F.I.G.C. – COMMISSIONE D’APPELLO FEDERALE – 1999/2000 COMUNICATI UFFICIALI N. 14/C – RIUNIONE DEL 9 DICEMBRE 1999 – pubbl. su www.figc.it APPELLO DELL’A-S. ROMA AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI L. 15.000.000 INFLITTALE, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 6 BIS COMMA 2 C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA ROMA/PERUGIA DEL 26.9.1999 (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 187 del 12.11.1999)
F.I.G.C. – COMMISSIONE D’APPELLO FEDERALE – 1999/2000
COMUNICATI UFFICIALI N. 14/C - RIUNIONE DEL 9 DICEMBRE 1999 – pubbl. su www.figc.it
APPELLO DELL'A-S. ROMA AVVERSO LA SANZIONE DELL'AMMENDA DI L.
15.000.000 INFLITTALE, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL'ART. 6 BIS COMMA 2 C.G.S., IN RELAZIONE
ALLA GARA ROMA/PERUGIA DEL 26.9.1999 (Delibera della Commissione Disciplinare
presso la Lega Nazionale Professionisti - Com. Uff. n. 187 del 12.11.1999)
Con provvedimento del 4.10.1999, la Procura Federale ha deferito alla Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti la A.S. Roma e la A.C. Perugia per avere i loro
sostenitori, in occasione della gara Roma/Perugia del 26.9.1999, esposto due o tre striscioni portanti
simboli ed emblemi incitanti alla violenza ed alla discriminazione razziale.
La Commissione Disciplinare deliberava di ascrivere, rispettivamente, alla A.S. Roma, ai
sensi dall'art. 6 bis comma 2 C.G.S., i fatti contestati ed attribuiti ai suoi sostenitori e, in
conseguenza, infliggere alla Società la sanzione dell'ammenda di L. 15.000.000, ed alla A.C.
Perugia, I'ammenda di L. 20.000.000. (Com. Uff. n. 187 del 12 novembre 1999).
Avverso la predetta decisione propone appello in questa sede la A.S. Roma, deducendo:
1 ) la carenza di potere dell'Ufficio Indagini al controllo in relazione alle violazioni delI'art. 6 bis
C.G.S.. della partita. e la conseguente carenza di potere della Procura a disporre il deferimento in
questione;
2) l'inammissibilità del deferimento per inesistenza dell'atto presupposto;
3) argomentazioni di merito sui singoli comportamenti per i quali la Società è stata deferita.
L'appello è infondato.
La Corte Federale è già stata investita, ai sensi dell'art. 16 comma 7 ten. a) C.G.S., riguardo
all'attività dell'Ufficio Indagini ed alla validità dei relativi accertamenti e, il 3.10.1998, ha deliberato
che: "L'Ufficio Indagini ha capacità di accertamento probatorio autonomo in base al combinato
disposto degli art. 22 comma 1 , art. 1 comma 1 (responsabilità per ogni rapporto di natura sociale)
e art. 6 bis e 6 ter (responsabilità per la prevenzione e per la commissione di fatti violenti) del
Codice di Giustizia Sportiva. In base all'att. 25 comma 1 dello stesso Codice il rapporto dell'Ufficio
Indagini costituisce atto ufficiale ad ogni effetto. Sarà compito degli Organi giudicanti nel merito
valutare gli elementi probatori raccolti dall'Ufficio Indagini nell'ambito degli altri documenti
ufficiali previsti dalI'art. 25 del Codice di Giustizia Sportiva.
II rapporto dell'Ufficio Indagini costituisce, dunque, una fonte di prova privilegiata, non
contestabile da mere affermazioni di parte. prive di riscontri obiettivi. In particolare si rileva come
la ricorrente non abbia prodotto alcun elemento di prova circa la pretesa falsità dell'allegato al
provvedimento di deferimento formulato dalla Procura Federale, che, in ogni caso, essendo unito
alla relazione del Collaboratore dell'Ufficio Indagini, ne costituisce parte.
L'art. 6 bis C.G.S., nel dettare norme in materia di responsabilità delle società per la
prevenzione di fatti violenti, ha imposto, infatti, il divieto di esposizione di scritte o simboli
incitanti alla violenza in termini assoluti, e non solo con riferimento alle squadre contendenti sul
campo. Tale interpretazione è aderente alla volontà del Legislatore Sportivo, il quale ha inteso porre
freno al dilagare della violenza negli stadi e di conseguenza ha sanzionato qualunque
comportamento dei tifosi che inciti, direttamente o indirettamente, alla violenza, all'odio, al
razzismo.
Le argomentazioni della Società appellante per le quali la stessa afferma di non sapere cosa
rappresenta il simbolo disegnato (una croce celtica) e. pertanto, in che senso esso possa definirsi
"incitante alla violenza e alla discriminazione razziale' appaiono pretestuose e prive di fondamento,
come pure le distinzioni addotte tra i termini "striscione' e "bandiera"'esposizione' e "sventolo e
considerazioni relative alla durata del comportamento stesso, specie in considerazione dell'entità
della sanzione irrogata.
Non può, parimenti, essere accolta la richiesta di condanna della Procura Federale al
pagamento delle spese di giudizio.
Per questi motivi la C.A.F respinge l'appello come sopra proposto dalla A.S. Roma di Roma
e disponde l'incameramento della tassa versata.
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