trasmessi dall’A.G.O. e, conseguentemente, non possono ora essere utilizzati né, tanto meno, utilizzati come prova in ambito disciplinare, ove le prove sono tipizzate ex art. 35 CGS. Al riguardo, ancora in via preliminare l’istante chiede che il Tribunale adito voglia accertare e dichiarare l’inutilizzabilità, in questa sede, degli atti di indagine della Procura della Repubblica di Roma resi nell’ambito del Proc. Penale n. 29606/2005 RGNR e, per l’effetto, voglia dichiarare improcedibile il presente procedimento disciplinare per nullità dell’Atto di Deferimento che ne costituisce il presupposto. Il deferimento, comunque, risulta – secondo l’istante – mancante dei presupposti in quanto basato su dati insussistenti o, comunque, sconfessati dalle prove dibattimentali e dalla sentenza conclusiva del Tribunale penale, che ha assolto l’istante da ogni capo di imputazione. 3 – NEL MERITO delle singole contestazioni, la difesa dell’interessato osserva quanto segue in relazione ai singoli capi di imputazione. 3.1 - CONFERIMENTO DIRITTI ECONOMICI ALLA SOCIETÀ’ GEA WORLD SPA Contestazione distinta con il numero 1). In particolare, si contesta l’aver conferito alla Gea World Spa (di seguito, per brevità, anche “GEA”) i diritti derivanti da una serie di incarichi procuratori rilasciati senza che l’istante, riconosciuto come esterno e non appartenente all’organico della GEA, avesse la legale rappresentanza della predetta Società. Si trattava, invero, secondo l’assunto di parte istante, di calciatori assistiti direttamente ed esclusivamente dall’agente Gallo al di fuori di un suo rapporto di collaborazione con la GEA, alla quale era estraneo, come risulta dagli atti di causa. 3.2 – RITARDATO DEPOSITO DEI MANDATI Contestazione distinta con il numero 2) All’istante è stata contestata la violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza di cui agli artt. 1, comma 1, e 12 in relazione all’art. 15 del previgente Regolamento Agenti per avere depositato presso la Segreteria della Commissione Agenti un mandato al di fuori del termine stabilito (per il calciatore Antonio Mirante il contratto era stato sottoscritto in data 31 dicembre 2004 e depositato il 21 gennaio 2005). Si è trattato di una valutazione frutto della discrasia tra la data di spedizione e quella di effettivo ricevimento da parte della Segreteria della Commissione Agenti e, infatti, la Corte ha assolto l’istante dall’incolpazione in esame. 3.3- CONFLITTO DI INTERESSI E VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI CUI ALL’ART. 10, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO AGENTI CALCIATORI Contestazione distinta con il numero 18) Si è contestato al sig. Gallo (da solo o in associazione con altro agente, Alessandro Moggi), di aver agito in posizione di conflitto di interessi, avendo, in concorso fra loro, consentito il pagamento delle competenze dovute al sig. Alessandro Moggi dal calciatore Fresi ad opera della controparte contrattuale di quest’ultimo, la società Perugia, mediante la simulata indicazione di Gallo quale destinatario dei compensi. L’accollo del debito (cfr. documento denominato “articolo interno”) e i relativi pagamenti incassati dal sig. Gallo uniti al lodo della camera arbitrale della FIGC, con il quale è stato riconosciuto il pagamento da parte dell’A.C. Perugia al sig. Moggi, per il tramite del sig. Gallo, dei compensi dovuti al calciatore Fresi, ne sono prova inequivocabile, con ciò ledendo i valori di terzietà e di imparzialità che devono necessariamente connotare l’attività dell’Agente. Sul punto del pagamento dei compensi professionali procuratori direttamente da parte delle società calcistiche, l’istante osserva che si tratta di una prassi capillare e diffusa, seppur patologica, e derivata da esigenze di risparmio delle società - testimoniata da tutti gli agenti sentiti nel corso del procedimento disciplinare, come pure nel corso del processo penale da poco conclusosi innanzi al Tribunale Penale di Roma - in base alla quale l’Agente, anziché percepire il pagamento dei suoi compensi professionali dal calciatore che usufruisce dei suoi servizi li ottiene invece dalla società per la quale il calciatore suo assistito viene tesserato. In tale contesto non vi sarebbe alcun conflitto di interessi, poiché all’accordo partecipano tutti e tre i soggetti interessati: calciatore, agente e società calcistica. D’altra parte, osserva ancora la difesa del sig. Gallo, si tratta di una prassi ormai riconosciuta dall’art. 19.4 del Regolamento agenti FIFA obbligatoria per la FIGC a decorrere dal 31 dicembre 2009. Da questo sistema trilatero non può inferirsi alcun conflitto di interessi tra calciatore e agente, il quale ultimo, anzi, è costretto a subire il sistema stesso, stretto tra l’interesse del calciatore di non sborsare alcunché e l’interesse delle società di risparmiare una quota della cifra globale lorda da corrispondere al calciatore. D’altra parte, osserva ancora l’istante, un siffatto sistema non urta affatto (se non sul piano meramente formale) con il disposto dell’art. 10, comma 3, del REAAC, in quanto i principi del diritto civile non vietano, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., che la società si accolli il debito del calciatore in relazione al suo interesse ad acquisirne le prestazioni sportive. D’altronde, che il sistema invalso per il pagamento dei compensi procuratori non danneggi i calciatori, lo si desume anche dai numerosi avvisi di accertamento che l’Agenzia delle Entrate ha notificato a vari calciatori considerando l’accollo del loro debito da parte delle società un “fringe benefit“ da sottoporre a tassazione. In ogni caso, secondo la difesa dell’istante, si applicherebbe al caso di specie il principio di origine penalistica (ma applicabile anche al procedimento disciplinare) del “favor rei”, cioè dell’applicazione della norma successiva ove più favorevole al reo: norma da rinvenirsi nell’art. 19.4 Regolamento Agenti FIFA, in vigore dal 1° gennaio 2008, che autorizza espressamente i Clubs a pagare direttamente i compensi professionali dovuti dal calciatore al proprio agente. 3.4 L’istante conclude l’esposizione delle censure all’operato della Commissione rilevando la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni inflitte, nonché della loro contrarietà all’art. 33 Reg. Agenti FIFA, il quale limita la durata della sospensione della licenza dell’agente a soli 12 mesi, contro i diciotto mesi inflitti all’interessato. 4.- I MOTIVI AGGIUNTI 4.1 Con motivi aggiunti depositati in data 22 giugno 2009 (prot. n. 1245), il sig. Gallo ripropone le questioni preliminari già sollevate con l’atto introduttivo (improcedibilità dell’azione disciplinare disciplinare per difetto di proroga del termine per la conclusione delle indagini: art. 32 CGS; non utilizzabilità degli atti del processo penale e sospensione del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale); contesta la nullità della decisione della CGF per violazione del termine perentorio per il deposito della motivazione (artt. 34 e 38 CGS) e contesta, nel merito, la stessa decisione. In particolare: a) deduce la violazione art. 34 CGS per difetto di motivazione in ordine all’entità della sanzione; b) ripropone, illustrandole ulteriormente, le censure formulate con l’atto introduttivo, riguardanti insussistenza di ragioni di conflitto di interessi con riferimento alle situazioni parentali, in relazione al significato da dare all’art. 15 del REAAC, secondo un’interpretazione conforme ai principi generali, come desumibili dall’art. 1394 cod. civ. e dall’interpretazione giurisprudenziale fornita dalla Cassazione. 4.2 Con gli stessi motivi aggiunti l’istante esamina i capi della decisione relativi alle singole contestazioni. In particolare: a) con riguardo alle contestazione n. 1 e 2 ricorda il proscioglimento pronunciato nei suoi confronti dalla Corte; b) sulla contestazione n. 18 si richiama espressamente a quanto dedotto nell’istanza introduttiva del presente arbitrato. 4.3 - La FIGC, con memoria di costituzione e con i successivi atti difensivi, ha puntualmente e dettagliatamente contestato la fondatezza delle singole censure mosse dall’istante alla decisione della CGF. DIRITTO Vanno, innanzitutto, esaminate le questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dal sig. Gallo con l’atto introduttivo del giudizio e con i motivi aggiunti. In primo luogo va valutato il profilo di improcedibilità del procedimento disciplinare per superamento del termine stabilito dall’ottavo comma dell’art. 27 CGS, a tenore del quale “le indagini relative a fatti denunciati nel corso di una stagione sportiva devono concludersi prima dell’inizio della stagione sportiva successiva, salvo proroghe eccezionali…”. Nella specie, la norma, secondo le difese del sig. Gallo, risulterebbe violata in quanto le indagini, iniziate nella stagione calcistica 2005 – 2006, si sarebbero dovute concludere entro il 30 giugno 2006, termine in concreto ampiamente superato con conseguente consumazione del potere disciplinare. 1 - ECCEZIONI PRELIMINARI 1.1. Sul punto l’impugnata decisione della Corte Federale ha ritenuto la norma invocata dall’istante inapplicabile al caso di specie. L’argomentazione su cui la Corte ha fondato la propria statuizione va condivisa. Mette conto evidenziare, come pure ha fatto l’impugnata decisione, che l’art. 18 del REAAC, adottato con Com. Uff. n. 81 del 22.11.2001 e vigente fino al 1° febbraio 2007, data di entrata in vigore del nuovo regolamento, prevedeva che “l’accertamento delle infrazioni e l’applicazione delle sanzioni nei confronti degli agenti sono di competenza della Commissione in sede disciplinare. Per l’acquisizione dei dati relativi e per l’accertamento delle infrazioni, la Commissione può avvalersi anche dell’Ufficio Indagini e di ogni altro organo federale, chiedendo altresì ogni informazione agli iscritti che, a pena di sospensione, sono tenuti a fornirle”. Secondo la riportata disposizione, dunque, l’esercizio del potere disciplinare – nello specifico campo della responsabilità degli agenti calciatori – veniva devoluto alla Commissione degli Agenti, istituita presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio, ai sensi dell’art. 2 del Reg. citato, la quale avrebbe potuto avvalersi, con esplicita richiesta, della collaborazione anche dell’Ufficio Indagini, cioè dell’organo federale che per gli altri ambiti disciplinari, costituiva all’epoca e prima della riforma dell’ordinamento della giustizia sportiva, l’unico detentore del potere istruttorio ai fini dell’attività decisoria degli organi della giustizia sportiva individuati dal Titolo IV (artt. 23 e seg.) del CGS. In sostanza, il REAAC del 2001 aveva istituito un procedimento ed un organo disciplinare speciale, la Commissione agenti, che concentrava in sé tanto poteri istruttori che decisori, rispetto al quale l’Ufficio indagini veniva collocato in posizione eventualmente servente e strumentale, restando la Commissione “vero dominus della fase inquirente”, come esattamente osservato nella pronuncia qui censurata. 1.2 - Questo regime di specialità – che si ricomponeva ad unità in un momento successivo alla conclusione della fase disciplinare di primo grado attraverso il “raccordo con l’ordinario percorso della giustizia sportiva nella fase dell’impugnazione, per effetto della previsione compendiata al successivo comma V (dell’art. 18)”, prevedendo che “le decisioni della Commissione (agenti) sono soggette a ricorso innanzi alla Commissione di Appello Federale …“ (oggi Corte di Giustizia Federale) (cfr. pag. 5 decisione CGF) – è venuta meno solo a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina regolamentare di cui al nuovo REAAC in vigore dal febbraio 2007, in base al cui innovato art. 18 nche la cognizione di tale settore dell’ordinamento disciplinare sportivo è stata interamente attratta nella competenza degli Organi di Giustizia Sportiva. Quindi, soltanto dal 2007 l’impostazione particolare dell’assetto istituzionale della materia disciplinare degli agenti calciatori viene radicalmente ribaltato ed uniformato agli altri settori disciplinari. Infatti, l’art. 18 del nuovo regolamento settoriale dispone ora, al primo comma, che “le indagini, il deferimento e l’accertamento delle infrazioni e l’applicazione delle sanzioni nei confronti degli agenti in possesso di licenza rilasciata dalla F.I.G.C. sono di competenza degli organi di giustizia sportiva della F.I.G.C., secondo le procedure previste dallo Statuto e dai regolamenti federali in relazione ai tesserati F.I.G.C., fatte salve le eventuali previsioni specifiche del presente regolamento”. Il successivo comma 3 dello stesso articolo prevede, poi, che “a seguito di deferimento della Procura Federale, gli Agenti sono giudicati in unico grado federale dalla Commissione di Appello federale…..”. 1.3 - In base a quanto riportato, appare evidente che al momento di inizio del procedimento disciplinare in questione (maggio - giugno 2006, date rispettivamente della delibera di attivare il procedimento disciplinare e della notifica dell’atto di incolpazione) vigeva un sistema derogatorio rispetto alla disciplina generale contenuta nel CGS, improntato, nella fase iniziale e di prima istanza, al principio di specialità, che la decisione impugnata qualifica non del tutto correttamente (ma si tratta di questione terminologica non incidente sul concreto assetto delle fonti di disciplina) “di rigida separazione degli ordinamenti “. L’assunto della difesa dell’istante, teso ad affermare una semplice competenza “specifica” della commissione agenti e non anche una competenza “speciale” né tanto meno “domestica” non può, pertanto, condividersi e ciò, oltre quanto già osservato, per una serie di ulteriori ragioni. In disparte il rilievo generale che la “specificità di competenze” della commissione agenti si fonda, appunto, sulla specialità delle norme che la prevedono, va osservato in primo luogo che quella specialità si giustifica con la natura del tutto peculiare – rispetto agli interessi tipici dell’ordinamento sportivo – dell’attività degli agenti calciatori, trattandosi di attività negoziale ausiliaria, che conduce alla stipulazione dei contratti di collaborazione tra atleti e società sportive: attività in astratto espletabile anche da soggetti estranei all’ordinamento sportivo e, tuttavia, assoggettati al potere normativo ed autoritativo dei rispettivi enti esponenziali (cfr. Consiglio di stato, Sez. VI, 14 aprile 1998 , n. 473). E’ in relazione a tale particolare aspetto funzionale, solo indirettamente riferibile all’attività sportiva, che si giustifica la norma regolamentare settoriale del 2001, che sottraeva, almeno in parte, la figura dell’agente calciatori alla disciplina generale di cui al CGS ed affidava alla relativa commissione agenti poteri istruttori e decisori, secondo quanto disposto dal già citato art. 18, comma 5, del REAAC 2001, norma espressiva di un generale principio di parziale autonomia, che si ritrova in altre disposizioni dello stesso regolamento agenti, come quella dell’art. 3, comma 5, che ribadisce le speciali competenze disciplinari della commissione in materia di abuso di posizione dominante da parte dell’agente. 1.4 - In relazione a tale regime di specialità del settore professionale degli agenti si rivela, pertanto, inapplicabile la disposizione dell’art. 27, comma 8, del CGS vigente al 2006, in quanto inserito in un contesto normativo dedicato esclusivamente alle attività istruttorie rimesse a quello specifico organo di giustizia sportiva costituito dall’Ufficio indagini, non confondibile o equiparabile, per struttura e finalità, alla commissione agenti. La norma, d’altronde, con la sua tassatività temporale riferita al sub procedimento istruttorio risponde all’esigenza – trasparente dall’analoga previsione dell’art. 36, comma 2, specificatamente dedicata agli illeciti sportivi ed alla materia gestionale ed economica - di assicurare un regolare svolgimento delle competizioni sportive nell’anno successivo a quello in cui si sono verificati gli illeciti, facendo con immediatezza rilevare le violazioni delle specifiche “norme di comportamento” contenute nel Titolo I del CGS (artt. 1 e seg.), preordinate al corretto svolgimento delle competizioni calcistiche; finalità, dunque, parzialmente inconferente rispetto al codice disciplinare e deontologico degli agenti calciatori recate negli artt. 12, 14 e 16 del REAAC, tenuto distinto anche da quello disciplinare settoriale riferito alle società, per le quali l’art. 20, comma 1, dello stesso regolamento agenti tiene ferma la competenza generale degli ordinari organi di giustizia sportiva (“La società che contravviene ai divieti del presente regolamento è soggetta alle seguenti sanzioni da parte degli organi di giustizia sportiva della FIGC…”, non, dunque, della commissione agenti). 1.5 - Pertanto, il principio di salvezza e osservanza delle norme federali statutarie e regolamentari della FIGC, delle Confederazioni e della FIFA, contenuto nell’art. 21 del REAAC va coordinato con quello di specialità dell’ordinamento disciplinare sostanziale e procedimentale dei (soli) agenti calciatori, il quale, aderendosi all’impostazione unitaria della difesa del resistente, dovrebbe considerarsi addirittura illegittimo nella sua interezza, tenuto conto che l’art. 30 dello statuto della FIGC sembrerebbe rimettere l’intero ordinamento della giustizia disciplinare sportiva esclusivamente al CGS, con esclusione di qualsivoglia competenza normativa ulteriore, aggiuntiva o derogatoria. Ma sul punto nessuna censura viene mossa dalla difesa dell’interessato al REAAC, il quale, pertanto, continua a svolgere la sua efficacia normativa speciale e derogatoria dell’assetto generale dell’organizzazione e funzionamento degli organi disciplinari. 1.6 – Anche se il sistema regolamentare del 2001 presenta inconvenienti di eccessiva frammentazione rispetto alle norme generali, essi, tuttavia, ben si giustificano con la sopra rilevata natura particolare dell’attività negoziale svolta dagli agenti in questione. A tale anomalie ha inteso porre rimedio il nuovo regolamento agenti in vigore dal febbraio 2007, il cui art. 18, ribaltando l’impostazione normativa precedente ha affidato “Le indagini, il deferimento e l’accertamento delle infrazioni e l’applicazione delle sanzioni nei confronti degli Agenti in possesso di Licenza rilasciata dalla FIGC” alla esclusiva “competenza degli organi di giustizia sportiva della FIGC, secondo le procedure previste dallo Statuto e dai regolamenti federali in relazione ai tesserati FIGC, fatte salve le eventuali previsioni specifiche del presente regolamento”, lasciando alla commissione agenti semplici e limitati poteri disciplinari ausiliari, cautelari e di segnalazione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati. Le nuove disposizioni dell’innovato REAAC, tuttavia, sono inapplicabili al procedimento di cui si tratta, iniziato e proseguito nel vigore di quello precedente, le cui previsioni – ripetesi – derogavano in parte qua alla normativa generale del CGS, la cui applicazione al sub ordinamento degli agenti calciatori avrebbe potuto portare, come pure riconosciuto dalla difesa dell’istante (pag. 2 motivi aggiunti) ad “effetti di abnorme portata” o, se si vuole, ad una inapplicabilità della norma le quante volte i “fatti denunciati” fossero emersi a ridosso del termine della stagione sportiva (cosa che appunto è avvenuta nel caso di specie). 1.7 - Ad ulteriore confutazione della censura della parte istante va ancora osservato che essa si pone in evidente contraddizione con il profilo di pretesa pregiudizialità penale sollevato dalla stessa parte con conseguente pretesa alla sospensione del procedimento penale: pretesa evidentemente inconciliabile con l’altra di concludere le indagini disciplinari entro un (potenzialmente brevissimo) termine perentorio. 2 2.1 – Con riguardo all’altro profilo preliminare attinente lo stesso procedimento e relativo alla presunta non utilizzabilità degli atti del processo penale a carico, tra gli altri, di Pasquale Gallo, non formatisi in dibattimento, ma solo nella fase delle indagini preliminari, si osserva quanto segue. Sul punto, il Collegio di prime cure, le cui statuizioni vengono in questa sede censurate, pur prendendo atto che, nella scansione ordinaria del procedimento di formazione della prova penale, gli elementi di conoscenza, per poter assurgere a dignità di prova, debbono essere “veicolati nel dibattimento e superare il vaglio critico della dialettica processuale”, ha, tuttavia, ritenuto che “il descritto approccio metodologico riflette caratteri di cogenza solo ed esclusivamente nell’ambito del procedimento penale e non può essere riproposto, con la pretesa automaticità, in altri settori dell’ordinamento, vieppiù se contraddistinti – come quello sportivo – da una spiccata autonomia”, secondo quanto previsto dall’art. 2 della citata L. n. 401/1989 e dalla successiva L. n. 280/2003. Parte istante contesta tale percorso argomentativo, osservando che l’art. 2 della L. n. 401/1989 è norma di carattere eccezionale applicabile ai soli casi tassativi di illecito sportivo, che qui non rilevano e che nel caso concreto andava fatta applicazione del generale principio di tipicità delle prove sancito dall’art. 35 del CGS. Al riguardo occorre rilevare, sul piano delle fonti primarie, che il D.L. 19-8-2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva ispirate alla dichiarata “necessità di provvedere all'adozione di misure idonee a razionalizzare i rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento giuridico dello Stato” (v. preambolo del decreto), convertito nella legge 17 ottobre 2003, n. 280), ha fissato il generale principio in base al quale “I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo” (art. 1, comma 2). 2.2 - In applicazione del predetto principio di autonomia dal legislatore statale è stata “riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” (art. 2, comma 1). Il principio di reciproca autonomia degli ordinamenti statale e sportivo già era stata affermata, seppure con specifico riferimento al reato speciale di frode in competizione sportiva, dalla L. 13.12.1989, n. 401 citata, la quale, applicando quel principio ai rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare sportivo, aveva stabilito che “l'inizio del procedimento per i delitti previsti dall'articolo 1 non preclude il normale svolgimento secondo gli specifici regolamenti del procedimento disciplinare sportivo” e, con specifico riguardo a quest’ultimo, che “Gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell'articolo 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all'articolo 114 dello stesso codice” (art. 2, commi 2 e 3). 2.3 - In base ai riportati principi di autonomia degli ordinamenti statuale e sportivo, di cui quello fra ordinamento penale e disciplinare costituisce solo una specificazione anticipatoria del principio generale introdotto nel 2003, deve ritenersi la non applicabilità della prescrizione di cui all’art. 526 c.p.p., in materia di prove utilizzabili ai fini della deliberazione, a tenore del quale “il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento”. Come più volte affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, le regole della formazione e della rilevanza dei mezzi di prova tipiche del processo penale, ove entrano in gioco gli interessi fondamentali connessi alla persona umana non trovano immediata e diretta applicazione ai procedimenti amministrativi in genere e sportivi in specie. A tale ultimo riguardo deve convenirsi con l’affermazione di origine giurisprudenziale secondo cui le decisioni degli organi di giustizia sportiva sono l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì che non possono ritenersi presidiati dalle medesime, rigide garanzie del processo (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 21 giugno 2007 , n. 5645; id., 8 giugno 2007, n. 5280). In particolare, alla "giustizia sportiva", oltre che le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, si applicano, per analogia, quelle dell'istruttoria procedimentale amministrativa, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi, con conseguente inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova, esclusive e tipiche specialmente del processo penale. Né, con ciò, possono ritenersi violati principi di “civiltà giuridica” attinenti al diritto di difesa, tra cui, anzitutto, quello del contraddittorio per come configurato dall’ordinamento processuale. Al riguardo vale ricordare che, pur valorizzando sempre più, sul piano teleologico ed applicativo, la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell'effettivo avvio del procedimento, nonché del contenuto degli atti del procedimento e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logico – argomentativa, senza necessità di assicurare quel contraddittorio continuo ed integrale tipico del processo penale (tra le tante, cfr. Consiglio di stato, sez. VI, 26 gennaio 2006 , n. 220; id., 30/6/2003, n. 3925). 2.4 - Nella specie, deve, quindi, condividersi quell’orientamento autorevole (seppur espresso in contesto diverso da quello qui in esame) secondo il quale i principi e le regole di formazione della prova penale sono volti a soddisfare finalità tutte interne all'attività indagine penale; finalità non comparabili con interessi esterni che possano in qualsiasi modo essere avvantaggiati o pregiudicati dalla inapplicabilità di quelle regole specifiche che non si prestino ad essere estese ad ipotesi del tutto estranee alla loro "ratio" (Corte cost., 29 maggio 2002 , n. 223, con riguardo alla inapplicabilità dell’art. 117 c.p.p. al processo amministrativo). D’altra parte, e ancor più in generale, va ricordato che nel nostro ordinamento non vige un principio di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo , sicché i diversi sistemi processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione all'epoca della disciplina e alle tradizioni storiche di ciascun procedimento (fra le tante Corte Cost., 21 gennaio 2000, n. 18). 2.5 - Alla stregua delle riportate considerazioni, non giovano alla parte istante i richiami alla giurisprudenza della Cassazione penale in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni penali. Ciò, per il semplice motivo che quella giurisprudenza si riferisce a casi di nullità radicale della prova, cioè di ipotesi di inutilizzabilità delle intercettazioni, a norma dell'art. 271 c.p.p., comma 1, per vizi dei decreti autorizzativi delle intercettazioni. “In questo caso” ha precisato la Corte, “al di là della espressione "divieti di utilizzazione" usata nell'art. 271 c.p.p. con riferimento alla categoria della inutilizzabilità, creata dal legislatore (art. 191 c.p.p.) come sanzione processuale in conseguenza della violazione di espressi divieti di acquisizione probatoria, si è in presenza di violazione di regole poste a garanzia della segretezza e della libertà delle comunicazioni, costituzionalmente presidiata e cioè della libertà dei cittadini (art. 15 Cost.), che la stessa Corte Costituzionale ha ritenuto debba essere assicurata attraverso il rispetto di precise disposizioni, avuto riguardo alla particolare invasività del mezzo della intercettazione telefonica o ambientale, attinenti pure alla loro esecuzione presso impianti della Procura della Repubblica, con una deroga in casi eccezionali specificamente motivati (v. Corte Costituzionale 19.7.2000 n. 304)” (Cass. Pen. n. 29688/2007). La citata giurisprudenza non solo non offre spunti idonei a suffragare la tesi della difesa attrice, poiché nella specie non si contesta la legittimità e l’esistenza delle prove assunte nella fase delle indagini preliminari, ma, addirittura, conferma l’impostazione dell’autonomia degli ordinamenti processuali, su cui si fonda la motivazione della CGF. La stessa Cassazione penale ribadisce, infatti, che “costituisce principio consolidato e pacifico quello per cui la prova nel procedimento di prevenzione è autonoma e non deve rispecchiare i principi e le regole probatorie propri del processo penale di cognizione, potendo trattarsi, stante la peculiarità di tale tipo di procedimento, sia sul piano sostanziale che su quello processuale (v. sentenza della Corte Costituzionale n. 321 del 2004), anche di elementi meramente investigativi. Il giudice della prevenzione può quindi ritenere fondata la prova anche sulla base degli elementi emersi nell'ambito di un procedimento penale poi definito, in ipotesi, con il proscioglimento dell'imputato, poichè la diversità della struttura dei due procedimenti, in punto di prova, può comportare una diversa valutazione degli stessi elementi in sede di giudizio di prevenzione, essendo in particolare il giudice della prevenzione autorizzato a servirsi di elementi di prova tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti”. 2.6 - Quanto, poi, all’ulteriore giurisprudenza relativa alla preminenza del giudicato penale sui procedimenti amministrativi ex art. 653 c.p.p., invocata dalla stessa parte, anch’essa è inidonea a supportare la pretesa inutilizzabilità delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari. Se la Cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite n. 23238/ 2005, ha affermato il principio di diritto per cui "l'art. 1 l. 27 marzo 2001 n. 97 nel modificare l'art. 653 c.p.p., ha inteso corrispondentemente ridurre l'autonomia dell'organo disciplinare, che ora non può considerare illecito disciplinare il medesimo fatto che il giudice penale abbia già irrevocabilmente ritenuto non costituire illecito penale", ha anche completato quel principio secondo le indicazioni, contenute nella stessa sentenza n. 23238/2005, per le quali “l'interpretazione della nuova ipotesi di preclusione introdotta dalla riforma del 2001 (accertamento che il fatto non costituisce illecito penale) impone di limitare l'effetto preclusivo al solo caso in cui l'addebito disciplinare riguardi il medesimo fatto, già contestato e valutato in sede penale": e "la medesimezza del fatto - per il quale sia intervenuta sentenza penale assolutoria e che determina la preclusione dell'azione disciplinare - deve investire tanto l'elemento oggettivo che quello soggettivo”. Senza quella “medesimezza”, dunque, il principi di supremazia e preclusione sopra ricordato non opera più. Il tutto, poi, senza considerare che il principio di preclusione invocato da parte istante riguarda l’accertamento del fatto operato in sede penale ma non la sua valutazione a fini disciplinari. Per le esposte ragioni va respinta la richiesta di sospensione del presente procedimento. Sul punto, la decisione impugnata ha osservato che il rapporto tra i due procedimenti (quello penale e quello disciplinare) resta governato, per espressa voluntas legis (cfr. Legge 17.10.2003, n. 280), dal principio di autonomia, sicché la dedotta pendenza (in grado d’appello) del procedimento penale non può condizionare né (semplicemente) rallentare l’ordinario svolgimento del procedimento disciplinare sportivo dinanzi agli organi di giustizia sportiva (cfr. come espressione del medesimo principio anche l’art. 2 della L. 13-12-1989 n. 401, rispetto ai delitti di frode in competizione sportiva). Oltretutto, osserva ancora il Tribunale, la pretesa sospensione si pone in irrimediabile contrasto (di qui la sua inammissibilità) con la precedente prospettazione di parte, secondo cui il CGS impone di concludere inderogabilmente le indagini entro il termine perentorio della fine della stagione calcistica. 2.7 - Quanto, infine, all’ulteriore censura preliminare, secondo la quale la decisione della CGF sarebbe nulla o, comunque, inefficace in quanto adottata dopo lo scadere del termine “perentorio“ (a detta dell’istante) stabilito dall’art. 34, n. 2 CGS, va ritenuta, anzitutto, tardiva e, comunque, priva di fondamento. Quanto alla tardività, è da osservare che secondo l’assunto di parte istante la decisione si sarebbe dovuta depositate entro il 22 aprile 2009, termine di scadenza dei quindici giorni previsti dall’art. 34 CGS; la domanda arbitrale è stata depositata il 5 maggio 2009, in data, cioè, posteriore alla scadenza del termine perentorio, la cui violazione si sarebbe, pertanto, dovuta proporre con l’atto introduttivo e non con i motivi aggiunti. In ogni caso la censura è priva di ogni consistenza. Soccorre al riguardo il principio, questo sì di carattere generale e valido per tutti i procedimenti giurisdizionali o giustiziali, secondo il quale il termine per il deposito così del dispositivo, così come quello per il deposito della sentenza, non è, in mancanza di tassative prescrizioni, considerato dalla legge come perentorio, così che la sua violazione non incide sulla validità della sentenza , ma può rilevare, eventualmente, solo sotto il profilo disciplinare per il magistrato ritardatario ovvero quello della responsabilità dell'Amministrazione, ai fini dell'azione di cui alla l. 24 marzo 2001 n. 89 (Cass. Civ. , sez. un., 12 maggio 2008 , n. 11655; Cons. St. , sez. IV, 22 settembre 2003 , n. 5357). 3 - MERITO DELLE SINGOLE CONTESTAZIONI. OSSERVAZIONI PRELIMINARI. 3.1 Prima di passare all’esame delle varie censure afferenti il capi di imputazione contenuti nell’atto di incolpazione della Procura Federale, si ritiene di dover respingere anzitutto il profilo generale di doglianza sollevato dalla parte istante in ordine ad una presunta, generale carenza motivazionale della decisione della CGF. Le contestazioni così mosse all’impianto generale della motivazione dell’impugnata decisione non hanno alcun riscontro nella realtà documentale in atti. Delle quindici fitte pagine di cui si compone la predetta decisione, ben nove (da pag. 6 a pag. 15) sono dedicate esclusiva mente ad analizzare punto per punti i ventuno capi di incolpazione contenuti nell’atto di deferimento della Procura Federale. Nell’esaminare distintamente le singole contestazioni l’organo decidente ha dapprima esposto chiaramente ed esaustivamente i contenuti delle singole imputazioni, quindi ha riferito sulle risultanze degli atti istruttori, con particolare (ma non esclusivo) riferimento agli atti dell’inchiesta penale (tenendo conto al riguardo di quanto in precedenza già precisato a proposito della loro utilizzabilità) traendone le conclusioni sul punto della sussistenza o meno dell’addebito contestato; sussistenza che – è bene chiarire – per alcuni aspetti pur significativi è stata esclusa dalla Corte, con ciò potendosi escludere in via di principio l’affermazione di un atteggiamento precostituito che avrebbero indotto la CGF ad assumere “stravaganti impostazioni” o ad “arrampicarsi sugli specchi” (cfr. contestazioni sub nn. 1 e 2). In sintesi e conclusivamente sul punto, l’impianto della motivazione della decisione della Corte non merita censura alla luce del coacervo delle risultanze procedimentali, compiutamente indicate, analiticamente esaminate, correttamente valutate sul piano fattuale non meno che logico - giuridico, con una motivazione congrua, sufficiente, condivisibile e di fatto da questo Tribunale sostanzialmente condivisa, salve talune precisazioni ed integrazioni che si faranno in prosieguo. Ciò detto in via generale, può passarsi all’esame delle singole contestazioni, per come elencate ed illustrate nell’atto introduttivo e nei motivi aggiunti. 5.5 Con riguardo alla violazione dell’art. 10, comma 3, REAAC 2001, secondo la quale “l’Agente può essere retribuito soltanto dal calciatore o dalla Società che usufruisce dei suoi servizi”, l’interessato assume, come già esposto in punto di fatto, che la violazione contestatagli rappresenterebbe una prassi diffusa e derivata da esigenze di risparmio delle società - testimoniata da tutti gli agenti sentiti nel corso del procedimento disciplinare, come pure nel corso del processo penale conclusosi innanzi al Tribunale Penale di Roma - in base alla quale l’Agente, anziché percepire il pagamento dei suoi compensi professionali dal calciatore che usufruisce dei suoi servizi li ottiene invece dalla società per la quale il calciatore suo assistito viene tesserato. L’assunto difensivo è privo di pregio sia in punto di fatto che di diritto. 3.2 - In via preliminare pare opportuno riportare un significativo passo della sentenza penale del Tribunale di Roma, la quale, sulla base anche di quanto emerso in corso di istruttoria dibattimentale, denuncia , in apertura di motivazione, un diffuso fenomeno di fuga dalle regole scritte e registra “condotte realizzate nel mondo del calcio, nel quale, com’è noto, gli interessi di natura economica privata hanno assunto da lungo tempo una determinante prevalenza nella gestione delle relazioni tra tutte le componenti che, nelle vicende in esame, hanno riguardato soprattutto i rapporti tra alcuni giocatori, agenti di giocatori e alcune società di calcio. Tali interessi, di natura privatistica e di rilevante portata, come si vedrà, sono stati gestiti e perseguiti da tutti questi soggetti il più delle volte semplicemente nei limiti della fattibilità in concreto, senza porsi quasi mai problemi di sostanziale correttezza ed anzi eludendo costantemente e sistematicamente la normativa regolamentare dettata per disciplinare l’attività (e i rapporti economici sottostanti) degli agenti dei calciatori che, nei termini in cui era formulata nel 2001, può essere definita solo velleitaria, corporativa e inidonea a garantire l’interesse generale alla salvaguardia dei principi dello sport e del gioco calcio in particolare.” 3.3 - In buona sostanza, il Tribunale ha constatato “un fenomeno di generalizzata deregulation…” fondato sulla “singolare presunzione che quella generalizzazione e diffusione di comportamenti scorretti fosse sufficiente ad escluderne radicalmente la illiceità; in questo ambito talune volte queste condotte hanno sconfinato, travalicando anche la soglia della liceità penale, per le ragioni e nei termini illustrati nella parte che segue...”(pag. 213 e 214 sentenza); deregulation sulla base della quale si fonda, in sostanza, la tesi difensiva dell’istante. Ma la “deregulation”, ove non espressamente e legittimamente consentita, non può legittimare la violazione di norme scritte inderogabili. Premesso che – come ampiamente noto per costante insegnamento giurisprudenziale (cfr. Cass. Civ., sez. I, 20 agosto 2003 , n. 12222 ; Cass. Pen., sez. III , 26 ottobre 2006 , n. 2841) - alcun diritto o causa di giustificazione può essere fatto valere sulla base di prassi pur diffuse derivanti da presunte consuetudini di popolazioni, settori della società o gruppi professionali, atteso che la consuetudine può avere una valenza fondante o scriminante solo in quanto sia richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all'art. 8 preleggi, non è dubbio che nessuna forza derogatoria può riconoscersi ad una prassi, pur diffusa nel mondo calcistico, che si ponga in aperto contrasto con una precisa, chiara e tassativa del regolamento agenti, quale è quella sopra riportata, la quale, con l’uso dell’avverbio “soltanto” non lascia spazio a prassi contrarie di natura negoziale o fattuale. 3.4 - Correttamente, dunque, la CGF ha statuito, seppur in modo forse eccessivamente sintetico, che “una presunta prassi in tal senso, si è già detto come non possa superare o anche solo attenuare la forza prescrittiva di una norma giuridica” (pag. 12 motivazione). In secondo luogo, va ricordato che un precetto di rango primario o secondario può essere derogato, per suo stesso richiamo, da usi contrari, ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi (artt. 1 e 8 disp. sulla legge in generale) e non di semplici usi negoziali (art. 1340 c.c.) o interpretativi (art. 1368 c.c.), l'uso normativo consistendo nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico: la c.d. opinio juris ac necessitatis (cfr. Cass., n. 12222/2003 sopra citata). Nella specie manca sia il richiamo della norma secondaria, sia la ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica dell’accollo del debito a carico dei calciatori per le competenze procuratorie dovuta ai loro agenti da parte delle società calcistiche. Basti leggere, al riguardo, la deposizione dibattimentale di un calciatore, da cui emerge che “il teste ha concluso dicendo di avere sempre provveduto a pagare personalmente la provvigione al suo procuratore” (pag. 183 sent. penale Trib. Roma). 3.5 - Sempre con riferimento al pagamento delle competenze procuratorie da parte delle società l’istante nella parte introduttiva, nei motivi aggiunti e nelle memorie integrative, invoca il principio del “favor rei“, in relazione alla sopravvenuta norma del regolamento agenti della FIFA, la quale ha legittimato la prassi dell’accollo del debito a carico del giocatore da parte delle società. Ma anche tale profilo è privo di consistenza poiché, come riportato dalla stessa parte istante e a voler tacere d’ogni altra considerazione dell’applicabilità delle nuove previsioni (le quali impongono “il consenso scritto del calciatore”) alle fattispecie concrete, le norme sopravvenute “troveranno applicazione entro e non oltre il 31 dicembre 2009” e non possono pertanto costituire parametro normativo di riferimento valido alla data dell’adozione del provedimento disciplinare e dell’emanazione della decisione della CGF. D’altra parte, per quanto rileva in questa sede e con specifico riferimento alla contestazione in questione distinta con il n. 18), non può non rilevarsi come anche il Tribunale penale abbia stigmatizzato, tra le altre circostanze e pratiche dimostrative della dismissione del senso della correttezza e della legalità, le “costanti e sistematiche violazioni delle norme regolamentari, come quella relativa. al pagamento delle provvigioni da parte delle società di calcio invece che da parte dei giocatori, che è risultata largamente praticata da quasi tutte le società, e non per le ragioni puramente contabili che la Difesa ha cercato di accreditare in sede di arringa finale, ma per motivi più consistenti e specifìci, individuabili nell’interesse alla gestione del giocatore…” (pag. 312 sentenza penale). 4 - CONGRUITA’ DELLE SANZIONI Quanto, infine, ai profili di incongruità, per eccesso, della pena irrogata, si tratta di censura che merita parziale accoglimento. Su tale specifico punto la Corte Federale si è limitata a “rilevare che i comportamenti illeciti tenuti dagli incolpati non sono espressione di scelte occasionali e contingenti, ma al contrario rappresentano l’attuazione di una strategia di consapevole e costante violazione della normativa di settore e quindi della stessa etica professionale. E di ciò la Corte non può non tener conto nella irrogazione delle sanzioni“. Si tratta, a ben vedere, di una motivazione eccessivamente sintetica, la quale non appare totalmente rispettosa del principio di adeguatezza sancito, a livello generale, dall’art. 132, comma 1, c.p.. La riportata motivazione, infatti, non tiene adeguatamente conto né dei principi e precetti normativi generali e speciali che regolano la materia, né di tutti i dati della complessa fattispecie come sopra esposta ed analizzata. Quanto al primo aspetto, è da osservare che l’art. 17 del REEAC del 2001 dispone che le sanzioni disciplinari si applicano “a seconda della gravità della violazione , tenuto conto di eventuali recidive”. Ora, pur nel rispetto del pacifico principio giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della gravità di un comportamento ai fini disciplinari e della proporzione tra la sanzione disciplinare irrogata e la gravità dei fatti contestati costituisce manifestazione del discrezionale apprezzamento dell'Amministrazione, suscettibile di sindacato di legittimità solo per macroscopici vizi logici (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2705; id., 15 maggio 2003, n. 2624; id., 30 ottobre 2001, n. 5868; id., 12 aprile 2001, n. 2259; id., 31 luglio 2000, n. 3647), va tuttavia rilevato che, nella specie, non risulta pienamente rispettato il generale principio di gradualità e proporzionalità della pena, invocato dalla parte istante. Infatti, va tenuto conto, da un lato, che taluni degli illeciti disciplinari contestati all’interessato si sono rivelati indimostrati (come quello di cui ai sopra richiamati addebiti contestati ai capi n. 1 e n. 2) per i quali è stato prosciolto) e, dall’altro, che l’incolpato non risulta precedentemente inquisito per alcun’altra ipotesi di illecito. Manca, pertanto, nella specie, l’elemento della recidiva costituente, anche per espressa previsione regolamentare, uno dei parametri di valutazione del corretto esercizio del potere discrezionale di applicazione della sanzione. E’ da aggiungere, inoltre, che altro parametro di valutazione è costituito dallo stesso art. 17 del REAAC 2001, il quale prevede un minimo edittale di due anni solo per le infrazioni più gravi di cui all’art. 14 del medesimo regolamento, che qui non ricorrono. Ora, avere nella specie irrogato sanzioni di status e anche patrimoniali superiori rispetto ai minimi edittali stabiliti solo per talune fattispecie di illecito particolarmente gravi, secondo la presunzione normativa, qui non verificatesi, appare davvero incongruo. In base a tali considerazioni il Collegio ritiene le pene irrogate eccessive e non proporzionate e dispone la loro riduzione; conferma la sanzione della sospensione dall’attività di Agente di calciatori, riducendola sino al 30 giugno 2010 e conferma la sanzione pecuniaria riducendola alla somma di € 20.000,00 (euro ventimila). 5. – SPESE Le spese del presente giudizio sono liquidate in dispositivo e, in considerazione della sostanziale reiezione della domanda principale del sig. Pasquale Gallo e della solo parziale riduzione delle sanzioni inflittegli, appare equo che siano poste a carico dell’istante. P.Q.M. Il Collegio arbitrale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti e disattesa ogni altra istanza, deduzione ed eccezione, così decide: 1. accoglie parzialmente l’istanza di arbitrato presentata dal sig. Pasquale Gallo e, per l’effetto: a. conferma la sanzione della sospensione dall’attività di Agente di calciatori, riducendola sino al 30 giugno 2010; b. conferma la sanzione pecuniaria, riducendola a € 20.000,00 (euro ventimila); 2. liquida in complessivi euro 1.500 (millecinquecento), oltre accessori, le spese del procedimento e per assistenza difensiva in favore della parte intimata, ponendole a carico del sig. Pasquale Gallo; 3. in considerazione del tempo occorso, della complessità della controversia e delle questioni esaminate liquida in euro 4.000 (quattromila), oltre accessori e spese, gli onorari del Collegio Arbitrale e condanna il sig. Pasquale Gallo al relativo pagamento, con il vincolo di solidarietà; 4. pone a carico del sig. Pasquale Gallo il pagamento dei diritti amministrativi per il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport; 5. dichiara incamerati dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport i diritti amministrativi versati dalle parti. Così deliberato, all’unanimità dei voti espressi dagli arbitri riuniti in conferenza personale, in Roma, presso gli uffici del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in data 28 gennaio 2010, e sottoscritto in numero di tre originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati. F.to Gabriella Palmieri F.to Massimo Zaccheo F.to Armando Pozzi
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