F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONE I – 2019/2020 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 090 CFA del 13 luglio 2020 (Procura Federale Interregionale/ U.P. Arzilla) N. 132/2019-2020 REGISTRO RECLAMI N. 090/2019-2020 REGISTRO DECISIONI

N. 132/2019-2020 REGISTRO RECLAMI

 

N. 090/2019-2020 REGISTRO DECISIONI

 

 

 


 

 

 

 

 

composta dai Sigg.ri:


LA CORTE FEDERALE D’APPELLO I SEZIONE


 

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

 

Marco La Greca, Componente (relatore)

 

Mauro Sferrazza, Componente

 

 

 

ha pronunciato la seguente

 

 

DECISIONE

 

 

Sul  reclamo  numero  di  registro  132/CFA/2019-2020,  proposto  dalla  Procura  federale interregionale della FIGC,

 

contro

 

 

U.P. Arzilla

 

per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Marche di cui al C.U. n. 183 del 9 giugno 2020 (pagg. 4 e 5 di 153);

 

visto il reclamo e i relativi allegati; visti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 3 luglio 2020 l’Avvocato dello Stato Marco La Greca e udito per la Procura federale interregionale l’Avv. Enrico Liberati;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

 

 

RITENUTO IN FATTO

All’esito dei relativi atti d’indagine, la Procura federale interregionale deferiva al Tribunale federale territoriale, presso il Comitato regionale Marche, “la UP Arzilla, a titolo di responsabilità oggettiva, ex art. 6, comma 2 del C.G.S., per il comportamento tenuto dal calciatore alla quale apparteneva al momento della commissione dei fatti e, comunque, nei cui confronti o nel cui interesse era espletata l’attività sopra contestata, ai sensi dell’art. 2 comma 2 C.G.S.”. Tanto in relazione al tesseramento del calciatore Amarildo Pepe, autorizzato in data 6 dicembre 2019 e poi revocato, in base al combinato disposto degli articoli

40 e art. 42 delle NOIF, dall’Ufficio Tesseramento centrale della FIGC, dopo che la federazione albanese aveva comunicato il precedente tesseramento dell’atleta, nonostante la dichiarazione di quest’ultimo “di non essere mai stato tesserato in una Federazione estera”.

La posizione del calciatore, che aveva presentato, congiuntamente al tutore, richiesta di applicazione della sanzione ex art. 126 C.G.S., veniva stralciata. Il procedimento proseguiva quindi nei confronti della Società.

All’esito del giudizio, il Tribunale federale riteneva che, “indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla condotta del calciatore, demandata ad altro giudizio… la violazione contestata non” fosse “comunque ascrivibile alla Società, la cui richiesta di tesseramento del calciatore si era fondata sulla dichiarazione del medesimo”, controfirmata dal “di lui tutore, di per sé sufficientemente idonea a far ritenere soddisfatte le condizioni del tesseramento. Peraltro”, aggiungeva ancora il Tribunale, “non risulta in atti che il calciatore sia stato effettivamente impiegato”.

Avverso tale decisione, con atto del 12 giugno 2020, proponeva “ricorso” la Procura federale interregionale che, nel richiamare la “ratio dell’istituto della responsabilità oggettiva”, ravvisabile nella “volontà del Legislatore sportivo di statuire l’obbligo per le Società affiliate alla Federazione di svolgere un costante e pregnante controllo circa i comportamenti posti in essere dai propri tesserati o di coloro che agiscono nel suo interesse”, rappresentava che “il

mero verificarsi del comportamento contrario alla normativa federale posto in essere da un soggetto definito dall’art. 2, comma 2, C.G.S. è già di per sé idoneo a concretizzare la responsabilità prevista ex art. 6, comma 2, stesso Codice”. Di qui, richiamata anche la giurisprudenza del TNAS, di diversi TFT, nonché due recenti decisioni di questa Corte federale d’appello (al momento della proposizione del reclamo noti solo come dispositivi),

deduceva l’erroneità dell’assunto “seguito dal Tribunale territoriale, secondo il quale la mera dichiarazione del calciatore Sig. Amarildo PEPA, rilasciata in occasione del tesseramento federale, successivamente risultata essere mendace, sarebbe sufficientemente idonea a consentirne il tesseramento senza alcun obbligo da parte della Società U.P. ARZILLA di controllarne il contenuto per verificarne la veridicità. Un controllo dovuto e per nulla oneroso, potendo la stessa interpellare preventivamente gli Uffici della F.I.G.C., territoriali o nazionali, prima di richiedere il tesseramento del calciatore”.

All’udienza del 3 luglio 2020, il reclamo veniva trattenuto in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il fatto contestato riguarda dunque il tesseramento del calciatore che, a fronte di quanto dallo stesso dichiarato, è poi risultato essere stato in precedenza tesserato presso una federazione straniera.

Da ciò è derivata la revoca del tesseramento ed il procedimento sanzionatorio del quale ora si discute.

Viene in rilievo un’ipotesi di responsabilità, a carico della società, che la Procura, sia nell’ambito del deferimento che nell’atto di reclamo, ha qualificato “oggettiva”, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del C.G.S. Considerato che il tesseramento del calciatore (conformemente, del resto alle disposizioni delle NOIF) è stato chiesto dal Presidente della società, si sarebbe forse potuto invocare anche il comma 1 dello stesso articolo 6, in base al quale la responsabilità “diretta” della società discende “dall’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali”.

Ad ogni buon conto, attenendosi strettamente alla prospettazione della Procura, occorre premettere - come è stato autorevolmente considerato – che “il più caratteristico e qualificante momento espressivo dell'autonomia regolamentare di una formazione sociale che aspiri ad avvalersi della propria prerogativa di organizzarsi come un'istituzione è rappresentato dalla individuazione, in ragione dei fini suoi propri, dei valori e dei disvalori rispettivamente da tutelare e da reprimere e dalla strumentale identificazione dei mezzi per promuovere gli uni e condannare gli altri. Tale libertà ordinamentale si risolve sia nella costituzione, in positivo ed in negativo, del telaio delle condotte meritevoli di riconoscimento che nel quomodo, ossia nei mezzi attraverso i quali, premialmente o punitivamente, inverare tale scelta pregiudiziale”.

Tale libertà ordinamentale punitiva si è espressa, tra l’altro, con la previsione – da parte del Legislatore federale - dell’istituto della responsabilità oggettiva.

Orbene ritiene il Collegio, in questa sede, di riaffermare i principi consolidati ai quali si è ispirata questa Corte su tale forma di responsabilità.

In particolare è stato considerato che:

  1. la responsabilità oggettiva è l’architrave della giustizia sportiva; tale responsabilità è posta alla base di numerose decisioni emesse dagli Organi di Giustizia Sportiva e la sua caratteristica è rappresentata dal fatto che la società di calcio risponde, disciplinarmente, a prescindere dalla colpa o dal dolo (CFA n. 124/2015-2016);
  2. nell’ambito dell’ordinamento sportivo la larga utilizzazione, in particolare nel calcio, dei moduli della responsabilità oggettiva è correlata a necessità operative ed organizzative, trattandosi di strumento di semplificazione utile a venire a capo, in tempi celeri e compatibili con il prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati, di situazioni di fatto che altrimenti richiederebbero, anche al fine di definire le varie posizioni giuridicamente rilevanti in campo, lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti; l’ordinamento sportivo, del resto, non può permettersi di lasciare determinati eventi impuniti o comunque privi di conseguenze sanzionatorie (CGF n.56/2011- 2012; CFA n.78/2017-2018; CFA n. 33/2017-2018);
  3. tale responsabilità opera, per sua natura, per la semplice ricorrenza del nesso formale che lega il tesserato responsabile di un’infrazione dei precetti disciplinari e la società cui è contrattualmente legato, all’accertata condizione che l’infrazione stessa sia commessa durante, o trovi causa o possibilità di esplicazione nella prestazione sportiva cui il tesserato è tenuto; nessuna delle forme di elemento soggettivo (dolo o colpa) necessarie per integrare le figure tipiche della responsabilità previste da altri rami dell’ordinamento di diritto comune è prevista in ambito sportivo; del resto, lo stesso ordinamento civilistico conosce fattispecie di affermazione di responsabilità prescindendo dal dolo o dalla colpa, in considerazione del bene protetto o della natura intrinsecamente rischiosa dell’attività imprenditoriale esercitata (CGF n. 43/2011/2012);
  4. la responsabilità oggettiva trova fondamento nella centralità assunta nel diritto sportivo dal principio di precauzione, che impone l’adozione delle misure idonee, prima che a sanzionare, a prevenire la possibilità di commissione di illeciti che influiscano negativamente sul corretto svolgimento dell’attività sportiva; non trattandosi di culpa in vigilando è irrilevante che la società non abbia potuto impedire in alcun modo il fatto dannoso o che il relativo autore non abbia, in astratto, alcun collegamento con la squadra; la responsabilità non è esclusa anche nel caso in cui i comportamenti ritenuti illeciti siano stati commessi da un proprio tesserato in assenza di un coinvolgimento della stessa e per fatti riguardanti l’attività di altre società, anche laddove i medesimi comportamenti illeciti siano stati addirittura controproducenti per le sorti della società stessa; nella responsabilità oggettiva vale infatti anche il cd. principio di prevenzione, per cui l’esigenza di prevenire pericoli derivanti da illeciti è prevalente rispetto al criterio di imputazione della responsabilità a carico della società calcistica; tali assiomi svolgono altresì il compito di responsabilizzare le società in modo che pongano in essere tutti gli accorgimenti necessari per evitare che accadano fatti reputati illeciti dall’ordinamento sportivo e scelgano con accortezza i propri tesserati, al fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi (CFA nn. 68 e 69/2019-2020);
  5. la sussistenza di tale responsabilità non può voler dire che l’Organo giudicante perde ogni potere di graduazione della pena, dovendo automaticamente trasporre nei confronti della società oggettivamente responsabile il giudizio di disvalore effettuato nei confronti del tesserato, ed eleggendo le società stesse a ruolo di meri garanti e responsabili indiretti dell’operato dei propri tesserati; e questo soprattutto in fattispecie dove va escluso ogni coinvolgimento nella materiale causalità dell’accaduto, non essendo in alcun modo materialmente riferibile alla stessa società il fatto imputato, ed in cui anzi la società di appartenenza, oltre a non conseguire alcun vantaggio, è risultata in definitiva danneggiata, sotto molteplici profili, dalla condotta perpetrata dal proprio tesserato (CGF n.56/2011-2012).

Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, non può dubitarsi che debba essere dichiarata la responsabilità della società in relazione al fatto contestato ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del CGS, a nulla rilevando la circostanza, di mero fatto, del non essersi il sodalizio sportivo avvalso della prestazione sportiva del calciatore, ciò potendo al più incidere in relazione alla graduazione della sanzione.

Non si giungerebbe a conclusioni diverse da quelle dianzi esposte nemmeno a volere valorizzare, nell’attuale formulazione dell’articolo 6, commi 2 e 3 del CGS (pur nell’ambito di una disciplina, per il resto, sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui al previgente articolo 4, commi 2 e 3, del CGS), il dato testuale dell’eliminazione dell’avverbio “oggettivamente” come indice di una attenuazione dell’automatica attribuzione di responsabilità in capo alla Società.

Nel caso di specie può invero comunque individuarsi un profilo di responsabilità colposa in capo alla società, consistente nel non avere operato il controllo sulla dichiarazione del calciatore, come invece, rileva la Procura, sarebbe stato ben possibile interpellando “preventivamente gli uffici della F.I.G.C, territoriali o nazionali, prima di richiedere il tesseramento del calciatore”.

In senso conforme questa CFA ha già avuto modo di pronunciarsi, proprio con i due precedenti citati in precedenza (CFA nn. 68 e 69/2019-2020), con i quali è stato rilevato (con riferimento a vicende sostanzialmente corrispondenti a quella ora in discussione), che “l’onere di verifica richiesto alla società” non fosse “inesigibile o di impossibile adempimento, posto che la società avrebbe potuto chiedere informazioni alle federazioni nazionali per ottenere informazioni o una verifica istruttoria sullo status del calciatore”.

In ciò risiede dunque, e in ogni caso, la responsabilità colposa della società, che ha dato corso alla richiesta di tesseramento del calciatore senza avere previamente verificato che la situazione dell’atleta fosse effettivamente quella dichiarata ai sensi dell’articolo 40, comma 6, delle NOIF.

Per le esposte ragioni, il reclamo della Procura federale interregionale è fondato e deve essere accolto.

Al tempo stesso, considerato che la dichiarazione del calciatore era stata qui controfirmata dal tutore e che ciò poteva ingenerare l’affidamento sulla sua veridicità, considerata, altresì, la circoscritta rilevanza del fatto, oltre alla circostanza, sopra ricordata, del non utilizzo dell’atleta, si ritiene congrua l’applicazione della sanzione di euro 250,00.

 

P.Q.M.

La Corte Federale d’Appello (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul reclamo proposto dal Procuratore Federale Interregionale, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la decisione impugnata e infligge alla società U.P. Arzilla la sanzione dell’ammenda di € 250,00.

 

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

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