Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0039/CFA del 21 Settembre 2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale - sezione disciplinare n. 0040/TFNSD dell’11.08.2023

Impugnazione – istanza Procuratore Nazionale dello Sport con funzioni di Procuratore Federale/omissis

Massima: Rigettato il reclamo proposto dal Procuratore Nazionale dello Sport con funzioni di Procuratore Federale che ha impugnato la decisione del TFN che ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine al deferimento del calciatore chiamato a rispondere “della violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3 co. 1 del C.G.S. (<< Il Codice è adottato in conformità a quanto disposto ... dallo Statuto del CONI e ... dal Codice CONI>>), con gli artt. 2 e 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che impongono a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, oltre al rispetto del principio di lealtà, di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso la sera/notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna (Omissis) presso una abitazione sita in  Omissis  abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali, nonché, nell’occasione colpito - altresì - la stessa con forza in più parti del corpo, scattando foto e riprendendola durante gli abusi esercitati”……Viene all’esame la questione se sia assoggettabile a sanzione in ambito federale il tesserato che sia imputato di un reato grave e - sia lecito dirlo - odioso, a prima lettura non previsto e non punito dalle pertinenti disposizioni dell’ordinamento di settore. Il punto è già stato vagliato dalla decisione n. 98/2022-2023, con la quale le Sezioni unite di questa Corte federale d’appello - in analoga vicenda - hanno respinto il reclamo proposto dalla Procura federale avverso la decisione di primo grado, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Tribunale nazionale federale.  Questa decisione, peraltro, si colloca in una linea di continuità con la giurisprudenza endo-federale che, anche in tempi non recentissimi, ha giudicato non sanzionabili condotte pur molto deprecabili, ma poste in essere in ambito strettamente privato senza alcun rapporto con l’attività sportiva (Corte di giustizia federale, Sez. I, 2014-2015, in CU n. 248 del 28 marzo 2014, n. 3). In estrema sintesi, le Sezioni unite hanno ritenuto che, alla luce dell’art. 1 CGS (il quale afferma che il Codice di giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare), l’accertamento della responsabilità disciplinare debba essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal CGS medesimo e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 del Codice e che l’applicazione dell’art. 4, comma 1, CGS - nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità - non possa che essere limitata, in quanto la norma lo prevede espressamente, a ogni “rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale (così la consolidata giurisprudenza sportiva endo-federale: per tutte, CFS, Sez. IV, n. 69/2021-2022; come pure quella eso-federale, per la quale si veda - con riguardo alla disciplina propria del tennis, ma con affermazioni generalizzabili - Coll. garanzia sport, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66). La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva, sia pure intesa nel senso più ampio. Resta comunque fermo che, se tale situazione può essere sintetizzata come difetto di giurisdizione (o di competenza) degli organi di giustizia sportiva, deve esser chiaro - nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione (per tutte: Cass. civ., SS.UU., 5 settembre 2022, n. 26038; Id., 16 gennaio 2015, n. 647) - che viene propriamente in gioco una questione di merito, in quanto il difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva dipende dalla concreta mancanza di una fattispecie disciplinare sanzionatrice e non rappresenta un ostacolo a possibili diverse scelte de iure condendo, nell’esercizio dell’autonomia propria dell’ordinamento sportivo. Nel caso di specie, il Tribunale federale nazionale ha reputato che i fatti contestati si sarebbero svolti in un contesto strettamente privato senza alcun rapporto con manifestazioni o eventi sportivi di sorta e in difetto di una norma ad hoc - impregiudicata la loro oggettiva gravità - non sarebbero sanzionabili in ambito federale…..In definitiva, ritiene il Collegio che i diversi profili del motivo di reclamo, pur valutati in chiave sistemica, non siano tali da consentire o indurre queste Sezioni Unite a rimeditare l’orientamento espresso nella richiamata decisione n. 98/2022-2023.  Si tratta, infatti, di riferimenti senz’altro espressivi di un intento, diffuso e del tutto condivisibile, di contrastare con la massima efficacia le molestie, la violenza di genere e le forme di discriminazione, ma di per sé non determinanti ai fini della risoluzione della presente controversia, in quanto non idonei ad ampliare il novero delle fattispecie disciplinarmente rilevanti sul piano della normativa endo-federale.  Sebbene in tema di illecito sportivo disciplinare non viga il principio penalistico della tipicità e della tassatività, nel relativo giudizio viene pur sempre in gioco la possibilità di imputare a un soggetto una condotta a titolo di illecito. Il che non può essere consentito al di là del perimetro fissato dalle norme di settore, anche se lette alla luce della massima tensione interpretativa.  Come si è detto, la norma incriminatrice non è costituita dall’art. 4, comma 1, CGS, che riguarda fatti attinenti all’attività sportiva, sia pur ampiamente intesa, neppure se letto in combinato disposto con gli artt. 2 e 5, comma 1, del Codice di comportamento sportivo del CONI. Come ha già osservato la richiamata decisione n. 98/2022-2023, il meccanismo del “combinato disposto” è certamente impiegabile per desumere una prescrizione attraverso l’integrazione coordinata del contenuto di più norme, purché, tuttavia, il risultato ottenuto non contrasti con quanto le norme combinate contemplano singolarmente. Ora, l’art. 4, comma 1, CGS, testualmente limita il proprio ambito applicativo a ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro in modo conforme a quanto previsto dall’art. 2 del Codice di comportamento sportivo CONI dedicato al “Principio di lealtà” («I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva»). Di conseguenza, il preteso combinato disposto tra l’art. 4, comma 1, CGS, e l’art. 5 del Codice di comportamento sportivo CONI, volto a estendere il campo applicativo dell’art. 4, comma 1, oltre i rapporti comunque riferibili all’attività sportiva, determinerebbe non soltanto una chiara forzatura dell’ambito applicativo dello stesso art. 4, ma anche l’invocazione dell’art. 5 Codice di comportamento sportivo per superare un limite che è affermato dallo stesso Codice all’art. 2. Resta dunque confermato che, allo stato, l’ordinamento endo-federale non conosce una norma sanzionatrice di condotte pur assolutamente riprovevoli come quella ascritta al reclamato. Dai rilievi che precedono discende che il deferimento del calciatore è infondato. Il reclamo del Procuratore nazionale dello sport, in funzione di Procuratore federale, non può dunque essere accolto, dal che segue la conferma - fatto salvo quanto richiamato al § 7 circa il carattere di merito della pronuncia - della decisione impugnata. Occorre al tempo stesso sollecitare fortemente il legislatore sia endo che eso-federale ad adottare con estrema urgenza, in relazione all’ambito proprio di attività, le iniziative necessarie a porre rimedio a quella che ormai appare una non più tollerabile aporia del sistema, che - a fronte di un’opinione pubblica allarmata per il reiterarsi di gravissimi episodi di violenza - mette a repentaglio le stesse onorabilità e autorevolezza degli organismi sportivi. Al riguardo, sarebbero senz’altro benvenuti, anche in vista di una regolamentazione uniforme della materia, interventi diretti ed espliciti degli organi sovranazionali del calcio. In questa prospettiva, sarà possibile contemplare anche la previsione di misure cautelari in attuazione, per quanto di rispettiva competenza, dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo CONI, ovvero di linee guida circa le clausole da inserire nei contratti degli atleti (cfr. decisione n. 98/2022-2023, § 5.3).

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 040/TFN - SD del 11 Agosto 2023  (motivazioni)

Impugnazione –  Istanza: Deferimento proposto dal Procuratore Nazionale dello Sport applicato n. 902/369 pf22-23/MI/blp del 7 luglio 2023, nei confronti del sig. omissis - Reg. Prot. 7/TFN-SD

Massima: Non sussiste la giurisdizione degli organi di giustizia sportiva in ordine al deferimento per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS, ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3, comma 1, CGS, con l’art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso, secondo quanto prospettato nel deferimento, la sera/notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna presso una abitazione sita in («omissis»), abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali….I termini di tale complesso relazionarsi sono delineati dalla Legge 17 ottobre 2003, n. 280, di conversione del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, da leggersi ai lumi delle note sentenze C. Cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. Cost., 25 giugno 2019, n. 160. L’art. 1 del decreto-legge, poi convertito, riecheggia il dettato dell’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale”. Come pure insegna la normativa primaria, il principio autonomista, che si giustifica in ragione della natura settoriale degli interessi rilevanti per l’ordinamento domestico, deve dialogare con i principi che informano l’ordinamento statale, in cui quello sportivo si inquadra.Salvo snaturare l’ordinamento statale o privare di senso la stessa autonomia di quello settoriale, le fattispecie regolate dall’ordinamento sportivo non possono non essere espressione dei peculiari interessi che ne giustificano l’esistenza. In quanto assetto particolare, per sua natura postulante l’ordinamento generale in cui si colloca, l’ordinamento sportivo non può del tutto sovrapporsi a quello statale; in tanto si giustifica il positivo intervento del legislatore federale in quanto lo stesso sia teso a regolare fattispecie rilevanti per l’ordinamento di settore. Tale rilevanza presuppone un nesso di ragionevole radicamento della fattispecie negli interessi settoriali; radicamento che deve trovare espressione in una norma endofederale (a propria volta compatibile con i principi e le norme esofederali di riferimento). Per quanto di interesse nel caso di specie, il diametro della rilevanza discende dal combinato disposto degli artt. 1 e 4 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC. L’art. 1, nel disegnare l’ambito di applicazione oggettivo del Codice, testualmente prevede che “Il presente Codice di giustizia sportiva […] disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l’ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)”. Nella stessa ottica, l’art. 4, la cui violazione è stata contestata nel deferimento per cui è causa, prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. I disposti, che legano la rilevanza a quanto sia comunque riferibile all’attività sportiva, appaiono in linea con le norme esofederali di riferimento, pure evocate dalla Procura Generale. Emblematico è il dettato del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che, nel disciplinare il principio di lealtà, lo lega indissolubilmente all’ambito sportivo (“I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”). Come si evince dal sistema, considerato nel suo complesso, l’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, ragionevolmente rilevante; la rilevanza risolvendosi nell’esistenza di una liaison con il sistema domestico, che deve essere riflessa in una norma ad hoc compatibile con il quadro esofederale di riferimento. In senso analogo si è espressa la giurisprudenza con riferimento a controversie similari. Emblematica appare la decisione n. 66 del 2020, con la quale il Collegio di Garanzia del CONI, proprio in relazione a contestazioni afferenti al dovere di lealtà sportiva, dopo aver premesso che “[…] il bonus vir sportivo rispetta e onora gli impegni assunti e osserva la regolamentazione di riferimento; ma detti impegni e regolamentazione devono comunque attenere all’ambito dell’attività sportiva” (Collegio di Garanzia, 10 novembre 2020, n. 66, § 2.5.2, pag. 12), ha coerentemente riconosciuto la necessità che il fatto oggetto dell’addebito disciplinare sia sempre riferito a tale contesto “prettamente sportivo” (Collegio di Garanzia, n. 66/2020, cit., § 2.6, pag. 12). Dal chiaro tenore della giurisprudenza del Collegio di Garanzia non si sono discostate le decisioni del Tribunale Federale (Tribunale Federale Nazione, Sezione Disciplinare, C.U. n. 76/TFNSD/2022-2023, del 27 marzo 2023) e della Corte Federale di Appello (Corte Federale di Appello, C.U. n. 98/CFA/2022-2023, del giorno 8 maggio 2023), che, nel custodire l’autonomia dell’ordinamento sportivo, non hanno disconosciuto il fisiologico limite che a tale autonomia si ricollega: la riferibilità al contesto domestico – per come veicolata da specifiche norme federali – del contegno oggetto dell’addebito. I fatti oggi contestati trovano descrizione nella sentenza penale, ove è stata contestata l’induzione di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – a compiere e/o subire rapporti sessuali presso un’abitazione. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata dell’odierno deferito. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico, riflesso in una norma ad hoc, che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale. Né a dissimili conclusioni conduce il richiamo all’art. 16 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39, pure compiuto nel deferimento; articolo a tenore del quale, per quanto di interesse, “Le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate, gli Enti di promozione sportiva e le Associazioni benemerite, sentito il parere del CONI, devono redigere, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. Le linee guida vengono elaborate con validità quadriennale sulla base delle caratteristiche delle diverse Associazioni e delle Società sportive e delle persone tesserate. 2. Le Associazioni e le Società sportive dilettantistiche e le Società sportive professionistiche devono predisporre e adottare entro dodici mesi dalla comunicazione delle linee guida di cui al comma 1, modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva nonché codici di condotta ad esse conformi. In caso di affiliazione a più Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate, Enti di promozione sportiva e Associazioni benemerite, esse possono applicare le linee guida emanate da uno solo degli enti di affiliazione dandone comunicazione all’altro o agli altri […] 5. I regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite devono prevedere sanzioni disciplinari a carico dei tesserati che abbiano violato i divieti di cui al capo II del titolo I, libro III del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ovvero siano stati condannati in via definitiva per i reati di cui agli articoli 600 -bis , 600 -ter , 600 -quater , 600 -quater .1, 600 -quinquies , 604 -bis , 604 -ter , 609 -bis , 609 -ter , 609 -quater , 609- quinques , 609 -octies 609 -undecies del codice penale”. Il disposto è senz’altro meritevole di attenzione siccome capace di conformare l’attività sportiva ai principi del fair play e di allineare l’ordinamento sportivo a quei canoni di prevenzione che sottendono lo schema di ‘compliance 231’ (decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231), il risk assessment connotante il settore della privacy   e – non da ultimo – la novella sugli adeguati assetti di cui all’art. 2086, comma 2, del codice civile (su cui la Relazione 15 settembre 2022, n. 87 della Suprema Corte di Cassazione). Si tratta, nondimeno, di norma programmatica, entrata in vigore successivamente ai fatti contestati, che – fermo il riferimento, compiuto dal comma 5 dell’art. 16 cit., alle sentenze di condanna divenute res judicata – presuppone l’attuazione puntuale degli organi federali, cui spetta implementare un sistema di compliance che adeguatamente prevenga fatti lesivi della libertà personale degli stessi terzi che vengano in contatto con i tesserati. Il tenore della disposizione, pur rilevante in chiave sistematica, conferma il difetto di norme immediatamente precettive (e non meramente programmatiche) che, all’esito di una valutazione – rimessa al legislatore federale – di ragionevole rilevanza dei contegni per l’ordinamento domestico, comminino sanzioni in relazione a condotte come quelle in contestazione.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0005/CFA del 5 Luglio  2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Puglia, di cui al Com. Uff. 187 del 25.05.2023

Impugnazione – istanza:  –  A.S.D. Calcio Ceglie/Procura Federale Interregionale

Massima: Infondata è l’eccezione di difetto di giurisdizione per il fatto che l’aggressione tra i compagni di squadra si sia verificata fuori dal contesto sportivo e presso l’abitazione dell’aggredito….la fase prodromica dell’aggressione si è verificata presso l’impianto sportivo di Ceglie Messapica e, in particolare, nei locali adibiti a spogliatoi ovvero in spazi che si trovano nella disponibilità e nel controllo della società e nel corso di tale fase sono stati coinvolti soggetti tesserati per la medesima società. Pertanto i comportamenti posti in essere sono riferibili, quantomeno in parte, all’attività sportiva in quanto l’aggressione è stata determinata “a seguito di una banale discussione in ordine all’uso dello spogliatoio dell’impianto sportivo di Ceglie Messapica”. Al riguardo, è appena il caso di osservare - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte federale - che il dovere di comportarsi secondo il principio di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, rappresenta il principale parametro di condotta per tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano sottoposti all’ordinamento federale. L’obbligo in esame, sebbene solitamente riconducibile al canone di lealtà sportiva (c.d. fair play), già sotto il vigore del Codice previgente ha assunto una dimensione più ampia, riferibile anche al di là della competizione sportiva e della corretta applicazione delle regole di gioco, traducendosi in una più generale regola di condotta in ambito associativo, alla cui osservanza sono tenuti tutti i soggetti comunque facenti parte dell’ordinamento federale e tale da ricomprendere in essa ogni violazione delle generali regole di correttezza e di lealtà da parte di coloro che, a qualsiasi titolo, entrino in contatto con l’ordinamento federale (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 38/2019-2020; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 69/2021-2022). E’ vero – secondo quanto recentemente statuito da questa Corte federale con decisione n. 98/2022-2023 – che l’art. 4, comma 1, C.G.S., nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità, non può essere esteso ad ogni rapporto sociale. E ciò ancorché, de iure condendo, l’ordinamento sportivo, al fine di promuovere al massimo i suoi fini e la funzione sociale dello sport ampiamente intesa, potrebbe estendere tali principi per i soggetti dell’ordinamento sportivo oltre i rapporti riferibili all’attività sportiva, fino a ricomprendere i rapporti sociali. Con una estensione dell’ambito applicativo dei principi, peraltro, che non può essere rimessa alla singola Federazione, ma deve muovere dall’ambito esofederale e costituire una scelta dell’intero ordinamento sportivo nazionale. Ma nel caso in esame – come si è visto - i comportamenti posti in essere sono riferibili, quantomeno in parte, all’attività sportiva.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0098/CFA del 8 Maggio  2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare n. 0140/TFNSD-2022-2023 (registro proc. 0076/TFNSD/2022-2023) del 27/03/2023

Impugnazione – istanza:  – Procuratore Federale/E.M., S.C., G.M., G.S.V. e D.O.

Massima: Rigettato il reclamo della procura federale e confermata la decisione del TFN che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione esulando i fatti dal contesto sportivo…Il difetto di giurisdizione è stato fondato, in particolare, sull’affermazione che l’art. 4, comma 1, C.G.S., la cui violazione è stata contestata dalla Procura Federale, «prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”». Su tale premessa, il Tribunale Federale Nazionale ha affermato che «I fatti oggetto del deferimento trovano compiuta descrizione negli atti del processo penale, ove è stata contestata la conduzione, da parte dei deferiti, di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – presso una abitazione e nella induzione della stessa a rapporti sessuali. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale»…..In primo luogo, il reclamo della Procura federale muove chiaramente dalla lettura dell’articolo 4, comma 1, C.G.S. nel senso che esso impone l’obbligo di osservare i principi di lealtà, probità, correttezza «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, e/o sociale», mentre la norma appena indicata testualmente limita il proprio ambito applicativo ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva».  L’art. 1, comma 1, C.G.S. afferma che il Codice «disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare». In modo coerente, l’art. 4, comma 1, C.G.S. individua una fattispecie che, nonostante contenga una clausola molto ampia, limita il proprio campo applicativo ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva». La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva (cfr. Commissione disciplinare nazionale C.U. n. 56/CDN (2013/2014) – caso 235). Le uniche componenti della disposizione che possano favorire interpretazioni estensive dell’ambito applicativo della norma sono soltanto l’aggettivo indefinito «ogni» (rectius: «ogni rapporto») e l’avverbio «comunque» («comunque riferibile all’attività sportiva») – elementi valorizzati dalla giurisprudenza endofederale. Si è, ad esempio, affermato che l’art. 4 contiene «una clausola molto ampia, suscettibile di ricomprendere nel proprio spettro applicativo molteplici fattispecie, non soltanto quelle attinenti allo svolgimento stricto sensu dell’attività sportiva, ma anche quelle concernenti “rapporti” ad essa comunque riconducibili» (CFA, Sez. IV - decisione n. 0069 CFA del 2 marzo 2022). Per il resto è ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte la ripetizione del principio in relazione a fattispecie che in modo evidente attengono a rapporti riferibili all’attività sportiva [cfr. in via esemplificativa Sez. Unite - decisione n. 0013 CFA del 9 agosto 2022 e Sez. Unite - decisione n. 0003 CFA del 1 luglio 2022; e CFA Sez. II – C.U. n. 029/CFA (2019/2020), rispetto alla corrisponde norma del C.G.S. vigente ratione temporis]. Una limitazione che trova riscontro anche nella giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66). I fatti oggetto dell’atto di riferimento non sono riconducibili, per le circostanze in cui sono avvenuti come già dettagliatamente sopra descritte, nell’ambito di un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Sotto questo profilo si conviene con la posizione assunta dalla decisione di primo grado quando sottolinea che «Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti».  Inoltre, non persuade, al fine di poter ricondurre i fatti in esame alla violazione dell’art. 4, comma 1, C.G.S., la invocazione di questa norma in combinato disposto con l’art. 5 del Codice di Comportamento Sportivo, dedicato al “Principio di non violenza”.  Il meccanismo del “combinato disposto” è certamente impiegabile per desumere una prescrizione attraverso l’integrazione coordinata del contenuto di più norme, ma purché il risultato ottenuto non contrasti con quanto le norme combinate contemplano singolarmente. Nel caso di specie l’art. 4, comma 1, C.G.S. testualmente limita il proprio ambito applicativo ad ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro in modo conforme a quanto previsto dall’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI dedicato al “Principio di lealtà” («I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva»). Pertanto, il preteso combinato disposto determinerebbe non soltanto una chiara forzatura dell’ambito applicativo dell’art. 4, comma 1, C.G.S., ma anche l’invocazione dell’art. 5 Codice di Comportamento Sportivo per superare un limite che è affermato dallo stesso Codice di Comportamento Sportivo all’art. 2. Ciò già evidenzia, come si chiarirà (§ 5.2.2.), che l’ostacolo non discende meramente dalla formulazione dell’art. 4, comma 1, C.G.S., ma dall’ambito applicativo dei principi di lealtà, probità, correttezza delineato anche dalla normativa esofederale. Di ciò si trova conferma nella ricordata decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66), che in un caso relativo al Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Tennis (ora divenuta FITP), il cui art. 1, comma 2, testualmente prevede l’obbligo di osservare i principi di lealtà, probità e rettitudine sportiva «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, sociale e morale», ha affermato (§ 2.6. della decisione) che «anche i comportamenti afferenti ai rapporti di natura economica, sociale e morale, sui quali si svolge il giudizio di responsabilità disciplinare, possono essere rilevanti, ma devono comunque essere pur sempre riferiti all’ambito prettamente sportivo, al pari di quelli concernenti i rapporti di natura agonistica». Un precedente richiamato anche dalla decisione di primo grado al fine di escludere la giurisdizione sportiva nel caso qui in esame. Gli ulteriori argomenti addotti dal reclamo della Procura si concentrano sulla differenza tra le valutazioni che gli organi di giustizia devono compiere al fine di accertare la sussistenza di una violazione disciplinare e quelle che gli organi della giurisdizione statale devono compiere al fine di valutare se sussista la violazione di norme esterne all’ordinamento sportivo. La Procura reclamante, invocando un precedente di questa Corte – Sezioni Unite decisione/0004/CFA-2021-2022 – fa discendere dall’esame del tipo di sindacato/giudizio che gli organi di giustizia sportiva sono chiamati a compiere nell’accertamento delle violazioni disciplinari e dalla distinzione dei caratteri del giudizio disciplinare rispetto a quelli propri dell’accertamento delle fattispecie penali da parte dei giudici statali, uno «specifico dovere proprio dei giudici sportivi» di valutare la compromissione dei valori dell’ordinamento sportivo, «indipendentemente dal contesto extrasportivo in cui quei fatti sono venuti maturando»; e di conseguenza sostiene che «in ragione di tale specifico dovere proprio dei giudici sportivi nel caso di specie può argomentarsi, diversamente da quanto deciso dal Tribunale, la competenza degli organi di giustizia della FIGC a conoscere e giudicare dei gravi fatti oggetto di deferimento». In relazione a tali argomenti, la difesa sig. E.M. sostiene – qualificandolo, in realtà, come motivo di inammissibilità del ricorso – la pretesa violazione della garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.), perché la Procura «chiede a Codesta Corte d’Appello, sia di sostituirsi al legislatore, sia di violare l’art. 25 della Costituzione, pronunciandosi su fattispecie che la legge riserva ad altri Giudici. Nel primo caso, si vorrebbe che qualunque condotta, pur estranea alla normativa specifica ed al contesto sportivo, fosse passibile di venir giudicata dai Giudici de quibus, non esplicitando né le norme a fondamento di tale assunto, né il ragionamento logico deduttivo operato per ritenere corretta tale abnorme richiesta, una sorta di precedente vincolante non ammesso nel nostro ordinamento giuridico. Si vorrebbe, inoltre, attribuire al Giudice sportivo una funzione legislativa, ammettendo la punibilità di fattispecie estranee all’attuale normativa disciplinare vigente. Si vorrebbe, da ultimo, superare e/o tacitamente abrogare l’art. 25 Costituzione che prevede una riserva di legge laddove stabilisce che “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” (sul punto si veda il reclamo pg. 3 delle premesse ultimo cpv.)». Gli ulteriori argomenti avanzati dalla Procura non sono condivisibili ai fini dell’accoglimento del motivo di reclamo. In primo luogo, non apporta alcun contributo alla questione di “giurisdizione” qui in esame, che è questione anteriore, la riflessione, compiuta dalla Procura, circa la tipologia di giudizio che gli organi di giustizia sportiva sono chiamati a compiere. Se non ricorre la giurisdizione (o competenza) degli organi di giustizia sportiva, unica questione oggetto della decisione di primo grado, risulta superfluo ogni dibattito in ordine al tipo di sindacato rimesso alla giustizia sportiva in confronto con quello compiuto dal giudice statale, tema a cui si riferisce il precedente di questa Corte – Sezioni Unite Decisione/0004/CFA-2021-2022 – invocato dalla Procura Federale nell’atto di reclamo a sostegno delle proprie argomentazioni. Peraltro, il precedente invocato di questa Corte si riferisce a fattispecie comunque riferibili all’attività sportiva, ciò che invece nel caso in esame non ricorre. Nonostante la auspicabilità, per le ragioni che saranno in seguito chiarite, dell’affermazione che i principi di lealtà, probità e correttezza devono informare l’attività dei soggetti dell’ordinamento sportivo anche al di fuori dei rapporti sportivi; e nonostante la completa condivisibilità dell’affermazione della Procura secondo cui nel caso in esame «appare evidente come, indipendentemente dal contesto extrasportivo in cui quei fatti sono venuti maturando, gli stessi abbiano certamente determinato, per mano dei deferiti, una assai grave violazione di quei valori di lealtà, probità e correttezza cui si ispira l’ordinamento sportivo», non si può, de iure condito, condividere la conseguente affermazione della Procura secondo cui di tali principi «gli organi di giustizia domestica sono tenuti sempre a verificare l’osservanza ad opera dei soggetti parte dell’ordinamento federale al fine di sanzionare eventuali condotte che ne abbiano potuto determinare una compromissione», anche se le condotte non siano relative ad un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. A tale estensione osta non soltanto il chiaro limite posto dall’art. 4, comma 1, C.G.S., ma anche la normativa esofederale di cui esso è espressione. Si pensi al già ricordato art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, rubricato «Principio di lealtà» ed in cui si legge: «I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. (…)». Si ricordi, inoltre, che, secondo l’art. 13 bis, comma 1, Statuto CONI, «Il Codice di comportamento sportivo (d’ora in poi “Codice”) definisce i doveri di lealtà, correttezza e probità sportiva sulla base dei principi e delle prassi riconosciute nell’ordinamento delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite». Si deve, pertanto, ribadire che l’accertamento della responsabilità disciplinare deve essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal C.G.S. e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 C.G.S. L’art. 1 CGS afferma che il codice di giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare. Pertanto, l’art. 4, comma 1, C.G.S. nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità deve essere limitato, in quanto lo prevede espressamente, ad ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale. In concreto manca la fattispecie che, ai sensi dell’art. 1 C.G.S., possa fondare la competenza degli organi di giustizia sportiva. Fermo restando che questa Corte non può accogliere la ricostruzione sostenuta nel reclamo, ritiene al contempo che qualora, de iure condendo, fosse esteso l’ambito applicativo dei principi di lealtà, probità e correttezza per i soggetti dell’ordinamento sportivo, non si determinerebbe la pretesa violazione dell’art. 25, comma 1, Cost. prospettata dalla difesa del sig. E.M. A tal fine basta ricordare che i medesimi fatti possono ben essere oggetto di plurime qualificazioni, una volta dinanzi alla giustizia sportiva per la loro rilevanza disciplinare e, separatamente, dinanzi al giudice statale per la loro rilevanza, ad esempio, penale. Pertanto, nel caso in esame anche se fosse stata affermata da questa Corte - ciò che non è -  la giurisdizione/competenza degli organi di giustizia sportiva, tale competenza disciplinare non avrebbe affatto escluso il giudice naturale previsto dall’ordinamento statale, ciò che dissolve ogni possibile vulnus all’art. 25, comma 1, Cost. È indubbio il giudizio di disvalore che i fatti ascritti determinano dal punto di vista dell’ordinamento sportivo e dei suoi complessivi valori e fini, come chiaramente sottolineato già dalla decisione di primo grado. La funzione sociale dello sport (affermata anche dall’art. 165 TFUE) e i valori cristallizzati nell’art. 4, comma 1, C.G.S. confliggono con fatti penalmente rilevanti espressione di assoluto disvalore, come quelli indicati nell’atto di deferimento, e sarebbe auspicabile un’estensione del campo applicativo di tali principi oltre i rapporti comunque riferibili all’attività sportiva. Per le ragioni già esposte si può trattare soltanto di una prospettiva de iure condito. In tale prospettiva non si conviene pienamente, dal punto di vista motivazionale, con la posizione della decisione di primo grado secondo cui la limitazione dell’art. 4, comma 1, attraverso lo «specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”», si pone «nel solco del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, di conversione della L. 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia sportiva». Ed inoltre non si conviene con il legame posto, dalla decisione di primo grado, tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e «l’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare» quale «fisiologico limite» dell’autonomia dell’ordinamento sportivo; né si può convenire con la ritenuta piena sintonia di tale impostazione con l’insegnamento espresso dalla Corte Costituzionale nei due noti interventi (C. cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. cost., 25 giugno 2019, n. 160). Secondo questa Corte, indipendentemente dalla prospettiva teorica accolta circa la ricostruzione dei rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo (teoria ordinamentale, piuttosto che la collocazione dell’ordinamento sportivo nel più ampio ordinamento italo-europeo o, probabilmente, una possibile interazione tra i diversi modelli), l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può comportare la limitazione del suo intervento alla «riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare», come afferma invece la decisione di primo grado. Questo limite può discendere da una esplicita disposizione, come nel caso di specie l’art. 4, comma 1, C.G.S. quando individua – in conformità all’art. 1, comma 1, C.G.S. – una fattispecie rilevante sul piano disciplinare e la conforma alla disciplina esofederale (cfr. art. 2 Codice di Comportamento Sportivo CONI). Ma non si tratta di un limite di carattere generale, cioè un limite imposto dall’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e dal suo rapporto con l’autonomia dell’ordinamento statale. Non si può affermare che tale limite discende dall’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e che la rilevanza di una controversia per l’ordinamento sportivo richieda la «esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico». Non risulta essere questo il rapporto tra il principio di autonomia e il principio di rilevanza che emerge dagli artt. 1 e 2 del d.l. 19 agosto 2003 n. 220 (convertito in L. 17 ottobre 2003 n. 280) e dalla lettura che la Corte Costituzionale ne ha compiuto nei suoi due già citati interventi. Piuttosto, secondo questa Corte dalle norme indicate, come lette alla luce degli interventi della Corte Costituzionale, risulta affermato il principio di autonomia quale regola generale di disciplina dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale. Il principio di autonomia trova però un’attenuazione quando una controversia investa posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale e, pertanto, tutelabili “anche dinanzi” alla giurisdizione statale (ferma l’osservanza del vincolo di giustizia sportiva, che dunque conferma il ruolo della “giurisdizione sportiva” anche nei casi di rilevanza della controversia per l’ordinamento statale). Le riflessioni appena compiute non sono meramente teoriche, ma hanno un chiaro indotto pratico sia nel caso di specie, sia per le prospettive di intervento dell’ordinamento sportivo in fattispecie come quella oggetto dell’atto di deferimento che occasiona l’attuale giudizio.  Una volta affermato il significato del principio di rilevanza, risulta chiaro che l’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e il connesso ambito della giustizia sportiva non richiede che la controversia presenti «un legame effettivo con il sistema domestico». Di conseguenza, questa Corte non può condividere la motivazione della decisione di primo grado nella parte in cui afferma che «L’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, rilevante; risolvendosi la rilevanza nell’esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico». Rispetto al caso concreto a cui l’atto di deferimento si riferisce è indubbio che i fatti indicati nell’atto di deferimento non sono relativi ad un «rapporto comunque riferibile all’attività sportiva», quindi non rientrano nell’ambito dell’art. 4, comma 1, per come la fattispecie di rilevanza disciplinare è configurata. Sotto questo profilo si concorda con la decisione di primo grado e le relative motivazioni. Ciò però non esclude - e qui si manifesta la rilevanza pratica della diversa ricostruzione sopra delineata del rapporto tra principio di autonomia e principio di rilevanza tra ordinamento sportivo e ordinamento statale - che de iure condito possa essere eliminato lo stretto riferimento all’attività sportiva. Non è un ostacolo a tal fine, per quanto sopra affermato, né il limite di autonomia dell’ordinamento sportivo nel rapporto con l’ordinamento statale, né il principio di rilevanza, che (come si è chiarito) deve essere inteso non già quale limitazione dell’ambito in cui si manifesta l’autonomia dell’ordinamento sportivo (e, di conseguenza, si può esplicare la competenza/giurisdizione degli organi di giustizia sportiva), ma nel senso di permettere ai soggetti dell’ordinamento sportivo di poter agire anche dinanzi all’ordinamento statale quando la controversia coinvolga posizioni per quest’ultimo rilevanti. Il principio di rilevanza opera quale bilanciamento del principio di autonomia rispetto alle posizioni giuridiche rilevanti anche per l’ordinamento statale, giusta la garanzia del diritto di azione giurisdizionale cristallizzata nell’art. 24, comma 1, della Costituzione. Nella prospettiva appena descritta dei rapporti tra i due ordinamenti (e dei relativi sistemi di giustizia), che a questa Corte sembra quella delineata dalla Corte costituzionale nei due noti interventi, l’ordinamento sportivo potrebbe, al fine di promuovere al massimo i suoi fini e la funzione sociale dello sport ampiamente intesa (sulla scia anche dell’ampia formulazione dell’art. 165 TFUE), estendere i principi di lealtà, correttezza e probità per i soggetti dell’ordinamento sportivo oltre i rapporti riferibili all’attività sportiva, fino a ricomprendere i rapporti sociali. Non basterebbe, tuttavia, la scelta di una singola Federazione. Sarebbe a tal fine indispensabile una modifica della stessa normativa esofederale, a cui quella endofederale si conforma. L’art. 4, comma 1, C.G.S. nel limitare l’ambito applicativo dei principi ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva» è conforme, come si è detto, all’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI. Inoltre, più in generale, si è già sottolineata la posizione del Collegio di Garanzia del CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66), che ha letto in senso restrittivo la ricordata previsione dell’art. 1, comma 2, Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Tennis, che prescrive i suddetti principi «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, sociale e morale». Ciò conferma che un’estensione dell’ambito applicativo dei principi non può essere rimessa alla singola Federazione, ma deve muovere dall’ambito esofederale e costituire una scelta dell’intero ordinamento sportivo nazionale. Il clamor fori generato da fattispecie di reato che non trovano una rilevanza anche disciplinare perché accadute al di fuori di rapporti riferibili all’attività sportiva, come i fatti descritti nell’atto di deferimento in esame, potrebbe giustificare l’ampliamento dell’ambito applicativo dei principi, ma nel contesto di una generale modifica normativa. I valori dello sport e il ruolo degli atleti quali prioritari attuatori di quei valori genera il suddetto clamor fori di fronte a decisioni, come quella attuale, che non possono irrogare, per le ragioni sopra indicate, una sanzione disciplinare, nonostante l’assoluto giudizio di disvalore circa i fatti descritti nel deferimento, testimoniato peraltro dall’attivazione sia della Procura Generale dello Sport che della Procura Federale. La Procura Federale ha inoltre affermato nel reclamo che i fatti prospettati dall’atto di deferimento sono tali da determinare una lesione dell’immagine della Federazione, anche se essi non attengono ad un rapporto comunque attinente all’attività sportiva; e che la lesione all’immagine della FIGC determinata dall’eco mediatica dei fatti consentirebbe di «ritenere anche sotto tale profilo violato il dettato di cui al ricordato art. 4, comma 1, del CGS così come integrato dal disposto di cui al menzionato art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI». Neppure sotto questo profilo può essere accolta la tesi della Procura. In senso contrario muovono le medesime ragioni già chiarite nei precedenti punti della decisione circa l’ambito applicativo delle norme invocate dalla Procura. È certamente un vulnus di cui si dovrebbe tener conto. Certi reati sono già presi in considerazione per l’adozione di provvedimenti di sospensione in via cautelare quando vi sia una lesione all’onorabilità degli organismi sportivi, ma in contesti diversi. Il riferimento è, in particolare, alle ipotesi di sospensione dalla carica dei componenti degli organismi sportivi prevista dall’art. 11 Codice di comportamento sportivo CONI a tutela dell’onorabilità e dell’autorevolezza degli organismi sportivi quando i componenti siano stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” del Codice di comportamento sportivo CONI o siano stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale. In modo simile a quanto previsto dall’appena ricordato art. 11 Codice di comportamento sportivo che rinvia, per l’individuazione delle ipotesi di sospensione, ad uno specifico elenco di delitti, si potrebbe eventualmente intervenire sulla disciplina del tesseramento, prevendo una simile forma di sospensione in via cautelare; o delineare delle linee guida circa le clausole da inserire nei contratti degli atleti per l’ipotesi che risultino accertate determinate tipologie di reato. De iure condito, tuttavia, alla luce del testo dell’art. 4, comma 1, C.G.S. e della normativa esofederale, la cui applicazione è ribadita dall’art. 3 C.G.S., questa Corte non può che confermare la dichiarazione del difetto di giurisdizione.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 140/TFN - SD del 27 Marzo 2023  (motivazioni)

Impugnazione –  Istanza: Deferimento n. 10601/116pf22-23/GC/blp del 26 ottobre 2022 nei confronti del sig. E. M. + altri - Reg. Prot. 76/TFN-SD

Massima: Sussiste il difetto di giurisdizione del TFN a decidere sul deferimento a carico di soggetti, per fatti avvenuti fuori dal contesto sportivo, trattandosi nel caso di specie del compimento di atti di violenza sessuale avvenuti in luogo privato e per il quale vi è un procedimento penale pendente…E, invero, l’articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC, nel disegnare l’ambito di applicazione oggettivo, testualmente prevede che “Il presente Codice di giustizia sportiva […] disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l’ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)”. Nella stessa ottica, l’articolo 4 del medesimo Codice di Giustizia, la cui violazione è stata contestata dalla Procura Federale, prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Le previsioni si pongono nel solco del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, di conversione della L. 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia sportiva. L’articolo 1 del decreto-legge riecheggia il dettato dell’articolo 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale”. Il principio autonomista deve, tuttavia, dialogare con i principi che informano l’ordinamento statale, in cui quello sportivo si inquadra. L’articolo 2 del decreto-legge n. 220 del 2003, cit., fa sì che l’autonomia non si risolva in autoreferenziale astrazione: “I rapporti tra l’ordinamento e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”. L’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, rilevante; risolvendosi la rilevanza nell’esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico. I fatti oggetto del deferimento trovano compiuta descrizione negli atti del processo penale, ove è stata contestata la conduzione, da parte dei deferiti, di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – presso una abitazione e nella induzione della stessa a rapporti sessuali. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale. In senso analogo si è espressa la giurisprudenza con riferimento a controversie similari. Emblematica appare la decisione n. 66 del 2020, con la quale il Collegio di Garanzia del CONI, proprio in relazione a contestazioni afferenti al dovere di lealtà sportiva, dopo aver premesso che “[…] il bonus vir sportivo rispetta e onora gli impegni assunti e osserva la regolamentazione di riferimento; ma detti impegni e regolamentazione devono comunque attenere all’ambito dell’attività sportiva” (Collegio di Garanzia, 10 novembre 2020, n. 66, § 2.5.2, pag. 12), ha coerentemente riconosciuto la necessità che il fatto oggetto dell’addebito disciplinare sia sempre riferito a tale contesto “prettamente sportivo” (Collegio di Garanzia, n. 66/2020, cit., § 2.6, pag. 12). Dal chiaro tenore della giurisprudenza del Collegio di Garanzia non si sono discostate le decisioni del Tribunale Federale e della Corte Federale di Appello, che, nel custodire l’autonomia dell’ordinamento sportivo, non hanno mai disconosciuto il fisiologico limite che a tale autonomia si ricollega: l’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare; ciò in piena sintonia con l’insegnamento della Corte Costituzionale (cfr. le sentenze C. cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. cost., 25 giugno 2019, n. 160).

Decisione C.G.F.: Comunicato ufficiale n. 148/CGF del 11 Gennaio  2013  con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 046/CGF del 19 Settembre  2013   su  www.figc.it

Decisione Impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 53/CDN del 12.12.2012

Impugnazione – istanza: 3. RICORSO DELLA S.S. SAN BASILIO PALESTRINA S.R.L. AVVERSO LE SANZIONI: - INIBIZIONE PER MESI 2 AL SIG. C.A. - AMMENDA DI € 2.000,00 ALLA SOCIETÀ A TITOLO DI RESPONSABILITÀ DIRETTA AI SENSI DELL’ART. 4, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’OPERATO ASCRITTO AL SUO PRESIDENTE, INFLITTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1, C.G.S. – NOTA N. 1718/569PF11-12/AM/MA DEL 28.9.2012 –

Massima: Gli organi di giustizia sportiva non hanno giurisdizione in merito al deferimento del presidente per aver minacciato, offeso ed intimidito alcuni giornalisti all’interno dello stadio. Coglie nel segno la censura, formulata dalla Società ricorrente, secondo la quale gli organi di giustizia sportiva non avrebbero giurisdizione sul caso in argomento atteso che le condotte poste in essere dal sig. – omissis - non avrebbero alcuna rilevanza per l’ordinamento sportivo, essendo state, peraltro, determinate da motivi afferenti alla sua vita privata. Al proposito, questa Corte rileva come non possa essere valorizzata, al fine di pervenire alla affermazione della sussistenza della giurisdizione degli organi della giustizia sportiva, la circostanza che gli eventi, che hanno dato origine alle indagini della Procura Federale, si siano svolti comunque all’interno di stadio di calcio; ed invero, tale circostanza costituisce nulla più di un accidente atteso che è pacifico che il sig. – omissis -, in entrambe le occasioni, stesse assistendo a degli incontri di calcio (uno dei quali vedeva coinvolta addirittura la Nazionale di calcio) nella veste di spettatore e non di tesserato della Società odierna ricorrente. A quanto sopra si aggiunga che, a differenza di un caso analogo, oggetto di una recente decisione della stessa Commissione Disciplinare Nazionale (decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 43/CDN del 28.11.2012), gli alterchi tra il sig. – omissis - ed i giornalisti de “– omissis -” (oggetto, peraltro, di reciproche querele) non traevano spunto da questioni strettamente legate all’attività svolta dal primo in ambito federale ma, sebbene riconducibili, molto alla lontana e solo parzialmente, alla gestione sportiva del club del Palestrina da parte dello – omissis -, attenevano, più propriamente, a vicende alla sua vita privata.

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it