Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 0242/TFN - SD del 4 Giugno 2024  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza: –  M.A. - Reg. Prot. 137/TFN-SD

Massima: Sussiste la giurisdizione del TFN Sezione disciplinare a decidere sul deferimento dell’arbitro effettivo resosi responsabile di fatti penalmente rilevanti riguardanti l’organizzazione di funerali, nello specificorimasto coinvolto, nel corso della stagione sportiva 2022/2023, in gravi fatti aventi rilievo penale e segnatamente in asserite plurime condotte di natura corruttiva (stante, come dato leggere nella OCC in atti, la esistenza di un patto corruttivo tra D.R. e ….. in virtù del quale il primo incrementava gli introiti della agenzia di onoranze funebri di cui era titolare mentre il secondo riceveva tangenti di euro 200 per ciascun funerale procurato a tale agenzia funebre) con conseguente adozione nei confronti del medesimo da parte dell’A.G.O. procedente di una provvisoria rubrica di incolpazione per rispondere, in concorso con altri soggetti, dei reati p. e p. dagli artt. 81 cpv., 319-320 c.p..(capo 1) della provvisoria rubrica di incolpazione di cui alla OCC in atti : < (…) perché, in più occasioni, nella qualità di incaricato di pubblico servizio in quanto infermiere coordinatore della struttura per anziani e disabili “….., accettava somme di denaro da D. R., titolare dell’ agenzia di onoranze funebri Pompe Funebri L. di C., per compiere atti contrari ai propri doveri d’ufficio, segnatamente per avvertirlo tempestivamente dei decessi avvenuti, per fornirgli indicazioni sui familiari dei defunti, per proporre agli stessi di rivolgersi alla sua impresa, per promuovere l’instaurazione di contatti diretti tra familiari e impresa, allo scopo di favorire la captazione di clientela da parte di quest’ultima. In particolare …..e D. concordavano un pagamento di euro 200 per ogni funerale accaparrato dall’agenzia grazie ai servizi dell’incaricato di pubblico servizio, il quale garantiva così alle Pompe Funebri …. almeno 12 funerali all’anno in esecuzione dell’accordo, ….. si attivava per favorire D. in relazione: - al decesso di F. M. S., avvenuto l’8.12.2022;- al decesso di L. A., avvenuto il 20.12.2022;- al decesso di M. M. I., avvenuto l’8.1.2023;- al decesso di O. E., avvenuto il 9.1.2023;- al decesso di D. M., avvenuto il 27.1.2023;- al decesso di C. V., avvenuto il 2.3.2023;- al decesso di V. M. G., avvenuto il 5.4.2023;- al decesso di D. T. N. avvenuto il 17.4.2023; - al decesso di N. A.o, avvenuto il 9.5.2023 .Con l’aggravante di cui all’art. 64 comma 1 lett. b) del vigente Regolamento AIA per aver determinato un danno all’immagine esterna dell’Associazione, per la notorietà dei fatti….Il Collegio stabilisce in via preliminare che l’accertamento oggetto del deferimento rientra nella competenza giurisdizionale degli organi di giustizia federali. Se è infatti vero che la vicenda fattuale non ha riguardato una condotta rilevante immediatamente nell’ambito dell’attività sportiva, è tuttavia altrettanto vero, secondo l’orientamento della giustizia federale in sede disciplinare, che anche i comportamenti illeciti posti in essere dai soggetti tesserati nell’ambito della quotidianità sociale e lavorativa, possono determinare, in ragione della loro gravità, “….una compromissione di quei valori e doveri di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale cui si ispira l’ordinamento sportivo….e dei quali il giudice sportivo è sempre tenuto a verificarne il rispetto ad opera di tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento federale” (Collegio di garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione n.10/2024). Questo approdo ricostruttivo assume particolare significato per i soggetti appartenenti, come l’odierno deferito, alla classe arbitrale, chiamati ad assicurare l’ordinato e corretto svolgimento delle competizioni sportive ed in relazione ai quali l’ordinamento di settore detta specifiche disposizioni che impongono agli stessi di “…improntare il loro comportamento, anche estraneo allo svolgimento dell’attività sportiva e nei rapporti con colleghi e terzi, ai principi di lealtà, trasparenza, rettitudine e della comune morale, a difesa della credibilità ed immagine dell’AIA e del loro ruolo arbitrale.” (art. 42, comma 3, lett. c, Regolamento AIA). La fattispecie di asserita responsabilità disciplinare risulta oggetto di una istruttoria penale in corso di svolgimento (con adozione di misure cautelari). Tale circostanza non costituisce condizione ostativa al libero apprezzamento, da parte del Tribunale, delle allegazioni offerte dalla Procura Federale a sostegno dell’atto di deferimento. Secondo consolidata giurisprudenza “…il giudizio disciplinare-sportivo è autonomo e indipendente dagli eventuali paralleli giudizi penale. Gli Organi della giustizia sportiva (salvo le tassative ipotesi codificate di rilevanza del giudizio penale o civile) hanno infatti autonomi ambiti di valutazione degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli provenienti dagli accertamenti o dai provvedimenti dell’Autorità giudiziaria ordinaria, che, nel giudizio sportivo, sono e restano liberamente valutabili come meri elementi probatori.” (Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione n. 71/2019). Si vedano inoltre le conformi CFA, decisione n. 7/2004; id., n. 48/2011, dove viene statuito che nell’ambito dell’autonomia del giudizio disciplinare degli organi di giustizia FIGC, è rimessa ad essi la ponderazione sulla rilevanza degli elementi probatori, in particolare le intercettazioni telefoniche, acquisite in sede di investigazioni penali.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0112/CFA del 2 Maggio 2024 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale Federale Territoriale presso il Comitato Regionale omissis n. omissis del omissis;

Impugnazione – istanza: PFI/Omissis

Massima: Rigettato il reclamo della Procura Federale e confermata con diversa motivazione la decisione del TFT che ha dichiarato il difetto di giurisdizione degli organi di giustizia sportiva in merito al deferimento - avente ad oggetto  la violazione dell’art. 4, comma 1, del codice di Giustizia Sportiva per essere stato il presidente destinatario di una informazione interdittiva antimafia adottata ex artt. 89 bis e 91 del D.lgs. 6.9.2011 n. 159, dal; nonché per avere lo stesso, nell’ambito del rapporto di convenzione con il Comune, «ceduto il ramo d’azienda» avente ad oggetto l’attività di bar, gastronomia, pasticceria e tavola calda svolta presso il bar del centro Sportivo oggetto dell’autorizzazione con il Comune, stipulando un contratto di locazione con la società di titolarità di un soggetto tesserato, anch’egli raggiunto da un provvedimento interdittivo antimafia - perchè  manca la prova di fatti aventi rilevanza sul piano disciplinare…La questione della giurisdizione dell’Organo di giustizia sportiva, per contestazioni non riferibili alla sfera sportiva del tesserato, è oggetto di molteplici e recenti pronunce, anche di questa Corte Federale di Appello a Sezioni Unite e del Collegio di Garanzia del CONI, sempre a sezioni Unite. Da una parte si sostiene che condotte, pure se molto deprecabili ma poste in essere in ambito strettamente privato, senza alcun rapporto con l’attività sportiva, vadano considerate al di fuori del perimetro tracciato dalla attuale formulazione dell’art. 1 del CGS, che disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare: “in estrema sintesi, le Sezioni Unite, hanno ritenuto che, alla luce dell’art. 1 CGS (il quale afferma che il Codice di Giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare), l’accertamento della responsabilità disciplinare debba essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal CGS medesimo e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 del Codice e che l’applicazione dell’art. 4, comma 1, CGS – nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità - non possa che essere limitata, in quanto la norma lo prevede espressamente, «a ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva», senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale. La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva, sia pure intesa nel senso più ampio. Resta comunque fermo che, se tale situazione può essere sintetizzata come difetto di giurisdizione (o di competenza) degli organi di giustizia sportiva, deve essere chiaro – nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione (per tutte: Cass. Civ. SS.UU., 5 settembre 2022, n.26038; Id., 16 gennaio 2015, n. 647) – che viene propriamente in gioco una questione di merito, in quanto il difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva dipende dalla concreta mancanza di una fattispecie disciplinare sanzionatrice e non rappresenta un ostacolo a possibili diverse scelte de iure condendo, nell’esercizio dell’autonomia propria dell’ordinamento sportivo” (così, Corte Federale Appello Sez. Unite, decisione n. 39/CFA/2023-2024). Il Collegio di Garanzia del CONI ha ritenuto, invece, che la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità, secondo quanto previsto dall’art.4 del CGS della FIGC, possa consentire di parametrare la condotta contestata alla c.d. “riferibilità sportiva”, così che l’oggetto di incolpazione di un procedimento disciplinare non implichi che debba necessariamente consistere nella sola condotta attuata in campo, bensì sia sufficiente che l’attività sportiva faccia da contesto alla condotta ritenuta disciplinarmente rilevante, pervenendo alla emanazione del seguente principio di diritto: “L’art.4, comma 1, del CGS FIGC, in combinato disposto con gli artt. 3, co.1, del CGS FIGC, 13 bis, co.3, dello statuto del CONI, 2,5, co.1, 12 e allegato A del codice di Comportamento Sportivo CONI, considerato che i principi ivi esposti (lungi dall’esaurirsi nel formale rispetto delle regole del gioco) investono non solo il corretto esercizio di una posizione soggettiva, estendendosi necessariamente anche a condotte che si collocano al di fuori dell’attività sportiva strettamente intesa, deve essere interpretato nel senso che, nel momento in cui la condotta implichi (per il modo in cui la persona si è comportata o per il contesto nel quale ha agito) una compromissione di quei valori cui si ispira la pratica sportiva, è fatto obbligo a tutti i soggetti, e agli organismi, sottoposti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale, in ogni rapporto non solo di natura agonistica, ma anche economico e/o sociale, nonché di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti” (Così, Collegio di garanzia CONI, Sez. Unite, decisione n. 10/2024). La stessa decisione del Collegio di Garanzia del CONI, invita l’interprete ad operare la valutazione della condotta caso per caso, riconducendo a sistema i valori/principi cui si ispira l’ordinamento sportivo. Il caso concreto sottoposto al giudizio del Collegio, pur esaminando un aspetto inerente la giurisdizione della Giustizia sportiva, si pone al di fuori del dibattito giurisprudenziale sopra riportato. Ed invero, pur tenendo nella giusta considerazione il concetto di “riferibilità sportiva” della condotta, va rilevato che per poter esprimere una valutazione sulla rilevanza disciplinare, costituisce un necessario presupposto l’avere contezza del “fatto” addebitato e delle relative fonti di prova. In buona sostanza, conosciuti i fatti per cui si procede, potrà valutarsi se essi rientrano o meno in un contesto di attività sportive tali da poter considerare (caso per caso) il loro rilievo disciplinare. Il Collegio non dubita che, astrattamente, possa configurarsi un collegamento indiretto tra l’attività sportiva (e i principi/valori che la regolano) e le eventuali frequentazioni malavitose in un bar collocato all’interno di un centro sportivo, tale da poter radicare la giurisdizione della giustizia sportiva, ma, al tempo stesso, quando in concreto manca del tutto l’enunciazione della condotta disciplinarmente rilevante non appare possibile affermare la giurisdizione domestica. Nel caso di specie, è del tutto evidente che l’acquisizione della interdittiva antimafia costituiva e costituisce elemento necessario per qualificare la condotta da valutare ai fini della “riferibilità sportiva”……Ma si ribadisce la differenza della casistica esaminata rispetto ai precedenti richiamati, dove si discuteva di un fatto storico ben definito e rimaneva da valutare la sua “riferibilità sportiva”. Nel caso in esame, manca del tutto il fatto o, per meglio dire, la contestazione e la prova di un fatto, rispetto al quale possa essere valutata la “riferibilità sportiva”. Non può infatti essere sufficiente l’essere destinatari di un provvedimento interdittivo antimafia di cui non si conosce il contenuto e, quindi, la motivazione, per poter affermare la rilevanza di una condotta sul piano disciplinare. Il fatto, la conoscenza di un fatto e la contestazione di un fatto specifico, viene prima di ogni e qualsiasi valutazione sulla eventuale “riferibilità sportiva”. Queste le ragioni per cui il Collegio ritiene di confermare la decisone impugnata che ha sancito il difetto di giurisdizione della Giustizia Sportiva, anche se il Giudice di primo grado ha incentrato la motivazione sulla assenza di prova per l’affermazione della giurisdizione domestica, mentre questo Collegio ritiene, più radicalmente, non essere presente agli atti e nel deferimento una contestazione (e quindi una prova) di fatti aventi rilevanza sul piano disciplinare.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0100/CFA del 22 Marzo 2024 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Rinvio disposto dal Collegio di Garanzia dello Sport CONI con decisione n.10 del 19/02/2024

Impugnazione – istanza: –  Procura nazionale dello sport / omissis

Massima: La Corte ha disposto la sospensione dei termini di conclusione del presente giudizio disciplinare, ai sensi dell'art. 38, comma 5, lettera a), del CGS CONI, dell'art. 3, comma 2, e dell'art. 110, comma 5, del CGS FIGC, sino alla formazione del giudicato in sede penale e ciò a seguito del rinvio disposto dal Collegio di Garanzia a seguito dell’impugnazione da parte della procura federale della decisione della CFA che aveva rigettato il deferimento sul rilievo della insussistenza, allo stato, nell’ordinamento endo-federale di una “norma sanzionatrice di condotte pur assolutamente riprovevoli come quella ascritta al reclamato” e dunque del difetto di giursdizione (violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S. [Codice della Giustizia Sportiva, d’ora in poi anche CGS], ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3 co. 1 del C.G.S. (<< Il Codice è adottato in conformità a quanto disposto ... dallo Statuto del CONI e ... dal Codice CONI>>), con gli artt. 2 e 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che impongono a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, oltre al rispetto del principio di lealtà, di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso omissis, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna (omissis) presso una abitazione sita in omissis abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali, nonché, nell’occasione colpito - altresì - la stessa con forza in più parti del corpo, scattando foto e riprendendola durante gli abusi esercitati”)…Torna all’esame della Corte Federale, a seguito del rinvio disposto dalle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, la vicenda riguardante il calciatore omissis, deferito dalla Procura Nazionale dello Sport per rispondere “della violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3 co. 1 del C.G.S. (<< Il Codice è adottato in conformità a quanto disposto ... dallo Statuto del CONI e ... dal Codice CONI>>), con gli artt. 2 e 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che impongono a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, oltre al rispetto del principio di lealtà, di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso la sera/notte tra il omissis, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna (omissis) presso una abitazione sita in omissis abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali, nonché, nell’occasione colpito - altresì - la stessa con forza in più parti del corpo, scattando foto e riprendendola durante gli abusi esercitati”. Il rinvio è stato disposto dal Collegio di Garanzia dello Sport affinché questa Corte Federale faccia applicazione, nel giudicare la vicenda de qua, del principio di diritto innanzi riportato quale parametro valutativo della condotta in contestazione, dopo aver previamente accertato e valutato fatti (cfr. incipit del paragrafo II.III della decisione de Collegio di Garanzia: “Il ricorso della Procura Generale merita, pertanto, accoglimento in parte qua, con rinvio alla Corte Federale che dovrà, dunque, accertare e valutare i fatti, in sé, ascritti al tesserato omissis...”). Ora è noto che, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, “il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione in relazione ai punti decisivi non congruamente valutati dalla sentenza cassata e, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, conserva il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza di annullamento” (Cass. civ., sez. II; 02/02/2024, n. 3150) e che “la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura non già come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata e, come tale, instaura un processo chiuso, nel quale, da un lato, è alle parti preclusa ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, prove (eccetto il giuramento decisorio), nonché conclusioni diverse, salvo che queste siano rese necessarie da statuizioni della sentenza dì cassazione, e, dall'altro, al giudice di rinvio competono gli stessi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata. Nel caso in cui la sentenza sia stata cassata per violazione di legge e per vizi di motivazione, il giudice del rinvio conserva tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento alla luce del principio affermato, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass. civ., sez. II, 14/11/2017, n.26894). Questa Corte deve, dunque, in ossequio alla regula juris enucleata dal Collegio di Garanzia dello Sport, accertare e valutare se la condotta ascritta al tesserato omissis in occasione di quanto accaduto nella notte tra il omissis - attualmente costituente oggetto di un procedimento penale, conclusosi in primo grado con la condanna del predetto tesserato e in attesa dell’esito del giudizio di appello - pur se non tenuta nello svolgimento, a causa o in occasione di attività sportiva (c.d. attività extra-funzionale), abbia determinato “per il modo in cui la persona si è comportata e per il contesto in cui ha agito” la “compromissione di quei valori e doveri di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale cui si ispira l’ordinamento sportivo, codificati nel sopra citato art.4 del CGS FIGC, e dei quali il giudice sportivo è sempre tenuto a verificare il rispetto ad opera di tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento federale” (cfr. motivazione della decisione del Collegio di Garanzia, par. II.II, p.18). E’, altresì, noto che il  legislatore nazionale, con il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39, recante “Semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi”, emanato in attuazione della legge delega n.86/2019 ed entrato in vigore il 31 agosto 2022, all’art.16 “Fattori di rischio e contrasto alla violenza di genere nello sport”, ha fatto obbligo alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate, agli enti di promozione sportiva e alle associazioni benemerite di redigere, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del detto decreto, “le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell'attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. Le linee guida vengono elaborate con validità quadriennale sulla base delle caratteristiche delle diverse Associazioni e delle Società sportive e delle persone tesserate.” (comma 1) e che il comma 5 del richiamato art.16 prevede, inoltre, che “I regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite devono prevedere sanzioni disciplinari a carico dei tesserati che abbiano violato i divieti di cui al capo II del titolo I, libro III del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ovvero siano stati condannati in via definitiva per i reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 604-bis, 604-ter, 609bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinques, 609-octies, 609-undecies del codice penale”. In tal modo, il legislatore ha selezionato una serie di condotte penalmente rilevanti, di particolare gravità, per le quali gli ordinamenti sportivi federali devono approntare una normativa interna per sancirne il rilievo in sede disciplinare; il legislatore federale ha provveduto ad adottare in data 31 agosto 2023 le Linee guida di cui innanzi (v. Comunicato Ufficiale n.87/A del 31 Agosto 2023), ma non risulta, allo stato, che vi sia stata l’integrazione regolamentare, prescritta dal richiamato comma 5 dell’art.16, in punto di previsione di specifiche sanzioni disciplinari in relazione alle condotte sussumibili nelle suindicate fattispecie di reato Precisato il thema decidendum del presente giudizio di rinvio, delineato il quadro normativo di riferimento e focalizzato, in virtù del principio di diritto enucleato dal Collegio di Garanzia dello Sport, il precetto normativo della cui violazione, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, il calciatore omissis deve essere chiamato a rispondere in via disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva, la Corte osserva - in disparte dai limiti che, in via generale, naturalmente incontra l’esercizio dei poteri istruttori degli organi inquirenti federali rispetto a condotte non riconducibili in via immediata allo svolgimento dell’attività sportiva (non costituendo questa né causa, né motivo, né occasione della condotta in contestazione) quanto, piuttosto, alla sfera privata del soggetto tesserato (cd. attività extrafuzionale) – che, in primo luogo, nel caso di specie, né la Procura Federale né la Procura Nazionale dello Sport hanno svolto autonomi atti di indagine, pur con i limiti appena accennati, per accertare i fatti (sebbene, nel caso della Procura Nazionale dello Sport quest’ultima avesse disposto l’avocazione del procedimento in danno della Procura Federale FIGC, ravvisando “l’esigenza di procedere ad ulteriori attività di indagine relativamente al procedimento”, cfr. premessa dell’atto di deferimento); in secondo luogo, che neppure è stato possibile acquisire gli atti del procedimento penale avviato a seguito della notitia criminis per aver denegato il GUP presso il Tribunale di omissis l’accesso agli atti del procedimento ai sensi dell’art.116 c.p.p., sul rilievo dell’insussistenza di un interesse, riservandosi solo la successiva trasmissione della sentenza, una volta redatta la relativa motivazione. Ne consegue che, allo stato degli atti, fermi restando il principio di autonomia sancito dall’art.3, comma 3, CGS FIGC e la disciplina dettata dall’art.39 CGS CONI in punto di efficacia della sentenza dell’autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari, questa Corte non può accertare né valutare i fatti al lume del parametro normativo individuato dal Collegio di Garanzia dello Sport, non avendo di tali fatti piena cognizione ed essendo gli stessi ancora sub judice nell’ambito di un procedimento penale tuttora in corso. Si impone, pertanto, la sospensione dei termini di conclusione del giudizio disciplinare ai sensi dell’art.38, comma 5, CGS CONI, in forza del richiamo operato dall’art.3, comma 2, CGS FIGC, e dell’art.110, comma 5, CGS FIGC sino alla definizione del giudicato in sede penale (irrevocabilità della sentenza di condanna, definitività della decisione di proscioglimento o della sentenza di assoluzione).  Per la riattivazione del giudizio disciplinare è fatto onere alle parti, secondo il rispettivo interesse e in forza del combinato disposto dell’art.2, comma 6, CGS CONI e dell’art.297 c.p.c., di assumere la relativa iniziativa nel termine di tre (3) mesi dalla formazione del giudicato nei termini come innanzi precisati.

 

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0065/CFA del 21 Dicembre 2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale – Sezione disciplinare n. omissis; visto il reclamo e i relativi allegati

Impugnazione – istanza: –  Procura Federale Nazionale dello Sport/omissis

Massima: Rigettato l’appello della Procura Federale Nazionale dello Sport avverso la decisione del TFN che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione essendo stato il tecnico deferito in ordine a fatti penalmente rilevanti e che non riguardavano l’ambito sportivo…La Corte federale, nell’occasione chiamata a pronunciarsi a Sezioni Unite, è nuovamente investita della questione della assoggettabilità di soggetti dell’ordinamento sportivo al regime di responsabilità - e al conseguente apparato sanzionatorio – previsto da detto ordinamento, in relazione a condotte penalmente rilevanti (e, dunque, di sicura rilevanza per l’ordinamento statale) tenute dai predetti, ma non immediatamente riferibili allo svolgimento di attività sportiva. Già in due precedenti (e recenti) occasioni, le Sezioni Unite della Corte federale hanno confermato la decisione del giudice di primo grado, che aveva dichiarato il difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare da parte del giudice sportivo in vicende analoghe, ribadendo, da un lato, in via preliminare, l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale e affermando, dall’altro, l’astratta imputabilità, a titolo di responsabilità, anche nell’ordinamento sportivo, di condotte di per sé non immediatamente riferibili allo svolgimento dell’attività sportiva, a condizione che la  rilevanza delle stesse per l’ordinamento sportivo – in ragione della loro gravità e del clamor fori provocato - sia stata espressamente sancita a livello normativo (CFA, Sez. Un. Decisione/0098/CFA-2022-2023; CFA, Sez. Un. Decisione/0039/2023-2024).  Nelle due pronunce appena richiamate, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, allo stato, ai fini della sanzionabilità della tipologia delle condotte in parola anche nell’ordinamento sportivo (si ribadisce, quando le stesse non immediatamente riferibili allo svolgimento di attività sportiva, ma siano state poste in essere in ambiti diversi) non può essere invocata - nonostante la latitudine del precetto normativo ivi contenuto e dell’ampia portata applicativa che il giudice sportivo ordinariamente vi riconnette - la previsione di cui all’art. 4, comma 1, CGS, alla cui stregua “I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”, proprio in ragione dell’espresso riferimento, contenuto nella disposizione richiamata, alla necessità della sussistenza di un “rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. È noto, peraltro, ed è stato rimarcato più volte nelle sue prospettazioni difensive, dal Procuratore dello sport - il quale, nel presente procedimento, ha avocato a sé le funzioni di Procuratore federale - che il legislatore nazionale, con il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39, recante “Semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi”, emanato in attuazione della legge delega n. 86/2019 ed entrato in vigore il 31 agosto 2022, all’art. 16 “Fattori di rischio e contrasto alla violenza di genere nello sport”, ha fatto obbligo alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate, agli enti di promozione sportiva e alle associazioni benemerite di redigere, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del detto decreto, “le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell'attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. Le linee guida vengono elaborate con validità quadriennale sulla base delle caratteristiche delle diverse Associazioni e delle Società sportive e delle persone tesserate.” (comma 1). Il successivo comma 5 prevede poi che “I regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite devono prevedere sanzioni disciplinari a carico dei tesserati che abbiano violato i divieti di cui al capo II del titolo I, libro III del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ovvero siano stati condannati in via definitiva per i reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 604-bis, 604-ter, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinques, 609-octies 609undecies del codice penale.”. Avuto riguardo alle previsioni normative appena riportate, può, dunque affermarsi che anche in capo alla Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) grava l’obbligo: a) di redigere le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità età o orientamento sessuale; b) di prevedere, nel proprio regolamento di giustizia, specifiche sanzioni disciplinari per i casi di accertata violazione da parte di tesserati dei divieti di cui al d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, ovvero di condanne ai sensi di norme penali riferibili a specifici “delitti contro la libertà individuale” (artt. 600 bis – 600 quinquies, ss. c.p.), nonché ai “delitti contro l’uguaglianza” (artt. 604 bis e 604 ter c.p.), e a una serie di “delitti contro la libertà personale” (artt. 609 bis – 609 quinquies, art. 6).  E’ però un fatto che la FIGC non abbia ancora provveduto a predisporre e ad approvare il corpus normativo federale necessario per rendere operativo in ambito sportivo il regime di responsabilità (e il conseguente apparato sanzionatorio) per la incolpazione e, ricorrendone i presupposti, l’assoggettamento a sanzione dei soggetti dell’ordinamento sportivo che si rendano responsabili della tipologia di reato innanzi indicata (la cui odiosità in sé e le cui ricadute in termini di immagine e di reputazione sociale sono di indiscutibile gravità, è sempre bene ribadirlo), come del resto osservato dallo stesso Procuratore dello sport in sede di reclamo, laddove discorre di non compiuta attuazione del precetto legislativo statale (v. pag. 5, primo capoverso). Ed è, altresì, un fatto che la mancata attuazione da parte della FIGC dei precetti normativi innanzi richiamati perduri tuttora, nonostante il monito a provvedervi sollecitamente sia stato già formulato da questa Corte federale (CFA, Sez. Un. Decisione/0039/2023-2024, § n.10); monito che non può che essere nuovamente – e, se possibile, con maggiore forza - formulato anche in questa sede, attesa, non solo la gravità, ma anche la preoccupante frequenza di episodi analoghi a quello per il quale gli odierni reclamati si trovano attualmente assoggettati a procedimento penale. In ultimo, la Corte osserva che - in disparte da ogni eventuale diversa opzione ermeneutica - i fatti per i quali gli odierni reclamati risultano imputati sono avvenuti nel mese di omissis, laddove il d.lgs. n.39/2021 e il d.lgs. n.36/2021 sono entrati in vigore, rispettivamente, in data 31 agosto 2022 e 17 novembre 2022, in epoca successiva, quindi, alla condotta ascritta ai reclamati, di tal che deve ritenersi preclusa in radice ogni, sia pure astratta, applicabilità di quella normativa (si ripete, ancora non attuata a livello di ordinamento federale) alla vicenda in esame.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 097/TFN - SD del 17 Novembre 2023  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza:  Deferimento n. 5315/ss23-24 nei confronti dei sig.ri Omissis - Reg. Prot. 45/TFN-SD

Massima: Difetta la giurisdizione del Tribunale sportivo in ordine al deferimento del  tesserato per la società calcistica a cui è contestata la violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento, tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI, previsto dall’art. 3 co. 1 del C.G.S., con gli artt. 2 e 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che impongono a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, oltre al rispetto del principio di lealtà, di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per essere stati gli stessi destinatari di un provvedimento di ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, eseguito dalla Polizia di Stato su ordine della Procura della Repubblica di Milano, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo;…Ritiene questo Tribunale, pur prendendo atto delle approfondite argomentazioni esposte dal Procuratore Nazionale applicato, che facendo leva sugli indubbi profili di gravità e delle inevitabili ripercussioni di carattere sociale delle condotte asseritamente ascritte agli odierni deferiti ha richiesto un adeguato trattamento sanzionatorio anche sotto il profilo sportivo, che l’eccezione sia fondata. Sul punto, infatti, non vi sono motivi per discostarsi dall’orientamento già fatto proprio con la pronuncia n. 40 depositata in data 11 agosto 2023 che, dopo una attenta ricognizione del quadro normativo e dei rapporti fra ordinamento statale ed ordinamento sportivo ha concluso, in fattispecie pressocchè analoga nel senso che “Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata dell’odierno deferito. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico, riflesso in una norma ad hoc, che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale. Né a dissimili conclusioni conduce il richiamo all’art. 16 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39, pure compiuto nel deferimento; articolo a tenore del quale, per quanto di interesse……. Il disposto è senz’altro meritevole di attenzione siccome capace di conformare l’attività sportiva ai principi del fair play e di allineare l’ordinamento sportivo a quei canoni di prevenzione che sottendono lo schema di ‘compliance 231’ (decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231), il risk assessment connotante il settore della privacy e – non da ultimo – la novella sugli adeguati assetti di cui all’art. 2086, comma 2, del codice civile (su cui la Relazione 15 settembre 2022, n. 87 della Suprema Corte di Cassazione). Si tratta, nondimeno, di norma programmatica, entrata in vigore successivamente ai fatti contestati, che – fermo il riferimento, compiuto dal comma 5 dell’art. 16 cit., alle sentenze di condanna divenute res judicata – presuppone l’attuazione puntuale degli organi federali, cui spetta implementare un sistema di compliance che adeguatamente prevenga fatti lesivi della libertà personale degli stessi terzi che vengano in contatto con i tesserati. Il tenore della disposizione, pur rilevante in chiave sistematica, conferma il difetto di norme immediatamente precettive (e non meramente programmatiche) che, all’esito di una valutazione – rimessa al legislatore federale – di ragionevole rilevanza dei contegni per l’ordinamento domestico, comminino sanzioni in relazione a condotte come quelle in contestazione” (cfr. Tribunale Federale nazionale, Sez. disc., 11 agosto 2023, n.40/TFNSD-2023-2024). Le questioni riproposte in questa sede dal Procuratore Nazionale dello Sport applicato, quindi, sono già state attentamente esaminate da questo Tribunale. Argomentazioni ulteriormente rinforzate anche da quanto recentemente statuito dalla Corte Federale d’Appello con riferimento alle richiamate normative di rango legislativo da parte del requirente. Al riguardo, infatti, il giudice endofederale di seconde cure ha evidenziato che: “A questo proposito, va osservato che: - per i reati contemplati, il comma 5 si riferisce alle conseguenze disciplinari di condanne passate in giudicato, che non è dato riscontrare nel caso di specie; - l’aggiunta al decreto legislativo - ad opera del decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n. 69 - dell’art. 17 bis, per effetto della quale le disposizioni del decreto legislativo medesimo si applicano a decorrere dal 31 agosto 2022, rende inapplicabile il d. lgs. n. 39/2021 ratione temporis; - all’art. 16 non è stata data ancora attuazione nell’ordinamento della FIGC. Del che ci si deve rammaricare, ma anche trarne le debite conclusioni rispetto al diritto vigente, nel senso che hoc iure utimur e che la mancata iniziativa del legislatore federale non può essere superata con una operazione interpretativa che sarebbe eccessivamente disinvolta”. (Corte Fed. D’App., SS.UU., 21 settembre 2023, n.39/CFA/2023-2024). Né appare coincidente con l’oggetto del presente giudizio il richiamo all’art. comma 7, del d. lgs. n. 36/2021, disposizione volta a garantire l’integrità del lavoratore sportivo ai fini costitutivi ed estintivi del rapporto di lavoro e non già volta ad individuare specifiche fattispecie sanzionatorie in caso di condotte riconducibili alle condotte ivi ascritte. Va ribadito, in conclusione, che il richiamo all’art. 4 comma 1 C.G.S. quale norma disciplinare asseritamente violata, de iure condito, mal si attaglia alla fattispecie qui contestata limitando il proprio ambito applicativo a ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro secondo quanto previsto dall’art. 2 del Codice di comportamento sportivo CONI. In assenza, quindi, allo stato, di una specifica disposizione endofederale volta a sanzionare le condotte, indubbiamente deplorevoli, asseritamente ascritte ai deferiti, deve dichiararsi il difetto di giurisdizione di questo Tribunale non titolato a decidere sulle condotte asseritamente poste in essere al di fuori dell’attività sportiva dei deferiti. L’accoglimento della pregiudiziale questione in esame, esime questo Tribunale dal vagliare l’ulteriore profilo avente ad oggetto il rispetto della tempistica imposta dalla disciplina codicistica per l’esercizio dell’azione disciplinare, illustrata in sede di udienza, dal Procuratore Nazionale dello Sport applicato.

 

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 076/TFN - SD del 25 Ottobre 2023  (motivazioni) –

Impugnazione –  Istanza: Deferimento n. 7383/1106pf22-23/GC/GR/ff depositato il 20.9.2023 nei confronti del sig. M.M. - Reg. Prot. 64/TFN-SD

Massima: Non sussiste la giurisdizione sportiva in merito al deferimento con il quale si contesta al soggetto che appartenente all’Ordinamento federale in quanto inquadrato nei ruoli del Settore Tecnico FIGC quale “Allenatore UEFA B” e tesserato per la società …, la violazione degli artt. 4 co. 1 del CGS e 37 del Regolamento del Settore Tecnico per essere stato, nella propria qualità di amministratore e legale rappresentante della società … Immobiliare … (società quest’ultima sospettata di aver impiegato nel corso dell’anno 2021 capitali illeciti, in quanto derivanti da una pluralità di delitti di trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, in una operazione finanziaria finalizzata alla costruzione di 8 campi da padel presso il centro “…” di proprietà comunale sito in Milano), destinatario di un provvedimento interdittivo antimafia adottato in data 08 maggio 2023, ex art. 89 bis e 91 del D.lgs 6 settembre 2011 n.159, dal Prefetto di Milano oltre che formalmente indagato dalla Procura della Repubblica di Milano per i reati di emissione e utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e autoriciclaggio e per l’effetto attinto da misura cautelare personale…. Osserva il Collegio che, dallo stesso tenore letterale dell’atto di deferimento, è dato evincersi come le condotte ascritte al … siano riconducibili esclusivamente al suo ruolo di imprenditore, ma del tutto estranee alla qualifica di tecnico tesserato per la FIGC. Come è noto, l’articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC, nel definire il proprio ambito di applicazione, testualmente “disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l’ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)”. In modo coerente, l’articolo 4 del medesimo Codice di Giustizia, la cui violazione è stata contestata dalla Procura Federale, nel prevedere l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ne detta i confini con specifico e testuale riferimento ad “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Come più volte ribadito dalla giurisprudenza endofederale, la chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva. Analogamente, l’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, nel disciplinare il principio di lealtà, lo lega indissolubilmente all’ambito sportivo, laddove chiarisce che “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”. Nella fattispecie in oggetto, le condotte contestate si collocano in un ambito del tutto avulso dall’Ordinamento sportivo, avendo ad oggetto violazioni tributarie ascritte al …, quale imprenditore, nonché una presunta ipotesi di autoriciclaggio realizzata, secondo l’impostazione accusatoria, attraverso la realizzazione di campi da paddle all’interno di un centro sportivo comunale. Né tantomeno appare condivisibile l’assunto, integralmente recepito dalla nota della PGS, secondo il quale “la sola sussistenza dell’inibitoria antimafia costituisce il presupposto per esercitare l’azione disciplinare”. Non può infatti non rilevarsi che il provvedimento prefettizio, di cui peraltro non si conoscono le motivazioni, è stato adottato nei confronti delle società sopra indicate, del tutto estranee all’ordinamento federale ed, inoltre, alcun provvedimento di prevenzione risulta applicato nei confronti della persona fisica, sig. …, attinto, invece, dalla misura cautelare  degli arresti domiciliari, successivamente modificata (non revocata come sostenuto dal difensore) con l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, per reati astrattamente commessi nella sua qualità di imprenditore. Nel caso di specie, pertanto, difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che consenta di radicare la giurisdizione in capo a questo Tribunale, essendo i fatti ascritti sussumibili nell’alveo della sfera privata dell’odierno deferito, rilevante per il solo ordinamento statale, con esclusione di qualsivoglia riferibilità o riconducibilità ad un’attività propriamente sportiva. In senso analogo si è ripetutamente espressa la giurisprudenza endo ed esofederale con riferimento a fattispecie similari. Il Collegio di Garanzia del CONI, con la decisione n. 66 del 2020, avente ad oggetto la contestata violazione del dovere di lealtà sportiva,  dopo aver premesso che “[…] il bonus vir sportivo rispetta e onora gli impegni assunti e osserva la regolamentazione di riferimento; ma detti impegni e regolamentazione devono comunque attenere all’ambito dell’attività sportiva” ha coerentemente riconosciuto la necessità che il fatto oggetto dell’addebito disciplinare sia sempre riferito ad un  contesto “prettamente sportivo”. Dal chiaro tenore della giurisprudenza del Collegio di Garanzia non si sono discostate le decisioni di questo Tribunale e della Corte Federale di Appello che, nel custodire l’autonomia dell’ordinamento sportivo, non hanno mai disconosciuto il fisiologico limite dell’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare, che a tale autonomia si ricollega (TFN 40/TFNSD/2023-2024; 140/TFNSD/2022-2023; 98/CFA/2022-2023; 39/CFA/2023-2024). Alla luce di tali consolidati arresti giurisprudenziali, non può pertanto condividersi l’assunto della Procura Federale – che va ricordato aveva comunque trasmesso, condivisibilmente, alla PGS l’intendimento di archiviazione sia per il procedimento genetico che per quello oggetto della presente decisione – laddove, nel richiamare la decisione n. 4 CFA 2021-2022,  invoca una competenza del Giudice sportivo a valutare “se le modalità con le quali la persona deferita si è comportata, o per il contesto in cui ha agito, hanno determinato o meno la compromissione dei valori cui si ispira  l’Ordinamento sportivo” (pg. 4 deferimento). Premesso che il precedente richiamato è relativo a fattispecie comunque riferibili all’attività sportiva, occorre ribadire che l’accertamento della responsabilità disciplinare deve fondarsi sulle fattispecie previste dal CGS e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 CGS e trova il suo limite nel tenore letterale dell’art. 4, co. 1, che consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità esclusivamente nell’ambito dei rapporti comunque riferibili all’attività sportiva, senza possibilità di estensione analogica a qualsivoglia rapporto sociale. I fatti di cui all’atto di deferimento, in disparte ogni considerazione sul loro disvalore, non sono relativi ad un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva e, pertanto, non rilevano a fini disciplinari.

 

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0039/CFA del 21 Settembre 2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale - sezione disciplinare n. 0040/TFNSD dell’11.08.2023

Impugnazione – istanza Procuratore Nazionale dello Sport con funzioni di Procuratore Federale/omissis

Massima: Rigettato il reclamo proposto dal Procuratore Nazionale dello Sport con funzioni di Procuratore Federale che ha impugnato la decisione del TFN che ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine al deferimento del calciatore chiamato a rispondere “della violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3 co. 1 del C.G.S. (<< Il Codice è adottato in conformità a quanto disposto ... dallo Statuto del CONI e ... dal Codice CONI>>), con gli artt. 2 e 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che impongono a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, oltre al rispetto del principio di lealtà, di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso la sera/notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna (Omissis) presso una abitazione sita in  Omissis  abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali, nonché, nell’occasione colpito - altresì - la stessa con forza in più parti del corpo, scattando foto e riprendendola durante gli abusi esercitati”……Viene all’esame la questione se sia assoggettabile a sanzione in ambito federale il tesserato che sia imputato di un reato grave e - sia lecito dirlo - odioso, a prima lettura non previsto e non punito dalle pertinenti disposizioni dell’ordinamento di settore. Il punto è già stato vagliato dalla decisione n. 98/2022-2023, con la quale le Sezioni unite di questa Corte federale d’appello - in analoga vicenda - hanno respinto il reclamo proposto dalla Procura federale avverso la decisione di primo grado, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Tribunale nazionale federale.  Questa decisione, peraltro, si colloca in una linea di continuità con la giurisprudenza endo-federale che, anche in tempi non recentissimi, ha giudicato non sanzionabili condotte pur molto deprecabili, ma poste in essere in ambito strettamente privato senza alcun rapporto con l’attività sportiva (Corte di giustizia federale, Sez. I, 2014-2015, in CU n. 248 del 28 marzo 2014, n. 3). In estrema sintesi, le Sezioni unite hanno ritenuto che, alla luce dell’art. 1 CGS (il quale afferma che il Codice di giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare), l’accertamento della responsabilità disciplinare debba essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal CGS medesimo e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 del Codice e che l’applicazione dell’art. 4, comma 1, CGS - nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità - non possa che essere limitata, in quanto la norma lo prevede espressamente, a ogni “rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale (così la consolidata giurisprudenza sportiva endo-federale: per tutte, CFS, Sez. IV, n. 69/2021-2022; come pure quella eso-federale, per la quale si veda - con riguardo alla disciplina propria del tennis, ma con affermazioni generalizzabili - Coll. garanzia sport, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66). La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva, sia pure intesa nel senso più ampio. Resta comunque fermo che, se tale situazione può essere sintetizzata come difetto di giurisdizione (o di competenza) degli organi di giustizia sportiva, deve esser chiaro - nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione (per tutte: Cass. civ., SS.UU., 5 settembre 2022, n. 26038; Id., 16 gennaio 2015, n. 647) - che viene propriamente in gioco una questione di merito, in quanto il difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva dipende dalla concreta mancanza di una fattispecie disciplinare sanzionatrice e non rappresenta un ostacolo a possibili diverse scelte de iure condendo, nell’esercizio dell’autonomia propria dell’ordinamento sportivo. Nel caso di specie, il Tribunale federale nazionale ha reputato che i fatti contestati si sarebbero svolti in un contesto strettamente privato senza alcun rapporto con manifestazioni o eventi sportivi di sorta e in difetto di una norma ad hoc - impregiudicata la loro oggettiva gravità - non sarebbero sanzionabili in ambito federale…..In definitiva, ritiene il Collegio che i diversi profili del motivo di reclamo, pur valutati in chiave sistemica, non siano tali da consentire o indurre queste Sezioni Unite a rimeditare l’orientamento espresso nella richiamata decisione n. 98/2022-2023.  Si tratta, infatti, di riferimenti senz’altro espressivi di un intento, diffuso e del tutto condivisibile, di contrastare con la massima efficacia le molestie, la violenza di genere e le forme di discriminazione, ma di per sé non determinanti ai fini della risoluzione della presente controversia, in quanto non idonei ad ampliare il novero delle fattispecie disciplinarmente rilevanti sul piano della normativa endo-federale.  Sebbene in tema di illecito sportivo disciplinare non viga il principio penalistico della tipicità e della tassatività, nel relativo giudizio viene pur sempre in gioco la possibilità di imputare a un soggetto una condotta a titolo di illecito. Il che non può essere consentito al di là del perimetro fissato dalle norme di settore, anche se lette alla luce della massima tensione interpretativa.  Come si è detto, la norma incriminatrice non è costituita dall’art. 4, comma 1, CGS, che riguarda fatti attinenti all’attività sportiva, sia pur ampiamente intesa, neppure se letto in combinato disposto con gli artt. 2 e 5, comma 1, del Codice di comportamento sportivo del CONI. Come ha già osservato la richiamata decisione n. 98/2022-2023, il meccanismo del “combinato disposto” è certamente impiegabile per desumere una prescrizione attraverso l’integrazione coordinata del contenuto di più norme, purché, tuttavia, il risultato ottenuto non contrasti con quanto le norme combinate contemplano singolarmente. Ora, l’art. 4, comma 1, CGS, testualmente limita il proprio ambito applicativo a ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro in modo conforme a quanto previsto dall’art. 2 del Codice di comportamento sportivo CONI dedicato al “Principio di lealtà” («I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva»). Di conseguenza, il preteso combinato disposto tra l’art. 4, comma 1, CGS, e l’art. 5 del Codice di comportamento sportivo CONI, volto a estendere il campo applicativo dell’art. 4, comma 1, oltre i rapporti comunque riferibili all’attività sportiva, determinerebbe non soltanto una chiara forzatura dell’ambito applicativo dello stesso art. 4, ma anche l’invocazione dell’art. 5 Codice di comportamento sportivo per superare un limite che è affermato dallo stesso Codice all’art. 2. Resta dunque confermato che, allo stato, l’ordinamento endo-federale non conosce una norma sanzionatrice di condotte pur assolutamente riprovevoli come quella ascritta al reclamato. Dai rilievi che precedono discende che il deferimento del calciatore è infondato. Il reclamo del Procuratore nazionale dello sport, in funzione di Procuratore federale, non può dunque essere accolto, dal che segue la conferma - fatto salvo quanto richiamato al § 7 circa il carattere di merito della pronuncia - della decisione impugnata. Occorre al tempo stesso sollecitare fortemente il legislatore sia endo che eso-federale ad adottare con estrema urgenza, in relazione all’ambito proprio di attività, le iniziative necessarie a porre rimedio a quella che ormai appare una non più tollerabile aporia del sistema, che - a fronte di un’opinione pubblica allarmata per il reiterarsi di gravissimi episodi di violenza - mette a repentaglio le stesse onorabilità e autorevolezza degli organismi sportivi. Al riguardo, sarebbero senz’altro benvenuti, anche in vista di una regolamentazione uniforme della materia, interventi diretti ed espliciti degli organi sovranazionali del calcio. In questa prospettiva, sarà possibile contemplare anche la previsione di misure cautelari in attuazione, per quanto di rispettiva competenza, dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo CONI, ovvero di linee guida circa le clausole da inserire nei contratti degli atleti (cfr. decisione n. 98/2022-2023, § 5.3).

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 040/TFN - SD del 11 Agosto 2023  (motivazioni)

Impugnazione –  Istanza: Deferimento proposto dal Procuratore Nazionale dello Sport applicato n. 902/369 pf22-23/MI/blp del 7 luglio 2023, nei confronti del sig. omissis - Reg. Prot. 7/TFN-SD

Massima: Non sussiste la giurisdizione degli organi di giustizia sportiva in ordine al deferimento per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS, ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3, comma 1, CGS, con l’art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso, secondo quanto prospettato nel deferimento, la sera/notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna presso una abitazione sita in («omissis»), abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali….I termini di tale complesso relazionarsi sono delineati dalla Legge 17 ottobre 2003, n. 280, di conversione del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, da leggersi ai lumi delle note sentenze C. Cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. Cost., 25 giugno 2019, n. 160. L’art. 1 del decreto-legge, poi convertito, riecheggia il dettato dell’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale”. Come pure insegna la normativa primaria, il principio autonomista, che si giustifica in ragione della natura settoriale degli interessi rilevanti per l’ordinamento domestico, deve dialogare con i principi che informano l’ordinamento statale, in cui quello sportivo si inquadra.Salvo snaturare l’ordinamento statale o privare di senso la stessa autonomia di quello settoriale, le fattispecie regolate dall’ordinamento sportivo non possono non essere espressione dei peculiari interessi che ne giustificano l’esistenza. In quanto assetto particolare, per sua natura postulante l’ordinamento generale in cui si colloca, l’ordinamento sportivo non può del tutto sovrapporsi a quello statale; in tanto si giustifica il positivo intervento del legislatore federale in quanto lo stesso sia teso a regolare fattispecie rilevanti per l’ordinamento di settore. Tale rilevanza presuppone un nesso di ragionevole radicamento della fattispecie negli interessi settoriali; radicamento che deve trovare espressione in una norma endofederale (a propria volta compatibile con i principi e le norme esofederali di riferimento). Per quanto di interesse nel caso di specie, il diametro della rilevanza discende dal combinato disposto degli artt. 1 e 4 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC. L’art. 1, nel disegnare l’ambito di applicazione oggettivo del Codice, testualmente prevede che “Il presente Codice di giustizia sportiva […] disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l’ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)”. Nella stessa ottica, l’art. 4, la cui violazione è stata contestata nel deferimento per cui è causa, prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. I disposti, che legano la rilevanza a quanto sia comunque riferibile all’attività sportiva, appaiono in linea con le norme esofederali di riferimento, pure evocate dalla Procura Generale. Emblematico è il dettato del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che, nel disciplinare il principio di lealtà, lo lega indissolubilmente all’ambito sportivo (“I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”). Come si evince dal sistema, considerato nel suo complesso, l’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, ragionevolmente rilevante; la rilevanza risolvendosi nell’esistenza di una liaison con il sistema domestico, che deve essere riflessa in una norma ad hoc compatibile con il quadro esofederale di riferimento. In senso analogo si è espressa la giurisprudenza con riferimento a controversie similari. Emblematica appare la decisione n. 66 del 2020, con la quale il Collegio di Garanzia del CONI, proprio in relazione a contestazioni afferenti al dovere di lealtà sportiva, dopo aver premesso che “[…] il bonus vir sportivo rispetta e onora gli impegni assunti e osserva la regolamentazione di riferimento; ma detti impegni e regolamentazione devono comunque attenere all’ambito dell’attività sportiva” (Collegio di Garanzia, 10 novembre 2020, n. 66, § 2.5.2, pag. 12), ha coerentemente riconosciuto la necessità che il fatto oggetto dell’addebito disciplinare sia sempre riferito a tale contesto “prettamente sportivo” (Collegio di Garanzia, n. 66/2020, cit., § 2.6, pag. 12). Dal chiaro tenore della giurisprudenza del Collegio di Garanzia non si sono discostate le decisioni del Tribunale Federale (Tribunale Federale Nazione, Sezione Disciplinare, C.U. n. 76/TFNSD/2022-2023, del 27 marzo 2023) e della Corte Federale di Appello (Corte Federale di Appello, C.U. n. 98/CFA/2022-2023, del giorno 8 maggio 2023), che, nel custodire l’autonomia dell’ordinamento sportivo, non hanno disconosciuto il fisiologico limite che a tale autonomia si ricollega: la riferibilità al contesto domestico – per come veicolata da specifiche norme federali – del contegno oggetto dell’addebito. I fatti oggi contestati trovano descrizione nella sentenza penale, ove è stata contestata l’induzione di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – a compiere e/o subire rapporti sessuali presso un’abitazione. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata dell’odierno deferito. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico, riflesso in una norma ad hoc, che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale. Né a dissimili conclusioni conduce il richiamo all’art. 16 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39, pure compiuto nel deferimento; articolo a tenore del quale, per quanto di interesse, “Le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate, gli Enti di promozione sportiva e le Associazioni benemerite, sentito il parere del CONI, devono redigere, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. Le linee guida vengono elaborate con validità quadriennale sulla base delle caratteristiche delle diverse Associazioni e delle Società sportive e delle persone tesserate. 2. Le Associazioni e le Società sportive dilettantistiche e le Società sportive professionistiche devono predisporre e adottare entro dodici mesi dalla comunicazione delle linee guida di cui al comma 1, modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva nonché codici di condotta ad esse conformi. In caso di affiliazione a più Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate, Enti di promozione sportiva e Associazioni benemerite, esse possono applicare le linee guida emanate da uno solo degli enti di affiliazione dandone comunicazione all’altro o agli altri […] 5. I regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite devono prevedere sanzioni disciplinari a carico dei tesserati che abbiano violato i divieti di cui al capo II del titolo I, libro III del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ovvero siano stati condannati in via definitiva per i reati di cui agli articoli 600 -bis , 600 -ter , 600 -quater , 600 -quater .1, 600 -quinquies , 604 -bis , 604 -ter , 609 -bis , 609 -ter , 609 -quater , 609- quinques , 609 -octies 609 -undecies del codice penale”. Il disposto è senz’altro meritevole di attenzione siccome capace di conformare l’attività sportiva ai principi del fair play e di allineare l’ordinamento sportivo a quei canoni di prevenzione che sottendono lo schema di ‘compliance 231’ (decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231), il risk assessment connotante il settore della privacy   e – non da ultimo – la novella sugli adeguati assetti di cui all’art. 2086, comma 2, del codice civile (su cui la Relazione 15 settembre 2022, n. 87 della Suprema Corte di Cassazione). Si tratta, nondimeno, di norma programmatica, entrata in vigore successivamente ai fatti contestati, che – fermo il riferimento, compiuto dal comma 5 dell’art. 16 cit., alle sentenze di condanna divenute res judicata – presuppone l’attuazione puntuale degli organi federali, cui spetta implementare un sistema di compliance che adeguatamente prevenga fatti lesivi della libertà personale degli stessi terzi che vengano in contatto con i tesserati. Il tenore della disposizione, pur rilevante in chiave sistematica, conferma il difetto di norme immediatamente precettive (e non meramente programmatiche) che, all’esito di una valutazione – rimessa al legislatore federale – di ragionevole rilevanza dei contegni per l’ordinamento domestico, comminino sanzioni in relazione a condotte come quelle in contestazione.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0005/CFA del 5 Luglio  2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Puglia, di cui al Com. Uff. 187 del 25.05.2023

Impugnazione – istanza:  –  A.S.D. Calcio Ceglie/Procura Federale Interregionale

Massima: Infondata è l’eccezione di difetto di giurisdizione per il fatto che l’aggressione tra i compagni di squadra si sia verificata fuori dal contesto sportivo e presso l’abitazione dell’aggredito….la fase prodromica dell’aggressione si è verificata presso l’impianto sportivo di Ceglie Messapica e, in particolare, nei locali adibiti a spogliatoi ovvero in spazi che si trovano nella disponibilità e nel controllo della società e nel corso di tale fase sono stati coinvolti soggetti tesserati per la medesima società. Pertanto i comportamenti posti in essere sono riferibili, quantomeno in parte, all’attività sportiva in quanto l’aggressione è stata determinata “a seguito di una banale discussione in ordine all’uso dello spogliatoio dell’impianto sportivo di Ceglie Messapica”. Al riguardo, è appena il caso di osservare - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte federale - che il dovere di comportarsi secondo il principio di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, rappresenta il principale parametro di condotta per tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano sottoposti all’ordinamento federale. L’obbligo in esame, sebbene solitamente riconducibile al canone di lealtà sportiva (c.d. fair play), già sotto il vigore del Codice previgente ha assunto una dimensione più ampia, riferibile anche al di là della competizione sportiva e della corretta applicazione delle regole di gioco, traducendosi in una più generale regola di condotta in ambito associativo, alla cui osservanza sono tenuti tutti i soggetti comunque facenti parte dell’ordinamento federale e tale da ricomprendere in essa ogni violazione delle generali regole di correttezza e di lealtà da parte di coloro che, a qualsiasi titolo, entrino in contatto con l’ordinamento federale (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 38/2019-2020; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 69/2021-2022). E’ vero – secondo quanto recentemente statuito da questa Corte federale con decisione n. 98/2022-2023 – che l’art. 4, comma 1, C.G.S., nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità, non può essere esteso ad ogni rapporto sociale. E ciò ancorché, de iure condendo, l’ordinamento sportivo, al fine di promuovere al massimo i suoi fini e la funzione sociale dello sport ampiamente intesa, potrebbe estendere tali principi per i soggetti dell’ordinamento sportivo oltre i rapporti riferibili all’attività sportiva, fino a ricomprendere i rapporti sociali. Con una estensione dell’ambito applicativo dei principi, peraltro, che non può essere rimessa alla singola Federazione, ma deve muovere dall’ambito esofederale e costituire una scelta dell’intero ordinamento sportivo nazionale. Ma nel caso in esame – come si è visto - i comportamenti posti in essere sono riferibili, quantomeno in parte, all’attività sportiva.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0098/CFA del 8 Maggio  2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare n. 0140/TFNSD-2022-2023 (registro proc. 0076/TFNSD/2022-2023) del 27/03/2023

Impugnazione – istanza:  – Procuratore Federale/E.M., S.C., G.M., G.S.V. e D.O.

Massima: Rigettato il reclamo della procura federale e confermata la decisione del TFN che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione esulando i fatti dal contesto sportivo…Il difetto di giurisdizione è stato fondato, in particolare, sull’affermazione che l’art. 4, comma 1, C.G.S., la cui violazione è stata contestata dalla Procura Federale, «prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”». Su tale premessa, il Tribunale Federale Nazionale ha affermato che «I fatti oggetto del deferimento trovano compiuta descrizione negli atti del processo penale, ove è stata contestata la conduzione, da parte dei deferiti, di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – presso una abitazione e nella induzione della stessa a rapporti sessuali. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale»…..In primo luogo, il reclamo della Procura federale muove chiaramente dalla lettura dell’articolo 4, comma 1, C.G.S. nel senso che esso impone l’obbligo di osservare i principi di lealtà, probità, correttezza «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, e/o sociale», mentre la norma appena indicata testualmente limita il proprio ambito applicativo ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva».  L’art. 1, comma 1, C.G.S. afferma che il Codice «disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare». In modo coerente, l’art. 4, comma 1, C.G.S. individua una fattispecie che, nonostante contenga una clausola molto ampia, limita il proprio campo applicativo ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva». La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva (cfr. Commissione disciplinare nazionale C.U. n. 56/CDN (2013/2014) – caso 235). Le uniche componenti della disposizione che possano favorire interpretazioni estensive dell’ambito applicativo della norma sono soltanto l’aggettivo indefinito «ogni» (rectius: «ogni rapporto») e l’avverbio «comunque» («comunque riferibile all’attività sportiva») – elementi valorizzati dalla giurisprudenza endofederale. Si è, ad esempio, affermato che l’art. 4 contiene «una clausola molto ampia, suscettibile di ricomprendere nel proprio spettro applicativo molteplici fattispecie, non soltanto quelle attinenti allo svolgimento stricto sensu dell’attività sportiva, ma anche quelle concernenti “rapporti” ad essa comunque riconducibili» (CFA, Sez. IV - decisione n. 0069 CFA del 2 marzo 2022). Per il resto è ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte la ripetizione del principio in relazione a fattispecie che in modo evidente attengono a rapporti riferibili all’attività sportiva [cfr. in via esemplificativa Sez. Unite - decisione n. 0013 CFA del 9 agosto 2022 e Sez. Unite - decisione n. 0003 CFA del 1 luglio 2022; e CFA Sez. II – C.U. n. 029/CFA (2019/2020), rispetto alla corrisponde norma del C.G.S. vigente ratione temporis]. Una limitazione che trova riscontro anche nella giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66). I fatti oggetto dell’atto di riferimento non sono riconducibili, per le circostanze in cui sono avvenuti come già dettagliatamente sopra descritte, nell’ambito di un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Sotto questo profilo si conviene con la posizione assunta dalla decisione di primo grado quando sottolinea che «Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti».  Inoltre, non persuade, al fine di poter ricondurre i fatti in esame alla violazione dell’art. 4, comma 1, C.G.S., la invocazione di questa norma in combinato disposto con l’art. 5 del Codice di Comportamento Sportivo, dedicato al “Principio di non violenza”.  Il meccanismo del “combinato disposto” è certamente impiegabile per desumere una prescrizione attraverso l’integrazione coordinata del contenuto di più norme, ma purché il risultato ottenuto non contrasti con quanto le norme combinate contemplano singolarmente. Nel caso di specie l’art. 4, comma 1, C.G.S. testualmente limita il proprio ambito applicativo ad ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro in modo conforme a quanto previsto dall’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI dedicato al “Principio di lealtà” («I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva»). Pertanto, il preteso combinato disposto determinerebbe non soltanto una chiara forzatura dell’ambito applicativo dell’art. 4, comma 1, C.G.S., ma anche l’invocazione dell’art. 5 Codice di Comportamento Sportivo per superare un limite che è affermato dallo stesso Codice di Comportamento Sportivo all’art. 2. Ciò già evidenzia, come si chiarirà (§ 5.2.2.), che l’ostacolo non discende meramente dalla formulazione dell’art. 4, comma 1, C.G.S., ma dall’ambito applicativo dei principi di lealtà, probità, correttezza delineato anche dalla normativa esofederale. Di ciò si trova conferma nella ricordata decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66), che in un caso relativo al Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Tennis (ora divenuta FITP), il cui art. 1, comma 2, testualmente prevede l’obbligo di osservare i principi di lealtà, probità e rettitudine sportiva «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, sociale e morale», ha affermato (§ 2.6. della decisione) che «anche i comportamenti afferenti ai rapporti di natura economica, sociale e morale, sui quali si svolge il giudizio di responsabilità disciplinare, possono essere rilevanti, ma devono comunque essere pur sempre riferiti all’ambito prettamente sportivo, al pari di quelli concernenti i rapporti di natura agonistica». Un precedente richiamato anche dalla decisione di primo grado al fine di escludere la giurisdizione sportiva nel caso qui in esame. Gli ulteriori argomenti addotti dal reclamo della Procura si concentrano sulla differenza tra le valutazioni che gli organi di giustizia devono compiere al fine di accertare la sussistenza di una violazione disciplinare e quelle che gli organi della giurisdizione statale devono compiere al fine di valutare se sussista la violazione di norme esterne all’ordinamento sportivo. La Procura reclamante, invocando un precedente di questa Corte – Sezioni Unite decisione/0004/CFA-2021-2022 – fa discendere dall’esame del tipo di sindacato/giudizio che gli organi di giustizia sportiva sono chiamati a compiere nell’accertamento delle violazioni disciplinari e dalla distinzione dei caratteri del giudizio disciplinare rispetto a quelli propri dell’accertamento delle fattispecie penali da parte dei giudici statali, uno «specifico dovere proprio dei giudici sportivi» di valutare la compromissione dei valori dell’ordinamento sportivo, «indipendentemente dal contesto extrasportivo in cui quei fatti sono venuti maturando»; e di conseguenza sostiene che «in ragione di tale specifico dovere proprio dei giudici sportivi nel caso di specie può argomentarsi, diversamente da quanto deciso dal Tribunale, la competenza degli organi di giustizia della FIGC a conoscere e giudicare dei gravi fatti oggetto di deferimento». In relazione a tali argomenti, la difesa sig. E.M. sostiene – qualificandolo, in realtà, come motivo di inammissibilità del ricorso – la pretesa violazione della garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.), perché la Procura «chiede a Codesta Corte d’Appello, sia di sostituirsi al legislatore, sia di violare l’art. 25 della Costituzione, pronunciandosi su fattispecie che la legge riserva ad altri Giudici. Nel primo caso, si vorrebbe che qualunque condotta, pur estranea alla normativa specifica ed al contesto sportivo, fosse passibile di venir giudicata dai Giudici de quibus, non esplicitando né le norme a fondamento di tale assunto, né il ragionamento logico deduttivo operato per ritenere corretta tale abnorme richiesta, una sorta di precedente vincolante non ammesso nel nostro ordinamento giuridico. Si vorrebbe, inoltre, attribuire al Giudice sportivo una funzione legislativa, ammettendo la punibilità di fattispecie estranee all’attuale normativa disciplinare vigente. Si vorrebbe, da ultimo, superare e/o tacitamente abrogare l’art. 25 Costituzione che prevede una riserva di legge laddove stabilisce che “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” (sul punto si veda il reclamo pg. 3 delle premesse ultimo cpv.)». Gli ulteriori argomenti avanzati dalla Procura non sono condivisibili ai fini dell’accoglimento del motivo di reclamo. In primo luogo, non apporta alcun contributo alla questione di “giurisdizione” qui in esame, che è questione anteriore, la riflessione, compiuta dalla Procura, circa la tipologia di giudizio che gli organi di giustizia sportiva sono chiamati a compiere. Se non ricorre la giurisdizione (o competenza) degli organi di giustizia sportiva, unica questione oggetto della decisione di primo grado, risulta superfluo ogni dibattito in ordine al tipo di sindacato rimesso alla giustizia sportiva in confronto con quello compiuto dal giudice statale, tema a cui si riferisce il precedente di questa Corte – Sezioni Unite Decisione/0004/CFA-2021-2022 – invocato dalla Procura Federale nell’atto di reclamo a sostegno delle proprie argomentazioni. Peraltro, il precedente invocato di questa Corte si riferisce a fattispecie comunque riferibili all’attività sportiva, ciò che invece nel caso in esame non ricorre. Nonostante la auspicabilità, per le ragioni che saranno in seguito chiarite, dell’affermazione che i principi di lealtà, probità e correttezza devono informare l’attività dei soggetti dell’ordinamento sportivo anche al di fuori dei rapporti sportivi; e nonostante la completa condivisibilità dell’affermazione della Procura secondo cui nel caso in esame «appare evidente come, indipendentemente dal contesto extrasportivo in cui quei fatti sono venuti maturando, gli stessi abbiano certamente determinato, per mano dei deferiti, una assai grave violazione di quei valori di lealtà, probità e correttezza cui si ispira l’ordinamento sportivo», non si può, de iure condito, condividere la conseguente affermazione della Procura secondo cui di tali principi «gli organi di giustizia domestica sono tenuti sempre a verificare l’osservanza ad opera dei soggetti parte dell’ordinamento federale al fine di sanzionare eventuali condotte che ne abbiano potuto determinare una compromissione», anche se le condotte non siano relative ad un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. A tale estensione osta non soltanto il chiaro limite posto dall’art. 4, comma 1, C.G.S., ma anche la normativa esofederale di cui esso è espressione. Si pensi al già ricordato art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, rubricato «Principio di lealtà» ed in cui si legge: «I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. (…)». Si ricordi, inoltre, che, secondo l’art. 13 bis, comma 1, Statuto CONI, «Il Codice di comportamento sportivo (d’ora in poi “Codice”) definisce i doveri di lealtà, correttezza e probità sportiva sulla base dei principi e delle prassi riconosciute nell’ordinamento delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite». Si deve, pertanto, ribadire che l’accertamento della responsabilità disciplinare deve essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal C.G.S. e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 C.G.S. L’art. 1 CGS afferma che il codice di giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare. Pertanto, l’art. 4, comma 1, C.G.S. nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità deve essere limitato, in quanto lo prevede espressamente, ad ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale. In concreto manca la fattispecie che, ai sensi dell’art. 1 C.G.S., possa fondare la competenza degli organi di giustizia sportiva. Fermo restando che questa Corte non può accogliere la ricostruzione sostenuta nel reclamo, ritiene al contempo che qualora, de iure condendo, fosse esteso l’ambito applicativo dei principi di lealtà, probità e correttezza per i soggetti dell’ordinamento sportivo, non si determinerebbe la pretesa violazione dell’art. 25, comma 1, Cost. prospettata dalla difesa del sig. E.M. A tal fine basta ricordare che i medesimi fatti possono ben essere oggetto di plurime qualificazioni, una volta dinanzi alla giustizia sportiva per la loro rilevanza disciplinare e, separatamente, dinanzi al giudice statale per la loro rilevanza, ad esempio, penale. Pertanto, nel caso in esame anche se fosse stata affermata da questa Corte - ciò che non è -  la giurisdizione/competenza degli organi di giustizia sportiva, tale competenza disciplinare non avrebbe affatto escluso il giudice naturale previsto dall’ordinamento statale, ciò che dissolve ogni possibile vulnus all’art. 25, comma 1, Cost. È indubbio il giudizio di disvalore che i fatti ascritti determinano dal punto di vista dell’ordinamento sportivo e dei suoi complessivi valori e fini, come chiaramente sottolineato già dalla decisione di primo grado. La funzione sociale dello sport (affermata anche dall’art. 165 TFUE) e i valori cristallizzati nell’art. 4, comma 1, C.G.S. confliggono con fatti penalmente rilevanti espressione di assoluto disvalore, come quelli indicati nell’atto di deferimento, e sarebbe auspicabile un’estensione del campo applicativo di tali principi oltre i rapporti comunque riferibili all’attività sportiva. Per le ragioni già esposte si può trattare soltanto di una prospettiva de iure condito. In tale prospettiva non si conviene pienamente, dal punto di vista motivazionale, con la posizione della decisione di primo grado secondo cui la limitazione dell’art. 4, comma 1, attraverso lo «specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”», si pone «nel solco del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, di conversione della L. 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia sportiva». Ed inoltre non si conviene con il legame posto, dalla decisione di primo grado, tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e «l’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare» quale «fisiologico limite» dell’autonomia dell’ordinamento sportivo; né si può convenire con la ritenuta piena sintonia di tale impostazione con l’insegnamento espresso dalla Corte Costituzionale nei due noti interventi (C. cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. cost., 25 giugno 2019, n. 160). Secondo questa Corte, indipendentemente dalla prospettiva teorica accolta circa la ricostruzione dei rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo (teoria ordinamentale, piuttosto che la collocazione dell’ordinamento sportivo nel più ampio ordinamento italo-europeo o, probabilmente, una possibile interazione tra i diversi modelli), l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può comportare la limitazione del suo intervento alla «riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare», come afferma invece la decisione di primo grado. Questo limite può discendere da una esplicita disposizione, come nel caso di specie l’art. 4, comma 1, C.G.S. quando individua – in conformità all’art. 1, comma 1, C.G.S. – una fattispecie rilevante sul piano disciplinare e la conforma alla disciplina esofederale (cfr. art. 2 Codice di Comportamento Sportivo CONI). Ma non si tratta di un limite di carattere generale, cioè un limite imposto dall’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e dal suo rapporto con l’autonomia dell’ordinamento statale. Non si può affermare che tale limite discende dall’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e che la rilevanza di una controversia per l’ordinamento sportivo richieda la «esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico». Non risulta essere questo il rapporto tra il principio di autonomia e il principio di rilevanza che emerge dagli artt. 1 e 2 del d.l. 19 agosto 2003 n. 220 (convertito in L. 17 ottobre 2003 n. 280) e dalla lettura che la Corte Costituzionale ne ha compiuto nei suoi due già citati interventi. Piuttosto, secondo questa Corte dalle norme indicate, come lette alla luce degli interventi della Corte Costituzionale, risulta affermato il principio di autonomia quale regola generale di disciplina dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale. Il principio di autonomia trova però un’attenuazione quando una controversia investa posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale e, pertanto, tutelabili “anche dinanzi” alla giurisdizione statale (ferma l’osservanza del vincolo di giustizia sportiva, che dunque conferma il ruolo della “giurisdizione sportiva” anche nei casi di rilevanza della controversia per l’ordinamento statale). Le riflessioni appena compiute non sono meramente teoriche, ma hanno un chiaro indotto pratico sia nel caso di specie, sia per le prospettive di intervento dell’ordinamento sportivo in fattispecie come quella oggetto dell’atto di deferimento che occasiona l’attuale giudizio.  Una volta affermato il significato del principio di rilevanza, risulta chiaro che l’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e il connesso ambito della giustizia sportiva non richiede che la controversia presenti «un legame effettivo con il sistema domestico». Di conseguenza, questa Corte non può condividere la motivazione della decisione di primo grado nella parte in cui afferma che «L’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, rilevante; risolvendosi la rilevanza nell’esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico». Rispetto al caso concreto a cui l’atto di deferimento si riferisce è indubbio che i fatti indicati nell’atto di deferimento non sono relativi ad un «rapporto comunque riferibile all’attività sportiva», quindi non rientrano nell’ambito dell’art. 4, comma 1, per come la fattispecie di rilevanza disciplinare è configurata. Sotto questo profilo si concorda con la decisione di primo grado e le relative motivazioni. Ciò però non esclude - e qui si manifesta la rilevanza pratica della diversa ricostruzione sopra delineata del rapporto tra principio di autonomia e principio di rilevanza tra ordinamento sportivo e ordinamento statale - che de iure condito possa essere eliminato lo stretto riferimento all’attività sportiva. Non è un ostacolo a tal fine, per quanto sopra affermato, né il limite di autonomia dell’ordinamento sportivo nel rapporto con l’ordinamento statale, né il principio di rilevanza, che (come si è chiarito) deve essere inteso non già quale limitazione dell’ambito in cui si manifesta l’autonomia dell’ordinamento sportivo (e, di conseguenza, si può esplicare la competenza/giurisdizione degli organi di giustizia sportiva), ma nel senso di permettere ai soggetti dell’ordinamento sportivo di poter agire anche dinanzi all’ordinamento statale quando la controversia coinvolga posizioni per quest’ultimo rilevanti. Il principio di rilevanza opera quale bilanciamento del principio di autonomia rispetto alle posizioni giuridiche rilevanti anche per l’ordinamento statale, giusta la garanzia del diritto di azione giurisdizionale cristallizzata nell’art. 24, comma 1, della Costituzione. Nella prospettiva appena descritta dei rapporti tra i due ordinamenti (e dei relativi sistemi di giustizia), che a questa Corte sembra quella delineata dalla Corte costituzionale nei due noti interventi, l’ordinamento sportivo potrebbe, al fine di promuovere al massimo i suoi fini e la funzione sociale dello sport ampiamente intesa (sulla scia anche dell’ampia formulazione dell’art. 165 TFUE), estendere i principi di lealtà, correttezza e probità per i soggetti dell’ordinamento sportivo oltre i rapporti riferibili all’attività sportiva, fino a ricomprendere i rapporti sociali. Non basterebbe, tuttavia, la scelta di una singola Federazione. Sarebbe a tal fine indispensabile una modifica della stessa normativa esofederale, a cui quella endofederale si conforma. L’art. 4, comma 1, C.G.S. nel limitare l’ambito applicativo dei principi ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva» è conforme, come si è detto, all’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI. Inoltre, più in generale, si è già sottolineata la posizione del Collegio di Garanzia del CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66), che ha letto in senso restrittivo la ricordata previsione dell’art. 1, comma 2, Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Tennis, che prescrive i suddetti principi «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, sociale e morale». Ciò conferma che un’estensione dell’ambito applicativo dei principi non può essere rimessa alla singola Federazione, ma deve muovere dall’ambito esofederale e costituire una scelta dell’intero ordinamento sportivo nazionale. Il clamor fori generato da fattispecie di reato che non trovano una rilevanza anche disciplinare perché accadute al di fuori di rapporti riferibili all’attività sportiva, come i fatti descritti nell’atto di deferimento in esame, potrebbe giustificare l’ampliamento dell’ambito applicativo dei principi, ma nel contesto di una generale modifica normativa. I valori dello sport e il ruolo degli atleti quali prioritari attuatori di quei valori genera il suddetto clamor fori di fronte a decisioni, come quella attuale, che non possono irrogare, per le ragioni sopra indicate, una sanzione disciplinare, nonostante l’assoluto giudizio di disvalore circa i fatti descritti nel deferimento, testimoniato peraltro dall’attivazione sia della Procura Generale dello Sport che della Procura Federale. La Procura Federale ha inoltre affermato nel reclamo che i fatti prospettati dall’atto di deferimento sono tali da determinare una lesione dell’immagine della Federazione, anche se essi non attengono ad un rapporto comunque attinente all’attività sportiva; e che la lesione all’immagine della FIGC determinata dall’eco mediatica dei fatti consentirebbe di «ritenere anche sotto tale profilo violato il dettato di cui al ricordato art. 4, comma 1, del CGS così come integrato dal disposto di cui al menzionato art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI». Neppure sotto questo profilo può essere accolta la tesi della Procura. In senso contrario muovono le medesime ragioni già chiarite nei precedenti punti della decisione circa l’ambito applicativo delle norme invocate dalla Procura. È certamente un vulnus di cui si dovrebbe tener conto. Certi reati sono già presi in considerazione per l’adozione di provvedimenti di sospensione in via cautelare quando vi sia una lesione all’onorabilità degli organismi sportivi, ma in contesti diversi. Il riferimento è, in particolare, alle ipotesi di sospensione dalla carica dei componenti degli organismi sportivi prevista dall’art. 11 Codice di comportamento sportivo CONI a tutela dell’onorabilità e dell’autorevolezza degli organismi sportivi quando i componenti siano stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” del Codice di comportamento sportivo CONI o siano stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale. In modo simile a quanto previsto dall’appena ricordato art. 11 Codice di comportamento sportivo che rinvia, per l’individuazione delle ipotesi di sospensione, ad uno specifico elenco di delitti, si potrebbe eventualmente intervenire sulla disciplina del tesseramento, prevendo una simile forma di sospensione in via cautelare; o delineare delle linee guida circa le clausole da inserire nei contratti degli atleti per l’ipotesi che risultino accertate determinate tipologie di reato. De iure condito, tuttavia, alla luce del testo dell’art. 4, comma 1, C.G.S. e della normativa esofederale, la cui applicazione è ribadita dall’art. 3 C.G.S., questa Corte non può che confermare la dichiarazione del difetto di giurisdizione.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 140/TFN - SD del 27 Marzo 2023  (motivazioni)

Impugnazione –  Istanza: Deferimento n. 10601/116pf22-23/GC/blp del 26 ottobre 2022 nei confronti del sig. E. M. + altri - Reg. Prot. 76/TFN-SD

Massima: Sussiste il difetto di giurisdizione del TFN a decidere sul deferimento a carico di soggetti, per fatti avvenuti fuori dal contesto sportivo, trattandosi nel caso di specie del compimento di atti di violenza sessuale avvenuti in luogo privato e per il quale vi è un procedimento penale pendente…E, invero, l’articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC, nel disegnare l’ambito di applicazione oggettivo, testualmente prevede che “Il presente Codice di giustizia sportiva […] disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l’ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)”. Nella stessa ottica, l’articolo 4 del medesimo Codice di Giustizia, la cui violazione è stata contestata dalla Procura Federale, prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Le previsioni si pongono nel solco del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, di conversione della L. 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia sportiva. L’articolo 1 del decreto-legge riecheggia il dettato dell’articolo 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale”. Il principio autonomista deve, tuttavia, dialogare con i principi che informano l’ordinamento statale, in cui quello sportivo si inquadra. L’articolo 2 del decreto-legge n. 220 del 2003, cit., fa sì che l’autonomia non si risolva in autoreferenziale astrazione: “I rapporti tra l’ordinamento e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”. L’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, rilevante; risolvendosi la rilevanza nell’esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico. I fatti oggetto del deferimento trovano compiuta descrizione negli atti del processo penale, ove è stata contestata la conduzione, da parte dei deferiti, di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – presso una abitazione e nella induzione della stessa a rapporti sessuali. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale. In senso analogo si è espressa la giurisprudenza con riferimento a controversie similari. Emblematica appare la decisione n. 66 del 2020, con la quale il Collegio di Garanzia del CONI, proprio in relazione a contestazioni afferenti al dovere di lealtà sportiva, dopo aver premesso che “[…] il bonus vir sportivo rispetta e onora gli impegni assunti e osserva la regolamentazione di riferimento; ma detti impegni e regolamentazione devono comunque attenere all’ambito dell’attività sportiva” (Collegio di Garanzia, 10 novembre 2020, n. 66, § 2.5.2, pag. 12), ha coerentemente riconosciuto la necessità che il fatto oggetto dell’addebito disciplinare sia sempre riferito a tale contesto “prettamente sportivo” (Collegio di Garanzia, n. 66/2020, cit., § 2.6, pag. 12). Dal chiaro tenore della giurisprudenza del Collegio di Garanzia non si sono discostate le decisioni del Tribunale Federale e della Corte Federale di Appello, che, nel custodire l’autonomia dell’ordinamento sportivo, non hanno mai disconosciuto il fisiologico limite che a tale autonomia si ricollega: l’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare; ciò in piena sintonia con l’insegnamento della Corte Costituzionale (cfr. le sentenze C. cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. cost., 25 giugno 2019, n. 160).

Decisione C.G.F.: Comunicato ufficiale n. 148/CGF del 11 Gennaio  2013  con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 046/CGF del 19 Settembre  2013   su  www.figc.it

Decisione Impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 53/CDN del 12.12.2012

Impugnazione – istanza: 3. RICORSO DELLA S.S. SAN BASILIO PALESTRINA S.R.L. AVVERSO LE SANZIONI: - INIBIZIONE PER MESI 2 AL SIG. C.A. - AMMENDA DI € 2.000,00 ALLA SOCIETÀ A TITOLO DI RESPONSABILITÀ DIRETTA AI SENSI DELL’ART. 4, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’OPERATO ASCRITTO AL SUO PRESIDENTE, INFLITTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1, C.G.S. – NOTA N. 1718/569PF11-12/AM/MA DEL 28.9.2012 –

Massima: Gli organi di giustizia sportiva non hanno giurisdizione in merito al deferimento del presidente per aver minacciato, offeso ed intimidito alcuni giornalisti all’interno dello stadio. Coglie nel segno la censura, formulata dalla Società ricorrente, secondo la quale gli organi di giustizia sportiva non avrebbero giurisdizione sul caso in argomento atteso che le condotte poste in essere dal sig. – omissis - non avrebbero alcuna rilevanza per l’ordinamento sportivo, essendo state, peraltro, determinate da motivi afferenti alla sua vita privata. Al proposito, questa Corte rileva come non possa essere valorizzata, al fine di pervenire alla affermazione della sussistenza della giurisdizione degli organi della giustizia sportiva, la circostanza che gli eventi, che hanno dato origine alle indagini della Procura Federale, si siano svolti comunque all’interno di stadio di calcio; ed invero, tale circostanza costituisce nulla più di un accidente atteso che è pacifico che il sig. – omissis -, in entrambe le occasioni, stesse assistendo a degli incontri di calcio (uno dei quali vedeva coinvolta addirittura la Nazionale di calcio) nella veste di spettatore e non di tesserato della Società odierna ricorrente. A quanto sopra si aggiunga che, a differenza di un caso analogo, oggetto di una recente decisione della stessa Commissione Disciplinare Nazionale (decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 43/CDN del 28.11.2012), gli alterchi tra il sig. – omissis - ed i giornalisti de “– omissis -” (oggetto, peraltro, di reciproche querele) non traevano spunto da questioni strettamente legate all’attività svolta dal primo in ambito federale ma, sebbene riconducibili, molto alla lontana e solo parzialmente, alla gestione sportiva del club del Palestrina da parte dello – omissis -, attenevano, più propriamente, a vicende alla sua vita privata.

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