CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 17 del 11/04/2016 – Procura Generale dello Sport/Giuseppe Polverino/Lorenzo De Lucia/Francesco Romano/Generoso Falvene/Roberto Manzo/ Arechi Rugby Asd/Federazione Italiana Rugby

CONI – Collegio di Garanzia dello Sport - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 17 del 11/04/2016 – Procura Generale dello Sport/Giuseppe Polverino/Lorenzo De Lucia/Francesco Romano/Generoso Falvene/Roberto Manzo/ Arechi Rugby Asd/Federazione Italiana Rugby IL COLLEGIO DI GARANZIA QUARTA SEZIONE composta da Dante D’Alessio - Presidente Giovanni Iannini Cristina Mazzamauro Laura Santoro Nicola Russo - Relatore ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 4/2016, presentato, in data 5 febbraio 2016, dalla Procura Generale dello Sport presso il CONI, in persona del Procuratore Generale, gen. Enrico Cataldi, e del Procuratore Nazionale, prof.ssa Daniela Noviello; contro i sigg.ri Giuseppe Polverino, Lorenzo De Lucia, Francesco Romano, Generoso Falivene, Roberto Manzo, la Società Arechi Rugby ASD, rappresentati e difesi dal medesimo avv. Roberto Manzo nonché dall’avv. Marco Menicucci; nonché contro la Federazione Italiana Rugby (F.I.R.), non costituitasi in giudizio; per l’annullamento della decisione della Corte Federale d’Appello FIR n. 3 - s.s. 2015/2016, pubblicata in data 8 gennaio 2016, di rigetto dell'appello proposto dalla Procura Federale FIR e conferma della decisione del Tribunale Federale FIR del 27 ottobre 2015, con la quale quest'ultimo, definendo il giudizio avviato dalla Procura Federale FIR con atto di incolpazione e deferimento a giudizio per illecito sportivo nei confronti della società e dei soggetti succitati, ha dichiarato inammissibile ed improcedibile il deferimento e, per l'effetto, di non poter procedere nei confronti degli stessi soggetti deferiti; viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite; uditi, nell'udienza dell’8 marzo 2016, il gen. Enrico Cataldi e l’avv. Alessandra Flamminii Minuto, in sostituzione della prof.ssa Daniela Noviello, per la Procura Generale per lo Sport; gli avv.ti Roberto Manzo e Marco Menicucci, per la Società Arechi Rugby ASD, per il suo legale rappresentante, avv. Roberto Manzo, e per i sigg.ri Francesco Romano e Generoso Falivene; udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, cons. Nicola Russo. Ritenuto in fatto 1.- La Procura Generale dello Sport impugna la decisione della Corte Federale di Appello FIR, n. 3 – s.s. 2015/2016, pubblicata in data 8 gennaio 2016, la quale, nel rigettare l’appello proposto dalla Procura Federale FIR, confermava la decisione del Tribunale Federale FIR n. 2 – s.s. 2015/2016 del 27 ottobre 2015 che aveva dichiarato “inammissibile ed improcedibile il deferimento con tutti gli atti istruttori relativi e per l’effetto di non potere procedere nei confronti dei soggetti deferiti” per illecito sportivo, quali il sig. Giuseppe Polverino, il sig. Lorenzo De Lucia, il sig. Generoso Favilene, il sig. Roberto Manzo e la Società Arechi Rugby ASD. 2.- Tali tesserati furono oggetto di un procedimento disciplinare, avviato in data 1 giugno 2015, dalla Procura Federale FIR, per aver schierato, nella gara disputata il 15 febbraio 2015, il giocatore Polverino, appartenente alla diversa categoria U18, in luogo e sotto le false generalità del giocatore De Lucia, della categoria U16. In data 10 luglio 2015 veniva comunicata agli incolpati la conclusione delle indagini ed il successivo 29 luglio 2015 veniva formalizzato l’atto di incolpazione e deferimento a giudizio degli incolpati: sig.ri Polverino e De Lucia per violazione degli artt. 22, comma 1, e 20 RdG FIR, in quanto giocatori rispettivamente sostituto e sostituito; sig. Romano per violazione degli artt. 22, comma 1, e 20 RdG FIR, in quanto dirigente ed accompagnatore che ha firmato e consegnato all’arbitro il foglio gara; il sig. Falivene per violazione degli artt. 22, comma 1, e 20 RdG FIR, in quanto allenatore; il sig. Manzo per violazione degli artt. 22, comma 2, RdG FIR, in quanto ha autenticato un documento apparentemente visibilmente alterato ed utilizzato in occasione della gara; l’Arechi Rugby ADS per responsabilità oggettiva, per gli illeciti commessi dai propri tesserati. In primo grado rimanevano contumaci i giocatori Polverino e De Lucia, mentre si costituivano con memoria unica la società Arechi Rugby, il suo Presidente, avv. Roberto Manzo, ed i Dirigenti Francesco Romano e Generoso Falivene, chiedendo che l’azione disciplinare fosse dichiarata inammissibile ed improcedibile per violazione del termine per la conclusione delle indagini, che, secondo gli incolpati, decorrerebbe dalla notizia dell’illecito e non dall’iscrizione delle notizie di fatti o atti rilevanti nell’apposito registro, come sostenuto dalla Procura, mentre nel merito negavano la falsificazione. 3.- Il Tribunale Federale FIR accoglieva la prospettazione dei tesserati in merito all’inosservanza del termine per la conclusione delle indagini, evidenziando inoltre l’inidoneità degli elementi allegati dalla Procura a fornire un sufficiente grado di certezza circa lo scambio di identità dei giocatori. Decisione successivamente confermata dalla Corte di Appello Federale. 4.- La Procura Generale dello Sport promuove ricorso dinanzi a questo Collegio di Garanzia avverso tale ultima decisione, preliminarmente affermando la sussistenza delle giurisdizione di questo Collegio di Garanzia dello Sport ai sensi dell’art. 54, comma 2, CGS. Non osterebbe al presente ricorso la circostanza che ai sensi dell’art. 12 bis, comma 1, dello Statuto del Coni, la ricorribilità al Collegio di Garanzia sia limitato alle “controversie decise in via definitiva in ambio federale, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro”. Secondo la Procura Generale, infatti, la norma, nel limitare il vaglio di legittimità alle sole controversie più rilevanti, contrasterebbe con il principio del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost., in quanto finirebbe col far dipendere la competenza del giudice non da un criterio astratto, stabilito ex ante, ma da un elemento concreto, stabilito ex post. L’ambito di competenza del Collegio di Garanzia sarebbe rimesso alla discrezionalità dei giudici federali, i quali, modulando la sanzione irrogata in ambito federale, potrebbero determinare od escludere le condizioni per l’ammissibilità del ricorso al supremo organo di giustizia. Tale irragionevole conclusione sarebbe già stata evidenziata dalle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia che, con decisione n. 3 del 18 gennaio 2016, hanno ritenuto ammissibile il ricorso promosso dalla Procura Generale relativamente a una decisione di proscioglimento dell’imputato. Nel merito la Procura si duole della “Violazione ed erronea applicazione degli artt. 40 c. 1 RdG FIR in relazione all’art. 2 CGS – 16 c. 1, 82 c. 1 RdG FIR in relazione agli artt. 81 c. 3, 84 cc. 1, 2 e 3 RdG FIR 45 c. 1 CGS”. Sostiene parte appellante che la determinazione dei termini per la conclusione del procedimento sarebbe rimessa esclusivamente alla legge, ovvero al giudice, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge; termini che se non sono espressamente dichiarati perentori, si intendono ordinatori. Pertanto, eventuali decadenze o sanzioni di inammissibilità/improcedibilità possono essere dichiarate solo qualora sia dalla legge stabilito un termine perentorio per il compimento di un atto processuale e tale termine non sia stato rispettato. In particolare, ai sensi degli artt. 16, comma 1, 82, comma 1, 81, comma 3, 84, commi 1, 2 e 3, RdG FIR e 45, comma 1, CGS non sarebbe stabilito alcun termine per l’iscrizione dei fatti o atti nel registro di cui all’art. 84, comma 2, RdG FIR, per cui sarebbe del tutto indifferente la durata del periodo che intercorre fra la notizia dell’illecito e l’iscrizione nel registro, mentre l’azione disciplinare sarebbe sempre avviabile. 5.- Si sono costituiti con memoria unica la società Arechi Rugby, il suo Presidente, avv. Roberto Manzo, ed i Dirigenti Francesco Romano e Generoso Falivene, contestando tutto quanto sostenuto dalla Procura. In primo luogo eccepiscono l’inammissibilità dell’impugnazione a norma dell’art. 12 bis dello Statuto CONI e dell’art. 54 CGS, ai sensi dei quali non sarebbe possibile ricorrere dinanzi al Collegio di Garanzia per le decisioni “che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnicosportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro”. Sul punto non offrirebbe un principio utile al fine della risoluzione della presente questione la decisione n. 3/2016 delle Sezioni Unite di questo Collegio di Garanzia, posto che si è occupata di una controversia in cui al tesserato era stata irrogata, almeno una volta, una sanzione superiore a novanta giorni, mentre nel caso di specie tale tipo di sanzione non è mai stata irrogata. La norma, infatti, distinguerebbe fra sanzione richiesta dalla Procura e sanzione irrogata dai Giudici, e solo quest’ultima sarebbe presa in considerazione dalla norma per delimitare il potere di ricorso al Collegio di Garanzia. Tale disposizione, inoltre, non rimetterebbe all’arbitrio del giudice federale la ricorribilità al Collegio di Garanzia, perché il giudice, in posizione di soggetto terzo ed imparziale, farebbe una mera applicazione della norma. Al contrario, si assisterebbe al più grave pericolo per cui la ricorribilità sarebbe rimessa alla decisione della Procura. In secondo luogo, il ricorso della Procura sarebbe inammissibile per tardività, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 59 CGS. In base ai dettami delle SSUU del Collegio di Garanzia il dies a quo per la proposizione del ricorso sarebbe costituito dalla emissione del dispositivo e non dal deposito della motivazione. Nel caso di specie, infatti, il dispositivo era stato emesso in data 10 dicembre 2015, mentre la motivazione è stata depositata in data 8 gennaio 2016 e, quindi, oltre i termini di legge. In ogni caso l’azione disciplinare sarebbe stata condotta oltre i termini previsti per gli atti processuali sportivi, a nulla valendo le asserzioni della Procura per cui, in applicazione dei principi civilistici, ove un termine non sia previsto espressamente come perentorio deve intendersi come ordinatorio. Secondo la Cassazione e questo Collegio di Garanzia, infatti, la perentorietà di un termine non deriverebbe solo dall’esplicita previsione normativa, ma anche dalla funzione che quel termine adempie e, in ogni caso, anche la scadenza del termine ordinatorio produrrebbe un effetto decadenziale. Sul punto, inoltre, la stessa Procura avrebbe ammesso, con conseguente acquiescenza sul relativo capo della decisione in questa sede impugnata, che la scadenza del termine di quaranta giorni per le indagini comporta il venir meno del potere di esercitare l’azione disciplinare, limitandosi a contestare il dies a quo di tale termine, che secondo la Procura decorrerebbe dal momento dell’iscrizione nel registro del procedimento disciplinare. Se si accogliesse questa tesi, peraltro, si assisterebbe ad un’evidente violazione del diritto di difesa, della regolarità dell’azione disciplinare e dei campionati, in quanto il Procuratore potrebbe decidere di iniziare le indagini quando vuole. Non solo, una siffatta interpretazione sottrarrebbe alla Procura Generale il potere, previsto all’art. 12 ter dello Statuto CONI, di avocare l’attività inquirente qualora riscontri il superamento dei termini per la conclusione delle indagini. La violazione dei termini risulterebbe palese dall’analisi dell’iter disciplinare. La notizia dell’illecito sportivo è stata ricevuta dalla Procura in data 17 febbraio 2015, successivamente integrata in data 25 febbraio 2015, mentre il primo contatto fra Procura e incolpati si ebbe solo in data 12 giugno 2015. Inoltre, l’avviso ex art. 81, comma 4, RdG venne emesso solo in data 9 luglio 2015 e il deferimento in data 29 luglio 2015, con sforamento del termine di quaranta giorni previsto dagli artt. 82 e 84 RdG. La Procura, infine, non avrebbe in alcun modo motivato in ordine alla fondatezza dell’accusa disciplinare, senza mai richiedere una specifica condanna ovvero indicare le violazioni contestate e la responsabilità degli incolpati. Ne deriverebbe l’inammissibilità del ricorso per mancata prospettazione di alcuna censura di merito contro la sentenza di primo grado. Nel merito della contestazione dello scambio di giocatori e di esibizione di un documento alterato le parti affermano che la Procura non avrebbe fornito alcuna prova certa circa le violazioni contestate, in quanto da un lato le foto recuperate tramite profilo Facebook non assicurerebbero l’identità del soggetto ritratto e, dall’altro, la contestazione muove dall’esibizione della fotocopia di un documento di identità che potrebbe dar luogo a risultati diversi a secondo della macchina utilizzata e della differente esposizione alla luce. 6.- Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2016 il ricorso è stato discusso dai difensori della parti; si è anche presentata in udienza la Procura Federale, chiedendo, in adesione al ricorso promosso dalla Procura Generale, la riforma della decisione impugnata. Parte appellata ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento della Procura Federale. Il Collegio, dopo breve camera di consiglio, ha ritenuto inammissibile tale intervento. La causa è stata quindi trattenuta in decisione. Considerato in diritto 7.- Si deve dichiarare in via preliminare l’inammissibilità dell’intervento in udienza della Procura Federale FIR dinnanzi a questo Collegio di Garanzia, in quanto supremo organo di giustizia presso il quale possono ricorrere solo le parti nei confronti delle quali è stata pronunciata la decisione impugnata, nonché la Procura Generale (art. 54 CGS). Infatti, la Procura Federale, in quanto parte soccombente nel giudizio davanti alla Corte Federale di Appello FIR, avrebbe dovuto impugnare nei termini tale decisione. Non avendo la Procura Federale rispettato il termine che è concesso alle parti per impugnare le decisioni definitive degli organi della giustizia endofederale davanti al Collegio di Garanzia, il suo intervento in udienza, anche solo per rappresentare oralmente le proprie ragioni, non può ritenersi pertanto ammesso. 8.- Sempre preliminarmente si deve respingere l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dai resistenti. Ai sensi dell’art. 59 CGS: “Il ricorso è proposto mediante deposito al Collegio di Garanzia dello Sport entro trenta giorni dalla pubblicazione della decisione impugnata (...)”. Ebbene, la norma precisa che il termine per l’impugnazione decorre dal momento della pubblicazione della decisione ovvero del decisum e della sua motivazione. Ove, infatti, per ragioni di celerità, si è inteso scindere il dispositivo e la motivazione ai fini della proposizione del gravame, tale scelta è stata effettuata in maniera esplicita, come per le controversie in materia di diritto del lavoro, dove ai sensi dell’art. 433 c.p.c. è dato al datore di lavoro il potere di impugnare il dispositivo del giudice di primo grado, con riserva di motivi al deposito della motivazione, al fine di chiedere la sospensione dell’esecutività. Peraltro l’art. 37, comma 7 del CGS espressamente prevede, nell’ultimo periodo, che il ricorso al Collegio di Garanzia «rimane improponibile fino alla pubblicazione della motivazione». 9.- Tanto premesso, occorre comprendere entro quali limiti siano ammissibili i ricorsi presso questo Collegio ed in particolare quali ricorsi possa conoscere questo Collegio ai sensi dell’art. 54 CGS e art. 12 bis dello Statuto CONI. La presente questione presenta profili di rilevante importanza in ordine ai poteri cognitori di questo Collegio, nonché al diritto di difesa delle parti, risultando, pertanto, necessario l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. Come noto, infatti, ai sensi dell’art. 54 CGS “Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnicosportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro, è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12 bis dello Statuto del Coni. Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”. Con tale norma il Legislatore ha inteso stabilire un filtro per l’accesso al Supremo Organo di Giustizia Sportiva, stabilendo che il Collegio possa conoscere solo delle controversie decise in via definitiva in ambito federale, aventi caratteristiche di rilevante importanza, con esclusione, dunque, di quelle bagatellari. La Procura afferma che di tale norma occorre dare un’interpretazione costituzionalmente conforme, al fine di evitare che venga inciso il diritto di difesa delle parti, nonché il principio del giudice naturale precostituito, in quanto si correrebbe il rischio che l’ambito di competenza del presente Collegio sarebbe rimesso alla discrezionalità dei giudici federali. Sul punto richiama l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite del Collegio in una precedente decisione (n. 3/2016), in cui si discorreva sulla corretta interpretazione dell’art. 54 CGS, e in cui si è precisato che non può darsi del citato articolo un’interpretazione letterale, ma “che la ratio complessiva della riforma che ha istituito tra l’altro il Collegio di Garanzia dello Sport è, sul punto, quella di evitare che l’organo “di legittimità” della giustizia sportiva si occupi di controversie c.d. “bagatellari”, cioè relative - in riferimento ai procedimenti disciplinari - a fatti di lievissima entità, per i quali è sufficiente la definizione della giustizia endofederale. La “ratio legis” è, ad avviso del Collegio, quella di consentire il giudizio di legittimità del Collegio di garanzia allorché la “controversia”, cui l’art. 12 bis Statuto CONI si riferisce, abbia il connotato della gravità, ed allorché in “ambito endofederale” - come sempre indica l’art. 12 bis - una sanzione superiore a novanta giorni sia stata irrogata. Non può essere, in altri termini, l’esito del solo giudizio di secondo grado a radicare o meno la competenza del Collegio di garanzia: se così fosse, il sistema avrebbe introdotto una regola di non ricorribilità delle decisioni favorevoli all’incolpato, che ben esplicitamente, e non in via interpretativa, dovrebbe essere stabilita dalle norme e di cui invece non vi è traccia. Ed allora, escluso un principio implicito di non ricorribilità contro le decisioni favorevoli – di proscioglimento o di riduzione della sanzione sotto i limiti – la tesi prospettata dal resistente Di Mattia condurrebbe alla alterazione del principio del “giudice naturale” della legittimità sportiva, che potrebbe o meno conoscere della controversia non già per la sua oggettiva gravità, ma in rapporto alla eventuale ed incerta, caso per caso, decisione di secondo grado di mantenere o meno una condanna “sopra la soglia” temporale di durata. Ciò avrebbe conseguenze del tutto in contrasto con i principi della giustizia sportiva anche per altri aspetti: si pensi al caso di più tesserati deferiti per il medesimo fatto e con il medesimo capo di incolpazione, allorché per uno soltanto di loro la sentenza di secondo grado riduca “sottosoglia” la sanzione non riconoscendo una aggravante o attribuendo una attenuante. Per uno dei co-incolpati la decisione sarebbe definitiva mentre per gli altri il Collegio potrebbe essere adito dagli incolpati stessi o dalla Procura generale, sicché, in caso di annullamento del Collegio di garanzia, la “erronea” decisione di appello rimarrebbe nondimeno confermata per uno dei tesserati. È evidente che la logica e la funzione delle norme in esame non consentono che esse siano interpretate come il resistente Di Mattia vorrebbe. La controversia relativa al Di Mattia ha riguardato, nell’ambito endofederale, una incolpazione disciplinare grave, sanzionabile e sanzionata in primo grado con tre anni di squalifica e invece negata dalla sentenza della Corte di appello. Vi è stata, dunque, “controversia in ambito federale” sulla applicabilità o meno (affermata in primo grado, negata in appello) di una sanzione la cui durata va ben oltre i novanta giorni. Tanto basta per rendere ammissibile il ricorso della Procura generale dinanzi a questo Collegio”. (Collegio di Garanzia, SSUU, decisione 18 gennaio 2016, n. 3). 10.- Questo Collegio non ignora il citato orientamento delle Sezioni Unite, ma ritiene che la peculiarità del caso non consenta una sua immediata applicazione, risultando, al contrario, necessario un nuovo intervento chiarificatore che tenga conto della diversità del caso ora sottoposto all’attenzione del Collegio. Ed invero, dalla citata decisione delle SSUU si evince che il tesserato era stato destinatario di decisioni discordi della giustizia endofederale: in primo grado gli era stata irrogata una sanzione disciplinare, mentre in grado di appello tale decisione era stata ribaltata con la sua piena assoluzione. Tale aspetto, dunque, è risultato dirimente ai fini della citata statuizione, giacché le stesse SSUU hanno evidenziato che gli artt. 54 CGS e 12bis dello Statuto CONI delimitano la cognizione del presente Collegio ai casi in cui una sanzione superiore a novanta giorni sia stata irrogata: il giudizio di primo grado aveva ritenuto fondati gli addebiti disciplinari mossi contro il tesserato, irrogando così la relativa sanzione. Ne deriva che in quel caso una sanzione era stata irrogata e che solo in grado di appello quest’ultima era stata rimossa. Ed è risultato allora irragionevole che fosse esclusivamente l’esito del giudizio di secondo grado a radicare o meno la competenza sulla questione del Collegio di Garanzia. Nel caso de quo, invece, la situazione è diversa. I tesserati non sono mai stati oggetto di una sanzione, in quanto i due gradi della giustizia sportiva hanno entrambi rigettato le richieste sanzionatorie della Procura, con due decisione conformi. Dalla lettura della normativa citata (artt. 54 CGS e 12 bis dello Statuto CONI) peraltro appare necessario, per radicare la competenza del Collegio di Garanzia, che comunque una sanzione sia stata “irrogata” e non meramente richiesta dalla Procura e tale circostanza non ricorre nella fattispecie in esame, che si differenzia, quindi, da quella in precedenza decisa dalle SSUU. 11.- La differenza del caso de quo rispetto a quello in precedenza già trattato e la rilevanza che assume la questione, riguardante la delimitazione della competenza del Collegio di Garanzia in controversie che possono essere anche di rilievo, sebbene concluse in entrambi i gradi del giudizio endofederale con decisioni di proscioglimento, induce questo Collegio a rimettere gli atti alle Sezioni Unite, al fine di definire e precisare la corretta interpretazione da dare all’art. 54 CGS e la competenza di questo Collegio di Garanzia, nei casi, appunto, di doppia decisione conforme di tipo assolutorio, laddove cioè non sia stata applicata alcuna sanzione in entrambi i gradi del giudizio endofederale. 12.- Parimenti determinante ai fini della decisione del ricorso in esame, ad avviso del Collegio, nonché costituente una questione di massima da rimettere all’esame delle Sezioni Unite, è anche la questione relativa al momento dal quale far decorrere il termine per la conclusione del procedimento disciplinare, se cioè esso decorra, come sostenuto dalla Procura, dall’iscrizione nel Registro di cui all’art. 84, comma 2, RdG FIR, oppure, come sostenuto dagli intimati e riconosciuto dalle sentenze conformi dei due gradi di giudizio endofederale, dal momento della notizia dell’illecito sportivo. Secondo la Procura Generale, alla stregua delle norme federali in materia disciplinare, i termini previsti per l’apertura e la conclusione del procedimento disciplinare sarebbero di tipo ordinatorio. La perentorietà dei termini, infatti, richiederebbe un’espressa previsione normativa e laddove manchi, eventuali violazioni dei termini non potrebbero essere sanzionate tramite dichiarazioni di inammissibilità ed improcedibilità del giudizio sanzionatorio, come, invece, avvenuto nel caso di specie. In particolare, l’art. 16, comma 1, RdG FIR prevede che: “Il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti si estingue quando il Procuratore federale non lo eserciti entro i termini previsti dal presente Codice”; l’art. 84, comma 3, RdG FIR prevede che: “La durata delle indagini non può superare il termine previsto da ciascuna Federazione e comunque non superiore a quaranta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante. Su istanza congruamente motivata del Procuratore Federale, la Procura generale dello sport autorizza la proroga di tale termine per la medesima durata, fino ad un massimo di due volte, eventualmente prescrivendo gli atti indispensabili da compiere. Gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. Possono sempre essere utilizzati gli atti e documenti in ogni tempo acquisiti dalla Procura della Repubblica e dalle altre autorità giudiziarie dello Stato”. Tuttavia, a parere di questa Sezione, la lettura delle norme esposte potrebbe sacrificare eccessivamente il diritto di difesa delle parti, le quali si potrebbero vedere contestati illeciti sportivi anche a lunga distanza di tempo, perdendo quindi la possibilità di esplicare una persuasiva difesa. È evidente, infatti, che, se l’inizio dell’azione disciplinare fosse rimesso alla mera discrezionalità della Procura, i tesserati si vedrebbero contestare degli illeciti rispetto ai quali potrebbero aver perso ogni elemento di prova contraria, proprio a causa del lungo lasso di tempo intercorso dalla commissione della pretesa infrazione alla sua contestazione. Come correttamente rilevato dal Tribunale Federale, occorre poi garantire la celerità e il buon andamento della giustizia sportiva, anche in funzione della regolarità dei campionati. Non vi è dubbio, infatti, che rimettendo alla discrezionalità della Procura il termine per l’avvio e la conclusione delle indagini, si arriverebbe alla irragionevole conclusione che una società ovvero un tesserato si potrebbe vedere applicata una sanzione anche a lunga distanza di tempo, anche in campionati successivi rispetto a quello in cui l’eventuale violazione è stata commessa, incidendo in tal modo anche sulla regolarità ed il buon andamento dei campionati. Peraltro, le parti, sia i tesserati che gli organi della procura, nonché i giudici stessi, devono improntare il proprio comportamento ai principi del giusto processo e della cooperazione: “Tutti i procedimenti di giustizia regolati dal Codice assicurano l’effettiva osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo e la piena tutela dei diritti e degli interessi dei tesserati, degli affiliati e degli altri soggetti dal medesimo riconosciuti. Il processo sportivo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo. I giudici e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinato andamento dell’attività federale (…)” (art. 2 CGS). Potrebbe quindi apparire irragionevole, e in violazione del principio della parità delle parti, ritenere che l’inizio del procedimento sanzionatorio sia rimesso esclusivamente al vaglio della Procura. Data la rilevanza della questione ed i suoi riflessi sul corretto svolgimento delle azioni disciplinari ad opera delle Procure delle Federazioni sportive, questo Collegio ritiene opportuno deferire anche tale questione all’esame delle Sezioni Unite, onde ottenere un univoco principio di diritto sul punto. P.Q.M. IL COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT QUARTA SEZIONE Il Collegio di Garanzia rimette, ai sensi dell’art. 56 CGS, le questioni di cui in motivazione all’esame delle Sezioni Unite. Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 8 marzo 2016. Il Presidente F.to Dante D’Alessio Il Relatore F.to Nicola Russo Depositato in Roma in data 11 aprile 2016. Il Segretario F.to Alvio La Face
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