Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0049/CFA del 14 Novembre 2025 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale – Sezione disciplinare n. 76TFN-sd del 13.10.2025

Impugnazione – istanza: PF/Sig. D.L.

Massima: Nella proposizione del gravame, la Procura ha fatto esplicitamente riferimento, come parametro normativo oggetto di violazione, all’art. 112 del Codice di procedura civile e al principio da esso ricavabile, noto come quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Questa Corte, pertanto, è chiamata ad accertare se, in una fattispecie sanzionatoria - quale quella qui in scrutinio - sia applicabile la norma invocata e la regola di giudizio da essa evincibile, sicuramente valevole nella giurisdizione civile, e non altre modalità, utilizzate in ambiti decisionali più simili, quale ad esempio quello penale, dove non si valuta la corrispondenza con la domanda ma la sussumibilità della condotta accertata in giudizio nella fattispecie incriminatrice. Al riguardo, occorre preliminarmente considerare che il processo sportivo deve essere svolto alla luce delle norme dell’ordinamento di settore, ordinamento che ha la capacità di regolare fattispecie generali ed astratte con valenza verso la generalità dei soggetti che di esso fanno parte. Pertanto, non può essere condiviso, in via generale, il tentativo di introdurre regole procedurali e di diritto sostanziale proprie di altri sistemi di giustizia. Diverse sono le posizioni giuridiche coinvolte e la rilevanza delle stesse; diverse sono le finalità perseguite dall’ordinamento sportivo e da quello generale dello Stato. Nel processo sportivo si applicano le disposizioni dell’ordinamento federale e di quello generale sportivo, anche internazionale. Solo in via eccezionale e/o in caso di lacuna vengono in ausilio le regole dettate per altri sistemi di giustizia (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 59/2014-2015). In sostanza, il ricorso a istituti esterni al Codice, sia in via interpretativa sia in via suppletiva, presuppone una lacuna da colmare nel Codice stesso e, quindi, una struttura argomentativa che si fondi su una pluralità di passaggi, il primo dei quali è il riconoscimento di una lacuna (Corte federale d’appello, SS.UU. n. 102/2024-2025). Orbene, pur ammesso che sussista una vera e propria lacuna normativa nell’ordinamento sportivo – del che si potrebbe anche dubitare - viene in rilievo l’art. 3, comma 4, CGS, secondo cui (in modo sostanzialmente analogo a quanto previsto dall’art. 2, comma 1, del Codice previgente) “in assenza di specifiche disposizioni del Codice e di norme federali, gli organi di giustizia sportiva adottano le proprie decisioni in conformità ai principi generali di diritto applicabili nell'ordinamento sportivo nazionale e internazionale nonché a quelli di equità e correttezza sportiva.”. La questione, pertanto, si risolve nel chiedersi se il principio della domanda possa o meno essere considerato un “ principio generale di diritto”. Principio che, com’è noto, è tipico di un processo – quale quello civile - che riguarda, di regola, diritti soggettivi disponibili che appartengono alla sfera di autonomia del singolo, nei cui confronti lo Stato non ha, di solito, un interesse pubblico così intenso da imporre d’ufficio la tutela dei diritti medesimi. Il che evidentemente non è, poiché tale principio è sostanzialmente estraneo al processo penale, dominato – com’è noto – dall’iniziativa processuale spettante al pubblico ministero, dall’ampiezza dei poteri officiosi del giudice e, soprattutto dalla circostanza che il bene protetto non è solo l’interesse di parte, ma anche l’interesse pubblico alla repressione dei reati. Senonchè, occorre anche considerare l’art. 2, comma 6, del Codice CONI, secondo cui “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva.”. In merito, la dottrina ha evidenziato subito l’inadeguatezza del richiamo ai soli principi e norme generali del processo civile, tralasciando ogni riferimento ai principi e alle norme generali del processo penale, sottolineando altresì che fino all’entrata in vigore di tale disposizione, molti codici di giustizia sportiva federale prevedevano un richiamo esplicito ai principi del diritto processuale penale. In ogni caso, pur in presenza di tale previsione, il richiamo ai “principi e alle norme generali del processo civile” deve essere inteso cum grano salis, in relazione alla difficoltà della reductio ad unitatem dell’oggetto del procedimento sportivo. E, in effetti, il procedimento disciplinare sportivo, com’è evidente, è caratterizzato da una finalità tipicamente punitiva, in quanto ha la funzione di colpire con sanzioni coloro che contravvengono alle regole che vigono nell’associazione. Tale finalità si traduce in giudizio di carattere oggettivo, affine alla giurisdizione del giudice penale, tesa all’accertamento della colpevolezza del soggetto. Basti osservare, a tale fine, a titolo d’esempio: - l’art. 118, comma 1, CGS, secondo cui il Procuratore federale “esercita in via esclusiva l’azione disciplinare” verso tesserati, affiliati e altri soggetti; l’azione disciplinare è “esercitata di ufficio” e il suo esercizio “non può essere sospeso né interrotto, salvo sia diversamente stabilito”.  Il procedimento sportivo non nasce, quindi, dalla libera iniziativa di un soggetto privato che può decidere se agire o meno, ma da un ufficio che ha il dovere di perseguire l’illecito: tale disposizione è un tipico indice di modello oggettivo, analogo al principio di obbligatorietà/ufficiosità dell’azione penale, ben lontano dal principio dispositivo del processo civile; - l’art. 119, comma 1, CGS, secondo cui il Procuratore federale “svolge tutte le indagini necessarie all’accertamento di violazioni statutarie e regolamentari delle quali abbia notizia”, iscrivendo la notizia di illecito in apposito registro entro termini prefissati, anche se acquisita “di propria iniziativa”. L’iniziativa e l’ampiezza delle indagini non sono determinate da domande di parte, ma da un obbligo officioso di accertamento; - l’art. 49, comma 6, CGS, secondo la rinuncia o il ritiro del ricorso o del reclamo non ha effetto per i procedimenti di illecito sportivo, per quelli che riguardano la posizione irregolare dei calciatori e per i procedimenti introdotti su iniziativa di organi federali e operanti nell'ambito federale. È chiaro il distacco dal principio dispositivo: la parte non può concludere il processo a suo piacimento quando è in gioco l’interesse federale alla regolarità delle competizioni e alla correttezza dell’ordinamento sportivo; - l’art. 50, comma 3, CGS, secondo cui agli organi di giustizia sono demandati “i più ampi poteri di indagine e accertamento”, con la possibilità di disporre accertamenti e supplementi di indagine tramite la Procura federale, di richiedere supplementi di rapporto agli ufficiali di gara e disporne la convocazione. E’ palese la distanza di questa previsione dall’art. 115 del Codice di procedura civile, che afferma il principio della disponibilità delle prove in capo alle parti. Nel processo sportivo il giudice è autorizzato a intervenire d’ufficio nell’istruzione probatoria, capovolgendo il principio processual-civilistico. Si tratta, quindi, di un metodo acquisitivo assai ampio, basato sull’interazione tra poteri del giudice sportivo e poteri della Procura federale (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 115-2019/2020). Una diretta conseguenza è che, in tal modo, a differenza di quanto prevede l’art. 2697 del Codice civile, l’onere della prova non grava necessariamente su chi intende far valere in giudizio un proprio diritto. Nel processo sportivo, quindi, le prove sono acquisite anche su iniziativa del giudice, che ha poteri di ricerca autonomi delle fonti materiali di prova e dei fatti ritenuti rilevanti e che può e deve accertare qual è effettivamente la verità (ovviamente di carattere processuale), al di là di da quanto indicato dalle parti; - l’art. 106 CGS, secondo cui la Corte federale d’appello può riformare la decisione impugnata e decidere nel merito, anche aggravando le sanzioni; può eliminare i vizi della decisione di primo grado (es. per carenze motivazionali) senza rinvio al primo giudice, integrando la motivazione; inoltre le ipotesi di annullamento con rinvio al primo giudice sono circoscritte ai soli casi di lesione del contraddittorio processuale (CFA, SS.UU., n. 2/2023-2024); nel reclamo deve riconoscersi una particolare intensità al cd. effetto devolutivo dell’appello, con la conseguenza che si produce un’automatica riemersione in sede di gravame di tutto il materiale di cognizione introdotto in primo grado, in modo tale che la cognitio della Corte è piena. E ciò in coerenza con l’impostazione secondo cui i giudizi innanzi alla Corte si qualificano solo “tendenzialmente” quale revisio prioris instantiae (Corte federale d’appello, n. 42/2024-2025). Quanto sopra rafforza l’idea di un giudizio di merito orientato all’accertamento oggettivo della violazione, anziché ad una mera verifica “interna” dei limiti posti dalle domande delle parti, come invece avviene nel processo civile governato dall’art. 112 c.p.c. Tutto ciò nella prospettiva secondo cui, nell’ordinamento sportivo, il fine principale da perseguire, al di là dell’aspetto giustiziale pur fondamentale, è quello di affermare sempre e con forza i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo, come pensato sin dalla sua fondazione da Pierre De Coubertin e, quindi, è compito degli Organi di giustizia considerare meno stringenti le regole formali rispetto ad aspetti sostanziali, che siano utili all’accertamento dei menzionati valori (Collegio di garanzia dello sport, Sez. I, n. 56/2018). In definitiva, il giudizio disciplinare sportivo si distingue decisamente dal processo sportivo attivabile su ricorso dai tesserati o dalle società interessate, che assume caratteristiche soggettive e, pertanto, è più affine alla giurisdizione del giudice civile e amministrativo; ciò che deriva, del resto, chiaramente dall’art. 80 del CGS che differenzia chiaramente i procedimenti instaurati dinanzi al Tribunale federale a seguito di atto di deferimento del Procuratore federale da quelli proposti con ricorso del soggetto interessato. Conseguentemente è stato ritenuto che, per i giudizi disciplinari sportivi, sembrano più pertinenti, in caso di lacuna normativa, i principi e le disposizioni del Codice di procedura penale (Corte federale d’appello FIGC, Sezione consultiva, 18 febbraio 2020), poiché tali procedimenti sono caratterizzati da una finalità tipicamente punitiva, in quanto hanno la funzione di colpire con sanzioni coloro che contravvengono alle regole che vigono nell’associazione (Corte federale d’appello, SS.UU. n.15/2025-2026). Resta comunque il fatto che, sia aderendo al tema in senso civilistico, che comporta quindi l’individuazione dell’azione proposta (tramite i tradizionali criteri del petitum e della causa petendi), come pure propendendo per una soluzione di tipo penalistico, che impone il meccanismo dell’accertamento degli elementi della fattispecie (tramite sussunzione), il Tribunale federale ha adempiuto a ciò che gli era richiesto. Ciò in quanto compito del giudice è accertare il dato di fatto, il comportamento punibile, il Tatbestand, ossia la mancata osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme organizzative interne FIGC nonché delle altre norme federali e dei principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva, dell’art. 39, comma 2, del Codice di giustizia sportiva (condotta gravemente antisportiva commessa in occasione o durante la gara) e dall’art. 37, commi 1 e 2, del Regolamento del Settore tecnico F.I.G.C. (mancanza nel dovere di esempio di disciplina e correttezza sportiva e di condotta coerente con il principio della deontologia professionale). Si tratta di fattispecie che valutano condotte, qui intese nel senso penalistico di azione vietata, rilevante sia in sé ma anche come comportamento complessivo, che si ha quando i singoli elementi confluiscono altresì in una valutazione unitaria, che ingloba e supera l’accertamento parcellizzato dei singoli segmenti. La condotta sanzionata è quindi integrata anche dall’accertamento parziale o anche minimo delle ingiurie pronunciate, senza che spetti al Giudice l’obbligo di soffermarsi su ogni singola offesa, non comportando mutamenti giuridicamente rilevanti in termini di domanda o fattispecie che sia.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0081/CFA del 31 Gennaio 2024 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione  del Tribunale federale nazionale, Sezione Disciplinare, n. 0128/TFNSD-2023-2024 del 21.12.2023

Impugnazione – istanza: –  Sig. G.H./Procura Federale

Massima: Infondata è l’eccezione circa l’esistenza di una violazione della corrispondenza tra contestazione e condanna….Come è noto, la giurisprudenza di questa Corte è chiara nel senso di ritenere che solo una trasformazione radicale del fatto contestato può assumere rilevanza in termini di incertezza sull’oggetto del giudizio e di violazione del giusto processo ai sensi degli artt. 125 e 44 CGS (ex multis CFA-Sezione IV, decisione n. 18/CFA/2022-2023; CFA- Sezione I, decisione n. 58/CFA/2020-2021). Si deve trattare di una effettiva violazione del contraddittorio che abbia impedito la difesa e che non può esaurirsi nel mero confronto letterale fra la contestazione e la sentenza. Ciò perché, “vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione” (così CFA-Sezione IV, decisione n. 18/CFA/2022-2023). In altri termini, una siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi di fatto poi ritenuti essenziali dalla decisione finale ai fini della condanna (in argomento si veda anche la giurisprudenza penalistica: Cass. pen., sez. I, n. 28954 del 24 marzo 2021; Cass. pen., sez. un., 15 luglio 2010, n. 3655). Non vi è dunque alcun vizio ove non sia effettivamente riconoscibile una reale compromissione dei diritti difensivi. E una tale compromissione non è in alcun modo riconoscibile nel caso che qui occupa.

Decisione C.G.F.: Comunicato Ufficiale n. 153/CGF Riunione del 4 aprile 2008 n. 5 con motivazione sul Comunicato Ufficiale n. 233/CGF Riunione del 20 giugno 2008 n. 5 - www.figc.it

Decisione impugnata: Delibera del Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio Femminile – Com. Uff. n. 74 del 13.3.2008

Impugnazione - istanza: Ricorso dell’ A.C.F.D. Venezia 1984 avverso decisioni merito gare: 1) Barcon/Venezia del 09.02.2008; 2) Chiasiellis/Venezia del 14.10.07; 3) Venezia/Barcon del 20.10.2007 4) Venezia/Mestre del 27.10.2007; 5) Trasaghis/Venezia del 3.11.2007; 6) Venezia/Pro Farra del 10.11.2007; 7) G. Tavagnacco/Venezia del 18.11.2007 8) Venezia/V. Veneto del 24.11.2007 9) Gordige/Venezia del 01.12.2007; 10) Venezia/Belluno del 8.12.2007 11) Libertas Pasiano/Venezia del 19.1.2008 12) Venezia/G. Campagna del 26.1.2008 13) Venezia/Chiasiellis del 2.2.2008

Massima: L’art. 29 del Codice di Giustizia Sportiva, disponendo, al comma 3, che i Giudici Sportivi giudicano in prima istanza sulla regolarità dello svolgimento delle gare, tiene nettamente distinti, al comma 4, i procedimenti d’ufficio da quelli dovuti ai reclami di parte e stabilisce che i primi debbano “instaurarsi”, cioè iniziare, “sulla base dei documenti ufficiali”. L’iniziativa d’ufficio, quindi, deve fondarsi sui rapporti degli ufficiali di gara e degli eventuali supplementi nonché su atti ufficiali trasmessi da organi della Federazione Italiana Gioco Calcio, dalle Leghe, Divisioni e Comitati (giusta l’elencazione dei documenti ufficiali contenuta nell’art. 35, commi 3 e 3.1, del Codice di Giustizia Sportiva). E’ da escludere, pertanto, che sulla base di un reclamo di parte, il Giudice Sportivo possa prendere l’iniziativa di controllare la regolarità di altre gare di uno dei soggetti del procedimento portato al suo esame, e di estendere i suoi poteri sanzionatori oltre il caso sul quale è stato chiamato a decidere. (Il caso di specie: La società aveva proposto reclamo al Giudice sportivo per la posizione irregolare della calciatrice della squadra avversaria. Il giudice sportivo, accertava la posizione irregolare della calciatrice ed irrogava la sanzione sportiva della perdita della gara. Inoltre d’ufficio procedeva ad accertamenti relativi alla partecipazione della calciatrice ad altre gare in precedenza disputate e sanzionava la società con la perdita di ogni gara oltre ad un punto di penalizzazione per ciascuna delle predette gare. La CGF ha annullato la decisione nella parte riguardante le sanzioni comminate per tutte la gare non oggetto del reclamo).

 

Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 18 maggio 2007 – www.coni.it

Decisione impugnata: Delibera dellaCAF (FIGC) pubblicata sul C.U. n. 21/C del 16 novembre 2006  - www.figc.it Parti: A.C. Siena SpA contro F.I.G.C.

Massima: La mancata contestazione di un profilo squisitamente processuale preclude al Collegio di esaminare nel merito la controversia sottoposta al giudizio arbitrale e di accertare se ricorrano nei fatti oggetto di incolpazione gli estremi della violazione regolarmente contestata e, di riflesso, l’applicabilità della sanzione conseguentemente irrogata. Né varrebbe invocare la natura integralmente devolutiva della cognizione di codesta Camera, in quanto tale principio può trovare applicazione nei soli limiti delle questioni ritualmente e tempestivamente dedotte e deve, comunque, arrestarsi dinanzi alla inoppugnabilità delle statuizioni che non abbiano formato oggetto di domanda. Nelle “Note integrative” depositate in udienza, la società attrice, al fine di superare il rilievo sopra esposto ed ostativo all’esame del merito, ribadisce il potere di piena cognizione sulla controversia conferito a questa Camera sia dall’art. 12, comma 3, Statuto CONI sia dall’art. 4.1.b del Regolamento di questa Camera, ma l’obiezione non ha fondamento alcuno, in quanto, come sopra chiarito, il potere di integrale riesame del merito della controversia attribuito all’organo arbitrale dalle citate norme subisce pur sempre i limiti derivanti dal principio della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti. La società non solo non ha posto uno specifico quesito in ordine alla eventuale erroneità della decisione della C.A.F. ma neanche ha controdedotto in merito alla “eccezione di giudicato” sollevata dalla FIGC. (Nel caso di specie, avverso la decisione della Commissione Disciplinare la società aveva proposto reclamo alla CAF che lo aveva dichiarato irricevibile dalla sul rilievo che la reclamante non aveva depositato presso la segreteria della C.A.F. medesima “i motivi di appello entro il terzo giorno utile (lunedì 23.10.2006) dalla pubblicazione del C.U. n.87 (19.10.2006)” così come stabilito dal C.U. n.200 A del 4 maggio 2006, ma si era limitata a spedirli a mezzo fax, tardivamente, solo il 26 ottobre 2006. Su tale questione (che ha comportato la declaratoria di irricevibilità del ricorso di seconda istanza) la società non ha sollevato alcuna contestazione nel giudizio innanzi alla Camera di Conciliazione).

 

Decisione CAF: Comunicato Ufficiale 48/C Riunione del 3 Maggio 2004 n. 9 – www.figc.it 

Decisione impugnata: Delibera del Giudice Sportivo di 2° Grado presso il Comitato Regionale Basilicata del Settore per l’Attività Giovanile e Scolastica - Com. Uff. n. 37 del 7.4.2004

 Impugnazione - istanza: Appello del G.S. Invicta Matera avverso decisioni merito gara Brienza/Invicta Matera del 17.3.2004

Massima: Il Giudice Sportivo di 2° grado, investito del reclamo da parte della società che ha impugnato la sanzione della perdita della gara inflitta dal giudice sportivo, non può irrogare la perdita della gara anche nei confronti dell’altra società, non oggetto del procedimento, perché dalla valutazione degli atti ufficiali ha ritenuto che vi sia stata una rissa in campo e, pertanto, doveva essere applicata la sanzione ad entrambe le società.

 

Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 27 agosto 2003– www.coni.it 

Decisione impugnata: Provvedimento del Consiglio Federale della F.I.G.C. del 31 luglio 2003, con C.U. 38/A del 31/07/2003, relativa all’esclusione dal campionato nazionale di serie C1 + altri - www.figc.it

Parti: Cosenza Calcio 1914 S.P.A. contro F.I.G.C.

Massima: Il procedimento arbitrale innanzi alla Camera è sicuramente governato dal principio dell’interesse ad agire e dal principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che nel processo civile trovano espressione normativa nelle disposizioni di cui agli artt. 100 e 112 cod. proc. civ. e che costituiscono principi generali dell’ordinamento processuale applicabili anche all’arbitrato. In tal senso, appare evidente che, ai fini della pronuncia sulla domanda della società consistente nella declaratoria della illegittimità della delibera del consiglio federale in data 31 luglio 2003 avente per oggetto l’esclusione di parte attrice dal campionato di serie C/1, eventuali accertamenti in ordine alle posizioni soggettive di altre società non  avrebbero alcuna rilevanza, difettando appunto un interesse giuridicamente tutelabile in questa sede, nella quale non si può certo pronunciare oltre i limiti della domanda e riguardo diritti soggettivi di persone giuridiche che non sono parte del procedimento arbitrale. Di più è persino superfluo sottolineare come la Camera arbitrale non può arrogarsi funzioni tipiche del giudice della legittimità amministrativa, alla cui giurisdizione compete la tutela di eventuali interessi legittimi che costituiscono – sostanzialmente – il sostrato della censura formulata sul punto da parte attrice, asserendo l’esistenza di una disparità di trattamento. In ogni caso, anche su questo tema, l’arbitro unico deve osservare quanto segue. Adottando gli stessi concetti recentemente ribaditi dalla Corte costituzionale, va osservato come la denunciata irragionevole disparità di trattamento sia fondata su una prospettazione palesemente erronea dell'analogia di situazioni che sono invece eterogenee, non soltanto quanto ai relativi "status" ma anche quanto ai provvedimenti destinati ad incidere sulle rispettive sfere di interesse (Corte costituzionale, 18 dicembre 2002, n. 532).

 

Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 22 agosto 2003– www.coni.it 

Decisione impugnata: Provvedimento Co.Vi.So.C. del 29 luglio 2003 + altri - www.figc.it

Parti: L’Aquila Calcio S.P.A. contro F.I.G.C.

Massima: Il procedimento arbitrale innanzi alla Camera è sicuramente governato dal principio dell’interesse ad agire e dal principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che nel processo civile trovano espressione normativa nelle disposizioni di cui agli artt. 100 e 112 cod. proc. civ. e che costituiscono principi generali dell’ordinamento processuale applicabili anche all’arbitrato. In tal senso, appare evidente che, ai fini della pronuncia sulla domanda della società, consistente nella declaratoria della illegittimità della delibera del consiglio federale avente per oggetto l’esclusione di parte attrice dal campionato di serie C/1, eventuali accertamenti in ordine alle posizioni soggettive di altre società non avrebbero alcuna rilevanza, difettando appunto un interesse giuridicamente tutelabile in questa sede, nella quale non si può certo pronunciare oltre i limiti della domanda. Di più, è persino superfluo sottolineare come la Camera arbitrale non può arrogarsi funzioni tipiche del giudice della legittimità amministrativa, alla cui giurisdizione compete la tutela di eventuali interessi legittimi che costituiscono – sostanzialmente – il sostrato della censura formulata sul punto da parte attrice, asserendo l’esistenza di una disparità di trattamento.

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