F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 034/CFA del 30 Settembre 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 046/CFA del 30 Ottobre 2015 e su www.figc.it 1. RICORSO PER REVOCAZIONE EX ART. 39 C.G.S PROCURATORE FEDERALE AVVERSO: – L’INCONGRUITÀ DELLA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 4 INFLITTA AL CALC. STEFANO FERRARIO IN RELAZIONE ALLA GARA LECCE/LAZIO DEL 22.5.2011 (DELIBERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – COM. UFF. N. 94/CGF DEL 13.11.2013); – LA REIEZIONE DEL RICORSO PROPOSTO DALLA PROCURA FEDERALE CON RIFERIMENTO ALLA POSIZIONE DEL CALC. STEFANO FERRARIO IN RELAZIONE ALLA GARA LECCE/LAZIO DEL 22.5.2011 (DELIBERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – COM. UFF. N. 94/CGF DEL 13.11.2013); – IL PROSCIOGLIMENTO DEL CALC. MILANETTO OMAR E DELLA SOC. GENOA CRICKET AND FOOTBALL CLUB S.P.A. IN RELAZIONE ALLA GARA LAZIO/GENOA DEL 14.5.2011 (DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE – COM. UFF. N. 10/CDN DEL 2.8.2013 – DELIBERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – COM. UFF. N. 97/CGF DEL 14.11.2013) – IL PROSCIOGLIMENTO DEI CALC. BENASSI MASSIMILIANO E ROSATI ANTONIO NONCHÉ DELLA SOCIETÀ U.S. LECCE S.P.A. DALLA INCOLPAZIONI ASCRITTE IN RELAZIONE ALLA GARA LECCE/LAZIO DEL 22.5.2011 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 10/CDN del 2.8.2013 – Delibera della Corte di Giustizia Federale – Com. Uff. n. 100/CGF del 19.11.2013 (proc. N. 208/4pf 13-14/SP/blp del 9.7.2013)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite - 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 034/CFA del 30 Settembre 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 046/CFA del 30 Ottobre 2015 e su www.figc.it 1. RICORSO PER REVOCAZIONE EX ART. 39 C.G.S PROCURATORE FEDERALE AVVERSO: - L’INCONGRUITÀ DELLA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 4 INFLITTA AL CALC. STEFANO FERRARIO IN RELAZIONE ALLA GARA LECCE/LAZIO DEL 22.5.2011 (DELIBERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – COM. UFF. N. 94/CGF DEL 13.11.2013); - LA REIEZIONE DEL RICORSO PROPOSTO DALLA PROCURA FEDERALE CON RIFERIMENTO ALLA POSIZIONE DEL CALC. STEFANO FERRARIO IN RELAZIONE ALLA GARA LECCE/LAZIO DEL 22.5.2011 (DELIBERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – COM. UFF. N. 94/CGF DEL 13.11.2013); - IL PROSCIOGLIMENTO DEL CALC. MILANETTO OMAR E DELLA SOC. GENOA CRICKET AND FOOTBALL CLUB S.P.A. IN RELAZIONE ALLA GARA LAZIO/GENOA DEL 14.5.2011 (DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE – COM. UFF. N. 10/CDN DEL 2.8.2013 - DELIBERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – COM. UFF. N. 97/CGF DEL 14.11.2013) - IL PROSCIOGLIMENTO DEI CALC. BENASSI MASSIMILIANO E ROSATI ANTONIO NONCHÉ DELLA SOCIETÀ U.S. LECCE S.P.A. DALLA INCOLPAZIONI ASCRITTE IN RELAZIONE ALLA GARA LECCE/LAZIO DEL 22.5.2011 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 10/CDN del 2.8.2013 - Delibera della Corte di Giustizia Federale – Com. Uff. n. 100/CGF del 19.11.2013 (proc. N. 208/4pf 13-14/SP/blp del 9.7.2013) I FATTI ED IL PROCEDIMENTO Il deferimento Con provvedimento n. 208/4pf13-14/SP/blp in data 9 luglio 2013, il Procuratore federale ha deferito alla Commissione disciplinare nazionale i seguenti tesserati: 1. BENASSI Massimiliano, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società U.S. Lecce s.p.a.; 2. CASSANO Mario, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società Piacenza F.C. s.p.a.; 3. FERRARIO Stefano, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società U.S. Lecce s.p.a.; 4. GERVASONI Carlo, calciatore, all’epoca dei fatti, tesserato in prestito per la società Piacenza F.C. s.p.a.; 5. MAURI Stefano, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società S.S. Lazio s.p.a.; 6. MILANETTO Omar, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società Genoa Cricket and Football Club s.p.a., 7. ROSATI Antonio, calciatore tesserato all’epoca dei fatti per la società U.S. Lecce s.p.a.; 8. ZAMPERINI Alessandro, svincolato e tesserato fino al 16/09/2009 quale calciatore della Società G.S. Fidene (per la quale ha disputato la gara Maccarese - Fidene del 26 aprile 2009 e, pertanto, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento FIFA sullo status e sul trasferimento dei calciatori, sottoposto alla giurisdizione disciplinare per le condotte poste in essere fino al 26/10/2011). Ha, altresì, deferito le seguenti società: 9. Genoa Cricket and Football Club s.p.a.; 10. U.S. Lecce s.p.a.; 11. S.S. Lazio s.p.a.. I tesserati e le relative società prima nominate sono state chiamate a rispondere in relazione a violazioni concernenti, per quanto qui interessa, due gare, entrambe della stagione sportiva 2010/2011: A) Lazio – Genoa del 14.5.2011; B) Lecce - Lazio del 22.05.2011. In particolare, in relazione alla prima gara (Lazio – Genoa), sono stati chiamati a rispondere CASSANO Mario, GERVASONI Carlo, MAURI Stefano, MILANETTO Omar e ZAMPERINI Alessandro, per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, per avere, prima della stessa predetta partita svoltasi il 14/05/2011, in concorso fra loro, con altri soggetti non tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato del primo tempo della gara suddetta, prendendo contatti e accordi diretti allo scopo sopra indicato e, segnatamente: CASSANO per aver messo in contatto GERVASONI con ZAMPERINI al fine di favorire la creazione di un contatto tra il gruppo c.d. degli “zingari” e i calciatori delle due compagini finalizzato all’alterazione del risultato della gara (nello specifico, GERVASONI mettendo in contatto il gruppo degli “zingari” con ZAMPERINI al fine sopra indicato e ZAMPERINI per aver contattato MAURI e MILANETTO, unitamente a uno degli esponenti del gruppo degli "zingari", proponendo loro l’alterazione del risultato del primo tempo della gara); MAURI e MILANETTO per aver aderito all’accordo illecito, fornendo il loro apporto per la realizzazione dello stesso al fine di consentire al gruppo degli "zingari" l'effettuazione di scommesse sul risultato concordato. La Procura federale ha, inoltre, contestato le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara nonché, per CASSANO, GERVASONI, MAURI e ZAMPERINI, della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lecce - Lazio del successivo 22 maggio; per ZAMPERINI, CASSANO e GERVASONI anche rispetto ad altri illeciti sportivi che hanno costituito oggetto di precedenti procedimenti. A ZAMPERINI Alessandro e MAURI Stefano è stata altresì contestata la violazione dell’art. 1, comma 1, all’epoca vigente (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6, comma 1 (divieto di effettuare scommesse), CGS, per avere effettuato scommesse, per il tramite di soggetto non tesserato titolare di un'agenzia, sulla gara Lazio – Genoa del 14/05/2011. Per quanto concerne le società, il Procuratore federale ha chiamato a rispondere la S.S. Lazio s.p.a.: a) a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato MAURI. Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara nonché della pluralità degli illeciti posti in essere dal proprio tesserato; b) ancora a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato MAURI con riferimento alla violazione dell’art. 1, comma 1 (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità) e dell’art. 6, comma 1 (divieto di effettuare scommesse), CGS. Ha, poi, chiamato a rispondere la società Genoa Cricket and Football Club s.p.a. a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato MILANETTO. Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara. In relazione alla seconda gara di cui trattasi (Lecce - Lazio del 22.05.2011), sono stati chiamati a rispondere: -BENASSI Massimiliano, CASSANO Mario, FERRARIO Stefano, GERVASONI Carlo, MAURI Stefano, ROSATI Antonio e ZAMPERINI Alessandro, per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS per avere, prima della gara Lecce – Lazio del 22/05/2011, in concorso fra loro, con altri soggetti non tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta, prendendo contatti e accordi diretti allo scopo sopra indicato. In particolare, CASSANO per aver messo in contatto GERVASONI con ZAMPERINI al fine di procurare al gruppo degli zingari contatti, con calciatori delle due compagini, finalizzati all’alterazione del risultato della gara; GERVASONI per aver messo a sua volta in contatto il gruppo degli “zingari” con ZAMPERINI per il medesimo fine; ZAMPERINI per aver contattato MAURI e FERRARIO, anche in nome e per conto del gruppo degli “zingari”, proponendo loro l’alterazione della gara a fronte del pagamento di una somma di denaro; MAURI per aver aderito all’accordo illecito, fornendo il suo apporto per la realizzazione dello stesso anche per far ottenere alla Lazio un vantaggio in classifica e percependo, a tal fine, una somma di denaro; FERRARIO per aver aderito all’accordo illecito, fornendo il suo apporto per la realizzazione dello stesso, coinvolgendo BENASSI e ROSATI che, a loro volta, aderivano alla proposta illecita, percependo tutti e tre, al fine anzidetto, una somma di denaro. Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, del conseguimento del vantaggio in classifica, nonché, per CASSANO, GERVASONI, MAURI e ZAMPERINI, della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara precedente (Lazio – Genoa del 14/05/2011), e per ZAMPERINI, CASSANO e GERVASONI anche rispetto ad altri illeciti sportivi che hanno costituito oggetto di precedenti procedimenti. -ZAMPERINI Alessandro e MAURI Stefano, della violazione dell’art. 1, comma 1 (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità), e dell’art. 6 (divieto di effettuare scommesse) CGS, per avere effettuato scommesse, per il tramite di soggetto non tesserato, sulla gara Lecce - Lazio del 22/05/2011; -la Società U.S. Lecce s.p.a., a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati ai propri tesserati BENASSI, FERRARIO e ROSATI. Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara; -la società S.S. Lazio s.p.a.: a) a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato MAURI. Con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, CGS, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, del conseguimento del vantaggio in classifica, nonché della pluralità degli illeciti posti in essere dal proprio tesserato; b) ancora a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma 2, CGS, in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato MAURI con riferimento alla violazione dell’art. 1, comma 1 (violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità), e dell’art. 6 (divieto di effettuare scommesse), C.G.S.. L’esame del materiale processuale trasmesso dalla Procura della Repubblica di Cremona, alla luce delle emergenze istruttorie acquisite nel corso dell’autonoma attività investigativa svolta dalla Procura federale, consentiva di ritenere sussistenti, secondo la prospettazione accusatoria, consistenti elementi probatori atti a comprovare la illiceità delle condotte dei soggetti deferiti e ad escludere una qualsivoglia verosimile ricostruzione alternativa dei fatti oggetto d’indagine. Il giudizio di primo grado innanzi alla CDN Nei termini assegnati gli incolpati BENASSI, CASSANO, FERRARIO, GERVASONI, MAURI, MILANETTO, ROSATI, ZAMPERINI, soc. Genoa, soc. Lecce e soc. Lazio hanno fatto pervenire memorie difensive, ove sono state proposte eccezioni, rilevata l’insussistenza e l’infondatezza, sotto vari profili, delle violazioni ascritte e formulate istanze istruttorie. Il deferito ZAMPERINI non ha fatto pervenire memoria difensiva. Subito dopo l’inizio del dibattimento il deferito GERVASONI ha presentato istanza di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 23 e 24 CGS, sulla quale la CDN ha provveduto con apposita ordinanza disponendo l’applicazione delle sanzioni di cui al dispositivo e dichiarando la chiusura del procedimento nei confronti del predetto. Per quanto qui segnatamente interessa, la Procura federale, dopo aver illustrato il deferimento, ha chiesto la dichiarazione di responsabilità dei deferiti e l’irrogazione delle seguenti sanzioni: - a BENASSI Massimiliano: squalifica di 3 anni e 6 mesi (così determinata: squalifica di 3 anni per l’illecito sportivo + 6 mesi per l’aggravante, in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, nonché del conseguimento del vantaggio in classifica); - a CASSANO Mario: squalifica di 1 anno in continuazione (in relazione alla gara Lazio-Genoa del 14.5.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara, della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 e rispetto ad altri illeciti sportivi che hanno costituito oggetto del procedimento 33pf11- 12, nonché in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, del conseguimento del vantaggio in classifica, della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lazio-Genoa del 14/05/2011 e rispetto ad altri illeciti sportivi che hanno costituito oggetto del procedimento 33pf11-12); - a FERRARIO Stefano: squalifica di 3 anni e 6 mesi (così determinata: squalifica di 3 anni per l’illecito sportivo + 6 mesi per l’aggravante, in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, nonché del conseguimento del vantaggio in classifica); - a MAURI Stefano: squalifica di 4 anni e 6 mesi (così determinata: squalifica di 3 anni per l’illecito sportivo + 6 mesi per l’aggravante + ulteriori 6 mesi di squalifica per illecito sportivo + squalifica di 3 mesi per divieto scommesse + ulteriori 3 mesi di squalifica per divieto scommesse, in relazione alla gara Lazio-Genoa del 14.5.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara e della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011, e per violazione dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 6, comma 1, CGS, nonché in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, del conseguimento del vantaggio in classifica e della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lazio-Genoa del 14.05.2011, e per violazione dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 6, comma 1, CGS); - a MILANETTO Omar: squalifica di 3 anni e 6 mesi (così determinata: squalifica di 3 anni per l’illecito sportivo + 6 mesi per l’aggravante, in relazione alla gara Lazio-Genoa del 14.5.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara); - a ROSATI Antonio: squalifica di 3 anni e 6 mesi (così determinata: squalifica di 3 anni per l’illecito sportivo + 6 mesi per l’aggravante, in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara e del conseguimento del vantaggio in classifica); - a ZAMPERINI Alessandro: squalifica di 2 anni in continuazione (in relazione alla gara LazioGenoa del 14.5.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato del primo tempo della gara, della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lecce-Lazio del 22/05/2011 e rispetto ad altri illeciti sportivi che hanno costituito oggetto del procedimento 33pf11- 12, nonché in relazione alla gara Lazio-Genoa del 14.5.2011 per violazione dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 6, comma 1, nonché in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, CGS, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara, del conseguimento del vantaggio in classifica, della pluralità degli illeciti commessi e contestati con riferimento alla gara Lazio-Genoa del 14.05.2011 e rispetto ad altri illeciti sportivi che hanno costituito oggetto del procedimento 33pf11-12, e per violazione dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 6, comma 1, CGS); - alla soc. Genoa: penalizzazione di 3 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2013/2014 (così determinata: penalizzazione di 2 punti in classifica per l’illecito sportivo + 1 punto per l’aggravante, in relazione alla gara Lazio-Genoa del 14.5.2011 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, GGS, per illecito MILANETTO, con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6); - alla soc. Lecce: penalizzazione di 3 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2013/2014 (così determinata: penalizzazione di 2 punti in classifica per l’illecito sportivo + 1 punto per l’aggravante, in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per illecito BENASSI, FERRARIO e ROSATI, con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6); - alla soc. Lazio: penalizzazione di 6 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2013/2014 + ammenda di euro 20.000,00 (così determinata: penalizzazione di 2 punti in classifica per l’illecito sportivo sub 3 + 1 punto per le aggravanti + penalizzazione di 2 punti in classifica per l’illecito sportivo + 1 punto per le aggravanti + ammenda di euro 10.000,00 per ogni divieto di scommesse, in relazione alla gara Lazio-Genoa del 14.5.2011 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per illecito MAURI, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, e per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma 2, CGS, per divieto scommesse MAURI, nonché in relazione alla gara Lecce-Lazio del 22.05.2011 per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 4, e dell’art. 4, comma 2, CGS, per illecito MAURI, con le aggravanti di cui all’art. 7, comma 6, e per responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma 2, per divieto scommesse MAURI). Dopo l’intervento del Procuratore federale, i difensori dei deferiti hanno illustrato e integrato le proprie difese, precisando le rispettive conclusioni. Dichiarato chiuso il dibattimento, all’esito della camera di consiglio la CDN emetteva la propria decisione, ritenendo preliminarmente opportuno ricordare, tra l’altro che «il deferimento si fonda sulla documentazione acquisita, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge n. 401/1989 e dell’art. 116 c.p.p., nell’ambito del procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Cremona (n. 3628/2010 R.G.N.R.), riguardante numerosi soggetti operanti sul territorio nazionale e internazionale, con finalità di condizionare i risultati di partite di calcio dei campionati organizzati dalle leghe professionistiche e dilettantistiche, per conseguire indebiti vantaggi economici, anche mediante scommesse sui risultati alterati delle partite medesime». Nel merito, la CDN riteneva di dover rilevare, in termini generali, come nel «procedimento sportivo, al contrario di quanto avviene nel processo penale, ha valore pieno di prova quanto acquisito nella fase delle indagini o prima ancora dell’apertura di esse (ad esempio, i rapporti arbitrali che godono perfino di fede privilegiata) ovvero in seguito a indagini svolte in altro tipo di procedimento (ad esempio, atti inviati dall’A.G.). Non può essere reclamata, pertanto, l’applicazione al presente procedimento delle norme previste dal libro terzo del codice di procedura penale». Ricordava, inoltre, come «il principio del contraddittorio si realizza nel rispetto delle forme previste dal CGS e non in base al codice di procedura penale che regola posizioni e diritti di tutt’altra natura e rilevanza. Ne discende che il raggiungimento della prova dei fatti contestati deve essere valutato esclusivamente in base ai principi dettati dal CGS e costantemente seguiti dagli Organi di giustizia sportiva». Al riguardo richiamava anche il consolidato principio delle Sezioni unite della Corte di giustizia federale, secondo cui «in un procedimento di natura esclusivamente disciplinare, la cui autonomia è stata autorevolmente ribadita e che non può, all’evidenza, essere caratterizzato da una assoluta sovrapponibilità al processo penale, come talvolta si è portati a far credere, non solo perché esso non si conclude con la inflizione della più grave misura sanzionatoria prevista dall’ordinamento giuridico che è la privazione della libertà personale, bensì con la semplice inibizione a svolgere una determinata attività sportiva, ma anche per la determinante ragione che se processo penale e processo sportivo seguissero lo stesso identico canovaccio, non si comprenderebbe perché bisognerebbe sottoporre una persona due volte agli stessi identici passaggi, quando sarebbe sufficiente attendere l’esito del primo per adottare i conseguenti provvedimenti disciplinari. È evidente, allora, che gli elementi per condannare un soggetto ad una sanzione penale devono avere una consistenza ed una pregnanza tale da superare ogni possibile prova di resistenza, concetto plasticamente espresso nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, mentre espungere o allontanare temporaneamente, dalla partecipazione ad attività sportive, anche se svolte in forma professionale, potrebbe anche richiedere un livello meno elevato sul piano probatorio, tenuto anche conto che una associazione sportiva di natura essenzialmente privatistica per difendersi da attività ed elementi inquinanti non dispone dei mezzi coercitivi e di convinzione propri dell’apparato statuale” (così, testualmente, CGF, S.U., 21.08.2012, in C.U. n.037/CGF)». Osservato come la decisione adottata dagli Organi di giustizia sportiva rispecchi la verità processuale e non già quella storica, la CDN evidenziava, altresì, come occorra tenere conto, per quanto concerne, in particolare, la chiamata in correità,che perché «essa possa assurgere al rango di prova, sia necessaria l’esistenza “anche di riscontri estrinseci, è cioè di ulteriori elementi o dati probatori, non predeterminati nella specie e qualità, e quindi aventi qualsiasi natura, sia rappresentativa che logica, che confermino l’attendibilità del racconto” (così, CGF, S.U., 20.08.2013, in C.U. n.029/CGF)”». Passando all’esame dei comportamenti oggetto del deferimento di cui trattasi, la CDN prendeva in esame la gara Lazio – Genoa del 14.5.2011. GERVASONI riferisce di aver appreso da un soggetto appartenente al gruppo c.d. degli “zingari” che lo svolgimento e il risultato del primo tempo della gara Lazio – Genoa sarebbero stati alterati mediante un accordo illecito tra le due squadre cui avrebbero partecipato tra gli altri, per il tramite di ZAMPERINI, i deferiti MAURI e MILANETTO. Tali dichiarazioni, sempre secondo la Procura federale, risulterebbero sufficientemente riscontrate ai fini dell’affermazione della responsabilità di tutti i deferiti. Il vaglio delle dichiarazioni eteroaccusatorie di GERVASONI veniva svolto sulla base dei principi costantemente enunciati dagli Organi di giustizia sportiva, all’esito del quale la CDN riteneva le stesse pienamente utilizzabili, riservandosi una loro specifica valutazione con riguardo alle singole posizioni. Orbene, ciò premesso la CDN, con riferimento particolare alle posizioni che interessano ai fini del presente procedimento di revocazione, riteneva senz’altro provate le seguenti circostanze: -l’incontro avvenuto il giorno 14.5.2011 a poche ore dall’inizio della gara Lazio-Genoa tra MAURI e ZAMPERINI. Evidenzia, a tal proposito, la CDN: «Le dichiarazioni rese da GERVASONI sul punto (in data 27.12.2011 e 12.3.2012, 4.2.2013 al PM; in data 13.4.2012 alla Procura Federale) risultano confermate dagli stessi protagonisti di tale evento (cfr. verb. interrog. del 27.12.2011 e verb. udienza avanti questa Commissione in data 25.7.2013 per ZAMPERINI, verb. audiz. del 13.4.2012 per MAURI), nonché dalle risultanze degli accertamenti esperiti dalla Polizia giudiziaria delegata dalla Procura di Cremona con riguardo all’utenza telefonica in uso a ZAMPERINI»; -la ragione di detto incontro, per come riferita da GERVASONI, da rinvenire nella volontà del gruppo dei c.d. “zingari” di prendere contatto con il calciatore MAURI attraverso l’amico di questi ZAMPERINI, al fine di proporre e ottenere l’alterazione dell’imminente gara sulla quale gli stessi avrebbero scommesso ingenti somme di denaro; -i plurimi contatti telefonici tra GERVASONI e ZAMPERINI la notte precedente l’incontro di Formello, nonché tra GERVASONI e gli esponenti del gruppo citato e tra uno di essi e lo stesso ZAMPERINI, anche successivamente all’incontro medesimo. «Né del resto», sottolinea la CDN, «si spiegano altrimenti l’incontro tra ZAMPERINI e l’appartenente al citato gruppo, individuato in atti, e il fatto che il primo conduca il secondo, così come accertato dall’esame del tragitto delle rispettive schede telefoniche tracciato dalla Polizia giudiziaria di Cremona, presso il luogo del ritiro della Lazio. D’altra parte, per come risulta dagli atti, l’esponente del gruppo dei c.d. “zingari” si è recato a Roma proprio per incontrare ZAMPERINI e andare con questi a Formello, essendo ripartito il giorno stesso per Milano». A fronte di siffatte circostanze la CDN ritiene «non credibile la spiegazione fornita da MAURI e ZAMPERINI per i quali quest’ultimo si era recato presso il ritiro della Lazio esclusivamente per la consegna di biglietti per la gara in programma in serata. Infatti, ZAMPERINI non avrebbe avuto alcuna ragione di portare con sé l’appartenente al gruppo degli “zingari” se l’incontro in questione fosse stato preordinato unicamente alla consegna dei titoli per l’ingresso allo stadio». Tuttavia, la CDN assumeva quanto sopra come «sufficiente per ritenere riscontrato il portato dichiarativo di GERVASONI quanto alla responsabilità di ZAMPERINI, cui è contestato di aver preso contatti con MAURI per proporre l’alterazione del risultato del primo tempo della gara in esame. Non altrettanto, invece, può dirsi rispetto alla condotta di adesione all’illecito e all’alterazione del risultato contestata a MAURI, atteso che nulla in atti consente di ritenere che egli, dopo aver parlato con ZAMPERINI, si sia adoperato per realizzare quanto proposto». La condotta del predetto calciatore laziale, dunque, secondo l’organo di primo grado, meritava di essere sanzionata a titolo di omessa denuncia ai sensi della meno grave ipotesi di cui all’art. 7, comma 7, CGS. «Per contro, non trova sufficiente riscontro», sempre secondo la Commissione disciplinare nazionale, «quanto riferito da GERVASONI in merito all’incontro che sarebbe avvenuto immediatamente dopo la visita a Formello tra ZAMPERINI, l’appartenente al gruppo degli ”zingari” e MILANETTO (cfr. verb. interrog. 27.12.2011 e 12.3.2012; verb. audiz. 13.4.2012 di GERVASONI) e, in definitiva, alla partecipazione di quest’ultimo al riferito illecito. Il dato tecnico dell’“aggancio” da parte dei telefoni di ZAMPERINI e del suo accompagnatore di una cella telefonica sita in prossimità dell’hotel Duke, dove alloggiavano tutti i calciatori del Genoa, per quanto certamente oggettivo e certo, non è tuttavia individualizzante rispetto alla posizione del deferito MILANETTO. Secondo la CDN, in assenza di ulteriori elementi «l’aggancio della cella telefonica in questione resta un dato neutro e non dimostrativo della condotta di adesione all’accordo illecito, tantomeno di una successiva attività di coinvolgimento dei propri compagni di squadra. Infine, resta da rilevare l’inconferenza, rispetto alla condotta contestata, della presenza del deferito all’Hotel Unatoq di Milano nei giorni successivi la gara “incriminata”, atteso che le ragioni di tale presenza e le tempistiche della stessa sono state ampiamente chiarite dal MILANETTO negli atti acquisiti dal procedimento penale (cfr. verbale di audizione del 12.4.2012; verb. interrog. 30.5.2012). Né, peraltro, tale circostanza appare in sé dimostrativa di una eventuale attività illecita posta in essere in precedenza dal deferito. Ne deriva che MILANETTO va prosciolto dall’addebito contestato». Con riferimento alla gara Lecce - Lazio del 22.05.2011, la CDN evidenziava, anzitutto, come l’illecito contestato trovi anche qui fondamento principalmente nelle dichiarazioni rese da GERVASONI. In sintesi, egli riferisce di aver appreso da un esponente del gruppo c.d. degli “zingari” che lo svolgimento e il risultato della gara Lecce-Lazio del 22.5.2011 sarebbero stati alterati mediante un accordo illecito tra le due squadre cui avrebbero partecipato, tra gli altri, per il tramite di ZAMPERINI (dal medesimo dichiarante precedentemente presentato allo stesso esponente del gruppo c.d. degli “zingari”), MAURI e “sei o sette giocatori del Lecce” tra cui BENASSI (inizialmente indicato come BENUSSI) e ROSATI. Allo stato degli atti, la Commissione ritiene che, nel caso di specie, l’illecito sia stato effettivamente consumato nei termini e dai soggetti di seguito specificati. ZAMPERINI, messo in contatto con l’esponente del gruppo c.d. degli “zingari” da GERVASONI (v. interrogatorio ZAMPERINI PM 27.12.2012), gli riferisce che intende recarsi a Lecce per incontrare degli amici, se pure non per motivi di calcio; invitato dall’esponente del gruppo c.d. degli “zingari” ad avvicinare calciatori amici di serie A da coinvolgere nel giro delle scommesse, non vi si sottrae e prende contatti con FERRARIO. La circostanza è confermata dallo stesso ZAMPERINI al PM di Cremona (interrogatorio del 27.12.2012), nonché dal calciatore del Lecce FERRARIO a tal fine contattato e incontrato. All’arrivo a Lecce di ZAMPERINI segue quello dell’esponente del gruppo c.d. degli “zingari”, che gli aveva già manifestato l’interesse alla gara Lecce-Lazio del 22.5.2011; ZAMPERINI gli prenota la camera in albergo. FERRARIO, però, informato dell’interesse del “gruppo” alla gara, rifiuta di incontrare l’esponente del gruppo c.d. degli “zingari”. L’incontro del 20.5.2011 presso l’Hotel Tiziano tra FERRARIO e ZAMPERINI è ammesso dagli interessati; è altresì certo che nel corso di esso il secondo abbia riferito al primo “degli amici che volevano mettere soldi sulla gara” (v. audizione FERRARIO 22.3.2012). L’esistenza di quanto sopra è già sufficiente all’affermazione di responsabilità di ZAMPERINI in ordine ai fatti ascritti con riferimento alla gara in questione. Si consideri tra l’altro che: - la gara era stata indicata come “sospetta” dal bookmaker austriaco Skysport 365 GMBH in sede di esposto/denuncia presentata il 14.6.2011 presso la Squadra Mobile di Cremona e da questa trasmessa alla Procura della Repubblica; - GERVASONI riferisce di un investimento di 400.000/00 euro da parte del gruppo c.d. degli “zingari” finalizzato alla corruzione di calciatori di entrambe le squadre; - la rogatoria ungherese e le intercettazioni delle utenze in uso a ZOLTAN KENESEI e agli emissari Schultz Laszlo e Borgulya Istvan Gabor, diretti a Lecce e alloggiati presso l’Hotel Garden Inn, ove gli era stata prenotata la camera da Hilievski, confermano l’interesse degli “slavi” alla gara e il relativo cospicuo investimento destinato alla corruzione. Si deve concludere, pertanto, per l’affermazione della responsabilità dello ZAMPERINI per i fatti al medesimo ascritti riferiti all’alterazione della gara. Allo stato degli atti, invece, manca un qualunque riscontro esterno alla presunta e successiva attività del FERRARIO volta al coinvolgimento dei propri compagni alla consumazione dell’illecito. In proposito, si consideri che: - in quanto ultima gara di campionato, con il Lecce già salvo, i calciatori non sono andati in ritiro; - i calciatori del Lecce sono stati convocati presso l’Hotel Tiziano solo per il pranzo pregara; - FERRARIO ha incontrato ZAMPERINI presso l’Hotel Tiziano due giorni prima della gara; - FERRARIO, reduce da un infortunio, sapeva già di non giocare la gara del 22.5.2011 e, in quanto nemmeno convocato, non avrebbe avuto modo di incontrare i compagni prima della gara, effettivamente incontrati solo nel post-gara, in occasione dei festeggiamenti per la conseguita salvezza. FERRARIO, però, era a conoscenza del motivo dell’interessamento da parte di terzi alla gara, dal momento che – come già rilevato – ZAMPERINI gli ”disse che c’erano degli amici che volevano mettere dei soldi sulla gara” (v. audizione 22.3.2012). Allo stato attuale, peraltro, non risultano neppure elementi di carattere indiziario che dimostrino il compimento da parte di FERRARIO, nei confronti di compagni di squadra, di atti diretti ad alterare lo svolgimento od il risultato della gara Lecce-Lazio del 22.5.2011. La condotta ascritta a FERRARIO, pertanto, va derubricata nella meno grave ipotesi di omessa denuncia prevista dall’art. 7, comma 7, CGS e a tale titolo sanzionata. Quanto ritenuto per FERRARIO vale anche per ROSATI e BENASSI per i quali, peraltro, in mancanza di un qualunque contatto, non può ritenersi violato nemmeno l’obbligo della denuncia. Nessuno dei soggetti coinvolti, infatti, ad esclusione di GERVASONI, peraltro smentito dallo stesso esponente del gruppo c.d. degli “zingari”, assunto quale fonte informativa, coinvolge i due tesserati. In base ai principi generali enunciati nella parte introduttiva le mere affermazioni di GERVASONI, in mancanza di qualsivoglia riscontro esterno, non sono idonee a costituire prova del compimento dell’illecito da parte degli incolpati. Tale rilievo è determinante anche a voler tacere delle contraddizioni e delle incertezze in cui è incorso GERVASONI, con l’’iniziale indicazione di Benussi in luogo di BENASSI (interrogatorio GERVASONI PM 27.11.2011), e con la confusione sul portiere espulso e su quello subentrato (“confermo i nomi che ho già indicato del Lecce, cioè i due portieri ROSATI e BENASSI. Ricordo che il primo fu espulso e subentrò il secondo, ma non so se sia una cosa voluta”, interrogatorio GERVASONI PM 12.3.2012). In ogni caso, ciò che essenzialmente rileva ai fini della esclusione della loro responsabilità è l’assoluta mancanza di un benché minimo riscontro esterno». Né a diversa conclusione, con riferimento a BENASSI, è possibile, secondo la CDN, «giungere dall’esame delle cronache e dei commenti alla gara o dalla visione della stessa, i quali, in verità, in considerazione del numero degli episodi non finalizzati a rete che lo hanno riguardato, non consentono di ritenere con ragionevole certezza che il suo coinvolgimento nell’illecito possa essere desunto dall’intervento effettuato in uscita su un attaccante avversario, al quale sono conseguiti la concessione di un calcio di rigore e l’espulsione del portiere. Si tratta, a tutta evidenza, di un episodio suscettibile di non univoche interpretazioni di natura tecnica e agonistica». Per tali motivi, la CDN, adottava la seguente decisione: «A) proscioglie dagli addebiti contestati: - BENASSI Massimiliano; - MILANETTO Omar; - MAURI Stefano, limitatamente alle contestazioni di cui all’art. 1, comma 1, e 6, comma 1, CGS di cui ai capi 2 e 6 del deferimento, nonché dalla contestazione di cui all’art. 7, commi 1, 2 e 5 di cui al capo 5 del deferimento; - ROSATI Antonio; - ZAMPERINI Alessandro, limitatamente alle contestazioni di cui all’art. 1, comma 1, e 6, comma 1, CGS di cui ai capi 2 e 6 del deferimento; - la Società Genoa Cricket and Football club s.p.a.; B) dispone l’applicazione delle seguenti sanzioni: - GERVASONI Carlo, ai sensi degli artt. 23 e 24 CGS, squalifica per mesi 2 (due); C) infligge le seguenti sanzioni: - CASSANO Mario: squalifica per 4 (quattro) mesi; - FERRARIO Stefano: previa riqualificazione dei fatti di cui al capo 5 del deferimento nella fattispecie di cui all’art. 7, comma 7, CGS, squalifica per 6 (sei) mesi; - MAURI Stefano: previa riqualificazione dei fatti di cui al capo 1 del deferimento nella fattispecie di cui all’art. 7, comma 7, CGS, squalifica per 6 (sei) mesi; - ZAMPERINI Alessandro: squalifica per 2 (anni) anni; - Società U.S. Lecce s.p.a.: ammenda di € 20.000,00 (euro ventimila); - Società S.S. Lazio s.p.a.: ammenda di € 40.000,00 (euro quarantamila)». Il Procuratore Federale ha impugnato la predetta decisione, per quanto qui interessa ai fini del presente procedimento di revocazione, in ordine alle posizioni MILANETTO e società Genoa Cricket, BENASSI, ROSATI, FERRARIO E U.S. Lecce. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso anche il sig. Stefano FERRARIO. Il reclamo della Procura federale in relazione al tesserato Omar Milanetto e della soc. Genoa Cricket and Football Club s.p.a. e la relativa decisione della Corte di giustizia federale (C.U. n. 97/CGF del 14 novembre 2013) Con proprio ricorso datato 5 agosto 2013 (n. 665/4pf13-14/SP/ac) il Procuratore federale ha proposto appello avverso la decisione assunta dalla Commissione disciplinare nazionale con riferimento al proscioglimento del calciatore Omar MILANETTO dall’addebito di aver violato la disposizione di cui all’art. 7, commi 1,2 e 5 C.G.S. e la società Genoa Cricket and Football Club s.p.a. di Genova, presso cui il giocatore era tesserato all’epoca dei fatti, per la violazione di cui all’art. 7, commi 2 e 4 e art. 4 CGS. Il Procuratore federale, infatti, ritiene, “pienamente provato” il coinvolgimento dell’allora giocatore genoano Omar MILANETTO, in ragione del contenuto delle dichiarazioni autoeteroaccusatore del calciatore Carlo GERVASONI e dei riscontri oggettivi all’intervenuto accordo: complessa e variegata attività organizzatoria dell’illecito spiegata da persone esterne (c.d. “zingari”), rilievi tecnici sul tracciamento delle utenze telefoniche mobili assidua nonché frequentazione tra i calciatori, con incontri e contatti personali e telefonici, risultati particolarmente assidui in prossimità delle gare oggetto di indagine. Reputando, peraltro, implausibili le ricostruzioni alternative degli avvenimenti offerte dalle difese, condivise dalla CDN, il Procuratore federale ha chiesto che, in riforma dell’impugnata decisione, sia affermata la responsabilità del calciatore Omar MILANETTO a titolo di illecito sportivo, con riferimento alla gara Lazio – Genoa del 14.5.2011 sopra evocata e, conseguentemente, affermata la responsabilità oggettiva della società Genoa con irrogazione della squalifica per anni tre e mesi sei al primo e la penalizzazione di punti tre in classifica, per la seconda, da scontarsi nel campionato 2013/2014. Il giocatore Omar MILANETTO, si è costituito col patrocinio dell’avv. Maurizio Mascia e dell’avv. Mattia Grassani, richiamando le motivazioni con le quali il giudice di prime cure lo ha mandato assolto da ogni addebito e stigmatizzato la carenza probatoria e argomentativa con la quale la Procura federale avrebbe tentato di coinvolgerlo, al solo scopo di colmare le carenze motivazionali che avrebbero viziato il deferimento dell’altro giocatore direttamente interessato, asseritamente, alla combine della partita Lazio-Genoa, ossia il calciatore della S.S. Lazio s.p.a Stefano MAURI. La società Genoa si è costituita con l’assistenza dell’avv. Mattia Grassani formulando critiche analitiche alla tesi dell’appellante, soprattutto con riguardo alla inconsistenza delle dichiarazioni di GERVASONI e alla mancanza di validi riscontri oggettivi alle sue affermazioni, non avvalorate neanche da ulteriori testimonianze o dichiarazioni di presunti correi, concludendo per la conferma della decisone impugnata. La Corte di giustizia federale, esaminati gli atti e valutati analiticamente i documenti e le prove addotte dalle parti, ha ritenuto non meritevole di accoglimento l’appello del Procuratore federale, evidenziando che gli episodi illeciti e le responsabilità contestate, «storicamente inserite in un’attività di indagine ancora in pieno svolgimento, non possono che essere valutati “allo stato degli atti”, secondo regole giuridiche – anche per quanto attiene alla formazione della prova – proprie di questo ordinamento sportivo, senza il mero recepimento di norme regolatrici di altri riti, anche se non possono essere escluse connessioni metodologiche dettate dalla stessa volontà di pervenire, per eadem ratio, ad un accertamento della verità dei fatti che sia tendenzialmente assoluta». Riteneva, la Corte, che la costruzione delle difese del giocatore e della società genoana, era idonea a contrastare efficacemente l’avvenuto accordo illecito col MILANETTO. La mancanza di riscontri oggettivi pienamente significativi rendeva, insomma, pienamente confermabili le argomentazioni esposte nel decisum di prime cure, alla luce di un quadro indiziario che resta carente. Il reclamo proposto dal Procuratore federale avverso la decisione della Commissione disciplinare nazionale in epigrafe (Com. Uff. n. 10/CDN (2013/14) del 2 agosto 2013), e quindi avverso il proscioglimento da ogni addebito del sig. Omar MILANETTO e della società genoana veniva, dunque, respinto con conferma integrale, sul punto, della impugnata decisione». Il reclamo della Procura federale in relazione al proscioglimento dalle incolpazioni ascritte al calciatore Massimiliano Benassi e Antonio Rosati in relazione alla gara Lecce – Lazio del 22.5.2011, nonché avverso l’incongruità della sanzione inflitta nei confronti della società U.S. Lecce e la relativa decisione della Corte di giustizia federale (C.U. n. 100/CGF del 19 novembre 2013) Il Procuratore federale ha proposto ricorso anche in ordine alla posizione dei calciatori BENASSI e ROSATI e, di conseguenza, della U.S. Lecce. Denuncia l’omessa o erronea valutazione del materiale probatorio e la conseguente erronea qualificazione della condotta dei calciatori prosciolti, da parte del primo Giudice. A giudizio della reclamante Procura le dichiarazioni di GERVASONI avrebbero ricevuto “plurimi ed univoci” riscontri circa la combine della gara, i quali consentirebbero di ritenere accertato anche il coinvolgimento in essa di BENASSI e ROSATI. Si sottolinea come l’esame delle immagini della gara evidenzi che quest’ultimo, “oltre ad aver subito due goals da posizione proibitiva, è per ben due volte intervenuto sugli attaccanti della Lazio con il palese intento di determinare l’assegnazione di un calcio di rigore con conseguente espulsione, così come poi effettivamente avvenuto”: in tal modo osservando una condotta integrante “elemento di particolare valenza individualizzante a carico del prevenuto”. BENASSI, ROSATI e U.S. Lecce s.p.a. hanno depositato memorie difensive, contestando la ricostruzione dei fatti siccome operata dall’Ufficio ricorrente. In particolare: sarebbe deficitaria la chiamata in correità di GERVASONI, se è vero che le fonti di questi (dapprima indicate nel solo Gegic, cui vien poi inopinatamente aggiunto l’Ilievsky) non ne confermano la versione, e che lo stesso referente manifesta confusione ed incertezza sull’identificazione e sull’impiego dei due portieri - BENASSI e ROSATI - durante la gara; la visione della partita, in uno al giudizio espresso dai commentatori televisivi della stessa, evidenzierebbe in realtà, in modo netto, l’assoluta mancanza di responsabilità di BENASSI sia in occasione delle segnature avversarie, sia nell’episodio del calcio di rigore, sicché la condotta dell’atleta non può servire di riscontro alle propalazioni del GERVASONI; dalle puntigliose indagini effettuate non sarebbe emerso alcun traffico telefonico “sospetto” che abbia interessato BENASSI e ROSATI; d) che, di conseguenza, nessuna responsabilità potrebbe delinearsi in capo alla società del Lecce in relazione alla condotta del calciatore. La Corte di giustizia federale riteneva che «le doglianze articolate nel ricorso dell’Ufficio della Procura Federale non possano trovare accoglimento, avendo la decisione di primo grado reso buongoverno delle risultanze procedimentali acquisite, che risultano apprezzate con logicità e completezza di vaglio ed in stretta aderenza ai corretti criteri di valutazione della prova dichiarativa siccome reiteratamente stabiliti – specificamente – dalle Sezioni Unite» della medesima Corte. «Alla stregua di tali criteri», proseguiva la CGF, «i quali del resto esprimono principi di diritto ormai consolidati nella stessa giurisprudenza ordinaria di legittimità, una chiamata in correità - ancorché de relato, ed ancorché non confermata dalla fonte di riferimento- può essere posta a base di una pronuncia di condanna del soggetto incolpato, ma solo a condizione che -provenendo da referente scrutinato come credibile sul piano soggettivo- essa incontri elementi estrinseci di riscontro, che certo non devono essere predeterminati nella specie e nella qualità, ma che devono necessariamente pertenere sia al fatto narrato, sia al soggetto che vi viene coinvolto, essendo in tal modo dotati di valenza cd. individualizzante. Applicando alla fattispecie in esame tali autorevoli enunciati (frutto, come è noto, di una opera giurisprudenziale di accorta selezione critica degli standards di apprezzamento dei dicta di dichiaranti coinvolti nel fatto illecito, via via elaborati in sede giudiziale), sembra alla Corte decidente che il corredo probatorio formatosi -all’esito delle indagini svolte- sulla posizione» dei calciatori BENASSI e ROSATI non sia idoneo a fondarne una affermazione di responsabilità a titolo di concorso nell’illecito che viene ascritto con riferimento alla gara Lecce-Lazio del 22.5.2011». Pur ribadendo, dunque, l’attendibilità soggettiva del dichiarante GERVASONI, la Corte riteneva che la natura ad un tempo accusatoria ed autoaccusatoria del constituto proposto e la mancata emersione -in capo al GERVASONI- di una qualsiasi “causale” a mentire sul conto di BENASSI e ROSATI, «non forniscono motivo per discostarsi dal giudizio di attendibilità già espresso nella decisione di primo grado». Il fatto rilevante rimane che le dichiarazioni della fonte in questione rimangano l’unico elemento univocamente gravatorio che sia stato acquisito in atti a carico tanto di BENASSI, quanto di ROSATI, «non avendo lo stesso (elemento) incontrato alcun valido e reale fattore di riscontro esterno all’esito delle indagini eseguite». Per queste ragioni, la Corte di giustizia federale rigettava il ricorso del Procuratore federale, sia quanto alla posizione di BENASSI, che quanto a quella di ROSATI e, di conseguenza, quanto alla posizione della U.S. LECCE s.p.a.. Il reclamo di Stefano Ferrario avverso la sanzione della squalifica per mesi sei. Il reclamo della Procura federale in relazione alla incongruità della sanzione inflitta al calciatore Stefano Ferrario in relazione alla gara Lecce – Lazio del 22.5.2011. La relativa decisione della Corte di giustizia federale (C.U. n. 94/CGF del 13 novembre 2013) Con il proprio articolato ricorso, la Procura federale, con riferimento alla posizione del calciatore FERRARIO, ha riproposto l’impianto accusatorio di cui al deferimento, evidenziando come i ripetuti contatti telefonici tra FERRARIO e ZAMPERINI, prima e anche dopo lo svolgimento della gara, come pure gli incontri personali tra i medesimi durante la permanenza di quest’ultimo nella città di Lecce, rappresentino la prova del coinvolgimento attivo di FERRARIO nel perfezionamento dell’illecito. Secondo la Procura federale: non sarebbe verosimile che FERRARIO, dopo avere ricevuto da ZAMPERINI la proposta illecita nel corso dell’incontro del 20.5.2011 e dopo averla fermamente rigettata, possa avere avuto nel prosieguo contatti telefonici così intensi come quelli registrati nei tabulati posti a base del deferimento e possa avere addirittura organizzato con ZAMPERINI una cena a casa propria; non risulterebbe verosimile che tali contatti sarebbero stati provocati unilateralmente da ZAMPERINI con la finalità di tenere sotto controllo la condotta di FERRARIO nel timore che potesse adoperarsi per ostacolare l’iniziativa illecita; sarebbe, al contrario, dimostrato, dalla intensità di tali contatti e dalla localizzazione delle celle impegnate dalle utenze telefoniche di FERRARIO e ZAMPERINI, che FERRARIO abbia partecipato attivamente all’organizzazione della combine, tenendosi costantemente in contatto con ZAMPERINI sia per il perfezionamento dell’accordo che per la successiva percezione del denaro (in particolare: i contatti del 18.5.2011 che avrebbero indotto la decisione del gruppo criminale di far partire per Lecce il corriere recante il denaro destinato agli artefici della combine; la localizzazione della cella impegnata dall’utenza telefonica di ZAMPERINI la sera del 19.5.2011 nell’area dove è ubicata la abitazione di FERRARIO; i contatti del 20.5.2011 immediatamente successivi al momento in cui il cellulare di ZAMPERINI aggancia la stessa cella telefonica del corriere ungherese incaricato di portare il denaro a Lecce; i ripetuti contatti del post gara. In forza di dette ragioni, la Procura federale chiedeva alla Corte di giustizia federale di riqualificare la condotta FERRARIO per affermarne la responsabilità a titolo di illecito sportivo così come originariamente contestatogli nell’atto di deferimento, comminando al medesimo la squalifica di anni tre e mesi sei. Con il proprio appello, FERRARIO, da parte sua, ha chiesto la riduzione della sanzione comminata, rimarcando a proprio favore il contegno collaborativo osservato fin dalla prima audizione davanti alla Procura federale, allorché ammise autonomamente la propria responsabilità in ordine alla omessa tempestiva denuncia del tentativo perpetrato da ZAMPERINI di coinvolgerlo nell’illecito sportivo. Inoltre, a dire del calciatore ricorrente, il deferimento ricevuto per la ben più grave ipotesi dell’illecito sportivo, in luogo di quella dell’omessa denuncia (che avrebbe dovuto naturalmente scaturire dalla ponderata valutazione della situazione), avrebbe sostanzialmente impedito al medesimo di accedere al rito dell’art. 23 CGS (patteggiamento), avendo il predetto deferimento, così come proposto, alimentato l’interesse del FERRARIO all’accertamento processuale della propria estraneità rispetto alla gravissima ipotesi di illecito contestatagli ed alla conseguente valutazione del proprio operato nei termini di gran lunga meno gravi rispetto all’ipotesi prevista e sanzionata dall’art. 7, comma 7, CGS. La Corte di giustizia federale ha ritenuto non meritevole di accoglimento il ricorso della Procura federale, «dal momento che non risulta sussistano motivi sostanziali, o che siano stati introdotti ulteriori elementi, tali da indurre a discostarsi dalla decisione della CDN». Ed infatti, afferma la Corte, «la ricostruzione che assegna al calciatore FERRARIO il ruolo di interlocutore esclusivo, o quanto meno privilegiato, dello ZAMPERINI per convincere i calciatori del Lecce ad aderire all’illecito volto ad alterare il risultato della gara Lecce/Lazio del 22.5.2011 non trova alcun riscontro concreto neanche a livello indiziario. A tale proposito, sembra opportuno evidenziare come il nominativo del FERRARIO non sia stato mai speso dallo GERVASONI, dalle cui dichiarazioni è sostanzialmente scaturita l’indagine. Né sussistono elementi che possano indurre ad attribuire un particolare contenuto ai frequenti contatti telefonici, che pure ci sono stati, tra il FERRARIO e lo ZAMPERINI nei giorni che precedettero la gara ed in quelli immediatamente successivi se è vero che i due risultano essere amici da lunga data e che lo ZAMPERINI, recatosi a Lecce, luogo di residenza del FERRARIO, avrebbe potuto avere un naturale interesse, di natura squisitamente amicale, ad incontrare il FERRARIO e ad organizzare con il medesimo eventi conviviali. Come pure non vi è alcuna prova, qualificata da un ragionevole grado di attendibilità, che al momento di tali contatti lo ZAMPERINI fosse in compagnia di esponenti dell’organizzazione criminale che possano avere in qualche in modo inciso sul contenuto del dialogo tra i due calciatori, coinvolgendo la posizione del Ferrario ed attribuendole un rilievo significativo nei riguardi del perfezionamento dell’illecito. In buona sostanza le risultanze dei tabulati telefonici, sulla base dei quali la Procura federale ha articolato la propria ipotesi accusatoria, costituiscono prova esclusivamente dell’esistenza di scambi telefonici sull’unica direttrice ZAMPERINI/FERRARIO, risultando, almeno allo stato, un dato sconosciuto se il FERRARIO si sia o meno messo in contatto con qualsiasi altro soggetto coinvolto, direttamente o indirettamente ed a diverso titolo, nell’organizzazione e nel perfezionamento della combine. Tutto ciò non consente di attribuire a tali contatti telefonici alcun particolare contenuto ai fini della configurazione dell’illecito, tanto meno quello ipotizzato dalla Procura federale, costituendo un dato acquisito la consolidata amicizia tra i due e la presenza dello ZAMPERINI nella città di Lecce nei giorni in questione, elemento di per sé già sufficiente a giustificare l’intensità dei predetti contatti. A ciò si aggiunga che, come detto, il nominativo di FERRARIO non risulta essere mai stato chiamato in causa come protagonista della combine da parte dei diversi soggetti ascoltati, lo GERVASONI in primis. Ciò premesso, restano del tutto integre le considerazioni della CDN in ordine alla consapevolezza del FERRARIO della procedura di accordo illecito in itinere. Condivisa pertanto la decisione della CDN circa la qualificazione della fattispecie in termini di omessa denuncia ex art. 7, comma 7, CGS a carico del calciatore FERRARIO, la Corte ritiene, nondimeno, che possa essere parzialmente accolto il gravame proposto dal medesimo FERRARIO al fine di ottenere una attenuazione della sanzione comminata. In effetti, poiché i fatti risalgono a epoca antecedente alla modifica del CGS introdotta con C.U. n. 177/A del 9.6.2011, deve trovare applicazione, in mancanza di previsione specifica, la sanzione di cui all’art. 19, comma 1, CGS in luogo del minimo edittale stabilito dal nuovo testo dell’art. 7, comma 8. Tuttavia la CDN ha ritenuto di dovere equiparare la sanzione a quella di sei mesi introdotta come minimo edittale dalla modifica del 9.6.2011 senza spendere sul punto una particolare motivazione e senza tenere conto, a giudizio di questa Corte, che la posizione del FERRARIO possa essere riguardata con minore rigore proprio in ragione del contegno collaborativo che senza dubbio il medesimo calciatore ha ritenuto di dover tenere nei confronti degli organi inquirenti pur non tempestivamente informati così come prevede l’art. 7, comma 7, CGS. Pertanto, la Corte, nel rispetto anche del principio dell’afflittività della sanzione, ritiene di poter rideterminare la sanzione in mesi 4 di squalifica». Per questi motivi, la CGF ha respinto il ricorso della Procura federale, mentre ha accolto in parte il ricorso del calciatore FERRARIO, rideterminando la sanzione nella squalifica per mesi 4 (quattro). IL GIUDIZIO DI REVOCAZIONE Il ricorso per revocazione Con provvedimento 12 agosto 2015 (prot. 1712/15ter pf 15-16/SP/gb) il Procuratore federale ha proposto ricorso per revocazione ex art. 39 CGS avverso la decisione della Corte di giustizia federale pubblicata con C.U. n. 30/CGF del 16 agosto 2013 e comunicata nelle motivazioni con i C.U. n. 94/CGF, 97/CGF, 100/CGF, s.s. 2013/2014. Premette, la Procura federale, di aver deferito il calciatore Omar MILANETTO, all’epoca dei fatti, tesserato Genoa, per la violazione dell’art. 7, comma 1, 2 e 5 CGS per avere, prima della gara Lazio – Genoa del 14.5.2011, in concorso con altri soggetti, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo. Unitamente al predetto calciatore era stata deferita anche la società Genoa Cricket and Football club s.p.a. per responsabilità oggettiva, con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, CGS. Quindi, la Procura federale riporta integralmente il materiale probatorio sul quale si basava il predetto deferimento: segnalazione del bookmaker austriaco SkySport 365; interrogatorio GIP Cremona: GERVASONI (22.12.2011);interrogatorio PM Cremona: GERVASONI (27.12.2011);interrogatorio PM Cremona: ZAMPERINI (27.12.2011);interrogatorio PM Cremona: GERVASONI (12.3.2012);audizione MILANETTO (12.4.2012);audizione GERVASONI (13.4.2012); audizione BROCCHI (13.4.2012); audizione MAURI (13.4.2012); interrogatorio GIP Cremona: MILANETTO (30.5.2012); interrogatorio GIP Cremona: MAURI (30.5.2012); audizione MAURI (20.11.2012);interrogatorio GIP Cremona: Gegic (29.11.2012); interrogatorio GIP Cremona: Gegic (30.11.2012); interrogatorio PM Cremona: Gegic (10.12.2012);interrogatorio PM Cremona: Gegic (11.12.2012);interrogatorio PM Cremona: GERVASONI (4.2.2013); confronto PM Cremona: GERVASONI – Gegic (18.3.2013); ordinanza GIP Cremona del 28.12.2012;ordinanza GIP Cremona del 11.3.2012;ordinanza GIP Cremona del 5.4.2013; ordinanza applicazione misura cautelare GIP Cremona del 22.5.2012; annotazione del 5.4.2012 del Servizio centrale operativo Polizia; richiesta del PM Cremona di applicazione misura cautelare del 4.5.2012;interrogatorio di garanzia GIP Cremona: Strasser (10.7.2012); interrogatorio di garanzia GIP Cremona: Strasser (19.7.2012); audizione ZAMPERINI (20.4.2012); interrogatorio di garanzia GIP Cremona: MAURI (30.5.2012); informativa riepilogativa 19.4.2012 del Servizio centrale operativo Polizia. Ricordato come, nel merito, la giustizia sportiva federale era pervenuta al proscioglimento del calciatore Omar MILANETTO e della società Genoa, il Procuratore federale ritiene che, alla luce dei nuovi elementi acquisiti, sia integrato «il presupposto di applicabilità del fatto nuovo della revocazione azionata». In particolare, sulla scorta dei nuovi ulteriori atti «acquisiti dalla Procura della Repubblica di Cremona, per come trasmessi alla Procura federale in data 17.7.2015 (fax con nota di autorizzazione del PM in copia conforme allegato agli atti) […] il carico probatorio inerente il calciatore Omar MILANETTO non solo conferma quanto precedentemente contestato dalla Procura federale in merito al ruolo concorrente e rilevante dello stesso ma è stato ulteriormente aggravato, con le ulteriori pregnanti risultanze emerse dai puntuali e circostanziati interrogatori resi dall’Ilievsky» e, segnatamente, «dall’interrogatorio reso in data 28.4.2015, allegato in atti». Nel predetto interrogatorio, in riferimento alla gara Lazio – Genoa, il sig. Ilievski, conferma di essere andato insieme a ZAMPERINI a Formello, ritiro della Lazio e di aver lì conosciuto MAURI, che gli comunicò che «la partita era già stata combinata». All’offerta di 350.000 euro per combinare un Over e la vittoria della Lazio, MAURI rispose che «ci dava il regalo dell’1 a 1 primo tempo come risultato sicuro che si sarebbe verificato. Lo stesso mi riferiva di essere infatti amico di ZAMPERINI e per tale ragione era disposto ad aiutarci. Chiesi a MAURI come potevo essergli riconoscente, ma MAURI mi rispose di mettermi a posto con ZAMPERINI. Davanti a me MAURI chiamò MILANETTO dicendogli che due persone avrebbero raggiunto Genova per incontrare i giocatori del Genoa. Andammo all’albergo di MILANETTO, questi uscì, parlammo con lui e questi disse che l’ipotesi Over con la vittoria della Lazio non poteva essere garantita perché il Genoa quel giorno avrebbe giocato non con la sua squadra classica, ma con molti stranieri ai quali non era facile chiedere qualcosa di simile. Non abbiamo chiesto a MILANETTO la conferma di quel’1 a 1 primo tempo di cui ci aveva detto MAURI perché ci bastava la sua parola. Devo però precisare che io non ho sentito tutti i discorsi di MILANETTO che era un po’ distante e parlava con loro». Secondo la Procura federale «la predetta documentazione ha consentito di conoscere fatti nuovi, sopravvenuti dopo che la predetta decisione della CGF è divenuta irrevocabile, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia». Pertanto, «dalle dichiarazioni accusatorie di GERVASONI che traggono la loro fonte da ZAMPERINI e da Gegic; dagli elementi tecnici risultanti dagli agganci delle celle telefoniche dei telefoni dei rispettivi protagonisti della vicenda; dalle dichiarazioni accusatorie di Ilievsky che riferisce in modo diretto circostanze alle quali lo stesso ha partecipato in prima persona e che dimostrano l’avvicinamento e il coinvolgimento del MILANETTO nell’attività alterativa contestagli». In altri termini, il Procuratore federale ritiene che il quadro probatorio a supporto della contestazione mossa a MILANETTO sia «stato arricchito da una dichiarazione etero accusatoria diretta da parte di un protagonista della vicenda […] dichiarazione che a sua volta si deve ritenere riscontrata in modo pieno e assolutamente concordante dagli altri elementi già acquisiti in precedenza». Quanto alla gara Lecce – Lazio del 22.5.2011 la Procura federale, anzitutto, ricorda di aver deferito i sigg.ri Stefano FERRARIO, Massimiliano BENASSI ed Antonio ROSATI per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5 CGS per avere prima della predetta gara, in concorso tra loro e con altri soggetti posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo. Quindi, la Procura federale riporta integralmente il materiale probatorio sul quale si basava il predetto deferimento:interrogatorio GIP Cremona: ZAMPERINI (20.12.2012);interrogatorio GIP Cremona: GERVASONI (22.12.2011);interrogatorio PM Cremona: GERVASONI (27.12.2011);interrogatorio PM Cremona: ZAMPERINI (27.12.2012);audizione FERRAIO (22.3.2012); audizione BENASSI (26.3.2012);interrogatorio PM Cremona: GERVASONI (12.3.2012);audizione GERVASONI (13.4.2012); audizione MAURI (13.4.2012);audizione BROCCHI (13.4.2012);audizione CORVIA (19.4.2012); audizione ROSATI (23.4.2012); audizione VIVES (26.4.2012); interrogatorio GIP Cremona: MAURI (30.5.2012);audizione FERRARIO (16.11.2012); audizione MAURI (20.11.2012); rogatoria Horvath (28.11.2011); ricostruzione trasferimento denaro dall’Ungheria a Lecce con stralci intercettazioni utenze ungheresi da parte dell’A.G. ungherese;interrogatorio PM Cremona: GERVASONI (4.2.2013);interrogatorio PM Cremona: FERRARIO (13.2.2013);tabulati telefonici con riferimento: all’incontro di Cernobbio tra GERVASONI, Gegic e Ilievsky (tabella A); ai contatti telefonici GERVASONI, Ilievsky, ZAMPERINI, MAURI, Aureli e FERRARIO del 18.5.2011 (tabella B); ai contatti telefonici intervenuti la sera – notte tra il 19 ed il 20 maggio 2011 tra Ilievsky, Tan Seet Eng, Kenesei Zoltan, Lazar Matyas e Strasser Laszlo (tabella C); ai contatti telefonici del 21 – 22 maggio 2011 tra ZAMPERINI, GERVASONI, Ilievsky, Schultz, Tan See Eng, Kenesei e Lazar (tabella D); ai contatti telefonici del 20 – 21 – 22 maggio 2011 tra ZAMPERINI, MAURI, Aureli e FERRARIO (tabella E); ai contatti telefonici del 23 maggio 2011 tra ZAMPERINI, MAURI, Aureli e FERRARIO (tabella F). Ricordato come, nel merito, la Commissione disciplinare nazionale ha derubricato l’originaria incolpazione a carico del calciatore FERRARIO in omessa denuncia (con sanzione di mesi sei ridotta a mesi quattro dalla Corte di giustizia sportiva), con conseguente relativa sanzione per responsabilità oggettiva per la società U.S. Lecce s.p.a., disponendo, invece, il proscioglimento di BENASSI e ROSATI, il Procuratore federale ritiene che, alla luce dei nuovi elementi acquisiti, è integrato il presupposto di applicabilità del fatto nuovo della revocazione azionata. In particolare, sulla scorta dei nuovi ulteriori atti «acquisiti dalla Procura della Repubblica di Cremona, per come trasmessi alla Procura federale in data 17.7.2015 (fax con nota di autorizzazione del PM in copia conforme allegato agli atti)», il carico probatorio inerente i calciatori Stefano FERRARIO, Massimiliano BENASSI e Antonio ROSATI non solo conferma quanto precedentemente contestato dalla Procura federale in merito al ruolo concorrente e rilevante degli stessi, «ma è stato ulteriormente aggravato, con le ulteriori pregnanti risultanze emerse dai puntuali e circostanziati interrogatori resi dall’Ilievsky, in particolare dall’interrogatorio reso in data 28.4.2015, allegato in atti». Riporta, a tal proposito, nello stesso ricorso per revocazione, uno stralcio di siffatte dichiarazioni nelle quali, tra l’altro, Ilievsky afferma di aver ricevuto la visita, nella propria stanza dell’hotel presso il quale alloggiava, di Stefano FERRARIO del Lecce, «dopo gli allenamenti della mattina all’incirca alle 15 del pomeriggio e gli ho dato una somma che non ricordo se gli ho indicato come 330.000 euro ma FERRARIO mi ha detto che in realtà mancavano circa 3.000 euro. Quindi gli ungheresi dandomi il pacco mi avevano in realtà dato qualcosa in meno». Aggiunge: «non conosco o comunque non ricordo in questo momento i nomi dei giocatori del Lecce coinvolti. Mi sembra però che FERRARIO abbia fatto i nomi di VIVES e di CORVIA e ovviamente il portiere e tutta la difesa ed era coinvolto per la sicurezza anche il portiere di riserva». Secondo la Procura federale «la predetta documentazione ha consentito di conoscere fatti nuovi, sopravvenuti dopo che la predetta decisione della CGF è divenuta irrevocabile, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia». In altri termini, il quadro probatorio a supporto della contestazione mossa a FERRARIO, ROSATI e BENASSI sarebbe stato «arricchito da una dichiarazione etero accusatoria diretta da parte di un protagonista della vicenda […] dichiarazione che a sua volta si deve ritenere riscontrata in modo pieno e assolutamente concordante dagli altri elementi già acquisiti in precedenza». Per queste ragioni, il Procuratore federale, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), CGS propone ricorso per revocazione, chiedendo che l’adìta CFA, ritenuta ammissibile e fondata l’istanza di revocazione, per l’effetto, «in riforma delle decisioni impugnate per revocazione, voglia dichiarare la responsabilità disciplinare di MILANETTO Omar, FERRARIO Stefano, BENASSI Massimiliano, ROSATI Antonio, Genoa Cricket and Football Club s.p.a. ed U.S. Lecce s.p.a.» e, di conseguenza, «irrogare agli stessi le seguenti sanzioni: 1) quanto alla gara Lazio – Genoa del 14.5.2011: infliggere a Omar MILANETTO la squalifica di anni 3 e mesi 6; alla società Genoa Cricket and Football Club s.p.a. infliggere punti 3 di penalizzazione da scontarsi nel campionato di competenza nella stagione sportiva 2015-2016, ovvero le differenti sanzioni ritenute di giustizia; 2) quanto alla gara Lecce – Lazio del 22.5.2011: infliggere a Stefano FERRARIO la squalifica di anni 3 e mesi 6, a BENASSI Massimiliano la squalifica di anni 3 e mesi 6 e ROSATI Antonio la squalifica di anni 3 e mesi 6; alla società U.S. Lecce s.p.a. infliggere punti 3 di penalizzazione da scontarsi nel campionato di competenza nella stagione sportiva 2015 – 2016, ovvero le differenti sanzioni ritenute di giustizia». Le controdeduzioni difensive Il Genoa Cricket and Football Club s.p.a. eccepisce, innanzitutto, inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso e per insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 39 CGS. Secondo la prospettazione difensiva non vi sarebbe alcun elemento nuovo, in quanto la dichiarazione di Ilievsky del 28 aprile 2015 «coincide esattamente con quanto pubblicato dagli organi di stampa ormai oltre 3 (tre) mesi e mezzo or sono». Inoltre, si tratterebbe di dichiarazioni già rese pubbliche dagli organi di stampa nel mese di aprile – maggio 2015, mentre la Procura federale ha «effettuato la richiesta di acquisizione documentale alla Procura della Repubblica di Cremona l’08 luglio 2015, ovverossia trascorsi oltre 60 giorni dal momento in cui le dichiarazioni di Hristan Ilievsky innanzi all’Autorità giudiziaria penale costituivano fatto notorio, certamente conosciuto all’organo requirente». Pertanto, «il ricorso promosso il 13 agosto 2015 risulta inoppugnabilmente tardivo» e, in ogni caso, la Procura federale aveva l’onere, quantomeno, di «attivarsi entro 30 (trenta) giorni dalla scoperta del fatto (in questo caso dalla data in cui le dichiarazioni di Ilievsky sono divenute di pubblico dominio) per ottenere quanto di propria spettanza». Richiama, a tal proposito, il Genoa, giurisprudenza della Cassazione civile secondo cui «in tema di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 3, c.p.c. è […] il termine di impugnativa stabilito dall’art. 326 c.p.c., decorre dal giorno in cui la parte abbia avuto notizia dell’esistenza del documento assunto decisivo, e non già dalla data di materiale apprensione del documento stesso» (Cassazione civ., n. 12867/2005) e, dunque, «l’impugnazione per revocazione deve essere proposta a pena di inammissibilità […] entro trenta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi» (Cassazione civ., n. 2287/2005). Un secondo profilo di inammissibilità concerne la mancata indicazione del motivo di diritto per cui si invoca la revocazione della decisione ex art. 39 CGS, richiamando, a tal fine, la pronuncia della Corte di giustizia federale di cui al C.U. n. 4/CGF del 4 luglio 2014, che ha, nell’occasione, affermato come il ricorrente non abbia indicato «quale ipotesi di revocazione ricorrerebbe nel caso di specie». «Di conseguenza», prosegue il Genoa, «viene impedito allo scrivente Club il pieno esercizio del diritto di difesa rispetto alla cd. “fase rescindente”, con conseguente inammissibilità del gravame». Con un terzo motivo di inammissibilità il Genoa eccepisce la mancanza del requisito richiesto dall’art. 39 CGS per la proposizione del ricorso per revocazione. Sotto tale profilo, infatti, la dichiarazione di Ilievsky, «ove letta unitamente alle altre rese dall’ex latitante», non costituirebbe «un fatto nuovo tale da determinare una diversa decisione ove conosciuto in occasione del giudizio avanti alla Corte di giustizia federale FIGC, né tantomeno fondamentale ai fini dell’esito del procedimento disciplinare». Si tratterebbe, infatti, «di una dichiarazione di parte che rappresenta, al più, un possibile “indizio”, non certo il “fatto nuovo” richiesto dalla norma». Indizio che sarebbe, peraltro, smentito da altre prove sopravvenute e, comunque, le dichiarazioni di cui trattasi sarebbero prive «del requisito, necessario ed obbligatorio, della decisività». Anche in questo caso il Genoa richiama giurisprudenza secondo cui «il requisito della decisività dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l’impugnazione per revocazione … , ne postula la diretta attinenza a fatto risolutivo per la definizione della controversia e, pertanto, va esclusa, con riguardo all’atto che sia in grado di offrire meri elementi indiziari, utilizzabili solo per una revisione del convincimento espresso dalla sentenza revocando in esito ad un riesame complessivo del precedente quadro probatorio coordinato con il nuovo dato acquisito» (Cassazione civ., n. 8202/2004). Inoltre, «testimonianze e dichiarazioni, trasposte in documento, rese dopo la sentenza, sono inidonee a dare tempestivo ingresso al giudizio in questione» (Corte dei Conti Emilia Romagna, n. 968/2006). Nel merito, il Genoa deduce insussistenza di responsabilità in capo a MILANETTO, inattendibilità e, comunque, irrilevanza della dichiarazione resa da Ilievsky. La narrazione dello slavo sarebbe «connotata da assoluta genericità ed incertezza» ed è stata resa «dopo circa tre anni trascorsi da latitante, in più momenti, esclusivamente e con tutta probabilità, per ottenere un trattamento favorevole in sede di patteggiamento». Si evidenzia, a tal proposito, nelle controdeduzioni: «Il collaboratore afferma di aver visto, nel ritiro romano dell’Hotel Duke, il giorno del presunto incontro con il MILANETTO, il pullman del Genoa C.F.C. s.p.a. che recava il logo dello scrivente vicino al posto guida, trascurando, però la decisiva circostanza che, in quell’occasione, il mezzo di trasporto fu noleggiato dal Club ospitato presso la società Cialone Tour di Frosinone (doc. 2), per gli spostamenti da e per l’aeroporto e da e per lo Stadio Olimpico, mezzo che, chiaramente, in quanto oggetto di utilizzo temporaneo da parte del Genoa CFC, non presentava alcun riferimento all’odierna resistente. Inoltre, Ilievsky ha riconosciuto MILANETTO ricordandone “i capelli un po’ ricci” rispetto alla foto mostrata dalla Procura della Repubblica, agli atti, mentre, all’epoca di Lazio – Genoa, l’ex calciatore della scrivente portava i capelli molto corti e non certo ricci (doc. 3)!». «In ogni caso», prosegue il Genoa, «in tutte le sue dichiarazioni Ilievsky, non solo ammette di non aver parlato direttamente con MILANETTO, ma addirittura, di essersi trovato a rilevante distanza da questi, tanto che non si comprende come possa il presente “elemento nuovo acquisito” condurre alla responsabilità» dello stesso. Non occorre, poi, dimenticare, ad avviso del Genoa, che MILANETTO, «ancor prima di subire l’arresto, ha collaborato lealmente con gli inquirenti federali, depositando i propri tabulati telefonici dal 1° gennaio 2011, estratti dei propri conti correnti, tracciature telepass, visure immobiliari, dimostrando l’assoluta trasparenza del calciatore che, pertanto, è immune – come la scrivente società – da qualsiasi tentativo di alterazione della gara». Contesta, poi, il Genoa, gli elementi sui quali la Procura federale ha basato il procedimento di impugnazione straordinaria e, cioè, le dichiarazioni di GERVASONI e l’aggancio delle celle telefoniche. Quanto alle prime, le stesse sarebbero inidonee a fondare un giudizio di responsabilità di MILANETTO, come, del resto, già affermato dagli organi della giustizia sportiva «nel giudizio ordinario». Con riferimento alle celle, invece, «già a lungo si è discettato, nella fase di merito, della strumentalità di tale riferimento, sol che si consideri che tutte le celle “agganciate” dagli slavi, 3 (tre) differenti in meno di 12 (dodici) minuti, distano almeno 2 chilometri dall’Hotel Duke, e non corrispondono mai a quella agganciata da MILANETTO. In particolare, si osserva come, anche a voler concedere che alle 12.44, ultimo momento in cui si dispone di un rilievo telefonico, Ilievsky e ZAMPERINI fossero stati in auto, in partenza da Formello, con direzione l’Hotel Duke […] gli stessi avrebbero dovuto percorrere, nel traffico romano, quasi 30 chilometri in 14 minuti, impresa pressoché impossibile, atteso che le tabelle reperibili in rete stimano un tempo pari circa al triplo!!». Insomma, la presenza di Ilievsky e ZAMPERINI nei pressi dell’Hotel Duke sarebbe del tutto irrilevante e, comunque, non proverebbe alcunché circa il presunto incontro. Quanto, da ultimo, al preteso fatto nuovo rappresentato dal verbale delle dichiarazioni di Ilievsky, il Genoa sottolinea che, in primo luogo, «una dichiarazione di correità non può costituire un “fatto nuovo”» e, inoltre, i verbali di dichiarazioni sarebbero in realtà 4 (28 e 29 aprile, 5 e 11 maggio) e, salvo quella del 28 invocata dalla Procura federale, nelle altre lo slavo non menziona MILANETTO. Peraltro, quanto alla personalità del dichiarante, il Genoa osserva come «lo slavo ha, per anni, alterato decine di gare, utilizzando metodi tutt’altro che ortodossi, rimanendo latitante per anni, salvo poi, successivamente, folgorato sulla via di Damasco, costituirsi nello scorso mese di aprile 2015 alla ricerca di un “patteggiamento” a condizioni vantaggiose». E, in ogni caso, dalla lettura delle varie dichiarazioni rese da Ilievsky si evincerebbe «come manchino, rispetto alla posizione del MILANETTO, “precisione … coerenza … costanza … spontaneità”». Conclude, quindi, il Genoa chiedendo alla Corte «in via preliminare, e di rito, dichiarare inammissibile il ricorso del Procuratore federale promosso ex art. 39 CGS» e, «in via principale, nel merito, rigettare il ricorso del Procuratore federale, confermando integralmente la decisione della Corte di giustizia sportiva FIGC di cui al C.U. n. 30/CGF del 16 agosto 2013, con motivazioni pubblicate sul C.U. n. 94/CGF del 13 novembre 2013». Anche Omar MILANETTO, nelle proprie controdeduzioni, prospetta, anzitutto, una serie di motivi di inammissibilità. In primo luogo, «decadenza, con conseguente inammissibilità della richiesta, per omesso invio del preavviso della richiesta di revocazione in esame, ex art. 39, III c. e 38, I c., alla Corte federale d’appello entro 3 giorni dalla scoperta del “fatto nuovo sopravvenuto”», non essendovi alcuna menzione del «previo invio, ad opera della Procura della FIGC del preavviso ex art. 38, I c., CGS». Ulteriore motivo di decadenza sarebbe costituito dal «mancato rispetto dei termini di 3 e 30 giorni decorrenti dal dies a quo indicato ex art. 39, III c., 38, I c e 38, II c., in combinato con l’art. 39, 1 c., nella scoperta del “fatto nuovo sopravvenuto”, prospettato criticabilmente dalla Procura della FIGC nelle dichiarazioni asseritamente eteroaccusatorie (la c.d. “chiamata di correo”) contro il MILANETTO, rese senza alcun contraddittorio con quest’ultimo da tale Hristian Ilievsky all’Autorità giudiziaria di Cremona a partire dal 28-29 aprile 2015». Secondo la predetta impostazione difensiva, infatti, siffatta “scoperta” sarebbe «avvenuta (non già con la “comoda” ricezione dei relativi verbali da parte della Procura della FIGC, cui essi sono stati inoltrati dalla Procura della Repubblica di Cremona, ma bensì) nel giorno della conoscenza della dettagliatissima notizia di stampa di “Repubblica”, a firma Marco Mensurati e Giuliano Foschini, contenuta nell’articolo intitolato “La versione di Ilievsky: MAURI mi disse: ti regalo l’1 – 1”, del 6 maggio 2015 (all. 1), sostanzialmente replicata da “La Gazzetta dello Sport” con l’articolo intitolato “MAURI mi disse: gioca l’1-1 nel primo tempo”, a firma “cen” (abbreviazione di Francesco Ceniti) in data 7 maggio 2015 (all. 2). Tali articoli, infatti, contenevano entrambi tra virgolette le stesse dichiarazioni costituenti la chiamata di correo di Ilievsky asseritamente contro (anche) il MILANETTO del 28-29 aprile davanti al GIP del Tribunale di Cremona, oggi riportate pari pari nella (tardiva) richiesta di revocazione del 12 agosto 2015 della Procura della FIGC». Secondo la difesa MILANETTO sarebbe, anzi, «ragionevole ritenere che per il Procuratore Capo della FIGC (dr. Stefano Palazzi) la “scoperta” di tale “fatto nuovo sopravvenuto” sia avvenuta il 7 maggio 2015 perfino dalla viva voce del Procuratore Capo della Repubblica (dr. Roberto Di Martino), atteso che quel giorno stesso vi fu un incontro a Cremona tra i due massimi esponenti delle rispettive Procure, come riportato – con tanto di fotografie a suggello dell’evento – dagli stessi organi di stampa (“Repubblica” e “La Gazzetta dello Sport”) a massima diffusione nazionale or ora menzionati negli articoli dell’8 maggio 2015 che si producono in copia (all. 3 – 4)». Insomma, secondo MILANETTO, «alla data del 13 agosto 2015, giorno di comunicazione della (sola) richiesta della Procura della FIGC, di revocazione (senza il propedeutico e correlato preavviso ex art. 39, I c. e 38, II c., CGS, a quanto pare), entrambi tali termini “perentori” erano inesorabilmente spirati con conseguente ed insanabile inammissibilità della richiesta tuttavia presentata il 13 agosto, già dal 9-10 maggio, rispettivamente, dal 5-6 giugno 2015». Eccepisce, poi, ancora, la difesa di MILANETTO, inammissibilità per «impossibilità logicogiuridica della richiesta di revocazione di una decisione mai emessa su un fatto storico mai contestato prima (l’accordo illecito per il cd. “over” sul risultato finale della gara Lazio – Genoa del 14 maggio 2015) con un atto formale di deferimento ex art. 32 ter CGS». «Per comprendere», si afferma nelle controdeduzioni, «il senso decisivo ed assorbente di tale censura, va considerata la totale diversità del fatto oggetto sia dell’atto di deferimento contro il MILANETTO del luglio 2013, sia delle decisioni di I e II grado di luglio – agosto 2013, rispetto al fatto oggetto della chiamata di correo effettuata da Hristian Ilievsky asseritamente (anche) contro il MILANETTO stesso». Secondo la tesi difensiva, infatti, il “fatto nuovo sopravvenuto” che sarebbe rappresentato dalla chiamata di correo effettuata «dal coindagato Hristian Ilievsky [durante l’interrogatorio di garanzia reso da detenuto in carcere il 28-29 aprile 2015 al GIP del Tribunale di Cremona (dr. Guido Salvini) ed in 3 successivi interrogatori al PM] ha ad oggetto un fatto ben diverso dall’accordo per il risultato di 1-1 alla fine del primo tempo, cioè un presunto accordo sull’over». In altri termini, sarebbe «incontestabile che mentre l’addebito originario contenuto nell’atto di deferimento (e ritenuto infondato dalla decisione definitiva federale di assoluzione del MILANETTO del 16 agosto 2013) sarebbe consistito, per MILANETTO, nell’ “aver aderito all’accordo illecito … al fine di consentire … scommesse sul risultato concordato” relativo soltanto al primo tempo della gara, al contrario le dichiarazioni di Ilievsky – per la parte che qui interessa – paiono volte a suffragare (peraltro falsamente, come si dirà con grande ampiezza) un incontro tra lui ed il MILANETTO davanti all’albergo sede del ritiro del CFC Genoa prima della gara Lazio – Genoa del 14 maggio 2011, in cui per Ilievsky stesso non vi sarebbe stata adesione, da parte del MILANETTO, ad alcun “accordo illecito”». In sintesi, secondo la prospettazione difensiva, la Procura federale «pretenderebbe la revocazione della menzionata decisione definitiva di assoluzione del MILANETTO dall’addebito di aver “aderito ad un accordo illecito” per il risultato di 1-1 alla fine del primo tempo della gara Lazio – Genoa in base al “fatto nuovo sopravvenuto” di una chiamata di correo relativa, tuttavia, ad un fatto diverso da quello contestato al MILANETTO nell’atto di deferimento ex art. 32 ter CGS del procedimento disciplinare a quo (cioè l’accordo per il risultato di 1-1 alla fine del primo tempo della gara), cioè per l’accordo sull’ “over” per il risultato finale della gara Lazio – Genoa: tale circostanza, anche se la chiamata di correo in esame fosse – per puro paradosso – credibile, non avrebbe potuto comportare “una diversa pronuncia” ex art. 39, I comma, lett. d), 2° parte, CGS FIGC, perché quella contestazione (rivelatasi infondata) e la corrispondente decisione definitiva (di I e II grado) avevano ad oggetto, in ipotesi, l’alterazione del risultato del primo tempo della gara Lazio – Genoa (1-1), non già del risultato finale (over)». Pertanto, non può procedersi oltre, si legge nelle controdeduzioni offerte da MILANETTO, «a meno di non voler togliere effettività al diritto alla difesa ed al contraddittorio, oltre che al principio processuale generale, strettamente correlato a tali diritti, di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, espresso sia dall’art. 112 c.p.c., applicabile anche nel processo amministrativo in forza del rinvio esterno ex art. 39, I c., codice di giustizia amministrativo, alle disposizioni del codice di procedura civile, sia degli artt. 521-522 c.p.p. relativi al processo penale (“correlazione tra accusa contestata e sentenza”), tutte disposizioni applicabili al processo disciplinare-sportivo perché esprimono il principio del contraddittorio, preminente tra quelli del giusto processo ex art. 111, II c., Cost., proprio perché rende effettivo il diritto di difesa, inviolabile ex art. 24 II c., Cost.». Con un quarto motivo di inammissibilità MILANETTO eccepisce genericità del motivo di revocazione, indicato in ricorso «con la dicitura “omesso esame di fatti decisivi che non si sono potuti conoscere nel precedente procedimento». Evidenzia, a tal proposito, come l’art. 39 annoveri al suo interno, alla lettera d), due diverse e “alternative” ipotesi di revocazione: esame di fatti decisivi che non si sono potuti conoscere nel precedente procedimento (lett. d, prima parte); fatto nuovo sopravvenuto che, se conosciuto, avrebbe comportato una diversa pronuncia (lett. d, seconda parte). A meno che, dunque, si legge nelle controdeduzioni, non si tratti di un lapsus calami, «i fatti decisivi non esaminati poiché non conoscibili nel precedente procedimento devono necessariamente preesistere alla decisione a quo (quella del luglio – agosto 2013 che assolve il MILANETTO), sicché non possono al contempo essere fatti nuovi sopravvenuti alla decisione stessa». Deduce, poi, la difesa MILANETTO, «impossibilità logico-giuridica, già in astratto di elevare a “fatto nuovo sopravvenuto la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia” ex art. 39, c. 1, lett. d) 2^ parte CGS, una chiamata di correo, perché mentre la valutazione volta alla pronuncia pregiudiziale di ammissibilità della richiesta di revocazione (ex art. 38, IV c., CGS) va per logica effettuata ex ante, cioè prima della formazione delle prove rilevanti per il merito (altrimenti la pronuncia non sarebbe pregiudiziale sull’ammissibilità, ex art. 39, IV c., CGS: ma direttamente sul merito), al contrario, la valutazione della decisività o meno della chiamata di correo, per la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione penale, va effettuata (non ex ante, ma bensì) ex post e presuppone necessariamente il cd. contraddittorio in senso forte ex art. 111, IV c., Cost. rispetto alla chiamata stessa, instaurabile davanti al Giudice penale, che all’esito di esso deve vagliare unitariamente sia l’attendibilità intrinseca della fonte dichiarativa, sia la credibilità delle correlative dichiarazioni, legate sia all’esistenza dei loro riscontri oggettivi esterni ed individualizzanti, sia alle loro immediatezza, reiterazione, costanza, coerenza interna, precisione, univocità e verosimiglianza». Ritiene, dunque, MILANETTO, sia di tutta evidenza «che, ai fini della delibazione ex ante dell’ammissibilità della richiesta basata su una mera chiamata di correo come quella di Ilievsky, il vaglio pregiudiziale unitario della credibilità della chiamata stessa e dell’attendibilità intrinseca del chiamante sia riservato al Giudice penale», con la conseguenza che, «in genere ed in astratto, una chiamata di correo pur se resa in ambito penale, ma senza cross examination (che è possibile solo in dibattimento, o in incidente probatorio, sedi esclusive del pleno contraddittorio probatorio tra le parti, specie l’imputato, giusta il suo diritto di controesaminare il chiamante ex art. 111, IV c., CGS) non può assolutamente considerarsi quale prova, né, quindi, “fatto nuovo sopravvenuto”». Premesso, quindi, di non voler rinunciare a contro-esaminare chi lo ha accusato, si sottolinea, ancora, che «l’unico atto probatorio formato in contraddittorio in sede penale è stata la Ctu svoltasi in incidente probatorio (cfr. artt. 392 c.p.p.) sui cellulari sui p.c. sequestrati dall’Autorità giudiziaria (all. 5), che ha avuto esito totalmente favorevole al MILANETTO (“negativo”, hanno scritto i periti del GIP di Cremona), perché – tra l’altro – ha concretato una smentita sonoramente oggettiva della telefonata di preavviso di MAURI a MILANETTO stesso riferita con dolosa falsità da Ilievsky per suffragare in modo decisivo il suo incontro (del pari riferito con dolosa falsità) con l’odierno conchiudente davanti all’albergo sede del ritiro del Genoa prima della gara Lazio – Genoa del 14 maggio 2011: al contrario, in effetti, dai tabulati e dal materiale informatico periziato non risulta alcuna telefonata di MAURI a MILANETTO in quell’arco temporale; né – va aggiunto – nei 10 anni precedenti)». Oltre che in astratto, vi sarebbe impossibilità logico-giuridica «pure in concreto, di elevare a “fatto nuovo sopravvenuto, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia”», la chiamata di correo resa da Ilievsky, «perché in contrasto logico con 2 documenti “sopravvenuti” alla decisione definitiva di assoluzione del MILANETTO del luglio – agosto 2013, ben più seri, costituiti dai 2 lodi emessi dal TNAS del Coni (organo autorevole, terzo ed imparziale, a differenza di Ilievsky, che al contrario è solo una parte processuale interessata in sede penale ad essere liberata e ad ottenere uno sconto cospicuo di pena per i delitti di associazione a delinquere e di plurime frodi sportive), del 19 febbraio 2014 (su ricorso di Stefano MAURI) e del 10 aprile 2014 (su ricorso della S.S. Lazio s.p.a.)». Detti lodi avrebbero, infatti, «negato quanto invece affermato da Ilievsky senza contraddittorio, «cioè che il MAURI abbia organizzato (men che meno in accordo con il MILANETTO) la combine relativa a Lazio – Genoa del 14 maggio 2011, infliggendogli una sanzione solo in quanto colpevole di omessa denuncia». Ammettere la richiesta revocazione, dunque, significherebbe, secondo MILANETTO, ammettere che MAURI organizzò la frode sportiva di cui trattasi e disconoscere l’imparziale decisum dei componenti del Tnas, dichiarando maggiormente credibili le dichiarazioni rese senza contraddittorio da Ilievsky, «ex testa di cuoio della Polizia macedone e ristretto in carcere quando rese quelle dichiarazioni “etero-accusatorie”». Secondo la suddetta tesi difensiva l’impossibilità logico-giuridica anzidetta deriverebbe anche dal contrasto con le dichiarazioni rese «dall’Ilievsky durante l’intervista rilasciata ai giornalisti Marco Mensurati e Giuliano Foschini del quotidiano “Repubblica” e pubblicata l’11 marzo 2012 (all. 8), in cui l’Ilievsky, allora libero perché latitante: a) affermò che ad organizzare la combine per il risultato di 1-1 della gara Lazio – Genoa era stato un tesserato della SS Lazio s.p.a., ben distinto da Stefano MAURI; b) negò espressamente che l’organizzatore di quella combine fosse stato il MAURI; c) non nominò né considerò minimamente il MILANETTO, men che meno fece menzione di un accordo di questo con il MAURI e di una telefonata del MAURI stesso al MILANETTO per introdurne l’incontro davanti all’albergo sede del ritiro pre-gara del Genoa». Si sottolinea, nelle controdeduzioni di cui trattasi, che i due suddetti giornalisti, sentiti in sede di s.i.t. dalla Polizia giudiziaria su delega del PM di Cremona in data, rispettivamente, 23 e 27 aprile 2012, hanno sostanzialmente confermato «la genuinità dell’intervista e di aver scritto correttamente quanto loro dichiarato in Macedonia da Ilievsky in stato di libertà (doc. 10-11), in particolare circa l’estraneità alla combine del MAURI (ed a maggior ragione, del MILANETTO, neppure menzionato in quella sede) e circa il fatto che l’Ilievsky confermò loro il suo viaggio a Roma in occasione della gara Lazio – Genoa ma “ribadendo di non essere riuscito ad incontrare nessuno». Per questi motivi MILANETTO conclude chiedendo che la Corte federale d’appello «voglia già in via pregiudiziale dichiarare inammissibile la richiesta di revocazione della Procura della FIGC del 12 agosto 2015». Anche la società U.S. Lecce s.p.a. ha offerto proprie controdeduzioni. Preliminarmente «sunteggiato brevemente l’iter procedurale che ha condotto all’emanazione delle pronunce oggi oggetto di gravame», la società leccese eccepisce, anzitutto, contrasto tra l’art. 39 CGS e l’art. 63 del codice di giustizia sportiva del Coni, ricordando come quest’ultimo medesimo codice, all’art. 1, comma 3, ribadisca «la competenza esclusiva di ogni Federazione “a definire le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare” nel rispetto delle peculiarità tecniche delle singole discipline sportive». Nel caso di specie sarebbe di «solare evidenza come il CGS FIGC vigente, lungi dal conformarsi al codice CONI, abbia inteso disciplinare nell’ambito dell’art. 39 gli istituti della revisione e revocazione in maniera del tutto difforme rispetto alle previsioni di cui all’art. 63». «In conclamata violazione di quanto previsto dall’art. 63, comma 4, del codice Coni (secondo cui “fuori dei casi precedenti, nessuna decisione degli organi di giustizia può essere revocata quando sia scaduto il termine per la impugnazione o il giudizio sia stato comunque definito dal Collegio di garanzia dello sport con decisione nel merito)», prosegue l’U.S. Lecce, «il legislatore federale, in parte qua contraddicendo anche il disposto dell’art. 33, comma 2, dello statuto FIGC (“sono ammessi i giudizi di revisione e di revocazione nei casi previsti dal codice di giustizia sportiva della FIGC in conformità a quanto previsto dai Principi di giustizia e dal codice della giustizia sportiva emanati dal Coni”) ha inteso prevedere un “modello procedurale” del tutto diverso da quello prescritto dal codice Coni». Di conseguenza, nel caso di specie non potrebbe non trovare applicazione «quanto previsto dall’art. 63 del codice Coni in ragione del rapporto di supremazia gerarchica del codice Coni con conseguente disapplicazione dell’art. 39 FIGC». E, in tal senso, «l’avverso reclamo è da ritenersi radicalmente inammissibile atteso che la controparte ha omesso di indicare con doverosa puntualità il motivo e/o i motivi di cui all’art. 63, comma 2, che dovrebbero indurre Codesto Ecc.mo Collegio in fase rescindente ad “eliminare” le decisioni impugnate ed in fase rescissoria sostituirle con altre decisioni di merito». Inoltre, si legge ancora, «in ragione dell’argomentazione in virtù della quale nel caso che ci occupa dovrebbe trovare applicazione quanto previsto dall’art. 63 del codice Coni, l’imprescindibile vaglio di ammissibilità del ricorso introduttivo non può che essere operato alla luce di quanto previsto dal comma 2 secondo cui la revocazione è ammessa “solo quando la decisione dipende esclusivamente da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all’istante”», laddove, «dalla mera lettura del ricorso si evince con nettezza come la controparte non faccia riferimento ad alcun errore di fatto in cui sarebbero incorsi la Commissione disciplinare prima e la Corte di giustizia federale poi ma si limiti a ritenere che alla luce del nuovo documento (id est il verbale di interrogatorio reso dal sig. Ilievsky in data 29 – non 28 come erroneamente indicato nell’atto introduttivo – aprile 2015 innanzi al GIP di Cremona e verbale di interrogatorio reso in data 5 maggio 2015 innanzi al PM Cremona) “il quadro probatorio portato a supporto del deferimento è stato arricchito …». In ogni caso, anche laddove si dovesse ritenere applicabile l’art. 39 CGS è necessario, prosegue l’U.S. Lecce, «un particolare rigore nello scrutinio inerente l’ammissibilità dell’istanza di revocazione dovendosi valutare la sussistenza della condizione secondo la quale i fatti nuovi dedotti come elementi probatori rivelino la propria astratta attitudine a comportare, ove fossero stati conosciuti dai Primi Giudici, una diversa pronuncia». Ricorda, a tal proposito, la suddetta società, come, nella prospettazione accusatoria, dalle ulteriori dichiarazioni di Ilievsky, FERRARIO, BENASSI e ROSATI risulterebbero raggiunti da un ulteriore elemento di prova. Sotto tale profilo, dopo aver censurato «la biasimevole prassi di confusamente lasciare indistinte le posizioni dei tre deferiti», ritiene l’U.S. Lecce che gli asseriti elementi probatori siano agilmente confutabili. Segnatamente: «a) le dichiarazioni accusatorie di GERVASONI non hanno come fonte ZAMPERINI e Gegic; … b) gli elementi tecnici risultati dagli agganci delle celle telefoniche dei telefoni dei rispettivi protagonisti delle vicende non sono in alcun modo riferibili ai sigg.ri BENASSI e ROSATI; … c) le dichiarazioni accusatorie di Ilievsky non riferiscono in modo diretto circostanze alle quali lo stesso ha partecipato in prima persona e che dimostrano l’avvicinamento e il coinvolgimento dei tre calciatori all’epoca dei fatti tesserati per il Lecce nell’attività alterativa». Sotto tale profilo, peraltro, la società pugliese lamenta lo stesso «“metodo” adottato dalla Procura federale», a suo dire, «totalmente irrispettoso del principio della personalità della sanzione dovendo, in verità, anche la responsabilità disciplinare delle persone fisiche soggiacere al suddetto principio», laddove, invece, «ai fini di vagliare l’ammissibilità del rimedio revocatorio» è necessario operare «una scrupolosa disamina delle singole posizioni», che, condurrebbe ad affermare come le propalazioni accusatorie di Ilievsky, diversamente da quanto sostenuto dalla Procura federale, non apportano alcun nuovo elemento conoscitivo in ordine alla pretesa partecipazione di BENASSI e ROSATI alla ritenuta alterazione del regolare svolgimento della gara Lecce – Lazio, con conseguente inammissibilità del ricorso in parte qua, per mancato assolvimento dell’onere di allegazione di significativi e decisivi “fatti nuovi”. «In ordine alla posizione riguardante il sig. Stefano FERRARIO», invece, «gli elementi, rectius, l’elemento addotto dalla Procura rappresentato dalle scarne dichiarazioni di Ilievsky, individualmente considerato nonché valutato in aggregato agli altri, già in atti non consente di rifondare il giudizio precedentemente espresso dagli Organi di giustizia atteso che in disparte ogni considerazione circa l’attendibilità del dichiarante, la puntualità del narrato, difetta qualsivoglia riscontro obiettivo alle dichiarazioni anche con riferimento a elementi di carattere puramente indiziario che dimostrino il compimento da parte del calciatore, nei confronti di compagni di squadra, di atti diretti ad alterare lo svolgimento od il risultato della gara Lecce – Lazio del 22 maggio 2011». «Nella denegata e non creduta ipotesi in cui si ritenesse superata la fase rescindente», continua l’U.S. Lecce, «nel merito il ricorso proposto si appalesa del tutto infondato». In tal ottica, la società pugliese ritiene che «i Giudici federali hanno fatto buon governo del plesso normativo di riferimento, dei pacifici principi giurisprudenziali in materia ed hanno correttamente valutato gli elementi di prova offerti dalla controparte. Né invero gli elementi acquisiti paiono di tale pregnanza da poter condurre alla revocazione delle decisioni». Non vi sarebbero, infatti, elementi di novità introdotti «dalle propalazioni di Ilievsky le quali, come già detto, non possono essere neppure utilizzate al fine di riscontrare le dichiarazioni rese dal GERVASONI costituendo lo stesso Ilievsky, che peraltro ha avuto solo conoscenza de relato, la fonte di conoscenza». Si impegna, quindi, la difesa del Lecce, in una dettagliata analisi dei profili di incongruenza, incertezza, incoerenza delle dichiarazioni accusatorie di Ilievsky. Da ultimo, «non può non evidenziarsi», conclude l’U.S. Lecce, come in ogni caso eccessiva sia la sanzione della penalizzazione di punti tre richiesta dalla Procura federale. Infatti, apparirebbe di palese evidenza come, «ove mai fosse affermata la responsabilità dei tesserati, gli stessi abbiano, in ipotesi, agito, comunque a titolo esclusivamente personale ed a completa insaputa del club di appartenenza per l’indebito ottenimento di “guadagni illeciti” e senza alcun riguardo per eventuali vantaggi in classifica per l’U.S. Lecce s.p.a.». Un tanto premesso l’U.S. Lecce così conclude: «dichiarare inammissibile l’avverso ricorso; in subordine, rigettare l’avverso ricorso poiché infondato in fatto e diritto; nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento dell’avverso ricorso, comminare la sanzione di cui all’art. 18, comma 1 lett. b) nella misura che sarà ritenuta di giustizia ed, in ulteriore subordine, quella di cui all’art. 18, comma 1 lett. g), nella misura non eccedente il minimo edittale ossia punti uno di penalizzazione o, comunque, nella misura che sarà ritenuta di giustizia». Del pari dense di eccezioni le controdeduzioni offerte dal sig. Stefano FERRARIO, nelle quali, dopo una preliminare ricostruzione dell’iter procedurale che ha condotto all’emanazione della pronuncia oggetto di gravame, si svolge, anzitutto, la medesima eccezione, già sopra descritta a proposito delle controdeduzioni del Lecce, circa il contrasto della disciplina federale dell’istituto della revocazione di cui all’art. 39 CGS rispetto a quella (asseritamente prevalente e gerarchicamente sovraordinata) rinvenibile nell’art. 63 del codice della giustizia sportiva emanato dal Coni. «Ratio, sottesa all’adozione del predetto codice all’esito del doveroso adeguamento da parte delle federazioni sportive nazionali e dei loro statuti e delle carte federali, l’auspicata uniformità dei sistemi e delle procedure di giustizia endo federali». Invece, nel caso di specie, sarebbe evidente come il CGS della Figc, «lungi dal conformarsi al codice Coni, abbia inteso disciplinare nell’ambito dell’art. 39 gli istituti della revisione e della revocazione in maniera del tutto difforme rispetto alle previsioni di cui all’art. 63 sopra menzionato». «In conclamata violazione di quanto previsto dall’art. 63, comma 4, del codice Coni (secondo cui “fuori dei casi precedenti, nessuna decisione degli organi di giustizia può essere revocata quando sia scaduto il termine per la impugnazione o il giudizio sia stato comunque definito dal Collegio di garanzia dello sport con decisione nel merito)», prosegue l’U.S. Lecce, «il legislatore federale, in parte qua contraddicendo anche il disposto dell’art. 33, comma 2, dello statuto FIGC (“sono ammessi i giudizi di revisione e di revocazione nei casi previsti dal codice di giustizia sportiva della FIGC in conformità a quanto previsto dai Principi di giustizia e dal codice della giustizia sportiva emanati dal Coni”) ha inteso prevedere un “modello procedurale” del tutto diverso da quello prescritto dal codice Coni». In tal senso, pertanto, il ricorso della Procura dovrebbe «ritenersi radicalmente inammissibile atteso che la controparte ha omesso di indicare con doverosa puntualità il motivo e/o i motivi di cui all’art. 63, comma 2, che dovrebbero indurre Codesto Ecc.mo Collegio in fase rescindente ad “eliminare” le decisioni impugnate ed in fase rescissoria sostituirle con altre decisioni di merito». «In ragione dell’argomentazione in virtù della quale nel caso che ci occupa», si prosegue, dovrebbe trovare applicazione quanto previsto dall’art. 63 del codice Coni, l’imprescindibile vaglio di ammissibilità del ricorso introduttivo non può che essere operato alla luce di quanto previsto dal comma 2 secondo cui la revocazione è ammessa “solo quando la decisione dipende esclusivamente da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all’istante”», laddove, «dalla mera lettura del ricorso si evince con nettezza come la controparte non faccia riferimento ad alcun errore di fatto in cui sarebbero incorsi la Commissione disciplinare prima e la Corte di giustizia federale poi ma si limiti a ritenere che alla luce del nuovo documento (il verbale di interrogatorio reso dal sig. Ilievsky in data 29 aprile 2015 innanzi al GIP di Cremona e verbale di interrogatorio reso in data 5 maggio 2015 innanzi al PM Cremona) “il quadro probatorio portato a supporto del deferimento è stato arricchito …». In ogni caso, anche laddove si dovesse ritenere applicabile l’art. 39 CGS si renderebbe necessario, prosegue FERRARIO, un particolare rigore nell’analisi inerente l’ammissibilità dell’istanza di revocazione, «dovendosi valutare la sussistenza della condizione secondo la quale i fatti nuovi dedotti come elementi probatori rivelino la propria astratta attitudine a comportare, ove fossero stati conosciuti dai primi Giudici, una diversa pronuncia». Ricorda, anzitutto, a tal proposito, la difesa FERRARIO, che il sig. Ilievsky fosse «gravato da anni da un ordine di cattura europeo che lo costringeva a vivere isolato nel proprio luogo di origine senza potersi muovere liberamente. Tale condizione, durata alcuni anni, deve essere sembrata allo stesso talmente gravosa da fargli premettere nella sua prima esternazione il 28 aprile 2015 avanti al GIP e al PM “Sono venuto in Italia dopo averci pensato a lungo perché ho intenzione di dire la verità su tutti i fatti che mi sono stati contestati e spero che l’autorità giudiziaria ne tenga conto con l’applicazione di una pena favorevole proprio in ragione del comportamento che ho deciso di scegliere. È stata una scelta difficile perché ho dovuto lasciare la mia famiglia molto lontana e confido che anche per questo sia compreso”». Queste parole, a dire della difesa FERRARIO, descriverebbero, «da sole, la esplicita volontà di raccogliere benefici ancor prima di aver iniziato a parlare». Ad ogni buon conto, i particolari riferiti dallo slavo non sarebbero univoci, bensì contraddittori: ad iniziare dal giorno dell’incontro (sabato o quello stesso della gara, ci si chiede) e dalla cifra in questione, che non si riuscirebbe a comprendere quale sia (euro 300.000 o 330.000 o 400.000). Il particolare, poi, dei 3.ooo euro mancati e quello dell’allenamento della mattina della gara che dovrebbero rappresentare «elemento caratterizzante a sostegno delle dichiarazioni, risulta essere in realtà una evidente circostanza inesistente. Il Lecce infatti non si è allenato quella mattina, né tantomeno FERRARIO che era infortunato». Ed ancora, si evidenzia nelle controdeduzioni di FERRARIO, «il 5 maggio avanti al P.M., la presunta consegna dei soldi non viene riferita precisamente alle 15, ma si modifica confusamente in alcune ore prima della partita. Testualmente “attorno le ore 13 o 14 o 15 del pomeriggio. Il denaro l’ho consegnato a FERRARIO che era solo”». Sottopone, quindi, la difesa FERRARIO all’attenzione di questa Corte numerosi elementi ritenuti idonei a dimostrare l’assoluta estraneità del tesserato rispetto agli addebiti a lui mossi, «elementi che, anche nell’ipotesi più severa, non possono avere valore probatorio inferiore rispetto ai pochi e contraddittori particolari raccontati da Ilievsky». Chiesto, infine, ammettersi prova per testi sulle circostanza capitolate, queste le conclusioni di FERRARIO: a) in via principale, dichiarare inammissibile il ricorso per revocazione; b) in via subordinata, rigettare il ricorso poiché infondato in fatto e diritto. Anche Massimiliano BENASSI, nelle proprie controdeduzioni, «contesta tutto quanto dedotto ed argomentato, sia in fatto che in diritto, nell’atto di ricorso per revocazione, in quanto quest’ultimo si evidenzia inammissibile e comunque, nel merito, destituito di fondamento». L’esame dell’integrazione di indagini trasmesse dalla Procura della Repubblica non permetterebbero «di confutare le decisioni della giustizia sportiva che hanno escluso la configurabilità di alcuna ipotesi di violazione delle norme disciplinari federali». Eccepisce, in primo luogo, la difesa BENASSI, inammissibilità del ricorso per revocazione per insussistenza dei requisiti previsti dall’art. 39 CGS. L’asserito nuovo elemento probatorio invocato dalla Procura federale a supporto del deferimento non integrerebbe, «quantomeno a carico del tesserato BENASSI, i presupposti di applicabilità della revocazione azionata non costituendo ne un fatto nuovo ne tantomeno un fatto idoneo ad inficiare le argomentazioni rese nei precedenti gradi di giudizio». In tal ottica, peraltro, si legge nella difesa BENASSI, se «l’ordinamento esclude che possa riconoscersi efficacia dimostrativa (anche meramente indiziaria) alla chiamata in correità in sé e per sé considerata, richiedendo, quindi, che la prova dei fatti oggetto di dichiarazione erga alios possa raggiungersi soltanto in presenza dei riscontri esterni, è lecito domandarsi sul piano logico, ancor prima che legislativo, come possa utilizzarsi in chiave di riscontro ciò che a sua volta necessita di venire riscontrato. In altri termini, la partecipazione all’associazione da parte di alcuni dei chiamati in correità, costituisce l’oggetto da provare per mezzo di elementi esterni alla chiamata di correo; nella prospettiva della accusa, invece, la chiamata in correità finisce per riscontrare se stessa confondendosi e facendo coincidere i fatti provati con quelli da provare». Ritiene, poi, inconferenti taluni richiami a criteri valutativi di matrice giurisprudenziali effettuati dalla Procura federale, così, ad esempio, per ciò che concerne le “voci correnti in ambienti ristretti” e, in generale, in ordine alle circostanze apprese, da taluno dei soggetti dichiaranti, nell’ambito del sodalizio criminoso. Sul punto, si legge nelle controdeduzioni, «l’accusa ritiene di poter applicare quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (penale) ed in particolare, il principio per cui “sono direttamente utilizzabili le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia su circostanze apprese in relazione al ruolo di vertice del sodalizio criminoso di appartenenza e derivanti da patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non assimilabili né a dichiarazioni “de relato”, utilizzabili solo attraverso la particolare procedura di cui all’art. 195 c.p.p., né alle cosiddette “voci correnti nel pubblico” delle quali la legge prevede l’inutilizzabilità” (Cass. sez. V, 8.10.2009 n. 4977). Quello appena enunciato, tuttavia, rappresenta un principio elaborato dalla Corte di Cassazione con esclusivo riferimento ai reati di associazione per delinquere di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p., in ragione della peculiarità di tale ultimo fenomeno associativo rispetto alle altre ipotesi delittuose pure esse associative» e, inoltre, «a ben vedere tale principio non trova applicazione nel caso di specie visto e considerato che non esiste alcun “flusso circolare di informazioni” avendo il GERVASONI riferito semplicemente una circostanza riferitagli da Gegic». Difetta, poi, “la necessaria efficacia individualizzante dei riscontri” esterni alle dichiarazioni di GERVASONI, che dovrebbero assumere (e non assumono, secondo BENASSI) valenza dimostrativa in relazione a ciascun fatto di reato attribuito al singolo chiamato in correità senza che dunque il riscontro ottenuto su alcuni fatti e alcuni accusati possa estendersi “per traslazione” ad altri soggetti (Cassazione, sez. un., 30 maggio 2006). In ogni caso, prosegue BENASSI, «le circostanze riportate dall’Ilievsky, qualora fossero ritenute idonee a superare il vaglio della fase rescindente, di certo non appaiono idonee ad aggiungere alcun elemento di carattere probatorio sul coinvolgimento del BENASSI nella vicenda in esame; a ben vedere, infatti, gli accadimenti raccontati dall’Ilievsky sono in frutto di espressioni dubitative e contraddittorie. Inoltre come già argomentato, i racconti dell’Ilievsky appaiono irrilevanti ai fini del decidere. Sul punto valga il fatto che l’Ilievsky riferisce circostanza di cui non ha conoscenza diretta ma che sembrerebbero essere frutto di quanto riferitogli dal FERRARIO (che peraltro nega tale circostanza). A ben vedere, inoltre, le affermazioni su cui la Procura federale fonda la richiesta di revocazione sono di contenuto assolutamente incerto e contraddittorio; infatti afferma l’Ilievsky: “Non conosco o comunque non ricordo in questo momento i nomi dei giocatori del Lecce coinvolti”. Né appare idonea a conferire valenza probatoria la successiva frase: “mi sembra però che FERRARIO abbia fatto i nomi di VIVES e CORVIA ed ovviamente del portiere e tutta la difesa”. La forma dubitativa con cui introduce il proprio pensiero svilisce di qualsiasi contenuto il tenore della dichiarazione successiva». Si impegna, poi, la difesa BENASSI in un’opera di demolizione dell’attendibilità e dell’affidabilità delle dichiarazioni di GERVASONI, evidenziando comunque l’incertezza delle stesse con riferimento al coinvolgimento dello stesso portiere leccese, la cui corretta condotta di gioco durante la partita in questione è già stata affermata dalla CDN. Nessun errore tecnico, dunque, dolosamente finalizzato a permettere le segnature della squadra avversaria. Evidenzia, ancora, la difesa BENASSI, come gli «adempiuti dettagliati controlli sui tabulati telefonici delle utenze» allo stesso riferibili non abbiano portato ad alcunché di rilevante e, in particolar modo, come non vi siano stati «contatti di alcun tipo tra BENASSI e FERRARIO, soggetto quest’ultimo che è indicato dagli inquirenti quale anello di collegamento tra i giocatori del Lecce ed i presunti corruttori!». Insomma, «a ben vedere», si legge, «unica spiegazione verosimile sposata pienamente dalla CDN e dalla CGF è che il BENASSI sia totalmente estraneo ai fatti a lui ascritti». Queste, quindi, le conclusioni: «per tutto quanto sopra esposto ed argomentato si chiede il rigetto del ricorso per revocazione proposto dalla Procura federale in quanto inammissibile per le ragioni tutte esposte nel presente atto ed in subordine il rigetto nel merito delle richieste formulate nei confronti del tesserato Massimiliano BENASSI con conseguente conferma del proscioglimento delle contestazioni formulate nei suoi confronti dalla Procura federale». Anche il sig. Antonio ROSATI prospetta, nelle proprie controdeduzioni, numerose eccezioni di inammissibilità e, comunque, contesta la fondatezza, nel merito, della revocazione richiesta dalla Procura federale. Con un primo motivo ROSATI eccepisce inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso sotto molteplici profili: a) La Procura non ha assolto all’onere di «indicare e specificare il “fatto nuovo” (rectius, la “prova nuova”) su cui si fonderebbe la propria iniziativa. È noto infatti che – per la disciplina processual – penalistica da applicarsi necessariamente in via analogica anche in questa sede – il ricorso avrebbe dovuto contenere “l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che lo giustificano”». Invece, a dire del suddetto calciatore, «non si rinviene nessun richiamo (e né, tanto meno, “specifico”), nessun riferimento (e si sottolinea “nessuno”) alla posizione di Antonio ROSATI. b) «Macroscopica violazione del divieto di bis in idem»: per il suo presunto coinvolgimento nella presunta combine relativa alla gara Lecce – Lazio del 22 maggio 2011 ROSATI «è già stato processato e giudicato per (presunti) fatti e condotte a lui ascritte, aventi titolo di responsabilità (illecito sportivo) perfettamente identico a quello per il quale, con il presente giudizio, lo si vorrebbe giudicare di nuovo». c) Non c’è alcun fatto nuovo sopravvenuto e tale non può ritenersi, di certo, «lo stralcio della dichiarazione resa da Ilievsky innanzi al PM di Cremona avendo la stessa, ad oggetto, il “medesimo fatto” (ascritto ad Antonio ROSATI e già esaminato e giudicato in ambito disciplinare) e non un “fatto nuovo”». Lo slavo «non narra un “fatto nuovo”» e «non apporta al thema decidendum» alcunché di nuovo, limitandosi «a riportare (ma con dichiarazioni dal tenore letterale e contenuto sostanziale a dir poco incerto, dubitativo, indeciso, generico e dunque, in quanto tale, assolutamente irrilevante ai fini che ci occupano». d) La Procura «ha completamente disatteso la disciplina e le disposizioni di cui al C.U. n. 290/A del 5 giugno 2015, in materia di abbreviazione dei termini e modalità di notifica e comunicazione degli atti». Nel merito, svolge, anzitutto, la difesa di ROSATI, quella che definisce una «doverosa considerazione» del «“personaggio” Ilievsky», evidenziando le sue prime dichiarazioni “italiane” avanti al GIP e al PM: “Sono venuto in Italia dopo averci pensato a lungo perché ho intenzione di dire la verità su tutti i fatti che mi sono stati contestati e spero che l’autorità giudiziaria ne tenga conto con l’applicazione di una pena favorevole proprio in ragione del comportamento che ho deciso di scegliere. È stata una scelta difficile perché ho dovuto lasciare la mia famiglia molto lontana e confido che anche per questo sia compreso”». In claris non fit interpretatio, chiosa la difesa di ROSATI. In ogni caso, secondo la prospettazione difensiva, le scarne e “maliziose” dichiarazioni dello slavo «non assurgono affatto né a “ulteriori pregnanti risultanze” … né a “fatti nuovi sopravvenuti” …. Né a “aggiuntivi elementi di prova” …. né a “dichiarazioni aventi ad oggetto circostanze alle quali questi (Ilievsky) ha partecipato in prima persona». «Il super pentito», si legge ancora nelle controdeduzioni ROSATI, «”non conosce” o comunque “non ricorda” i nomi dei calciatori del Lecce che, a suo dire (anzi, a dire di FERRARIO che glieli avrebbe riferiti) sarebbero coinvolti nella combine» e, al più, «parla impersonalmente ed astrattamente di “portiere”, di “tutta la difesa” e di “portiere di riserva”». Contesta, poi, ROSATI, tutto il complesso di elementi probatori che la Procura federale ritiene sussistere a suo carico e, segnatamente, le dichiarazioni accusatorie di GERVASONI e la loro fonte rinvenibile in ZAMPARINI e Gegic. Insomma, riassume la difesa del calciatore di cui trattasi: «Antonio ROSATI non è mai venuto a conoscenza di alcuna proposta di illecito, non ha posto in essere alcun comportamento idoneo a comprovare l’adesione al piano criminoso e non ha mai percepito alcuna somma di denaro per la presunta partecipazione all’illecito contestato», senza tener conto del fatto che «ZAMPERINI non lo conosceva; FERRARIO lo conosceva in quanto compagno di squadra ma non vi intratteneva rapporti di abitualità; Gegic non lo conosceva; Ilievsky, come visto, non ha neanche lui la più pallida idea di Antonio ROSATI. Nulla di nulla». Pertanto, ROSATI conclude chiedendo: in via preliminare, accertarsi e dichiararsi l’inammissibilità e/o l’improcedibilità del ricorso per revocazione proposto dalla Procura federale; in via principale, nel merito, rigettarsi il ricorso perché del tutto infondato sia in fatto che in diritto. Per l’effetto, comunque, confermare il proscioglimento da ogni addebito. Il dibattimento Alla seduta fissata per il giorno 30 settembre sono comparsi i rappresentanti della Procura federale ed i difensori di tutte le parti destinatarie dell’istanza di revocazione. Considerato che il procedimento di revocazione contempla il doppio momento, quello della ammissibilità e, quello – eventuale e successivo – della rescindibilità, il Presidente della Corte ha invitato le parti a discutere in ordine al primo profilo, quello dell’ammissibilità, riservando ad una eventuale successiva udienza l’esame del merito, laddove dovesse essere, appunto, superato il vaglio di ammissibilità. Sentite le parti e con il consenso delle stesse, è stata data la parola dapprima alle difese per la illustrazione delle argomentazioni difensive in ordine alla eccepita inammissibilità del ricorso per revocazione. L’avv. Mattia Grassani, per il Genoa Cricket and Football Club s.p.a. ha, anzitutto, richiamato l’attenzione della Corte sul fatto che il fondamento del presupposto revocatorio si sostanzia in sole 7 righe. Ciò premesso, ravvisa tre censure insuperabili: La mancanza di tempestività. Sotto tale profilo, viene evidenziato come Ilievsky abbia reso dichiarazioni tra fine aprile ed inizio maggio, mentre la richiesta della Procura federale alla Procura della Repubblica di Cremona è solo dell’8 luglio ed i relativi atti pervengono il 17 luglio. Quindi, il “fatto” nuovo sarebbe stato nella sfera di conoscenza o conoscibilità della Procura federale già ai primi di maggio e, dunque, sarebbero trascorsi i 30 giorni per la proposizione del ricorso per revocazione; Difetto di tipizzazione. Non sarebbe precisamente indicata nel ricorso quale fattispecie la Procura ritenga integrata delle diverse ipotizzate dalla norma di cui all’art. 39 CGS. Difetto di apporto probatorio decisivo. Mancherebbe, in ogni caso, ad avviso del suddetto difensore, un effettivo, nuovo, decisivo apporto probatorio ai fini della revocazione della decisione. Non si sarebbe alcun fatto nuovo, ma, al più, semplici meri indizi. Ha concluso, dunque, la difesa della società genoana, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per revocazione. L’avv. Maurizio Mascia, per il sig. Omar MILANETTO, associatosi alle eccezioni sollevate dalla difesa del Genoa, ha eccepito, in primo luogo, che la Procura della Repubblica di Cremona, a cui la Procura federale ha chiesto gli atti, non era più competente per la consegna del materiale probatorio, essendosi già spogliata del procedimento a favore dell’Organo giudicante, a seguito del disposto rinvio a giudizio. Ha, poi, evidenziato come non si tratti di una “prova” ai sensi dell’art. 39 CGS, né, ad ogni buon conto, la stessa sarebbe stata acquisita nel contraddittorio delle parti. Si tratterebbe, al più, di una semplice fonte di prova, peraltro, neppure portata all’attenzione dell’interessato. Ai sensi dell’art. 37, comma 3, CGS si tratterebbe, inoltre, di una domanda nuova e, dunque, inammissibile, considerato che, a suo tempo, MILANETTO è stato deferito per l’alterazione del risultato del 1° tempo della gara Lazio – Genoa, mentre in questa sede di revocazione la Procura sposta l’oggetto dell’illecito sul risultato della gara. Si tratterebbe, dunque, di una domanda nuova. Ha, quindi, richiamato l’art. 39, comma 2, seconda parte, CGS che porrebbe un principio di uniformità della decisione nell’ambito della giustizia sportiva. Sotto siffatto profilo vi sarebbe il dato insuperabile rappresentato dai lodi, passati in giudicato, resi dal Tnas relativamente alla Lazio ed al calciatore MAURI. Posizione, quest’ultima, che sarebbe strettamente correlata a quella di MILANETTO. Il concorso tra MAURI e MILANETTO sarebbe, infatti, necessario. Infine, ha ricordato che l’Ilievsky non sarebbe dichiarante attendibile e sarebbe stato smentito, sugli incontri con MAURI e MILANETTO, dalle dichiarazioni dei giornalisti de La Repubblica, che avrebbero affermato che Ilievsky, nella sua intervista agli stessi rilasciata, avrebbe detto che i predetti incontri non ci sono mai stati. Da ultimo, in ogni caso, ad avviso della difesa MILANETTO, mancano i riscontri. L’avv. Saverio Sticchi Damiani per l’U.S. Lecce s.p.a., sempre in ordine alla fase rescindente, ha evidenziato che, rispetto alla sentenza di primo grado relativa a FERRARIO, poi sostanzialmente confermata in appello, il fatto nuovo, che fatto nuovo comunque non sarebbe, nulla dice in più sulla “trasmissione” degli accordi illeciti da FERRARIO, che, peraltro, non giocava, agli altri calciatori, rimasti anche sconosciuti. L’avv. Domenico Zinnari, sempre per l’U.S. Lecce s.p.a. ha posto un problema di rapporti tra codice di giustizia sportiva del Coni e codice di giustizia sportiva della Figc. Richiamando quanto già specificato nelle controdeduzioni ritiene, il suddetto difensore, che in relazione agli istituti della revocazione e della revisione, la Figc non si sarebbe conformata alle previsioni del codice varato dal Coni, mentre l’autonomia delle Federazioni si limiterebbe solo alla possibile diversa individuazione delle fattispecie. In ogni caso, prosegue la predetta difesa: non vi sarebbe un documento, bensì una dichiarazione; l’atto della Procura federale non indicherebbe il motivo revocatorio; mancherebbero i presupposti della revocazione. L’avv. Luigi Marsico per il sig. BENASSI ha dedotto specificamente in ordine alla circostanza che se ogni dichiarazioni, rilasciata anche a distanza di tempo, di anni, dalla definizione del giudizio sportivo, è considerata idonea ad aprire la porta ad un giudizio di revocazione, il rischio è quello di non finire più. Non si tratterebbe, secondo tale prospettazione difensiva, di un “fatto”, anche perché le dichiarazioni di Ilievsky sono sostanzialmente quelle già rese da GERVASONI, che aveva riferito di aver appreso quelle circostanze proprio da Ilievsky. Non ci sarebbe, dunque, nulla di nuovo. Inoltre, non si tratterebbe comunque di un fatto decisivo ed i riscontri mancavano prima e mancherebbero ancora adesso. L’avv. Antonio De Rensis per il sig. FERRARIO ha evidenziato come il proprio assistito sia passato attraverso l’incidente probatorio. Il risultato sulle apparecchiature telefoniche di FERRARIO sarebbe negativo, come dimostrerebbe la consulenza informatica che ha dimesso e della quale ha richiesto l’acquisizione al fascicolo del giudizio. Ha, poi, ribadito l’assoluta assenza di prove nuove. Al più, infatti, vi sarebbero delle mere dichiarazioni. L’avv. Paolo Rodella per il sig. ROSATI, ha aderito alle eccezioni di inammissibilità del ricorso per revocazione illustrate dagli altri difensori ed ha richiamato le proprie eccezioni di inammissibilità già formulate per iscritto. Ne ha, quindi, svolto una nuova. Trattandosi, in questo procedimento, di illecito sportivo, doveva, a suo dire, essere rispettato il C.U. 290/A, s.s. 2014/2015, della segreteria federale in tema di abbreviazione dei termini. Ha, poi, osservato come manchi il riscontro alle dichiarazioni di GERVASONI, perché Ilievsky e le sue dichiarazioni, rappresentano, appunto, la fonte di GERVASONI. Ilievsky, in ogni caso, sottolinea ancora il predetto difensore, non pronuncia mai il nome di ROSATI. Inoltre, quelle di Ilievsky sarebbero dichiarazioni incerte e dubitative che non avrebbero nulla di preciso, univoco e concordante. Conclude, quindi, insistendo affinché sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso per revocazione proposto dalla Procura federale. Terminate le illustrazioni delle difese il Presidente della Corte ha dato la parola ai rappresentanti della Procura federale. L’avv. Dario Perugini, per l’organo requirente, appunto, si è anzitutto opposto alla produzione documentale (consulenza informatica) dell’avv. De Rensis. Con riferimento alle numerose eccezioni di inammissibilità sollevate dalle difese ha, poi, in via generale, richiamato la decisione della Corte di giustizia federale di cui al C.U. 281/CGF stagione sportiva 2012/2013 che, a suo dire, ha affermato che eventuali vizi del procedimento di revocazione restano sanati dalla costituzione nel merito. E siccome tutti i destinatari del ricorso per revocazione di cui trattasi si sono costituiti in giudizio, anche sul merito, gli asseriti vizi sarebbero stati comunque sanati. Quanto alla inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso l’avv. Perugini rappresenta che è vero che il 7 maggio sono state pubblicati articoli giornalistici relativi alle dichiarazioni rilasciate dal sig. Ilievisky, ma si trattava, ovviamente, di versioni parziali e non ufficiali. Pertanto, la Procura federale non avrebbe, all’epoca, potuto chiedere nulla al Procuratore della Repubblica di Cremona, a prescindere, poi dal fatto che i verbali di interrogatorio si sono protratti ben oltre il 7 maggio. Inoltre, come già affermato dalla Corte di giustizia federale nella decisione di cui al C.U. 203/CGF stagione sportiva 2009/2010, dalle notizie di stampa non vi è una conoscenza piena dei fatti per le opportune valutazioni in ordine alla eventuale proposizione dell’azione per la revocazione. Il ricorso è, dunque, tempestivo e, del resto, la richiesta degli atti alla Procura della Repubblica di Cremona è stata fatta al momento del rinvio a giudizio, unico momento in cui gli atti di indagine potevano considerarsi completi. Quanto alla eccezione secondo cui al momento della richiesta il Procuratore della Repubblica di Cremona non era più titolare del procedimento, essendosene spogliato in forza del disposto rinvio a giudizio e che, dunque, non era soggetto legittimato alla consegna degli atti richiesti, il rappresentante della Procura federale ha osservato che il fascicolo del PM è e rimane sempre nella sua disponibilità. Dunque, in ogni caso la richiesta è stata correttamente indirizzata al Sig. Procuratore della Repubblica. Sul preteso contrasto tra art. 39 del codice di giustizia sportiva della Figc e art. 63 codice di giustizia sportiva del Coni, l’avv. Perugini ha rilevato che, in questa sede federale, il codice Figc è il solo che deve essere applicato e la Corte non potrebbe disapplicare le disposizioni federali. In ogni caso, non vi sarebbe alcun contrasto, trattandosi, semplicemente di un ampliamento, da parte del legislatore federale, delle ipotesi di ammissibilità dell’istituto della revocazione. Peraltro, osserva, il codice della Figc è stato emanato con decreto del commissario ad acta (nominato dal Coni) del 30 luglio 2014 ed approvato con successiva deliberazione del presidente del Coni. Quindi, ha comunque superato il vaglio di legittimità e conformità alle disposizioni Coni. Quanto all’eccezione della difesa di MILANETTO con riferimento alla asserita “diversità” delle contestazioni ha osservato che la domanda avanzata in questa sede di revocazione è la medesima di quella di cui al deferimento. Quanto all’eccezione svolta dalla difesa di ROSATI il rappresentante della Procura federale ha dedotto come il C.U. 290/A, s.s. 2014/2015 si riferisca ai procedimenti di 1° e 2° grado e non può applicarsi a questo procedimento speciale e tipizzato. Si aggiunga, ha proseguito l’avv. Perugini, che, ad ogni buon conto, l’art. 39 CGS dichiara applicabili al procedimento per la revocazione, le norme procedurali dei procedimenti di ultima istanza e non anche quelle dei Comunicati Ufficiali. Con specifico riferimento alla mancata formazione della prova nel contraddittorio delle parti il rappresentante della Procura ha evidenziato che si verte in sede di illecito disciplinare sportivo e, diversamente opinando, non vi sarebbero più procedimenti di illecito. Del resto, ciò che deve formarsi nel contraddittorio delle parti è il convincimento del giudice alla cui formazione concorrono le parti con le loro argomentazioni difensive e con l’eventuale produzione documentale e la proposte istruttorie. Il problema, dunque, non sarebbe se la prova si sia formata o meno nel contraddittorio delle parti in sede penale, bensì se quella prova è sufficiente o meno ai fini della richiesta revocazione. Ma questa è una questione di merito. Quanto alla asserita disapplicazione dell’art. 38 CGS per difetto di preannuncio di reclamo, osserva, il rappresentante della Procura federale, che quello della revocazione è un procedimento speciale, cui non può applicarsi la disposizione ex adverso richiamata, che, tra l’altro, andrebbe, comunque, letta unitamente al precedente art. 37 CGS, che fa, appunto, riferimento alla necessità del preannuncio di reclamo solo nel caso di richiesta di copia degli atti. Seguendo la diversa tesi interpretativa prospettata significherebbe voler affermare che il legislatore abbia voluto ridurre il termine di 30 giorni previsto per la proposizione del ricorso per revocazione a soli 3 giorni. Quanto alla eccezione di difetto di specificazione dei motivi l’avv. Perugini ha richiamato ancora la decisione della CGF di cui al C.U. 203/CGF stagione sportiva 2009/2010. Quanto alla violazione del principio del divieto del ne bis in idem, basti osservare, ha replicato il rappresentante della Procura, che il ne bis in idem è ovvio e nei fatti, trattandosi di un procedimento di revocazione. La conclusione non muterebbe con riferimento alla asserita violazione del giudicato relativo alla decisione MAURI. Peraltro, il rappresentante della pubblica accusa federale ha segnalato come la stessa Corte abbia già accertato l’effettiva sussistenza dell’illecito relativamente alle due gare di cui trattasi, solo che ha ritenuto di non poter condannare – per illecito – MAURI perché, allo stato degli atti, difettavano sufficienti elementi probatori. Oggi, quel materiale probatorio si sarebbe completato. La dichiarazione resa da Ilievsky non sarebbe, comunque, incompatibile con la decisione relativa al calciatore MAURI, né con l’incontro Ilievsky – MILANETTO – ZAMPERINI. In conclusione, secondo la Procura federale le dichiarazioni rilasciate dal sig. Ilievsky all’Autorità giudiziaria ordinaria scioglierebbero i dubbi che la Corte aveva all’epoca della decisione oggetto di richiesta di revocazione. Si tratterebbe di un elemento nuovo, fondamentale, idoneo a completare il quadro probatorio preesistente. La Procura federale ha concluso, quindi, chiedendo rigettarsi tutte le eccezioni di inammissibilità del ricorso per revocazione. Dichiarato chiuso il dibattimento la Corte, all’esito della camera di consiglio, ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti MOTIVI La questione che preliminarmente la Corte è chiamata ad affrontare riguarda l’ammissibilità del ricorso per revocazione, peraltro, contestata dalle difese. Recita, a tal proposito, infatti, l’art. 39, comma 1, CGS: «Tutte le decisioni adottate dagli Organi della giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello, entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti: a) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno all'altra; b) se si è giudicato in base a prove riconosciute false dopo la decisione; c) se, a causa di forza maggiore o per fatto altrui, la parte non ha potuto presentare nel precedente procedimento documenti influenti ai fini del decidere; d) se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento, oppure sono sopravvenuti, dopo che la decisione è divenuta inappellabile, fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia; e) se nel precedente procedimento è stato commesso dall’organo giudicante un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa». Sotto tale ambito valutativo occorre rammentare che la struttura del procedimento di revocazione desumibile dal sopra ricordato art. 39 CGS contempla il doppio momento, dell’ammissibilità e quello, ulteriore e successivo, della rescindibilità e possibile sostituibilità della pronuncia della cui rimozione si tratta (cfr., ex multis, Corte giustizia federale, C.U. n. 190/CGF del 20 maggio 2009). Nel procedimento per revocazione il giudice deve, dunque, verificare l’attitudine dimostrativa delle nuove prove, congiuntamente alle prove del precedente giudizio, rispetto al risultato finale della revisione del giudizio. Ma, prima ancora di procedere al suddetto vaglio di ammissibilità, ritiene, questo Collegio, di dover esaminare, in via logicamente preliminare, le numerose eccezioni di inammissibilità, sotto diversi profili, del ricorso per revocazione proposto dalla Procura federale. In tal ottica, non appare, infatti, conferente il richiamo effettuato, in sede di discussione, dal rappresentante dell’organo federale requirente in ordine alla pretesa sanatoria che la costituzione in giudizio delle parti e la loro difesa nel merito provocherebbe in relazione ad eventuali vizi del ricorso per revocazione o del relativo procedimento. In tal senso, deve osservarsi come la decisione della Corte di giustizia federale richiamata dalla Procura si riferisca ad una ipotesi in cui era in contestazione la ritualità della notificazione dell’istanza di revocazione e, nell’occasione, avuto anche riguardo alla fattispecie oggetto di quel procedimento, il Collegio ha avuto, peraltro, modo di evidenziare che l’atto aveva, comunque, raggiunto il proprio scopo, al fine di sottolineare che la pienezza del diritto di difesa conferita alle parti dall’ordinamento sportivo era stato in concreto esercitato attraverso la costituzione in giudizio mediante deposito di memoria e discussione orale. Passando, dunque, ad esaminare le numerose eccezioni preliminari, con riferimento a quella di tardività del ricorso, poiché proposto oltre il termine perentorio di trenta giorni, la Corte di giustizia federale ha già avuto modo di affermare che l’interpretazione da dare alla norma di cui all’art. 39 CGS, che, appunto, prescrive che l’impugnazione per revocazione debba avvenire entro 30 giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti, sia tale che la conoscenza dell’uno o degli altri da parte del ricorrente debba essere piena, in modo che possa essere soddisfatta la ulteriore condizione di ammissibilità del ricorso, consistente nell’analitica illustrazione e descrizione di essi, nonché nella dimostrazione dell’idoneità modificativa della precedente decisione. In tale prospettiva, questo Collegio ritiene che, nel caso di specie, il dies a quo non possa in alcun modo farsi decorrere dalla pubblicazione, nei primi giorni del maggio 2015, di alcuni articoli di stampa, segnatamente di quelli apparsi sul quotidiano “Repubblica” e sul quotidiano sportivo “La Gazzetta dello sport”. Né può essere considerata tardiva, sempre con specifico riferimento al caso qui sottoposto all’esame della Corte, l’iniziativa della Procura federale, essendo logico e verosimile ritenere che, anche ammessa la conoscenza da parte dell’organo federale inquirente delle notizie stampa di cui si è detto, l’effettiva e ufficiale richiesta degli atti alla Procura della Repubblica sia stata preceduta dai contatti di prassi e sia stata, poi, concretamente (e correttamente) avanzata nel momento in cui l’indagine della predetta Procura di Cremona era giunta al termine e le acquisizioni probatorie completate. Solo a questo punto, del resto, la Procura federale poteva disporre di un materiale probatorio pieno per valutare la sussistenza dei presupposti per l’eventuale esercizio dell’azione di revocazione ex art. 39 CGS. Si sottrae, pertanto, «ad ogni dubbio la radicale insufficienza delle semplici e non qualificate notizie di stampa afferenti all’indagine penale a costituire sintomo se non prova della piena conoscenza in parola: esse rappresentarono, piuttosto, il propellente per la diligente azione conoscitiva posta in essere dalla Procura federale presso gli uffici giudiziari procedenti. Una volta assolto tale onere, e percepitine gli esiti utili attraverso la ricezione degli atti, poteva iniziare a decorrere il termine: questo è quanto è in effetti avvenuto nel caso di specie. Logica prova ne è che il fondamento stesso del ricorso revocatorio è univocamente rinvenibile in relazione agli atti del procedimento penale e nei ripetuti riferimenti al loro oggetto, che ovviamente sarebbero stati preclusi dalla loro mancata acquisizione» (Corte di giustizia federale, sez. un., 19 marzo 2010, C.U. n. 203/CGF del 24 marzo 2010). Sempre in tale contesto, peraltro, priva di pregio appare l’eccezione secondo cui il verbale della dichiarazione del sig. Ilievsky, sul quale la Procura federale sostanzialmente basa la propria iniziativa revocatoria, sarebbe inutilizzabile perché consegnata da un organo, il Procuratore della Repubblica di Cremona, che, all’epoca della richiesta di acquisizione, si era, appunto, spogliato del procedimento, per aver disposto il rinvio a giudizio, con conseguente trasferimento della “competenza” al Giudice penale. A tal riguardo, deve, anzitutto, osservarsi che una interpretazione logico-sistematica della norma di cui all’art. 2, comma 3, della legge n. 401/1989 («Gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell'articolo 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all'articolo 114 dello stesso codice»), conduce a ritenere che proprio la Procura della Repubblica rappresenti l’Autorità giudiziaria ordinaria di immediato riferimento per l’organo federale inquirente: in tal senso, infatti, sembrerebbe deporre il riferimento agli “atti del procedimento penale”. Ad ogni buon conto, coglie nel segno l’avv. Perugini quando sostiene che il fascicolo delle indagini rimane sempre nella disponibilità del Procuratore della Repubblica. Per altro verso, non deve ignorarsi che al Pubblico Ministero è riconosciuto, successivamente all’emissione del decreto che dispone il giudizio, il potere di compiere indagini integrative ex art. 430 c.p.p., talché neppure sul piano squisitamente processuale regge l’argomento di un declinare dei poteri di indagine del Pubblico Ministero ove sia già stata esercitata l’azione penale. Va, poi, considerato che il Pubblico Ministero è, secondo generale previsione di legge, oltre che parte pubblica del processo, «garante dell'osservanza delle leggi e della pronta e regolare amministrazione della giustizia» (art. 73 dell'Ordinamento Giudiziario: R.D. 30/1/1941, n. 12), talché la consegna della ridetta prova dichiarativa da parte dell’Ufficio del Pubblico Ministero (in persona del Procuratore della Repubblica territorialmente competente), ben lungi dall’importare una qualche incompetenza circa l’acquisizione del materiale probatorio, appare atto del tutto consono alla funzione dell’Ufficio ricevente, il quale, proprio in virtù della ridetta prerogativa di vigilanza circa il rispetto delle leggi, sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sulla tutela giuridica dei diritti dello Stato, ha esercitato un generale ed incomprimibile potere-dovere di attivazione e comunicazione dei canali procedimentali previsti dalla legge. Ciò osservato sul piano generale occorre, in ogni caso, rammentare, e qui, per quanto occorra, riaffermare, il principio della libera utilizzazione, in questa sede disciplinare-sportiva, degli elementi di prova acquisiti in processi diversi. Viene, pertanto, in modo del tutto legittimo, assunto e utilizzato a fondamento della proposta di revocazione il contenuto di alcune dichiarazioni acquisite agli atti di un procedimento penale. Dette dichiarazioni, ferma fatta, ovviamente, la valutazione delle stesse sia sotto il profilo del vaglio di ammissibilità della richiesta di revocazione, sia sotto quello dell’esame nel merito, costituiscono, del tutto legittimamente, «parte del materiale probatorio acquisito al presente procedimento dovendo le stesse essere considerate, secondo la costante giurisprudenza sportiva (endo ed esofederale), nella loro fenomenica consistenza e nella loro capacità rappresentativa di circostanze storiche rilevanti, senza necessità (e, perfino, di possibilità giuridica, sottratta al Giudice sportivo a fronte di fonti probatorie formatesi nell’ambito della giurisdizione statale) di sindacato sulla loro origine e sul modo della loro acquisizione» (Corte di giustizia federale, sez. un., 18 agosto 2011, C.U. 043/CGG del 19 settembre 2011). Del pari, priva di pregio appare l’eccezione di tardività e, conseguente, inammissibilità del ricorso per revocazione per mancato rispetto del termine di tre giorni per il preannuncio di cui all’art. 38, comma 1, CGS, secondo cui, appunto, «La dichiarazione con la quale si preannuncia il reclamo deve essere inviata all’organo competente entro tre giorni dalla data di pubblicazione della decisione che si intende impugnare». Come, ancora una volta, correttamente osservato dal rappresentante della Procura federale, in sede di replica dibattimentale, la predetta norma è applicabile ai procedimenti ordinari e non anche a quello speciale di cui all’art. 39 CGS. In ogni caso, poi, la previsione normativa invocata a sostegno della svolta eccezione deve essere letta in combinato disposto con la disposizione di cui al precedente art. 37, comma 1, lett. a), CGS, secondo cui, appunto, il preannuncio ivi disciplinato deve essere effettuato (solo) nel caso di richiesta di copia degli atti. Né, conclusivamente, è logico pensare che il legislatore federale abbia voluto (drasticamente) ridurre, a soli tre giorni, il termine di trenta giorni per l’esercizio della (straordinaria) azione per la revocazione di cui all’art. 39 CGS. Quanto all’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata osservanza delle disposizioni di cui al C.U. n. 290/A del 5 giugno 2015 è sufficiente osservare, per desumere la palese infondatezza della stessa predetta eccezione, come l’abbreviazione dei termini procedurali ivi prevista si riferisca ai procedimenti di prima e seconda istanza ordinari e non è, invece, di certo, applicabile ai procedimenti speciali quali quello di cui all’art. 39 CGS. Per ciò che concerne l’eccezione sollevata dalla difesa di Omar MILANETTO in ordine alla insuperabilità del giudicato dei lodi Tnas relativi alla Lazio ed al calciatore MAURI, attesa l’asserita sussistenza di una ipotesi di concorso necessario nell’illecito di MAURI e MILANETTO, si deve, in primo luogo, premettere che i principi normativi e giurisprudenziali del rito penale non sono, come noto, automaticamente applicabili alla presente sede disciplinare sportiva, anche attesa l’autonomia concettuale, prima ancora che normativa, dell’illecito disciplinato dal codice di giustizia sportiva. Ciò premesso, in via generale, ritiene questo Collegio che non si versi in ipotesi di concorso necessario nell’illecito, anche considerato che, con riferimento al presente procedimento, non viene in rilievo la contestazione dell’illecito associativo. Si vuole evidenziare che, pur tenuta presente la decisione di MAURI di proscioglimento dall’accusa di illecito sportivo, ciò non toglie che altro tesserato possa essere ritenuto responsabile di quell’illecito, non essendo la sua partecipazione “necessariamente” correlata a quella dell’altro coimputato. In altre e più semplici parole, seppur escluso (peraltro, per “insufficienza di prove”) il riconoscimento della responsabilità a carico di MAURI per l’illecito relativo alla gara Lazio – Genoa, questo non vale a (“necessariamente”) escludere anche quella di MILANETTO, che può o meno (ma è questione che riguarda l’eventuale fase rescissoria di merito) aver partecipato alla vicenda alterativa contestagli senza ed a prescindere dal disconosciuto apporto alla stessa di MAURI. Del resto, anche in sede penalistica occorre distinguere, nell’ambito dei reati a concorso necessario, i casi in cui la legge dichiara punibili tutti i concorrenti (c.d. reati plurisoggettivi propri), da quelli in cui viene dichiarato punibile soltanto uno dei compartecipi (c.d. reati plurisoggettivi impropri). Peraltro, il dibattito in dottrina ed il profilo sul quale si è impegnata la giurisprudenza penale concerne, essenzialmente, l’eventuale punibilità dei concorrenti necessari la cui responsabilità non sia esplicitamente prevista dalla fattispecie incriminatrice. Nel caso di specie, invece, come detto, non si verte in questo ambito, poiché l’esclusione della responsabilità di MAURI non esclude, “necessariamente” quella di MILANETTO. Infatti, laddove ritenuti sussistenti e sufficienti gli elementi probatori a supporto della tesi accusatoria sulla quale si fonda il ricorso per revocazione, il “concorrente” MILANETTO avrebbe realizzato proprio la condotta prevista e vietata dalla fattispecie di cui all’art. 7 CGS e, dunque, sarebbe autonomamente e pienamente sanzionabile. Si aggiunga, poi, che deve essere pacificamente ammessa, sul piano generale e per completezza espositiva, alla luce della superiore assorbente premessa, la possibilità che compartecipi necessari concorrano eventualmente nel reato plurisoggettivo. Nel senso che, pur laddove l’eventuale apporto di Omar MILANETTO all’evento alterativo di cui trattasi sia ritenuto non “istituzionalizzato”, ossia, per meglio dire, “occasionale”, il contributo dello stesso accompagnato dal dolo seppur generico rimarrebbe, comunque, punibile grazie alla tendenziale estensione dell’area di rilevanza disciplinare-sportiva prefigurata dall’ordinamento federale. Sempre che, ovviamente, siano integrati i presupposti strutturali che connotano il nucleo centrale significativo dell’illecito. Conforta il suddetto convincimento di questo Collegio anche la conforme giurisprudenza della Suprema Corte: «Il divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili posto dall'art. 649 cod. proc. pen. non vincola il giudice chiamato a rivalutare il medesimo fatto in relazione alla posizione di altri soggetti imputati quali concorrenti nello stesso reato; il giudice del separato procedimento instaurato a carico del concorrente nel medesimo reato può, infatti, sottoporre a rivalutazione il comportamento dell'assolto all'unico fine - fermo il divieto del "ne bis in idem" a tutela della posizione di costui - di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilità dell'imputato da giudicare (Cassazione, sez. VI pen., 30 ottobre 2013, n. 46301). Quanto al denunciato contrasto, anch’esso sollevato da più parti, tra art. 39 del codice di giustizia sportiva FIGC e art. 63 del codice di giustizia sportiva CONI, l’istanza di disapplicazione della norma di cui al predetto art. 39 non merita condivisione e non può che essere rigettata. Alcune difese, come visto, hanno evidenziato quello che, a loro dire, sarebbe un contrasto tra la previsione del codice Coni, secondo cui la revocazione di una decisione è possibile solo quando dipende «da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all'istante» e quella omologa del codice Figc secondo cui, invece, la revocazione è possibile nel caso a) di dolo di una delle parti in danno all'altra, b) di prove riconosciute false dopo la decisione, c) di mancata presentazione di documenti influenti a causa di forza maggiore o per fatto altrui, d) di omissione dell’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento oppure di sopravvenienza, trascorso il termine per l’appello, di fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia, e) di errore di fatto commesso dall’organo giudicante. Orbene, questo essendo il nodo interpretativo, la Corte ritiene, anzitutto, di non poter in alcun modo condividere l’impostazione del problema operata dai denuncianti l’asserito contrasto normativo. Infatti, tra i due codici della giustizia sportiva di cui si è detto non è configurabile un rapporto di gerarchia in senso proprio o tecnico, dovendo, quello delle Federazioni, conformarsi al codice adottato dal Coni. Ciò premesso appare evidente che la conferma che anche in ordine alla disciplina dell’istituto della revocazione il codice della Figc si sia conformato a quello del Coni la si può agevolmente ricavare da due inequivoche circostanze: 1) il codice giustizia sportiva della Figc è stato scritto da apposito commissario ad acta nominato dallo stesso Coni; 2) il codice giustizia sportiva della Figc è stato espressamente e formalmente approvato con specifica deliberazione del Presidente del medesimo Coni n. 112/52 del 31 luglio 2014. Non nutre dubbio alcuno, quindi, questa Corte, sul fatto che il codice di giustizia sportiva della Figc sia del tutto legittimo e sia stato legittimante adottato e, pertanto, vincola questo giudice alla sua piena ed integrale applicazione. Del resto, occorre osservare che il legislatore sportivo ha lasciato, alle singole Federazioni, alcuni spazi di autonomia di disciplina, specie in ordine alla concreta individuazione delle fattispecie, anche in relazione alla specificità delle relative attività agonistiche la cui cura ed organizzazione è affidata alle singole Federazioni. Pertanto, a prescindere da quanto, in modo assorbente, sopra evidenziato, ritiene questa Corte che il legislatore federale abbia fatto buon governo della predetta facoltà, legittimamente avvalendosi della concessa autonomia nella prospettiva di regolamentare, per quanto qui interessa, l’istituto della revocazione in modo maggiormente aderente alla realtà disciplinare specifica della pratica sportiva calcistica come anche desumibile dall’esperienza ricavabile dai precedenti della giustizia sportiva in materia. In tal ottica, il legislatore federale ha, in modo coerente ed esente dalle censure prospettate, operato una estensione delle ipotesi di possibilità di ricorso alla revocazione, in funzione del perseguimento ed attuazione del principio di effettività e nella prospettiva di dare soddisfazione all’esigenza di rimuovere dall’ordinamento sportivo decisioni che, per uno dei tassativi casi indicati, appaiano, nella sostanza, distorsive del senso di giustizia. Ha, in altri termini, valorizzato l’istituto di cui trattasi quale rimedio concreto alle possibili ingiustizie che possono essere frutto di una decisione errata. Deve essere, ancora, disattesa l’eccezione di violazione del bis in idem. È evidente che l’istituto della revocazione comporta di per sé un nuovo giudizio (seppur al ricorrere di tassative condizioni) sulla stessa questione e sui medesimi fatti già oggetto di giudicato e, dunque, ontologicamente, non può tradursi nella violazione del predetto principio. Attraverso il rimedio revocatorio, infatti, il soggetto interessato (sia esso il tesserato, la società affiliata o la Procura federale) può ottenere una nuova valutazione del caso da parte dello stesso giudice (di ultima istanza) che potrà, laddove superata la fase rescindente, così rivalutare, in sede rescissoria, il quadro probatorio ai fini della decisione di rimozione della sentenza sulla base di un nuovo, sopravvenuto o diverso elemento di cui prima non aveva potuto disporre o di cui non aveva potuto, in precedenza, tenere conto. Alcune difese e, segnatamente, quelle del Genoa e di MILANETTO, hanno eccepito inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore federale per difetto di specificità del motivo di revocazione. Il ricorrente, sostiene il Genoa, non ha indicato «quale ipotesi di revocazione ricorrerebbe nel caso di specie». MILANETTO censura, invece, l’eccessiva genericità del motivo di revocazione, indicato in ricorso «con la dicitura “omesso esame di fatti decisivi che non si sono potuti conoscere nel precedente procedimento». Lamenta, in breve, come la Procura federale abbia fatto riferimento a due diverse alternative ipotesi di revocazione: esame di fatti decisivi che non si sono potuti conoscere nel precedente procedimento (lett. d, prima parte); fatto nuovo sopravvenuto che, se conosciuto, avrebbe comportato una diversa pronuncia (lett. d, seconda parte). E, sotto tale profilo, argomenta che «i fatti decisivi non esaminati poiché non conoscibili nel precedente procedimento devono necessariamente preesistere alla decisione a quo (quella del luglio – agosto 2013 che assolve il MILANETTO), sicché non possono al contempo essere fatti nuovi sopravvenuti alla decisione stessa». Ritiene il Collegio che anche questa eccezione debba essere disattesa. Una complessiva lettura del ricorso proposto dalla Procura federale e, segnatamente, della “proposta di revocazione” letta alla luce della precedente illustrazione del materiale probatorio e delle relative argomentazioni a supporto della medesima, conduce ad affermare che il ricorso per revocazione non sia deficitario in punto specificazione del motivo della medesima richiesta revocazione. Infatti, da un esame organico dell’atto del Procuratore federale risulta evidente che la ragione probatoria sulla quale è fondata l’istanza risiede nel sopravvenire di un (nuovo, appunto) elemento di prova che, unitamente alle risultanze probatorie già in precedenza acquisite, rende possibile (rectius, ammissibile) un nuovo esame nel merito. In altri termini, è rinvenibile ed è, comunque, desumibile la specifica richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio ai sensi della lett. d) del comma 1 dell’art. 39 CGS, poiché, secondo la prospettazione della Procura, sarebbe stato conosciuto, successivamente alla decisione oggetto di istanza di revocazione, un nuovo fatto, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia. Appare irrilevante, dunque, attesa la predetta sufficiente specificazione, che la Procura abbia proposto, o alternativamente o per mero lapsus calami, di qualificare il “fatto nuovo” sopravvenuto individuabile nella dichiarazione resa da Ilievsky all’Autorità giudiziaria ordinaria anche o eventualmente quale fatto decisivo, di cui sarebbe stato omesso l’esame, che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento. Deve essere respinta, perché palesemente infondata, anche l’eccezione, svolta dalla difesa MILANETTO, di inammissibilità per la novità della domanda, segnatamente, per la diversità del fatto (contestato al predetto calciatore) oggetto dell’atto di deferimento, rispetto a quello oggetto del ricorso per revocazione. Sostiene MILANETTO che il fatto oggetto sia dell’atto di deferimento del luglio 2013, sia delle decisioni di 1° (CDN) che di 2° grado (CGF) del luglio – agosto 2013, è diverso rispetto al fatto oggetto «della chiamata di correo effettuata da Hristian Ilievsky asseritamente (anche) contro» il predetto medesimo calciatore. In altri termini, il “fatto nuovo sopravvenuto” che, secondo la Procura sarebbe rappresentato dalla chiamata di correo effettuata da Ilievsky avrebbe, secondo la prospettazione difensiva, ad oggetto un presunto accordo sull’over, ossia un fatto ben diverso dall’accordo per il risultato di 1-1 alla fine del primo tempo. Pertanto, mentre l’addebito originario di cui all’atto di deferimento sarebbe consistito nell’adesione all’accordo illecito «al fine di consentire … scommesse sul risultato concordato” relativo soltanto al primo tempo della gara, al contrario le dichiarazioni di Ilievsky – per la parte che qui interessa – paiono volte a suffragare […] un incontro tra lui ed il MILANETTO davanti all’albergo sede del ritiro del CFC Genoa prima della gara Lazio – Genoa del 14 maggio 2011», diretto ad un accordo sull’ “over” per il risultato finale della gara Lazio – Genoa. L’assunto difensivo non può essere condiviso. La Procura federale, tanto nell’atto di deferimento, quanto nel ricorso per revocazione introduttivo del presente procedimento, ha contestato al calciatore MILANETTO la violazione dell’art. 7, comma 1, CGS. L’accusa mossa, in altri termini, è quella del «compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica». Orbene, se l’illecito, ove riconosciuta la responsabilità di MILANETTO, abbia avuto ad oggetto il risultato del primo tempo o il risultato finale della gara od entrambi, non muta in alcun modo l’individuazione della fattispecie incriminatrice individuata dalla Procura federale e contestata al predetto deferito. Non sussiste, pertanto, la diversità lamentata e, di conseguenza, neppure sotto tale profilo il ricorso è inammissibile. In ordine all’eccezione proposta, pur con differenti argomentazioni e prospettazioni, da numerose difese, di inammissibilità del ricorso per revocazione per difetto dei requisiti di cui all’art. 39 CGS, occorre, anzitutto, osservare che, al fine di individuare la nozione di fatti “decisivi sopravvenuti” o “fatti nuovi” comportanti una diversa pronuncia di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), CGS, alcune tesi sembrano muovere dal presupposto della sostanziale assimilabilità, se non sovrapponibilità, tra struttura, oggetto e limiti del procedimento revocatorio federale a quello disciplinato con riferimento al processo civile. Orbene, tale assunto non può essere condiviso sol che si presti attenzione alla circostanza che, per la disciplina del caso concreto, deve guardarsi unicamente alla norma federale, in omaggio al principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, ordinamento collaterale a quello di diritto comune, ma non per questo soggetto a sindacato di merito sulle proprie scelte, una volta che esse non si rivelino lesive (come è da escludersi avvenga con riferimento alla norma in esame) di principi fondamentali dell’ordinamento generale o compressive di situazione soggettive inviolabili. Peraltro, l’idea stessa della assimilabilità-sovrapponibilità con il diritto processuale comune manifesta la propria inaccoglibilità, in quanto la norma federale non richiede alla lett. d) citata che a giustificare la revocazione di una decisione inappellabile contribuiscano nuove prove (come, invece, prescrive il n. 2 dell’art. 395 c.p.c.), né che siano stati reperiti documenti decisivi (ai sensi del n. 3 della norma da ultima citata). La norma federale in esame descrive, piuttosto, una fattispecie originale rispetto a quelle disciplinate dal diritto comune, eloquentemente adottando un ordine terminologico ed una categoria concettuale svincolati dal rigore del codice di rito civile che, nel riferirsi a figure o istituti quali “prove” e “documenti”, ha esplicitamente adottato una declinazione in senso tecnico di tali termini, evidentemente ancorandoli alla definizione ed alla disciplina di essi circolanti nel medesimo ordinamento processuale. Se ne desume che nella prospettiva revocatoria di cui all’art. 395 c.p.c. può solo concorrere quell’elemento qualificabile come prova o documento nell’ambito del processo civile, con il connesso corredo di conseguenze. Al contrario, la scelta adottata dall’ordinamento federale è stata quella di dar prevalenza al principio di effettività ed efficacia del materiale probatorio al preminente scopo di giustizia consistente nella rimozione dall’ordinamento stesso di decisioni sostanzialmente ingiuste, indipendentemente dalla natura dell’elemento di novità o dalla sua qualificazione in termini rigorosamente formali. In altre parole, l’opzione autonomamente esercitata dal codice di giustizia sportiva della Figc è stata quella di considerare necessarie e sufficienti ad avviare il procedimento revocatorio sopravvenienze fattuali (tra le quali certamente è da includersi il verbale di interrogatorio di un imputato ad opera dell’Autorità giudiziaria ordinaria e le dichiarazioni rilevanti, agli effetti sportivo-disciplinari, ivi contenute) suscettibili di indurre il giudice della revocazione a riconsiderare alla loro luce il precedente assetto decisorio. La norma non impone affatto che le sopravvenienze in parola debbano aver precedentemente superato un vaglio di veridicità conclusosi con una pronuncia definitiva in qualunque ambito giurisdizionale (ordinario o sportivo). Alla luce di siffatti criteri interpretativi possono, dunque, essere disattese anche le connesse eccezioni relative alla inconfigurabilità, in capo alla dichiarazione resa dal sig. Ilievsky e portata dalla Procura federale a sostegno e fondamento della propria istanza introduttiva del presente procedimento, delle caratteristiche della prova effettiva, tale non potendo essere considerata quella che sarebbe una mera dichiarazione e/o una fonte di prova e/o un semplice indizio. Segnatamente, quanto alle eccezioni relative a) alla insussistenza di una effettiva nuova prova (poiché si tratterebbe semmai di una mera dichiarazione o, al più, di un semplice elemento indiziario), b) alla inutilizzabilità delle dichiarazioni di Ilievsky (perché, comunque, prova non acquisita e non formatasi nel contraddittorio delle parti, non essendo stata sottoposta al vaglio “dell’unica Autorità competente”, ossia il Giudice penale nell’ambito del dibattimento), c) al fatto che ci si troverebbe innanzi ad una fonte di prova e non già ad una prova, questo Collegio non può che richiamare la consolidata giurisprudenza di settore secondo cui l’art. 39 CGS tratteggia una fattispecie diversa, originale rispetto quelle disciplinate dal diritto comune, come già sopra evidenziato. Ciò che, come già osservato, deve indurre l’interprete a desumere che il legislatore federale abbia voluto dare prevalenza ai principi di effettività ed efficacia delle risultanze probatorie, in funzione del preminente scopo di giustizia, individuabile, in particolare, nell’esigenza di rimuovere dall’ordinamento sportivo decisione reputate, ad un nuovo ammissibile esame, ingiuste, nella sostanza, a prescindere dalla specifica consistenza, qualificazione e natura del (nuovo) elemento a disposizione. Altra eccezione è relativa alla inutilizzabilità della dichiarazione di Ilievsky, seppur nella denegata ipotesi in cui la stessa possa essere considerata una prova nel senso di cui all’art. 39 CGS, atteso che la stessa non si sarebbe, comunque, formata nel contraddittorio delle parti. Anche detta eccezione, per le ragioni appena indicate, deve essere respinta. Come già detto, infatti, nel giudizio di revocazione la Corte è chiamata a valutare il nuovo materiale probatorio in relazione alla sua consistenza quale “fatto storico”, non essendo necessario che lo stesso abbia già superato un vaglio di veridicità in eventuale altro giudizio, essendo, appunto, tale valutazione rimessa al giudice della revocazione. Le ragioni argomentative sopra esposte rappresentano il quadro all’interno del quale deve essere esaminata anche l’eccezione secondo cui la partecipazione all’associazione da parte di alcuni dei chiamati in correità, costituisce l’oggetto da provare per mezzo di elementi esterni alla chiamata di correo, mentre nella prospettiva dell’accusa, la chiamata in correità finirebbe, invece, per riscontrare se stessa confondendosi e facendo coincidere i fatti provati con quelli da provare, si osserva quanto segue. Come noto, «In tema di chiamata in correità, i riscontri dei quali necessita la narrazione possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all'imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità» (Cassazione, sez. III pen., 18 luglio 2014, n. 44882). Orbene, alla luce di siffatto principio questa Corte ritiene che il sopravvenuto elemento dichiarativo portato dalla Procura federale a sostegno dell’istanza revocatoria sia accompagnato da elementi di riscontro già acquisiti agli atti del procedimento, ferma fatta, comunque, la valutazione, propria del giudizio di ammissibilità, se tale nuovo elemento probatorio sia idonea per superare il primo vaglio, appunto, di ammissibilità, riservata, ovviamente, alla eventuale fase di merito ogni valutazione sulla sufficienza dei predetti riscontri, oltre che il giudizio sulla idoneità e sufficienza del complessivo materiale istruttorio a fondare il riconoscimento della responsabilità dei deferiti in ordine all’illecito ipotizzato dall’accusa federale. Quanto ai principi giurisprudenziali elaborati con riferimento alle “voci correnti in ambienti ristretti” e, in generale, in ordine alle circostanze apprese, da taluno dei soggetti dichiaranti, nell’ambito del sodalizio criminoso, è stato eccepito che gli stessi rappresenterebbero «principi elaborati dalla Corte di Cassazione con esclusivo riferimento ai reati di associazione per delinquere di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p., in ragione della peculiarità di tale ultimo fenomeno associativo rispetto alle altre ipotesi delittuose pure esse associative [“sono direttamente utilizzabili le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia su circostanze apprese in relazione al ruolo di vertice del sodalizio criminoso di appartenenza e derivanti da patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non assimilabili né a dichiarazioni “de relato”, utilizzabili solo attraverso la particolare procedura di cui all’art. 195 c.p.p., né alle cosiddette “voci correnti nel pubblico” delle quali la legge prevede l’inutilizzabilità” (Cass. sez. V, 8.10.2009 n. 4977)]. Inoltre, si legge, ancora nelle controdeduzioni, «a ben vedere tale principio non trova applicazione nel caso di specie visto e considerato che non esiste alcun “flusso circolare di informazioni” avendo il GERVASONI riferito semplicemente una circostanza riferitagli da Gegic». L’assunto trasfuso in eccezione è privo di fondamento, alla luce del semplice rilievo che trattasi, nel caso di specie, non di “voce corrente in ambito ristretto”, ma di dichiarazione dell’indagato riferita da altro indagato, ossia di materiale probatorio di tipo dichiarativo avente ad oggetto non ruoli o posizioni o qualità interni ad un sodalizio criminale, ma dichiarazioni la cui valenza probatoria va valutata nel più ampio sfondo conoscitivo acquisito nel corso delle indagini. Quel che preme qui sottolineare è il fatto che dette dichiarazioni non subiscono alcuna sanzione di nullità o di inutilizzabilità, le stesse ben potendo essere utilizzate nel corso delle indagini (Cassazione, sez. V pen., 8 ottobre 2009, n. 4977), finanche se non verbalizzate, ma rese in sede di spontanee dichiarazioni e senza l’assistenza del difensore (Cassazione, sez. I pen., 20 giugno 2014, n. 33821). Respinte le preliminari eccezioni di inammissibilità, sollevate dalle parti resistenti, del ricorso per revocazione proposto dalla Procura federale deve procedersi al vaglio di ammissibilità proprio del presente giudizio. Sotto tale profilo questa Corte, valutata l’attitudine dimostrativa del nuovo materiale probatorio, congiuntamente alle prove già acquisite al procedimento, rispetto al risultato finale della revisione del giudizio, ritiene che il ricorso per revocazione come proposto dal Procuratore federale sia, allo stato, inammissibile, nei limiti di seguito indicati. Occorre, anzitutto, verificare l’astratta riconducibilità della deposizione di Ilievsky alla tipologia delle circostanze alternativamente legittimanti, ai sensi della lett. d) dell’art. 39 CGS, l’utile celebrazione della fase rescissoria del procedimento revocatorio, nella prospettiva, appunto, di delibare l’ammissibilità del ricorso proposto dalla Procura. Orbene, come già più sopra anticipato, questo Collegio non nutre dubbi sul fatto che alla categoria di “fatti sopravvenuti” o “fatti nuovi” che, se noti al momento dell’originaria pronuncia, ben avrebbero potuto modificarne l’assetto decisorio, siano iscrivibili anche circostanze non perfettamente inquadrabili secondo le categorie processuali civilistiche nell’ambito della nozione di prova nuova, essendo sufficiente che si tratti di eventi fenomenicamente rilevanti, comunque, idonei ad incidere sulla determinazione del giudice. Da questo punto di vista, dunque, la Corte non ha alcuna esitazione nel giudicare congrui ed adeguati, ai fini dell’ammissibile proposizione del ricorso per revocazione, i nuovi elementi offerti dalla ricorrente Procura federale. Peraltro, in tale prospettiva concettuale, questa Corte ritiene opportuno, seppure in via incidentale, riaffermare il principio secondo cui l’apprezzamento della capacità rivalutativa della precedente pronuncia posseduta dagli elementi che si asseriscono sopravvenuti è unicamente riservata dal legislatore federale al giudice della revocazione, che, sotto tale profilo, appare del tutto sciolto dal vincolo di conformità ad altre valutazioni svolte con riferimento ai medesimi fini in altre sedi: semmai la conformità tra tale apprezzamento ed altri realizzati, sia pur interinalmente, in altre sedi, potrà corroborare o meno l’affidabilità dell’apprezzamento effettuato in ambito federale. Ciò premesso, tuttavia, il Collegio ritiene che il giudizio di ammissibilità non possa formularsi in astratto, ma vada riferito al precedente contesto decisorio. In altri termini, ciò che al giudice della fase rescindente si chiede è di simulare se la precedente struttura decisoria fosse attraversata da un grado di permeabilità tale da consentire l’utile innesto di altre sopravvenienze probatorie, di per sé capaci di scardinarne la coerenza. Si chiede, in breve, di verificare se le nuove circostanze fattuali si palesino induttive di una possibile revisione critica della precedente pronuncia. In sintesi, per superarsi il vaglio di ammissibilità proprio della fase rescindente, ciascuno dei nuovi o sopravvenuti elementi, individualmente considerato nonché valutato in forma aggregata agli altri (preesistenti), deve essere tale da consentire, in astratto, di rifondare il giudizio precedentemente espresso, sotto lo specifico profilo che, grazie al nuovo ingresso di questi elementi probatori, può vincersi l’ambiguità interpretativa che ad avviso dei primi giudici si risolveva nel mancato raggiungimento della prova piena necessaria per affermare la responsabilità in ordine alla contestazione di illecito sportivo. Pertanto, non ogni sopravvenienza può di per sé portare all’utile celebrazione della fase rescissoria, ma solo quella che non solo contrasti la precedente decisione, ma mostri un’attitudine sostitutiva del suo fondamento, interamente assorbendola in sé per effetto della propria intrinseca efficacia probatoria. È, del resto, ormai consolidata (per il processo penale cfr. Cass. pen. 17 giugno 2008, n. 29486) l’idea che nel giudizio di revocazione il giudice debba prima verificare l’attitudine dimostrativa delle nuove prove, congiuntamente alle prove del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento o dell’affermazione di responsabilità. Ora, nel caso di specie, la condizione in parola non può dirsi, allo stato, interamente soddisfatta, per il seguente duplice ordine di ragioni. In primo luogo, non può trascurarsi di considerare che la deposizione di Ilievsky, resa in sede di indagini preliminari, appare suscettibile di ulteriore consolidamento nel dinamico sviluppo del procedimento penale, di cui, in astratto, ben potrebbe beneficiare il procedimento sportivo. Questo, infatti, potrebbe essere rimesso in discussione, ricorrendo le condizioni poste dall’art. 39 CGS, in diretta relazione con la futura evoluzione processuale. In secondo luogo, perché le revocande decisioni contemplano una pluralità di circostanze che di per sé potrebbero anche sopravvivere al fatto nuovo, per ciò che attiene al contesto dello svolgimento dei fatti, sia dal punto di vista temporale, che logistico. Sotto tale profilo, dunque, le propalazioni di Ilievsky non consentono di compiere quel preliminare giudizio volto a verificare l’astratta idoneità degli asseriti nuovi fatti posti a fondamento della richiesta revocazione a rendere possibile una diversa conclusione del procedimento disciplinare. Le dichiarazioni di cui sopra, infatti, si limitano, al più e solo, peraltro, con riferimento ad alcune posizioni, come meglio di seguito precisato, ad offrire meri elementi indiziari, astrattamente utilizzabili ai fini di una revisione del convincimento dei giudici del procedimento disciplinare ordinario, ma non anche nella prospettiva di una modifica della decisione adottata a fronte di un mutato quadro probatorio. Del resto, per quanto sopra detto, è necessario, come correttamente richiesto dalle difese, un particolare rigore nello scrutinio inerente l’ammissibilità dell’istanza di revocazione, evidente essendo l’esigenza di valutare la sussistenza della condizione secondo la quale il fatto dedotto come nuovo elemento probatorio riveli la propria astratta attitudine a comportare, ove fosse stato conosciuto nel corso del procedimento ordinario, una diversa pronuncia. Sotto tale profilo non può non osservarsi come le dichiarazioni di cui trattasi appaiono, da un lato, alquanto incerte («… non conosco o comunque non ricordo in questo momento i nomi dei giocatori del Lecce coinvolti. Mi sembra che FERRARIO abbia fatto i nomi di ………… e ovviamente il portiere e tutta la difesa ed era coinvolto per sicurezza il secondo portiere»), oltre che (eccessivamente) generiche, riguardo i calciatori BENASSI e ROSATI (rispetto ai quali, deve qui ribadirsi, il precedente quadro probatorio era già stato giudicato del tutto insufficiente ai fini di una eventuale pronuncia di affermazione di responsabilità in ordine all’illecito contestato), dall’altro, non decisive (sempre ai fini del presente vaglio di ammissibilità) con riferimento alle posizioni dei calciatori FERRARIO e MILANETTO. Insomma, in sintesi, il fatto nuovo addotto dalla Procura a fondamento della richiesta revocatoria di cui trattasi non sembra apportare un quid novi tale da consentire la riapertura del giudizio e, comunque, idoneo ad ampliare lo spettro del complessivo quadro probatorio già in precedenza acquisito relativamente alle posizioni BENASSI e ROSATI. Gli elementi riferiti da Ilievsky non sono, infatti, idonei ad inficiare il giudizio espresso nella decisione qui fatta oggetto di richiesta di revocazione. Né, per quanto appena osservato, il suddetto nuovo elemento sembra rappresentare utile riscontro alle dichiarazioni accusatorie di GERVASONI, già di per sé, sul punto, generiche e dubitative ed a prescindere che le medesime trovano fonte in quanto allo stesso riferito da Ilievsky tramite Gegic. Senza, ancora, trascurare che il sig. Ilievsky riferisce in ordine all’asserito coinvolgimento di BENASSI e ROSATI solo de relato (essendo, a suo dire, la fonte FERRARIO). In altri termini, in ordine alla eventuale partecipazione di BENASSI e ROSATI alla vicenda alterativa agli stessi contestata le dichiarazioni del sig. Ilievsky non apportano alcun ulteriore decisivo elemento conoscitivo che, se acquisito nel corso del giudizio disciplinare svoltosi nei confronti dei medesimi, avrebbe indotto l’organo sportivo ad adottare una differente pronuncia: in tal ottica, dunque, il fatto nuovo non appare sufficiente a consentire di superare il preliminare vaglio di ammissibilità del ricorso per revocazione di cui trattasi. Lo stesso può, nelle conclusioni, affermarsi in ordine alla posizione dei calciatori MILANETTO e FERRARIO, seppur su un piano sensibilmente differente. Con particolare riferimento al calciatore FERRARIO ritiene, questa Corte, che seppur le dichiarazioni di Ilievsky introducano elementi di sostanziale novità, gli stessi non sono tali, allo stato, da comportare sicuramente, qualora conosciuti al momento della decisione qui fatta oggetto di richiesta di revocazione, una pronuncia di condanna. Anzitutto, seppur le dichiarazioni relative alla posizione FERRARIO sono, di certo, più precise e circostanziate rispetto alle posizioni ROSATI E BENASSI, le stesse lasciano ancora, allo stato, margini di dubbio, in relazione, ad esempio, al giorno / ora dell’avvenuta consegna del denaro ed all’importo effettivamente consegnato. Il narrato difetta di puntualità e, comunque, non è rinvenibile alcun elemento che colleghi l’affermata consegna del denaro a FERRARIO con la distribuzione dello stesso agli altri calciatori asseritamente coinvolti nella combine. Elemento, questo, che, se non necessariamente decisivo in assoluto, nel caso di specie appare alquanto rilevante, attesa la pacifica mancata partecipazione del predetto calciatore alla gara in questione, essendo lo stesso, all’epoca, fuori rosa. Né idoneo a dipanare una certa fumosità della dichiarazione appare il possibile elemento individualizzante della narrazione rappresentato dalla contestazione di FERRARIO ad Iliesvky della mancanza di tremila euro, anche atteso l’assoluto difetto di riscontri sullo specifico punto. Insomma, questi elementi, comunque, come detto, di novità probatoria, non appaiono, si ribadisce, allo stato, idonei a vincere il convincimento di non responsabilità in ordine all’illecito contestato al calciatore FERRARIO già formulato dagli organi di giustizia sportiva sulla base di un insieme di elementi già valutati nel giudizio la cui decisione è qui impugnata per revocazione; insieme probatorio che, anche alla luce degli ulteriori particolari narrati dal dichiarante, questa Corte ritiene non possedere valore dimostrativo di grado inferiore. Conclusivamente, dunque, la dichiarazione di Iliesvky, con riferimento alla posizione di FERRARIO, rappresenta un fatto nuovo, ma non tale, allo stato, da ritenere che la sua conoscenza, al momento della decisione, avrebbe comportato una diversa pronuncia. Alla medesima conclusione può pervenirsi in relazione alla posizione del calciatore MILANETTO. Anche in questo caso, infatti, i nuovi elementi dichiarativi, non consentono di rifondare, nell’ambito di una rivalutazione in forma aggregata del complessivo materiale probatorio, il giudizio precedentemente espresso dalla giustizia sportiva. Un attento esame della dichiarazione de qua (nella quale, peraltro, Ilievsky specifica di non aver sentito “tutti i discorsi” di MILANETTO e non menziona alcuna sua specifica attività finalizzata all’alterazione della gara in questione), non si risolve in un decisivo elemento dimostrativo dell’adesione all’illecito del predetto calciatore Difetta, in particolare, quell’indispensabile nesso causale tra la circostanza denunciata e la pronuncia, nel senso che la nuova narrazione non appare ancora decisiva per giungere ad una pronuncia di condanna nel caso di riapertura del giudizio. Difetta, in altri termini, l’attitudine dimostrativa del nuovo fatto ad essere considerato circostanza risolutiva per la definizione della controversia. In definitiva, neppure in relazione al calciatore MILANETTO si rinvengono fondamentali elementi di novità probatoria, necessari e sufficienti, per avviare (ammettere) il procedimento in oggetto e, quindi, suscettibili di condurre il giudice della revocazione a riconsiderare, allo loro luce, il precedente assetto decisorio, al fine di pervenire ad una diversa pronuncia. A questa stregua, criteri di ragionevolezza e prudenza inducono questa Corte a dichiarare, allo stato, con l’espressa riserva prima formulata, l’inammissibilità del ricorso. Per questi motivi la C.F.A., Sezioni Unite, rigettate le eccezioni preliminari delle parti resistenti, dichiara allo stato, inammissibile il ricorso per revocazione proposto dal Procuratore Federale, nei sensi di cui in motivazione.
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