DECISIONE C.F.A. – SEZIONI UNITE: DECISIONE N. 085CFA del 3 Luglio 2020

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale Federale Territoriale – Comitato Regionale Sicilia della FIGC LND pubblicata con C.U. del C.R. Sicilia n. 270 TFT in data 28.01.2020

Impugnazione Istanza: C.E.-L.F.-L.B.F. – T.P./Procura Federale Interregionale

Massima: E’ ammissibile il reclamo proposto dalla società nell’interesse dei propri tesserati colpiti da sanzione dell’inibizione o della squalifica con il quale impugna anche le sanzioni dell’inibizione o della squalifica dei tesserati…Al riguardo, deve ribadirsi che “Il richiamo ai principi del giusto processo di cui all’art. 44, comma 1, del C.G.S consentono di considerare applicabili al processo sportivo anche i generali principi ricavabili dall’art. 81 c.p.c. che, nel sancire che, al di fuori dei casi previsti dalla legge, nessuno può agire in giudizio per far valere in nome proprio un diritto altrui, stabilisce la necessaria coincidenza tra il soggetto titolare del diritto fatto valere in giudizio e il soggetto legittimato ad agire in giudizio per la tutela del diritto stesso. Inoltre, l’art. 47 del CGS rubricato “Diritto di agire innanzi agli organi di giustizia sportiva” ribadisce, in termini chiari, il principio dell’interesse ad agire per cui l’azione è esercitata soltanto dal titolare di una posizione rilevante per l’ordinamento federale che abbia subito una lesione o un pregiudizio” (CFA sez. I, n. 62/2019-2020). Ritenere diversamente – ossia ammettere la possibilità per la società di proporre ricorso o reclamo nell’interesse dei tesserati – significherebbe attribuire alla società medesima una sorta di potere generale di rappresentanza dei loro interessi di cui non v’è traccia nell’ordinamento sportivo. Il che fa salva, ovviamente, la possibilità della società di agire in nome altrui (dei tesserati) attraverso un negozio posto in essere dai tesserati medesimi, con attribuzione autonoma e specifica del potere di rappresentanza; in tal modo utilizzando l’istituto della cd. rappresentanza processuale volontaria. Con l’ulteriore conseguenza che – secondo i noti principi – tale rappresentanza processuale opererà solo se il potere rappresentativo sia manifestato attraverso la contemplatio domini, ossia attraverso la dichiarazione del rappresentante di agire in giudizio in nome dei rappresentati. Sennonché occorre considerare che, nel caso in esame, la società ha proposto ricorso o reclamo anche nell’interesse dei propri tesserati colpiti da sanzione. In sostanza, la società ha agito in giudizio anche a tutela di un interesse suo proprio, direttamente conseguente alla società medesima dalla sanzione inflitta ai propri tesserati. Interesse, beninteso, che si distingue evidentemente dall’interesse della società a chiedere l’annullamento della sanzione comminata direttamente nei propri confronti, per la quale, peraltro, nel caso in esame - con la medesima decisione di rimessione della IV Sezione a queste Sezioni unite - essa è stata in parte prosciolta, con affievolimento delle sanzioni irrogate in primo grado. Al riguardo, conviene prendere le mosse dall’art. 49 (Ricorsi e reclami) del Codice vigente secondo cui “1. Sono legittimati a proporre ricorso innanzi agli organi di giustizia di primo grado e reclamo innanzi agli organi di giustizia di secondo grado, le società e i soggetti che abbiano interesse diretto al ricorso o al reclamo stesso.”. Tale previsione reitera, quasi pedissequamente, quanto previsto nel Codice abrogato (art. 33, comma 1). Orbene la disposizione, con il sintagma “interesse diretto”, si riferisce alla lesione della sfera giuridica del ricorrente e all’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento della sanzione. Se così è, c’è allora da chiedersi se la società abbia interesse diretto a non aver sanzionati i propri tesserati. Le Sezioni Unite ritengono che la risposta a tale quesito sia positiva. Non c’è dubbio che la sanzione dell’inibizione o della squalifica del tesserato incide direttamente sulla società, sulla sua organizzazione, sulla sua attività sportiva. Invero, ogni società ha interesse diretto che tutti i propri dirigenti svolgano la loro funzione nell’interesse dell’organizzazione della società e che tutti i calciatori per la stessa tesserati svolgano la loro funzione al fine del migliore risultato sportivo. Di tal che, a titolo di meri esempi, l’inibizione al Presidente comporta la perdita della rappresentanza in ambito federale e la squalifica di un calciatore, magari del migliore, comporta un indebolimento della capacità della squadra. Come osservato nel provvedimento di rimessione a queste Sezioni Unite, questa conclusione - valida per ogni settore e livello calcistico, atteso che la disposizione in esame non fa eccezioni - risulta ancor più evidente nel settore dilettantistico o in quello del settore giovanile, nei quali le ridotte capacità finanziarie o il numero limitato di calciatori rendono più evidente il danno che la società subisce dai provvedimenti sanzionatori inibitori che colpiscono i propri tesserati, con conseguente suo interesse diretto a chiederne la modificazione in ambito di giustizia sportiva. Da ultimo ma non per ultimo, le violazioni quali quelle di cui al presente procedimento comportano il deferimento e la sanzione della società quale conseguenza inevitabile della responsabilità dei propri tesserati, trattandosi di responsabilità diretta e/od oggettiva, come avvenuto nel caso di specie. Onde, appare quasi evidente l’interesse della società a contestare, iure proprio, in sede di giustizia sportiva, la responsabilità dei propri tesserati, potendo, quindi, agire con ricorso o reclamo. Né tale ordine di argomentazioni può essere messo in discussione dalla circostanza che dell’eventuale accoglimento del gravame potrebbero trarre beneficio anche i tesserati, e che pertanto la decisione produrrebbe effetti anche nella loro sfera giuridica. Tale conseguenza, difatti, costituirà un effetto riflesso della decisione impugnata – si ribadisce, iure proprio - dalla società. Ovviamente, permane in capo all’Organo di giustizia sportiva adito il potere di verifica dell’eventuale sussistenza di conflitto di interesse tra società e tesserato, che tuttavia risulta normalmente da escludere nei procedimenti, quale quello di specie, aventi ad oggetto le sanzioni dell’inibizione o della squalifica. Conclusivamente, le Sezioni Unite della Corte Federale d’Appello enunciano il principio di diritto secondo cui, nella materia delle sanzioni dell’inibizione o della squalifica dei tesserati, una società ha un interesse diretto, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, a proporre ricorso o reclamo i cui effetti, ove favorevoli, si estenderanno ai tesserati interessati. Deve, conseguentemente, affermarsi l’ammissibilità del reclamo proposto dalla società

 

DECISIONE C.F.A. – SEZIONE IV : DECISIONE N. 74CFA del 17 Giugno 2020

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale Federale Territoriale – Comitato Regionale Sicilia della FIGC

Impugnazione Istanza: ASD Capaci City/Procura Federale

Massima: Rimessa alle sezioni unite, la questione della possibilità per una società di proporre ricorso o reclamo anche nell’interesse dei propri tesserati…In proposito, la Procura ha fatto riferimento alla decisione n. 62/2019-2020 della Prima Sezione di questa Corte. In questa decisione, la Prima Sezione ha ritenuto che “Il richiamo ai principi del giusto processo di cui all’art. 44, comma 1, del C.G.S consentono di considerare applicabili al processo sportivo anche i generali principi ricavabili dall’art. 81 c.p.c. che, nel sancire che, al di fuori dei casi previsti dalla legge, nessuno può agire in giudizio per far valere in nome proprio un diritto altrui, stabilisce la necessaria coincidenza tra il soggetto titolare del diritto fatto valere in giudizio e il soggetto legittimato ad agire in giudizio per la tutela del diritto stesso. Inoltre, l’art. 47 del CGS rubricato “Diritto di agire innanzi agli organi di giustizia sportiva” ribadisce, in termini chiari, il principio dell’interesse ad agire per cui l’azione è esercitata soltanto dal titolare di una posizione rilevante per l’ordinamento federale che abbia subito una lesione o un pregiudizio.” Ritiene la Sezione che possa trovare spazio anche un’altra e diversa soluzione della problematica posta dalla Procura Federale. Oltre che al richiamo ai principi del giusto processo ex art. 44, comma 1, CGS, l’applicabilità delle norme del c.p.c. rinviene anche dal combinato disposto dell’art. 3, comma 2, CGS FIGC e dell’art. 2, comma 6, CGS CONI. Invero, la prima disposizione recita “Per tutto quanto non previsto dal Codice, si applicano le disposizioni del Codice CONI e la seconda che “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia sportiva conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”. Dalla disposizione del CGS CONI deriva che l’applicabilità del c.p.c. ha natura residuale (“Per quanto non disciplinato…”) e che tale applicabilità deve comunque confrontarsi, cedendo ad esso, con “..il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”. Venendo, allora, alle disposizioni del CGS FIGC, oltre all’art. 47, cha appare di carattere generale, trova applicazione l’art.49, comma 1, che legittima alla proposizione del ricorso o del reclamo “le società e i soggetti che abbiano interesse diretto al ricorso o al reclamo stesso” Al riguardo, appare alla Sezione che la disposizione, parlando di interesse diretto, non abbia riferimento esclusivo al solo interesse proprio ma a un interesse che può pure andare al di là del proprio, purchè sia diretto; cioè, riguardi aspetti che incidono direttamente sulla società, sulla sua organizzazione, sulla sua attività sportiva. Se così è, come appare fondatamente sostenibile, c’è allora da chiedersi se la società abbia interesse diretto a non aver sanzionati i propri tesserati. A parere della Sezione, la risposta a tale quesito appare positiva. Invero, ogni società sportiva appare avere interesse diretto a che tutti i propri dirigenti svolgano la loro funzione nell’interesse dell’organizzazione della società e avere interesse diretto a che tutti i calciatori per la stessa tesserati svolgano la loro funzione al fine del migliore risultato sportivo. Di tal che, a titolo di meri esempi, l’inibizione al Presidente comporta la perdita della rappresentanza in ambito federale e la squalifica di un calciatore, magari del migliore, comporta un indebolimento della capacità della squadra. Ciò, pur valido per ogni settore e livello calcistico atteso che la disposizione non fa eccezioni, appare evidente nel settore dilettantistico o in quello di puro settore giovanile, nei quali le limitate capacità finanziarie o talvolta di cultura o di numero limitato di calciatori appaiono rendere più evidente il danno diretto che la società subisce dai provvedimenti sanzionatori che colpiscono i suoi tesserati., con inerente suo interesse diretto a chiederne la modificazione in ambito di giustizia sportiva, anche alla luce del carattere di informalità che a quest’ultima riconosce il CGS CONI. Da ultimo ma non per ultimo, violazioni quale quella di cui al presente procedimento comportano il deferimento e la sanzione della società quale inevitabilmente discendente dalla responsabilità dei suoi tesserati, trattandosi di responsabilità diretta e/od oggettiva. Onde, appare quasi evidente l’interesse proprio, prima ancora che diretto, della società a contestare in sede di giustizia sportiva la responsabilità dei propri tesserati, potendo, quindi, agire con ricorso o reclamo anche nel loro nome. La Sezione, ritiene, quindi, di rimettere alle SS.UU. della Corte, al fine di evitare possibili contrasti tra decisioni, la questione della possibilità per una società di proporre ricorso o reclamo anche nell’interesse dei propri tesserati

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