CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 3 del 18/01/2016 – Procura Generale dello Sport CONI/Antonio Di Mattia/Federazione Italiana Giuoco Calcio- Procura Generale dello Sport CONI/Roberto Mammola /Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Collegio di Garanzia dello Sport - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 3 del 18/01/2016 – Procura Generale dello Sport CONI/Antonio Di Mattia/Federazione Italiana Giuoco Calcio- Procura Generale dello Sport CONI/Roberto Mammola /Federazione Italiana Giuoco Calcio IL COLLEGIO DI GARANZIA SEZIONI UNITE composto da Franco Frattini – Presidente e Relatore Mario Sanino Attilio Zimatore Massimo Zaccheo Dante D’Alessio - Componenti ha pronunciato la seguente DECISIONE nei giudizi iscritti: - al R.G. ricorsi n. 88/2015, presentato, in data 4 novembre 2015, dalla Procura generale dello Sport presso il CONI, rappresentata dal Procuratore generale dello Sport, Gen. Enrico Cataldi, e dal Vice – Procuratore generale, avv. prof. Pierluigi Matera, contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), non costituitasi in giudizio, nonché contro il sig. Antonio Di Mattia, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Elena Porqueddu, avverso la decisione della Corte Federale d'Appello FIGC, III^ Sezione, di cui al C.U. n. 042/CFA del 21 ottobre 2015, nella parte in cui ha stabilito, in integrale riforma della decisione impugnata, il proscioglimento del sig. Di Mattia dagli addebiti contestatigli nel giudizio di primo grado endofederale, annullando la sanzione precedentemente inflitta; - al R.G. ricorsi n. 89/2015, presentato, in data 4 novembre 2015, dalla Procura generale dello Sport presso il C.O.N.I., rappresentata dal Procuratore generale dello Sport, Gen. Enrico Cataldi, e dal Vice – Procuratore generale, avv. prof. Pierluigi Matera, contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), non costituitasi in giudizio, nonché contro il sig. Roberto Mammola, rappresentato e difeso dall’avv. Federico Milano, avverso il medesimo provvedimento della Corte Federale d’Appello FIGC, che, in parziale accoglimento del ricorso in appello, ha ridotto la relativa sanzione inflitta dal Giudice di prime cure a mesi 10 di squalifica; viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite; uditi, nell'udienza del 16 dicembre 2015, quanto ai ricorsi iscritti: - al R.G. ricorsi n. 88/2015, per la parte ricorrente – Procura generale dello Sport presso il C.O.N.I. – il Vice - Procuratore generale dello Sport, avv. prof. Pierluigi Matera; per il sig. Antonio Di Mattia, l’avv. Fabio Retica, giusta delega all’uopo ricevuta dall’avv. Maria Elena Porqueddu; - al R.G. ricorsi n. 89/2015, per la parte ricorrente – Procura generale dello Sport presso il C.O.N.I. – il Vice - Procuratore generale dello Sport, avv. prof. Pierluigi Matera; per il sig. Roberto Mammola, l’avv. Fabio Retica, giusta delega all’uopo ricevuta dall’avv. Maria Elena Porqueddu; udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il Relatore, pres. Franco Frattini; Ritenuto in fatto La Procura generale dello Sport ha impugnato - con due distinti ricorsi - le decisioni della Corte federale d’appello FIGC, III^ Sezione, del 21 ottobre 2015. Dette decisioni, adottate contestualmente ma con pronunce e motivazioni distinte, hanno accolto in parte il ricorso del sig. Roberto Mammola ed accolto “in toto” il ricorso del sig. Antonio Di Mattia avverso la decisione 27 luglio 2015 del Tribunale federale Territoriale Piemonte e Valle d’Aosta della FIGC. Per effetto delle decisioni oggi impugnate, il sig. Di Mattia è stato prosciolto dagli addebiti disciplinari ed il sig. Mammola ha visto ridursi la sanzione disciplinare da quattro anni a dieci mesi di squalifica. La Procura generale, premesse alcune considerazioni in merito alla propria legittimazione a ricorrere presso il Collegio di garanzia dello Sport, ha, sia pure con due separarti ricorsi, censurato le decisioni della Corte di appello federale - che riguardano la stessa vicenda - per i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 7 CGS della FIGC, per erronea configurazione dell’illecito sportivo contestato ai due tesserati quale fattispecie a formazione progressiva anziché, come in effetti detto illecito è delineato dalla norma, quale un illecito di pura condotta a consumazione anticipata con il mero compimento di atti idonei ad alterare una gara. 2) Motivazione insufficiente e contraddittoria, non avendo la Corte di appello motivato in ordine alla mancata considerazione di prove decisive per dimostrare che entrambi gli incolpati erano stati coinvolti sia nel tentativo di alterare una gara sia nella rissa seguita al mancato buon esito della combine. Il resistente Di Mattia deduce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, giacché, ai sensi dell’art. 54 C.G.S., non sarebbero impugnabili dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport le decisioni che irrogano sanzioni inferiori a novanta giorni di durata o a diecimila euro di ammontare pecuniario; nel caso di specie, dunque, il proscioglimento non sarebbe impugnabile. Sui motivi del ricorso della Procura generale, entrambi i resistenti Di Mattia e Mammola sviluppano argomenti analoghi, ritenendo che la dedotta violazione dell’art. 7 non sussiste, e che anzi la Procura abbia inammissibilmente formulato censure di merito avverso le decisioni della Corte d’appello, e che dunque il Collegio debba dichiarare inammissibili e comunque respingere tutti i motivi di impugnazione. Considerato in diritto Ritiene preliminarmente il Collegio che i ricorsi proposti dalla Procura generale dello Sport debbano essere riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva. 1. Sulla ammissibilità del ricorso nei confronti del signor Di Mattia. La difesa del Di Mattia sostiene che, avendo la Corte d’appello federale prosciolto l’incolpato, in riforma della condanna in primo grado alla squalifica per tre anni, l’impugnazione non sarebbe ammessa, ai sensi dell’art. 54 C.G.S., giacché soltanto le decisioni con sanzione superiore a novanta giorni di durata sono impugnabili. L’argomento, che si fonda sulla interpretazione meramente letterale degli artt. 54 CGS e 12 bis dello Statuto del CONI, non regge di fronte ad una interpretazione sistematica e funzionale delle norme in esame. La ratio complessiva della riforma che ha istituito tra l’altro il Collegio di Garanzia dello Sport è, sul punto, quella di evitare che l’organo “di legittimità” della giustizia sportiva si occupi di controversie c.d. “bagatellari”, cioè relative - in riferimento ai procedimenti disciplinari - a fatti di lievissima entità, per i quali è sufficiente la definizione della giustizia endofederale. La “ratio legis” è, ad avviso del Collegio, quella di consentire il giudizio di legittimità del Collegio di garanzia allorché la “controversia”, cui l’art. 12 bis Statuto CONI si riferisce, abbia il connotato della gravità, ed allorché in “ambito endofederale” - come sempre indica l’art. 12 bis - una sanzione superiore a novanta giorni sia stata irrogata. Non può essere, in altri termini, l’esito del solo giudizio di secondo grado a radicare o meno la competenza del Collegio di garanzia: se così fosse, il sistema avrebbe introdotto una regola di non ricorribilità delle decisioni favorevoli all’incolpato, che ben esplicitamente, e non in via interpretativa, dovrebbe essere stabilita dalle norme e di cui invece non vi è traccia. Ed allora, escluso un principio implicito di non ricorribilità contro le decisioni favorevoli - di proscioglimento o di riduzione della sanzione sotto i limiti - la tesi prospettata dal resistente Di Mattia condurrebbe alla alterazione del principio del “giudice naturale” della legittimità sportiva, che potrebbe o meno conoscere della controversia non già per la sua oggettiva gravità, ma in rapporto alla eventuale ed incerta, caso per caso, decisione di secondo grado di mantenere o meno una condanna “sopra la soglia” temporale di durata. Ciò avrebbe conseguenze del tutto in contrasto con i principi della giustizia sportiva anche per altri aspetti: si pensi al caso di più tesserati deferiti per il medesimo fatto e con il medesimo capo di incolpazione, allorché per uno soltanto di loro la sentenza di secondo grado riduca “sotto soglia” la sanzione non riconoscendo una aggravante o attribuendo una attenuante. Per uno dei co-incolpati la decisione sarebbe definitiva mentre per gli altri il Collegio potrebbe essere adito dagli incolpati stessi o dalla Procura generale, sicché, in caso di annullamento del Collegio di garanzia, la “erronea” decisione di appello rimarrebbe nondimeno confermata per uno dei tesserati. È evidente che la logica e la funzione delle norme in esame non consentono che esse siano interpretate come il resistente Di Mattia vorrebbe. La controversia relativa al Di Mattia ha riguardato, nell’ambito endofederale, una incolpazione disciplinare grave, sanzionabile e sanzionata in primo grado con tre anni di squalifica e invece negata dalla sentenza della Corte di appello. Vi è stata, dunque, “controversia in ambito federale” sulla applicabilità o meno (affermata in primo grado, negata in appello) di una sanzione la cui durata va ben oltre i novanta giorni. Tanto basta per rendere ammissibile il ricorso della Procura generale dinanzi a questo Collegio. 2. Sui motivi del ricorso 2.1 Il primo motivo del ricorso, nei confronti di entrambi gli incolpati, deduce la violazione dell’art. 7 del Codice di giustizia sportiva FIGC, per erronea definizione dell’elemento soggettivo ed oggettivo dell’illecito sportivo come delineato e sanzionato da tale disposizione. Il motivo è fondato. La Corte di appello federale ritiene che le azioni poste in essere dagli incolpati - ed in particolare, i contatti coi giocatori del Vianney nei giorni antecedenti la gara, i comportamenti intimidatori durante la partita e la rissa successiva alla gara in prossimità degli spogliatoi - non siano sufficienti ad integrare l’illecito sportivo ex art. 7 CGS e ciò in quanto si sarebbe trattato di iniziative unilaterali mai seguite da accordo con la squadra avversaria del Vianney né tantomeno dall’effettivo conseguimento della tentata alterazione della gara. Detta ricostruzione confligge, in realtà, con la corretta configurazione, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, che dell’illecito sportivo sia la norma che la giurisprudenza evidenziano con assoluta chiarezza. In primo luogo, l’illecito sportivo non è affatto “a formazione progressiva” - come la decisione impugnata sostiene - bensì costituisce illecito di pura condotta, a consumazione anticipata, che si consuma con il semplice compimento di atti diretti ad alterare la gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica che non sia il fisiologico risultato della gara stessa. Il vantaggio effettivo - cioè l’alterazione del risultato - non è elemento costitutivo dell’illecito, bensì mera circostanza aggravante (art. 7, co. 6 C.G.S. FIGC). Non è dunque necessario, per la consumazione dell’illecito, che i destinatari dei contatti per alterare la gara abbiano realmente inteso il significato del tentativo posto in essere. Né, tantomeno, occorre che vi sia stato un accordo con la squadra avversaria, giacché il carattere bilaterale o plurilaterale è estraneo all’elemento oggettivo della fattispecie. Nel caso in esame, in effetti, sono provati: - i contatti degli incolpati Di Mattia e Mammola con i signori Scolaro, Tucci e Masera, esponenti della squadra Vianney, qualche giorno prima della gara. La circostanza che detti contatti, ancorché definiti “di tono scherzoso” dalle difese dei resistenti e dalla decisione impugnata, siano stati presi invece molto sul serio, è dimostrato dal fatto che i “contattati” in più occasioni presso il Vianney (cioè, in particolare, i signori Tucci e Masera) abbiano subito informato il dirigente sig. Cavallo dell’accaduto, e che quest’ultimo (pur non presentando denuncia-querela) abbia sollecitato l’allenatore Ardita e il sig. Bergamo a tenere una riunione sull’argomento, evidentemente per motivare la squadra del Vianney a respingere il tentativo. - I comportamenti ostili e intimidatori tenuti nel corso della gara tra i giocatori del Nizza Millefonti nei confronti degli avversari del Vianney. Detti comportamenti sono stati, evidentemente, dettati dal risentimento per l’impegno sportivo che la squadra del Vianney, contrariamente alle attese, dimostrava. - La rissa sviluppatasi a fine gara presso gli spogliatoi. Tale ulteriore, gravissimo evento ben si spiega con il risentimento dei giocatori del Nizza Millefonti che si attendevano un risultato favorevole grazie al tentativo di “combine” ed invece avevano dovuto fronteggiare con ben altro esito il leale impegno agonistico degli avversari del Vianney. Ritiene, in conclusione sul primo motivo, il Collegio che il contesto complessivo della vicenda, articolatasi nei plurimi contatti telefonici (dal tono più o meno scherzoso, il che non rileva), quindi nei minacciosi comportamenti in gara, ed infine nella rissa post-gara, qualifichi la condotta colpevole, consistente nell’aver tenuto - da parte del Di Mattia e del Mammola - atti idonei in modo non equivoco ad alterare la gara, seguiti poi da una gravissima “rappresaglia punitiva” contro i giocatori del Vianney che non si erano “venduti” accogliendo la proposta di “combine”. 2.2 Sulla censura di omessa e insufficiente motivazione. Il Collegio, già alla stregua dell’accoglimento del primo motivo, potrebbe annullare la decisione impugnata; ma occorre esaminare, in particolare per la posizione del resistente Mammola, anche la censura di omessa o carente motivazione, che appare fondata per diversi aspetti decisivi. Non ritiene, il Collegio, di dovere, se non incidentalmente, soffermarsi sulla circostanza che la Corte d’appello ha inserito nella motivazione un intero capoverso relativo alla società Augusta e alla inagibilità del palazzetto “Cesaroni” di Genzano, cioè a vicende del tutto estranee alla controversia in esame, e ciò per una evidente superficiale rilettura o collazione del testo della decisione. Ciò che invece rende, per profili rilevanti nel presente giudizio, gravemente carente e contraddittoria la motivazione della decisione impugnata è l’argomentazione con cui essa, accogliendo in parte il ricorso in appello del Mammola, ne riduce la sanzione in merito alla partecipazione alla rissa dopo la gara. Risulta provato, in modo inequivoco, che dopo la gara, nella rissa sviluppata dai giocatori del Nizza Millefonti contro gli avversari del Vianney, il resistente Mammola sia stato attivo partecipante, ed abbia compiuto atti di violenza fisica nei confronti del sig. Simone Scolaro, colpito con ben tre calci al basso ventre. Tale circostanza risulta: - dalle testimonianze rese dinanzi alla polizia giudiziaria da ben cinque testimoni; - dalla ricostruzione fatta subito dopo i fatti dalla vittima dell’illecito (per il quale vi è procedimento penale in corso), sig. Scolaro, il quale ha indicato nel sig. Mammola l’autore della violenza; - dalla ricostruzione del sig. Fichera, il quale ha assunto immediate informazioni dopo i fatti, affermando che il Mammola era “unanimemente” indicato come l’autore della violenza. Tali elementi, impossibili da smentire, venivano assunti dalla impugnata decisione, la quale anzi sottolineava la testimonianza “indifferente rispetto ai fatti” e dunque particolarmente attendibile del sig. Cozzolino, che dichiarava di aver visto il Mammola scalciare per ben tre volte durante la rissa. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che mancasse la prova che il Mammola fosse l’esclusivo autore della violenza che ha determinato la grave menomazione fisica del sig. Scolaro, e che perciò il Mammola dovesse essere sanzionato con dieci mesi anziché quattro anni di squalifica. Il Collegio ritiene che detta argomentazione sia fortemente censurabile, come la ricorrente Procura generale afferma, per molteplici profili. Anzitutto, vi è contraddittorietà e omissione nel ritenere, da un lato, provata la violenza da parte del Mammola e, dall’altra, nel non considerare ciò che la vittima dell’illecito - penalmente rilevante - ha dichiarato, in linea con i testimoni, e cioè che i calci al basso ventre fossero stati sferrati proprio e soltanto dal Mammola. Ma vi è di più. Non pare al Collegio, in assenza di adeguata e approfondita motivazione, che la provata partecipazione di un giocatore ad una rissa post-gara, con esercizio di violenza fisica grave contro esponente della squadra avversaria, a seguito e come “rappresaglia” per la mancata accettazione di una proposta di “combine”, possa condurre ad una rilevantissima attenuazione della sanzione anche se non vi fosse la “prova piena” che detto calciatore è stato l’unico autore della violenza fisica. Il Collegio, che non può e non deve offrire in questa sede una lettura “di terzo grado” delle prove sulla presenza e attività del Mammola già deliberate in secondo grado, può e deve affermare che - anche nel contesto probatorio quale già deliberato dalla Corte di appello - è del tutto contraddittorio sostenere che per le attività provate in capo al Mammola quest’ultimo debba essere assoggettato ad una sanzione ridotta. In conclusione, per il vizio di violazione dell’art. 7 CGS FIGC e per la contraddittoria e incoerente motivazione in speciale riguardo alla posizione del resistente Mammola, la decisione impugnata deve essere annullata. Non occorrono ulteriori elementi istruttori per giungere alla conclusione che la decisione di primo grado, con la comminatoria della squalifica di quattro anni al Mammola e di tre anni al Di Mattia, debba essere confermata e posta in esecuzione. PQM Il Collegio di Garanzia dello Sport Sezioni Unite Riunisce i ricorsi in epigrafe e li accoglie nei sensi di cui in motivazione. Per l’effetto, annulla senza rinvio la decisione impugnata e conferma quanto deciso dal Tribunale federale territoriale Piemonte e Valle d’Aosta in data 27 luglio 2015. Nulla per le spese. DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 16 dicembre 2015. Il Presidente e Relatore F.to Franco Frattini Depositato in Roma in data 18 gennaio 2016. Il Segretario F.to Alvio La Face
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