CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 15 del 21/02/2017 – Antonio Migotto/Federazione Italiana Pallacanestro
Decisione n. 15
Anno 2017
IL COLLEGIO DI GARANZIA
PRIMA SEZIONE
Composta da
Vito Branca - Presidente
Angelo Maietta - Relatore
Guido Cecinelli
Vincenzo Ioffredi
Pier Giorgio Maffezzoli - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 71/2016, presentato, in data 20 dicembre 2016, dal sig. Antonio Migotto, nato a Motta di Livenza (VE) il 16.03.1976, rappresentato e difeso dagli avv.ti Angelo Bonetta e Maria Francesca Lucisano,
contro
- la Federazione Italiana Pallacanestro – F.I.P., in persona del Presidente, con sede in Roma, alla Via Vitorchiano, 113, rappresentata e difesa dall’avv. prof. Guido Valori e dall’avv. Paola Maria Angela Vaccaro;
per l’annullamento
della decisione della Corte Federale d'Appello presso la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), di cui al C.U. n. 534 del 29 novembre 2016 (comunicata il 2 dicembre 2016), la quale, nel confermare la decisione assunta nel giudizio di primo grado, ha decretato l'esclusione dell’odierno ricorrente dalla lista degli arbitri di Serie A2 maschile e A1 femminile, come da deliberazione del Consiglio Direttivo del Comitato Italiano Arbitri del 7 luglio 2016, n. 79, e successiva deliberazione del Consiglio Federale della FIP del 16 luglio 2916, comunicata il 18 luglio 2016;
viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell’udienza del 14 febbraio 2017, l’avv. Angelo Bonetta per il ricorrente, sig. Antonio Migotto, presente in udienza, nonché l’avv. prof. Guido Valori e l’avv. Paola Maria Angela Vaccaro, per la FIP;
udito, nella successiva Camera di Consiglio dello stesso giorno, il relatore, prof. avv. Angelo Maietta.
Ritenuto in fatto
Con il ricorso a questo Collegio di Garanzia, il ricorrente ha impugnato la decisione della Corte Federale d'Appello presso la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), di cui al C.U. n. 534 del 29 novembre 2016 (comunicata il 2 dicembre 2016), affidando il gravame alla denuncia della: a) violazione di legge sostanziale e procedurale, anche per omessa motivazione; pretermissione delle domande e denegata giustizia; b) motivazione errata ed insufficiente; c) motivazione illogica e quindi solo apparente e quindi inesistente. Il tutto perché ci sarebbero state, nella decisione impugnata, le violazioni sezionate per comodità espositiva e facilità di individuazione nella sequenza spiegata, ovvero:
1) violazione dei principi di lealtà sportiva, imparzialità e trasparenza nel procedimento di valutazione e selezione degli arbitri;
- conflitto di interessi dei soggetti partecipanti al procedimento di valutazione: violazione del requisito della imparzialità;
- condotta discriminatoria ai danni del sig. Migotto;
- vizio della deliberazione del Consiglio Federale di ratifica dell’operato del direttivo CIA. Sostiene, in pratica, il ricorrente che non siano state adeguatamente valutate le proprie argomentazioni relative ad un comportamento ritorsivo degli organi di valutazione degli arbitri della FIP, che avrebbero violato il perimetro della mera valutazione tecnica dell’arbitro Migotto, lasciandosi andare a giudizi “altri” e ciò solo dopo che il Migotto, in occasione di un raduno, aveva espresso alcune riserve sui criteri di valutazione degli organi preposti; in buona sostanza, il Migotto teorizza una equivalenza: sue valutazioni critiche = giudizio negativo sul suo operato. Si duole, altresì, del fatto che non sono state ammesse e valutate le trascrizioni da lui prodotte di alcune telefonate, da cui balzerebbe ictu oculi l’intento punitivo degli organi preposti, nonché della circostanza che, successivamente alle sue critiche, gli organi direttivi di valutazione degli arbitri avrebbero cambiato i criteri di valutazione, aderendo, de facto, a quelli suggeriti dal Migotto con le sue censure. Infine, sottolinea pure la circostanza che la FIP è rimasta contumace nei primi due gradi di giudizio e che, pertanto, si vedrebbe in questa sede esclusa e decaduta dalla possibilità di contro dedurre su fatti non squisitamente di diritto, ma anche di merito.
Concludeva, pertanto, per il suddetto annullamento, con riammissione nelle liste arbitrali, oppure per un annullamento con rinvio, con la possibilità di poter vedersi ammettere le prove richieste senza fortuna nei gradi precedenti.
La FIP si è ritualmente costituita in giudizio con memoria di difesa, deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto, appellandosi, fondamentalmente, alla norma di cui all’art. 63 del Regolamento CIA, che di fatto sancisce l’insindacabilità delle valutazioni tecniche e, quindi, la non proponibilità di alcun reclamo in tal senso.
Questa, in rapida sintesi, la vicenda processuale oggetto di ampie dissertazioni che, invero, hanno violato il limite della ridondanza, ma i cui concetti essenziali sono stati innanzi riepilogati. Su queste premesse in fatto, è opportuno svolgere le seguenti considerazioni in
Diritto
La trattazione deve essere condotta su due binari paralleli: uno in rito e d’ufficio, l’altro nel merito delle denunciate violazioni, con l’indicazione dei principi di diritto violati.
Il ricorso risulta, pertanto, fondato e merita accoglimento.
Data per acquisita e pacifica la funzione dello scrivente Collegio quale giudice di legittimità e non di merito, va da subito analizzata la vicenda sotto il piano della regolarità della pronuncia della Corte d’Appello Federale; sul punto, il Collegio non può non rilevare d’ufficio, in via preliminare ed assorbente, come la stessa sia radicalmente nulla.
Invero, esaminando gli atti depositati, è agevole notare come la sentenza di secondo grado si componga di un dispositivo, reso il 22 novembre 2016, e della successiva motivazione del 29 novembre 2016. A tutti è noto il principio della cd. immutabilità del giudice, ovvero quel principio generale che regola i processi, per il quale il giudice o il collegio che emette la sentenza deve essere lo stesso che ha conosciuto del processo.
Tanto non è avvenuto nel caso che ci occupa, atteso che il Collegio che ha reso il dispositivo del 22 novembre 2016 era composto in maniera diversa da quello che ha poi reso le motivazioni in data 29 novembre 2016 (in particolare, al dispositivo vi erano i componenti Scipio, Sica e Di Marco e alle motivazioni i componenti erano Scipio, Ricciardi e Di Marco). Come osservato da recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ., sez. II, 06/12/2016, n. 24951), in tema di deliberazione collegiale della decisione nel regime successivo alla riforma recata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, l'art. 276 c.p.c., comma 1 - rimasto invariato nella sua formulazione, la quale prevede che alla deliberazione della decisione "possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione" -, va interpretato nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni. Pertanto, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l'ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo (orientamento monolitico, cfr. Cass. nn. 4925/15, 18268/09, 13998/04 e 10458/01). Alla luce di quanto innanzi, pertanto, la sentenza della Corte Federale presso la FIP è radicalmente nulla.
La declaratoria di nullità impone che il giudizio di secondo grado venga ripetuto e che il ricorrente venga riammesso nei termini; questa considerazione impone, pertanto, al Collegio di non fermarsi al mero rilievo d’ufficio della nullità, sebbene assorbente e comunque sufficiente alla decisione, ma anche di esaminare le violazioni denunciate, al fine di verificarne la portata e indicare la strada da seguire alla Corte Federale in punto di principi di diritto, laddove il ricorrente voglia riproporre il giudizio. Sicché, valutando le denunciate violazioni del ricorrente, le stesse debbono considerarsi pertinenti ed accoglibili per i seguenti motivi.
(i) Un primo aspetto da censurare nella decisione della Corte Federale d’Appello riguarda la sbrigativa ed inesatta considerazione in merito alla valutazione delle trascrizioni delle telefonate, richiesta dal ricorrente, motivata dal fatto che esse sarebbero state ininfluenti e comunque non consentite, atteso che trattavasi di nuove prove documentali non prodotte né richieste in primo grado e, quindi, precluse, ai sensi dell’art. 116, comma 7, del Regolamento di Giustizia della FIP. L’argomento non merita condivisione né pregio giuridico.
Infatti, vale la pena ricordare che, a mente dell’art. 2 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI (cui ogni Federazione deve uniformarsi), i principi che ispirano il processo sportivo sono principi tesi alla piena tutela degli interessati secondo regole di informalità, pur facendo riferimento alle regole del processo civile, in quanto compatibili; ma quest’ultima locuzione non può far perdere di vista che nell’ordinamento sportivo il fine principale da perseguire, al di là dell’aspetto giustiziale pur fondamentale, è quello di affermare sempre e con forza i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo, come pensato sin dalla sua fondazione da Pierre De Coubertin e, quindi, è compito degli Organi di giustizia considerare meno stringenti le regole formali rispetto ad aspetti sostanziali, che siano utili all’accertamento dei menzionati valori. Ma nel caso che ci occupa, quand’anche pertinente ed utile ai fini ricostruttivi del sistema, quest’ultimo ragionamento è avvalorato anche dal Regolamento di Giustizia della FIP che, proprio nell’articolo 116, comma 7 (citato dalla Corte Federale soltanto quanto al primo periodo), dispone, all’ultimo periodo, che “Il collegio, anche d’ufficio, può rinnovare l’assunzione delle prove o assumere nuove prove e deve sempre definire il giudizio, confermando ovvero riformando, in tutto o in parte, la decisione impugnata” (cfr. in tal senso anche l’art. 37, comma 6, terzo cpv, CGS). Orbene, ferma questa ricostruzione, sia in linea di principi generali che secondo le regole di procedura sportiva, è appena il caso di ricordare che, anche nel processo civile, nel giudizio di appello possono essere ammesse nuove prove, compresi i documenti, laddove utili a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sulla esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata (cfr. Cass. civ., sez. I, 20/04/2016, n. 7971).
Sicché la Corte Federale avrebbe dovuto considerare in maniera meno sbrigativa l’allegazione documentale riferita alle trascrizioni di conversazioni telefoniche, proprio perché i contenuti delle stesse contengono spunti e principi di prova sui fatti, denunciati sin dal primo grado dal ricorrente, e relativi a considerazioni afferenti al modus operandi dell’organo tecnico CIA della FIP, che, ben oltre il dato squisitamente tecnico, ha espresso valutazioni “altre” sul ricorrente, che hanno poi dato la stura alle motivazioni per la sua collocazione “fuori quadro”; il che, leggendo le conversazioni telefoniche trascritte, è conseguenza non solo (e probabilmente per niente) dell’operato tecnico, quanto piuttosto delle valutazioni critiche, espresse dal medesimo in occasioni di raduni o incontri sui vertici giudicanti. Ma vi è di più. La Corte avrebbe potuto, rectius, dovuto, indagare maggiormente proprio su quei contenuti, anche alla luce della contumacia della FIP che, sia in primo che in secondo grado, non si è mai costituita, con ciò rinunziando anche a sollevare eccezioni di ammissibilità o meno delle prove prodotte dal ricorrente. Alla luce di tanto, la Corte Federale deve ammettere le trascrizioni richieste e le prove orali articolate, perché dirimenti ai fini della dissipazione dei dubbi sollevati ed indispensabili ai fini dell’accertamento di quei principi di lealtà, trasparenza e imparzialità che governano il movimento sportivo e, più in generale, l’ordinamento giuridico.
(ii) Analogamente ha errato la Corte Federale, laddove sostiene che le denunciate violazioni del ricorrente sembrano adombrare un intento persecutorio in danno dello stesso, che però non ha trovato conforto istruttorio (sic!), affermando che bene ha fatto il Tribunale Federale a rigettare il ricorso di primo grado, perché la collocazione “fuori quadro” del Migotto è frutto di valutazioni tecniche non suscettibili di sindacato o reclamo ai sensi dell’articolo 63, Reg. Cia.
Id est, se è vero che l’articolo 63 testé citato gode della guarentigia della insindacabilità sulle valutazioni tecniche, è, altresì, vero che a livello ordinamentale, sia generale che sportivo, va censurata la valutazione che sia frutto del mero arbitrio o che si spinga oltre l’aspetto tecnico, andando a sindacare anche stati d’animo od occasionali momenti di poca serenità, sempre che questi ultimi possano essere valutati da un Comitato tecnico arbitrale piuttosto che da un sanitario. E poiché nelle schede di valutazione depositate in atti vi sono varie affermazioni che stridono tra loro, perché considerano il Migotto un buon arbitro, che è ben padrone della meccanica e del campo, ma che sembra poco sereno, la Corte Federale avrebbe dovuto porsi il quesito sulla “tecnicità” di tali valutazioni e indagarne la genesi, soprattutto alla luce di coincidenze che diventano indizi, laddove il mutamento di opinione sull’arbitro, da parte del CIA, avvenga in maniera repentina ed in concomitanza di alcuni denunziati accadimenti, che la Corte Federale, in maniera davvero superficiale, ha definito “circostanze di contorno”. Se a tanto si aggiunge che la stessa Corte Federale, in un passaggio della sua motivazione, scrive che “il tribunale federale ha diffusamente motivato (il rigetto del reclamo, ndr) riportando stralci della relazione finale dell’organo tecnico Cia, considerazioni ineccepibili dense di argomentazioni che lungi dal contenere richiami e riferimenti seppur impliciti e trasversali a vicende di natura non tecnico-arbitrale….”, ci si accorge facilmente di come la decisione sia errata nel suo punto di approdo; invero, se la Corte si è accorta dell’esistenza di riferimenti non tecnico arbitrali nel giudizio sul Migotto, avrebbe dovuto immediatamente chiedersi, alla luce dei sospetti denunziati dallo stesso, quale cittadinanza avessero tali giudizi in una valutazione che, per essere assistita dalla blindatura della insindacabilità, ex art. 63 Reg. Cia, avrebbe dovuto essere contenuta nel perimetro tecnico e non andare oltre. Tale indagine andava condotta assumendo nuove prove ai fini dell’accertamento della verità. E a tale principio dovrà uniformarsi nel giudizio da rinnovarsi.
(iii) Un ulteriore aspetto di censura alla decisione impugnata va fatto in relazione al punto 9 della sentenza della Corte Federale, laddove la stessa giudica irrilevanti le modifiche effettuate nei criteri di valutazione del CIA che recepiscono le doglianze del ricorrente, atteso che esse non potranno che valere per il futuro e che, per il giudizio attuale, vanno prese in considerazione le norme tecniche, vigenti ratione temporis. L’argomento è infondato per quanto di seguito.
Se è vero che la legge (ergo, non un regolamento, per di più di un comitato inserito in una organizzazione federale) è assistita dal principio della irretroattività, salvo espresse deroghe contenute nella legge stessa, è vieppiù vero che, laddove un soggetto veda comprimersi un diritto, rectius, una legittima chance, intesa come proiezione di realizzazione di un percorso professionale, sebbene circoscritto ad un contesto sportivo, ma con soddisfazione reputazionale utile all’affermazione del dettato Costituzionale di cui all’art. 3, comma secondo, è compito dell’ordinamento e, per esso, dei suoi organi, verificare l’impatto di norme, poi abrogate, su tale diritto. Apertis verbis, il principio del favor rei, cristallizzato, nel codice penale, all’art. 2, in particolare al secondo comma, per il quale: “…nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali..”, può e deve trovare cittadinanza nella odierna vicenda con i correttivi che di seguito si vanno a spiegare. Il Regolamento del CIA esplicita una serie di regole e prevede anche misure disciplinari, con possibilità di deferimenti alla Procura Federale. La misura disciplinare altro non è che una sanzione che comporta delle conseguenze che vanno ad incidere sul percorso professionale dell’arbitro, così come la valutazione tecnica che, laddove negativa, ne compromette reputazione e credibilità, oltre all’uscita dal sistema; il che costituisce sicuramente una misura afflittiva. Orbene, se queste valutazioni, che conducono all’applicazione delle decisioni innanzi elencate, sono basate su criteri che vengono modificati e se, a seguito di tale modifica, quel comportamento o quella valutazione non costituiscono più il presupposto per l’adozione del provvedimento finale che era stato inflitto, deve ritenersi caducato quel provvedimento, in ragione del principio del favor rei.
Nel contesto sportivo tale principio deve ritenersi ancor più significativo e prevalere sul tempus regit actum, proprio perché ciò che deve essere perseguita è la piena tutela dei diritti e degli interessi dei soggetti coinvolti nell’ordinamento sportivo. Ha, pertanto, errato la Corte Federale nel ritenere che la modifica dei criteri di valutazione operata dal CIA, ed a seguito della quale il Migotto non avrebbe avuto una valutazione negativa, non poteva essere considerata utile ai fini della decisione, ricordando, tra l’altro, che comunque è regola primaria nel contesto sportivo la informalità dei procedimenti di giustizia sportiva, laddove l’equità sostanziale non è una cornice priva di contenuto, quanto, piuttosto, essa stessa contenuto. Sul punto, anche la Suprema Corte di Cassazione, in un giudizio di settore (codice di deontologia degli avvocati), ha affermato che “la successione nel tempo delle norme dell'allora vigente e di quelle del nuovo Codice, deve essere improntata al criterio del favor rei” (Cass. civ., sez. un., 29/07/2016, n. 15819), con ciò svincolando l’applicazione del detto principio al mero ambito penalistico e dettando una giusta nuova linea di percorrenza, tesa al superamento del mero formalismo in favore della giustizia sostanziale.
Anche su tale aspetto, pertanto, la Corte Federale dovrà uniformare il suo ragionamento al principio or ora indicato.
(iv) Restano assorbite, dalle considerazioni sin qui svolte e dai principi di diritto illustrati, tutte le altre questioni, ancorché meramente formali, pur evidenziate dal ricorrente.
(iv) Infine, giova anche sottolineare il poco pregio della eccezione del ricorrente in merito alla costituzione della FIP, intervenuta solo nel presente grado di giudizio e che, pertanto, avrebbe fatto decadere la medesima FIP da qualsiasi tipo di difesa, sull’errato presupposto che la contumacia dei primi due gradi non consentirebbe un intervento odierno. Sul punto, dirime la questione l’art. 59, comma 2, lett. a), del Codice della Giustizia Sportiva del CONI che consente alla Federazione l’intervento e la presentazione di memoria senza alcuna preclusione.
La evidente complessità della vicenda ed il rilievo preliminare d’ufficio sulla nullità della sentenza impugnata costituiscono motivi validi per la compensazione delle spese di lite, ma va disposta la restituzione della tassa camerale in favore del ricorrente, in ragione proprio della nullità della pronuncia della Corte Federale di Appello della FIP.
PQM
Il Collegio di Garanzia dello Sport Prima Sezione
Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 71/2016, presentato, in data 20 dicembre 2016, dal sig. Antonio Migotto avverso la decisione della Corte Federale d'Appello presso la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), di cui al C.U. n. 534 del 29 novembre 2016 (comunicata il 2 dicembre 2016), la quale, nel confermare la decisione assunta nel giudizio di primo grado, ha decretato l'esclusione dell’odierno ricorrente dalla lista degli arbitri di Serie A2 maschile e A1 femminile, come da deliberazione del Consiglio Direttivo del Comitato Italiano Arbitri del 7 luglio 2016, n. 79, e successiva deliberazione del Consiglio Federale della FIP del 16 luglio 2016, comunicata il 18 luglio 2016:
Dichiara la nullità della sentenza della Corte Federale d'Appello FIP, di cui al C.U. n. 534 dei dì 22-29 novembre 2016, per quanto in motivazione e, per l’effetto, dispone rinnovarsi, previa rimessione in termini del ricorrente, il giudizio dinanzi alla Corte Federale d’Appello della FIP, in altra composizione, la quale dovrà uniformarsi ai principi di diritto espressi in parte motiva. Assegna alla parte ricorrente il termine di 30 giorni, decorrenti dal deposito della presente sentenza, per la introduzione del giudizio di appello da rinnovarsi.
Dispone la restituzione della tassa camerale del presente grado di giudizio.
Nulla per le spese.
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 14 febbraio 2017.
Il Presidente Il Relatore
F.to Vito Branca F.to Angelo Maietta
Depositato in Roma in data 21 febbraio 2017
Il Segretario
F.to Alvio La Face