Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 25 febbraio 2002 – www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera dalla C.A.F. (F.I.G.C.) pubblicata sul C.U. 25/C del 21 marzo 1001 - www.figc.it
Parti: M.F. contro F.I.G.C.
Massima: L’art. 1 C.G.S. conserva una sfera applicativa propria, ancorché residuale rispetto a quella delle ulteriori previsioni dello stesso C.G.S. La sanzione fondata sulla sua violazione non può pertanto essere considerata nulla e/o illegittima. La norma non può essere ritenuta inapplicabile in quanto (ritenuta) priva di sanzione. Questa, infatti, è indicata dall’art. 9 comma 1 C.G.S., il quale determina le sanzioni a carico di dirigenti, soci e tesserati responsabili della violazione delle norme federali, e perciò anche dell’art. 1 comma 1 C.G.S. Ed in effetti al calciatore è stata inflitta la sanzione (squalifica a tempo determinato) prevista alla lett. h) di tale articolo.
La (apparente) indeterminatezza dei comportamenti vietati dall’art. 1 comma 1 C.G.S. non comporta la inapplicabilità dello stesso per asserito contrasto con il principio di legalità delle pene. Infatti, la previsione di una norma che descrive in termini assai generali il comportamento doveroso dell’atleta (e per la cui violazione si ritiene applicabile una sanzione identificabile solo attraverso il riferimento a disposizioni generali), se può apparire criticabile nell’ottica dell’ordinamento statale, improntato a severe esigenze di certezza del diritto e di tipicizzazione degli illeciti penali (art. 25 Cost.), trova comunque piena giustificazione nell’ambito dell’ordinamento sportivo, in cui manifestano dignità preminente, tra le altre, le esigenze di semplicità (e sinteticità) dei regolamenti e di adeguamento della sanzione al caso giudicato: risultato ottenibile anche attraverso la previsione e la sanzione di “clausole generali”. Ed in effetti l’attribuzione agli organi disciplinari sportivi del potere di valutare di volta in volta la sussistenza di una violazione del precetto generale, adeguando la sanzione alla specifica circostanza, è stata ritenuta legittima dai giudici dello Stato. Il Consiglio di Stato (sez. VI), nella sentenza 20 dicembre 1993 n. 996 (in Cons. Stato, 1993, I, 1661 ss.), ha infatti rilevato, senza censurare, la circostanza che “[n]ell’ambito della giustizia sportiva, il procedimento disciplinare … non sempre prende le mosse dalla commissione di un illecito astrattamente predeterminato dalle norme sostanziali, che si limitano, in alcuni casi, a descrivere genericamente il comportamento dovuto o vietato e rimettono al giudice sportivo il potere di individuare, in concreto, in una certa condotta, la commissione dell’illecito”. Quanto alla misura della sanzione, applicabile in conseguenza della ritenuta responsabilità per violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S., i criteri di sua determinazione sono fissati dall’art. 9 comma 1 C.G.S., il quale prevede che i tesserati, responsabili della violazione delle norme vigenti, sia punibili “secondo la natura e la gravità dei fatti commessi”. Natura e gravità dell’illecito sono dunque criteri-guida ai fini della determinazione della sanzione.